x

x

Il (difficile) punto di equilibrio tra la Composizione Negoziata della Crisi e la declaratoria di insolvenza

Analisi dei tratti peculiari del procedimento di composizione negoziata della crisi alla luce di una eventuale istanza di fallimento
insolvenza
insolvenza

Il (difficile) punto di equilibrio tra la Composizione Negoziata della Crisi e la declaratoria di insolvenza


Abstract

Il testo si pone l’obiettivo di evidenziare i tratti peculiari del procedimento di composizione negoziata della crisi, debitamente già instaurato, alla luce di una eventuale istanza di fallimento, ab initio pendente ovvero medio tempore depositata.

In particolare, gli autori, partendo dalla pronuncia del Tribunale capitolino, che sembra stagliarsi come un importante viatico, cercano di verificare l’ambito applicativo del novello istituto e le declinazioni operative dello stesso nel rapporto con la procedura (pre)fallimentare.


Indice

1. La massima

2. Il caso

3. La questione

4. Soluzioni giuridiche

5. Conclusioni e critiche


1. La massima

Nell’ambito della procedura di composizione negoziata della crisi (CNC), sussiste in re ipsa il divieto di dichiarare il fallimento, nei confronti dell’imprenditore che abbia richiesto l’applicazione delle misure protettive e cautelari – a far data dal giorno della pubblicazione dell’istanza introduttiva in Camera di Commercio e sino alla rituale conclusione delle trattative ovvero alla archiviazione della procedura medesima – essendo escluso l’onere in capo all’istante della obbligatoria richiesta espressa di conferma o modifica della misura de qua.


2. Il caso

Il caso trae origine da una istanza di composizione negoziata presso il Tribunale di Roma, avente per oggetto, tra le altre, la applicazione delle misure protettive e cautelari ex artt. 6 et seq. D.L. 118/2021.

In particolare, le richieste correvano lungo tre direttrici distinte.

In primo luogo, l’istante chiedeva di disporre un generale divieto per tutti i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive nonché di acquisire diritti di prelazione sul proprio patrimonio.

In secondo luogo, era domandata, come misura specifica, l’interruzione di un procedimento di reclamo volto a dichiarare e costituire il sequestro in due distinti plessi aziendali. Si può notare come, in questo specifico caso, emerga preponderante la peculiarità della norma rispetto alla generale disciplina concorsuale che, sull’altare della (presunta) tutela della continuità aziendale, sacrifica, non già il solo creditore ma anche la controparte giudiziaria, cui si nega, finanche, la prosecuzione dell’azione.

In ultima istanza, il ricorrente chiedeva la sospensione del procedimento volto alla declaratoria di fallimento, già pendente al momento della istanza presentata in Camera di Commercio.

Non rileva, in questa sede, la circostanza per cui, nella emissione del provvedimento di conferma delle misure cautelari, la legittimazione passiva fosse riconosciuta esclusivamente alla controparte di cui al giudizio avente per oggetto il sequestro dell’azienda, bensì, a contrario, si evince come sia esclusa ed estromessa inaudita altera parte, non già la generale massa dei creditori – non specificamente individuata – ma l’istante che aveva promosso la declaratoria di fallimento.


3. La questione

La questione giuridica sottende al corretto inquadramento della inibizione dalla declaratoria di fallimento nell’alveo delle misure protettive concesse dalla Composizione Negoziata.

In particolare, anche una disposizione apparentemente chiara come quella di cui all’articolo 6, co. 4, D.L. n. 118/2021[1], giusta stesura forse troppo caustica, ha, sin da subito, irretito gli imprenditori istanti e destato numerose perplessità in dottrina.

Da una prima lettura è parso ai più [1] che il divieto inerisca alla sola declaratoria di insolvenza e non anche, invero, alla mera presentazione di istanze prefallimentari, indifferentemente che siano pendenti ovvero ancora da istruire [2].

La condicio sine qua non – al fine di produrre l’effetto inibitorio – risulta essere, comunque, la effettiva pubblicazione in Camera di Commercio dell’istanza di accesso alle procedure disciplinate dal D.L. di nuovo impianto [3], talché a far data da suddetto momento, si determinino sia le misure incidentalmente e specificamente richieste sia quelle ex lege automaticamente concesse, tra cui, infatti, la medesima inibitoria alla declaratoria di fallimento, che sembra assumere carattere suppletivo (e forse superfluo?) ai rimedi cautelari e protettivi.

Sembra, dunque, che la stretta correlazione tra le misure protettive – specifiche ed adeguatamente individuate – e la generale inibitoria in ordine alla dichiarazione di insolvenza, assumano una qualche correlazione.


4. Soluzioni giuridiche

Vale la pena evidenziare la portata affatto secondaria dell’ordinanza emessa dalla Corte romana (Tribunale Roma, sez. fall., ord. 3 febbraio 2022), dalla quale discende un principium iuris significativo secondo cui era statuito che “il divieto di pronunciare sentenza di fallimento nei confronti del debitore che abbia domandato l’applicazione di misure protettive del patrimonio dal giorno della pubblicazione dell’istanza e fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, costituisce un effetto legge (articolo 6, 4° comma, d.l. n. 118/2021), che non presuppone, né richiede, la conferma o la modifica della misura del giudice”.

La soluzione adottata dal Tribunale, dunque, sottende ad un automatic stay, di concordataria memoria [4], per il quale, allorquando soggiunga la pubblicazione dell’istanza debitamente corredata della richiesta ai sensi e per gli effetti dell’articolo 6 co. 4 D.L. 118/2021 si determini una inibitoria volta a protrarsi – al netto della conferma ovvero della modifica delle misure specifiche – quantomeno sino alla conclusione, fisiologica o patologica, del procedimento di composizione negoziata [5].


5. Conclusioni e critiche

Le conclusioni sono del tenore, sicuramente di valutare, prima facie, con assoluto favore l’accoglimento da parte della Corte del contenuto letterale della norma talché sia effettivamente plausibile condurre le trattative previste dal novello impianto normativo senza la scure, non già delle sole esecuzioni individuali, bensì anche della declaratoria di insolvenza [6].

Ma se la pronuncia sembra aver risolto un primo, decisivo, aspetto nodale, parimenti, presta il fianco – certamente, non coadiuvata dalla stesura della norma – ad ulteriori dubbi interpretativi ed operativi.

Uno dei profili che potrebbero portare ad interpretazioni problematiche e a contrasti giurisprudenziali concerne la sopravvivenza – o meno – della inibitoria di cui al co. 4 anche allorquando vengano meno le misure protettive richieste mediante l’istanza originaria. Ci si chiede, dunque, se, acclarato, comunque, l’automatic stay della inibitoria de qua, la medesima permanga anche allorquando decadano le misure protettive specifiche [7].

Difatti, le misure protettive specifiche richieste assumono rilievo ed efficacia effettivamente sin dalla pubblicazione, ma sono ipso iure soggette al vaglio del Tribunale che può liberamente decidere nel senso di modificarle, confermarle ovvero revocarle.

Ma non basta, alla lettera della norma, le misure richieste possono perdere efficacia finanche anteriormente al giudizio del Tribunale, in particolare allorquando, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 7 co. 1, in caso di mancato – ovvero tardivo – deposito del ricorso al tribunale [2], o nel caso in cui l’imprenditore non proceda ritualmente alla richiesta entro trenta giorni della pubblicazione del numero di ruolo del procedimento di conferma.

Quindi, se le misure protettive specifiche sono soggetti mutevoli, quantitativamente e qualitativamente, alla lettera del combinato disposto di cui agli artt. 6 e 7. [8], non appare affatto chiaro se una caducazione delle stesse possa inficiare sulla inibitoria alla dichiarazione di fallimento, che ricordiamo, opera, teoreticamente, in re ipsa.

Il caveat non è affatto banale, perché se, da un lato, l’articolo 6, comma 4, prevede l’operatività del divieto sino quantomeno alla conclusione delle trattative ovvero all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata – escludendo, dunque le altre e diverse ipotesi, finanche patologiche, ivi incluse, apparentemente, la caducazione delle specifiche misure protettive [3], dall’altro, non appare chiaro se il medesimo divieto, per qualsivoglia motivo,  possa essere travolto comunque da tali decisioni.

Alla luce delle considerazioni di cui sopra, gli autori non sembrano trovare altra conclusione se non quella volta a una lettura assai letterale della previsione, talché potrebbe occorrere uno strano – e tutto italico abuso paradossale – in cui, l’impresa istante, oppressa dalla scure di una istanza di fallimento, ben potrebbe ricorrere alla composizione negoziata – quale rimedio altro e diverso al 161 co. 6 l.f., ma parimenti ostruzionistico ed efficace – presentando, debitamente l’istanza ex articolo 7, ma evitando di chiedere la conferma delle misure ivi contenute con ricorso al tribunale.

Alcuni potrebbero obiettare con l’eccezione che il paradosso sia più teorico che reale in quanto, pur inibita la declaratoria di insolvenza, in assenza della conferma di misure specifiche, i creditori ben potrebbero procedere ad eseguire individualmente gli assets del debitore, creando, in astratto, tra le altre, una potenziale lesione della par condicio [9].

Ma è sicuramente sulla tempistica e sulla consecuzione di atti che il paradosso, pur teorico, potrebbe trovare terreno fertile e favorire, ancora una volta, ingiustificati comportamenti dilatori ex parte debitoris, deliberatamente lesivi degli interessi della massa.

Ancora una volta il Legislatore, pur mosso, evidentemente da fini volti al deflazionamento delle procedure concorsuali strictu sensu e alla implementazione del comparto normativo sulla spinta europeista [10], ha prodotto, pur con una stesura apparentemente semplice, l’ennesimo equivoco giuridico-operativo, teso, sine ullo dubio a creare malpractices ed imbarazzo nelle aule. Non sarebbe, stato, forse più opportuno operare un rimando [4] alla disposizione di cui all’articolo 168 R.D. 267/1942? [5]

***

[1]Dal giorno della pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1 e fino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, la sentenza dichiarativa di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata.”

[2] In verità, in questo caso taluni ritengono che, finanche in assenza di un procedimento giudiziale, all’occorrer di tale adempimento o vi provvede in ritardo, le misure diventano ipso facto inefficaci.

[3] Tale fattispecie prescinde, comunque, dalla occorrenza – o meno – della sopravvenuta inefficacia derivante dalla mancata proposizione e pubblicazione del ricorso ovvero, finanche, del numero di iscrizione a ruolo.

[4] In alternativa, i practioners dovrebbero solo sperare in un tempestivo correttivo della norma, con espressa indicazione e correlazione della inibitoria con le misure protettive sia nella fase iniziale genetica, che in quella esecutiva e programmatica, con particolare attenzione a qualsivoglia altra ipotesi in cui comunque non avrebbe senso alcuno la continuazione del divieto quando dovessero caducare le misure protettive.

[5]Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore [al decreto] non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore. […] I creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice nei casi previsti dall'articolo precedente. Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.”

[1]      F. Lamanna, “Criticità del divieto di dichiarare il fallimento nel corso della composizione negoziata,” Il Fallimentarista, 2022.

[2]      A. J. Pagano and S. Giugni, “Le misure protettive erga omnes nella composizione negoziata della crisi,” Filodiritto, 2022.

[3]      P. Vella, “Le finalità della composizione negoziata e la struttura del percorso. Confronto col CCII,” Fallim., vol. 12, pp. 1489–1500, 2021.

[4]      F. M. Cocco, “Concordato preventivo con riserva. Termine massimo per il deposito della proposta concordataria anche in pendenza di istanza di fallimento,” Il Fallimentarista, pp. 118–120, 2022.

[5]      F. Cesare, “La nuova composizione negoziata della crisi e il concordato liquidatorio semplificato,” 2021.

[6]      S. Bonfatti, “Profili della composizione negoziata della crisi d’impresa- Esito della procedura: il ‘ contratto biennale ‘ e la Convenzione di moratoria,” Dirit. della Cris., 2022.

[7]      F. Platania, “Composizione negoziata: misure protettive e cautelari e sospensione degli obblighi ex artt. 2446 e 2447 c.c.,” Il Fallimentarista, 2021.

[8]      F. De Santis, “Misure protettive e provvedimenti cautelari a presidio della composizione negoziata della crisi: profili processuali,” Dirit. della Cris., 2021.

[9]      C. D’Alonzo, “Misure protettive ex D.L. 118/2021: sì alla conferma in caso di trattative non ancora avviate,” Quotid. Giurid. (Wolters Kluwer), 2022.

[10]    C. Pagliughi, “Obiettivi dell’allerta secondo la Direttiva 1023/2019, il CCI e il D.L. 118/2021: similitudini e divergenze,” Il Fallimentarista, 2021.