Le spese legali relative all’istanza di fallimento e sua ammissione nello stato passivo
Si dibatte, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, se le spese legali affrontante dal creditore, presentante l’istanza di fallimento ex articolo 6 Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267 s.m.i.), debbano essere riconosciute nello stato passivo e se, nella ipotesi positiva, debbano essere ammesse in prededuzione, in privilegio o in chirografo.
Sul punto, vi sono, attualmente, orientamenti contrastanti ed ancora in via di definizione.
Partendo, dalla soluzione negativa, la tesi dell’insussistenza di qualsivoglia pretesa ha trovato, tra le tante, riscontro in Tribunale di Padova, 5 luglio 2005, Fall., 2006, 28, secondo cui le predette spese “competono solo limitatamente alle spese vive, atteso che al creditore non serve il patrocinio legale per presentare l’istanza di fallimento”; altri provvedimenti, in sede di esame dello stato passivo, non di rado, escludono l’insinuazione del credito in quanto mancante, nell’ordinamento giuridico, di una norma che ammetta e preveda tale possibilità.
In relazione, invece, alla tesi positiva, la stessa è stata patrocinata, in primis, da parte della dottrina fallimentaristica (BONSIGNORI, FERRARA, PAJARDI), nonché da una corrente giurisprudenza di merito, che decretano l’inserimento della predetta posizione attiva in prededuzione ex articolo 111 L.F, il quale, si ricorda, al comma 2, dispone espressamente che “sono considerati prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge; tali crediti sono soddisfatti con preferenza ai sensi del primo comma n. 1)”.
In sede pretoria, a tal proposito, si menzionano Tribunale di Treviso 7 marzo 2017 (tratta da www.unijuris.it), che ha statuito come “con riferimento alle spese processuali sostenute dal creditore istante per l’assistenza legale, ricorrono…i presupposti per il riconoscimento della prededuzione in chirografo ai sensi dell’articolo 111 L.F., considerata la funzionalità di quel credito alla procedura concorsuale e l’utilità per i creditori derivante dall’iniziativa del creditore”; nonché Tribunale di Terni, 22 marzo 2012 (in Il Fallimento, 10/2012, pag. 1250 – 1252), secondo cui “il credito per le spese legali sostenute dal creditore istante nel procedimento per la dichiarazione di fallimento è funzionale alla procedura, di conseguenza esso va ammesso al passivo fallimentare in prededuzione con collocazione chirografaria”, con la precisazione che “...il riconoscimento delle spese del procedimento fallimentare appare coerente con l’esigenza che, una volta abrogata l’iniziativa officiosa, all’eventuale inerzia del creditore insolvente possa sopperire la diligente iniziativa del creditore che, quand’anche non portatore di un credito di prevedibile soddisfazione in sede fallimentare, ed anche in assenza di beni aggredibili, agisca a tutela dell’intera massa dei creditori o, comunque, di quell’interesse pubblicistico che ancora permea la vicenda fallimentare”.
La tesi patrocinante l’ammissibilità del credito de quo in privilegio - in relazione ai compensi dovuti dall’avvocato per lo svolgimento della sua attività professionale in materia giudiziale nel rispetto dei canoni di cui all’articolo 2751 bis n. 2) c.c., a mente del quale “hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti…le retribuzioni dei professionisti…dovute per gli ultimi due anni di prestazione” - è stata avvallata, oltre che da attenta dottrina (AZZOLINA) dalla Corte di Cassazione, con la sentenza resa dalla Sezione I, n. 6787 del 24 maggio 2000 (si veda Fall., 2001, 615), la quale ha statuito, con congrua ed incisiva motivazione, che “la questione di ampio rilievo pratico, ora sottoposta al collegio, e ristretta per specificità di censura all’ammissibilità in via privilegiata al passivo fallimentare delle spese sostenute dal creditore istante per la dichiarazione di fallimento, non risulta essere stata affrontata ex professo in sede di legittimità.
La corte di cassazione, infatti, ha specificamente affrontato…la diversa e contigua questione del rimborso delle spese sostenute dal creditore istante nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, allorquando l’opposizione del fallito sia respinta. Dapprima, con sentenza 22.4.1959, n. 1201, cui seguì altra conforme del 23.10.1959, n. 3040, ebbe ad affermarsi il principio che quelle spese sono assistite dal privilegio per le spese di giustizia, e, successivamente, con sentenza 23.2.1966, n. 567, cui seguirono altre due conformi del 13.7.1968, n. 2502, e 22.12.1972, n. 3659, s’è affermato il diverso principio che quelle stesse spese debbono essere rimborsate con la prededuzione prevista dall’articolo 111, n. 1, legge fall., siccome considerate indispensabili per l’amministrazione del fallimento. Nella citata sentenza 22.4.1959, n.1201, la corte di cassazione, quale premessa sistematica della questione allora formulata e specificamente affrontata (per la prima volta in sede di legittimità), ebbe a valutare incidenter tantum anche la contigua questione, ora sottoposta all’esame del collegio, risolvendola alla stregua delle seguenti ragioni: "..trattasi di stabilire se le spese sostenute dal creditore istante per ottenere la dichiarazione di fallimento vanno ammesse al passivo con il privilegio riconosciuto alle spese di giudizio.
Al riguardo è communis opinio che la soluzione affermativa discenda dalla equiparabilità della dichiarazione di fallimento ad un pignoramento generale, onde l’applicabilità dell’articolo 95 cod. proc. civ., secondo cui le spese sostenute nel processo di esecuzione dal creditore procedente sono a carico di chi ha subito l’esecuzione, fermo il privilegio stabilito dal codice civile, il debitore esecutato, sia cioè fallito o non, sopporta le spese che il creditore procedente è costretto a sostenere nella procedura esecutiva singolare o concorsuale, in virtù di esplicita norma di legge ed ogni differenziazione non ha ragion d’essere, giacché alla procedura speciale il creditore deve fare obbligatoriamente ricorso ogni qual volta il debitore sia un imprenditore commerciale, e ricorrano le altre condizioni stabilite dalla legge fallimentare”.
Orbene, il collegio condivide tali ragioni e la conseguente soluzione in positivo del problema dell’ammissibilità in via privilegiata al passivo fallimentare delle spese sostenute dal creditore istante per la dichiarazione di fallimento… Ed invero, la dichiarazione di fallimento è equiparabile all’atto di pignoramento … Ne consegue, nell’innegabilità del processo di fallimento quale processo esecutivo concorsuale (caratterizzato da una complessità di fasi e procedimenti in sé anche di natura non esecutiva), l’applicazione della disciplina delle spese del processo di esecuzione, articolo 95 c.p.c., in forza del quale le spese sostenute dal creditore procedente sono a carico di chi ha subito l’esecuzione, fermo il privilegio stabilito dal codice civile. Riconoscibile, quindi, si presenta il privilegio delle spese di giustizia per quelle sostenute dal creditore istante al fine della dichiarazione di fallimento, un privilegio -questo - che, diversamente da altre cause legittime di prelazione, non è in realtà derogativo del principio generale della par condicio creditorum, di cui all’articolo 2741 c.c.: l’eguale diritto dei creditori di essere soddisfatti sui beni del debitore implica, necessariamente, l’onere di concorrere alle spese necessarie al soddisfacimento di tale diritto egualitario”.
In particolare, nel succitato decisum, la Suprema Corte ha provveduto all’applicazione al caso concreto della fattispecie del privilegio ex articoli 2777, 2755 e 2770 c.c. alla luce del fatto che la condizione prescritta dalla legge di essere state, le spese affrontate dal creditore istante, sostenute nel comune interesse dei creditori trova adeguato riscontro nella funzione istituzionale della dichiarazione di fallimento, la quale, riprendendo la parte motiva della pronuncia, “...sottrae alla libera disponibilità del fallito tutti i beni di questo per assicurarli al soddisfacimento di tutti i creditori...”, con la conseguente considerazione che il creditore istante, di fatto, tutela l’interesse comune degli altri creditori – evitando, in tal modo, che i beni del debitore possano essere oggetto di disposizione e alienazione – così realizzandosi la condizione prevista dagli articoli 2755 e 2770 c.c. al fine del riconoscimento del privilegio speciale dei crediti per spese di giustizia, che l’articolo 95 c.p.c. garantisce (“Le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione sono a carico di chi ha subito l’esecuzione, fermo il privilegio stabilito da codice civile”).
Tale pronunciamento, di certo risalente ma incisivo, ha trovato importante avallo in altra recente decisione della Suprema Corte, Sezione I, 23 dicembre 2016, n. 26949, la quale ha disposto che “questa Corte, con la pronuncia 6787/2000, ha ritenuto di confermare il privilegio per le spese di giustizia al credito maturato per l’attività relativa alla richiesta di fallimento, valorizzando il principio fissato nell’articolo 95 c.p.c. - in forza del quale le spese sostenute dal creditore procedente sono a carico di chi subisce la esecuzione, con il privilegio degli articoli 2755, 2770 e 2777 - e rinvenendo un sostanziale parallelismo tra il creditore procedente nella esecuzione singolare ed il creditore istante nella procedura concorsuale tale da attribuire anche a quest’ultimo il diritto alla ripetizione prelatizia delle spese sostenute per l’esercizio dell’unico mezzo consentitogli al fine di recuperare il proprio credito, che è poi mezzo realizzante il suo come l’interesse degli altri creditori, cui indubitabilmente giova la sottrazione dei beni alla disponibilità dal debitore e la loro destinazione al soddisfacimento dei propri crediti, in forza della dichiarazione di fallimento da lui (obbligatoriamente) richiesta." Detto principio è stato ribadito, sia pure in via incidentale, dalla pronuncia 1186/2006, ed allo stesso questa Corte intende dare continuità”.
Inoltre, recentemente, il sopra illustrato orientamento è stato seguito, con riguardo ad un giudizio di opposizione allo stato passivo, da Tribunale di Napoli, 13 aprile 2018, n. 1039.
Da ultimo, ma non per importanza, si è rinvenuta in dottrina (ALESSI, DI LAURO) e nella giurisprudenza di merito, Tribunale di Modena, 3 marzo 1980 in Giur. Comm. 1981, II, 340, altra prospettazione secondo cui le spese legali del creditore istante vadano sì riconosciute all’interno dello stato passivo, tuttavia né in prededuzione né, tantomeno, in privilegio, bensì solo in sede chirografaria.
Alla luce delle su esposte illustrazioni ben si può evidenziare come, ad oggi, non vi siano uniformità di vedute e che sarà necessario, pertanto, attendere ancora del tempo perché un dato orientamento (non riconoscibilità o riconoscibilità in prededuzione, in privilegio o in chirografo) possa consolidarsi in capo ai Tribunali fallimentari.