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Fallimento: l’estensione del termine per la domanda tardiva è discrezionale

L’estensione temporale del termine per la presentazione delle domande tardive non presenta il carattere della automaticità e della perentorietà
fallimento
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Fallimento: l’estensione del termine per la domanda tardiva è discrezionale


Indice

  1. La massima sulla presentazione delle domande tardive di ammissione al passivo fallimentare
  2. Il caso: il lavoratore e la domanda tardiva di ammissione al passivo fallimentare
  3. La soluzione della Suprema Corte sulla domanda tardiva di ammissione al passivo fallimentare
  4. Conclusioni e critiche sulla presentazione della domanda tardiva di ammissione al passivo fallimentare


1. La massima sulla presentazione delle domande tardive di ammissione al passivo fallimentare

L’estensione temporale del termine per la presentazione delle domande tardive non presenta il carattere della automaticità e della perentorietà ex lege bensì è demandata al vaglio discrezionale del Tribunale Fallimentare che, sulla base della complessità della procedura concorsuale, ha la facoltà di prorogare mediante statuizione ad hoc contenuta nella declaratoria fallimentare, il suddetto termine sino a diciotto mesi.


2. Il caso: il lavoratore e la domanda tardiva di ammissione al passivo fallimentare

La pronuncia in commento – Cassazione Civile, Sezione I, Ordinanza 30 maggio 2022 n. 17407 – trae origine dalla doglianza di un lavoratore dipendente avverso il diniego di ammissione al passivo fallimentare dell’ex datore di lavoro al credito maturato a titolo di indennità di mancato preavviso.

Il diniego pronunciato prima facie dal giudice delegato, e successivamente confermato in secondo grado dal Tribunale Fallimentare, affondava la ratio nella tardività della presentazione della domanda (dichiarata pertanto inammissibile), oltre cioè il termine di dodici mesi decorrenti dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, vieppiù laddove il dipendente era a conoscenza della pronuncia di insolvenza afferente al proprio datore di lavoro [1]. Tale assunto difatti era comprovato dal fatto che egli avesse tempestivamente presentato la domanda di ammissione al passivo, ancorché per altre cause e spettanze.

Il lavoratore decideva quindi di adire la Suprema Corte di Cassazione con un ricorso contenente principalmente due ordini di motivi, per quanto solo uno di questi sia rilevante ai fini della decisione [1].

Il lavoratore cioè si doleva del fatto che i precedenti organi decidenti avessero dichiarato inammissibile il ricorso in violazione di quanto disposto dalla lettura congiunta degli articoli 16 [2] e 101 [3] l.f. talchè doveva essere ritenuto, seppur implicitamente, legittimo il termine finale per la presentazione delle domande tardive prorogato a diciotto mesi [2]. [4]


3. La soluzione della Suprema Corte sulla domanda tardiva di ammissione al passivo fallimentare

L’arresto giurisprudenziale, che si inserisce in un fitto solco di pronunce conformi [5], appare estremamente interessante giacché la Suprema Corte si sofferma diffusamente in una eloquente ed esaustiva interpretazione della norma.

Secondo gli Ermellini la doglianza anzitutto risultava palesemente infondata, oltre che inammissibile ex articolo 360-bis, n. 1, e vieppiù essa non offriva alcun elemento in grado di far mutare l’orientamento più che consolidato della giurisprudenza di legittimità concernente appunto la stessa materia del contendere.

Basta difatti la semplice lettura della legge per comprendere come l’estensione del termine per la presentazione delle domande tardive non sia automaticamente collegata alla difficoltà della procedura fallimentare bensì a una scelta discrezionale del tribunale il quale “con la sentenza che dichiara il fallimento [e] può prorogare il termine fino a diciotto mesi”, così come prescritto appunto dall’articolo 101, comma 1, Regio Decreto 267/42 [3].

Nel caso di specie, pur evidenziandosi una fissazione dell’udienza de qua oltre il termine dei canonici centoventi giorni dalla pubblicazione della sentenza di fallimento e, parimenti, pur convenendo con la tesi della particolare complessità afferente il fallimento stesso, la Suprema Corte ha comunque sottolineato come permane la discrezionalità in capo al Tribunale nel prorogare o meno il termine per la presentazione delle domande sicché deve considerarsi legittimo come, nel caso de quo, esso abbia scelto di non esercitarla [4].


4. Conclusioni e critiche sulla presentazione della domanda tardiva di ammissione al passivo fallimentare

Gli autori non possono quindi che allinearsi alla parte motivazionale della sentenza, che conferma l’oramai granitico orientamento giurisprudenziale, per ribadire come sia arduo ricavare qualche elemento che conforti la proroga automatica del termine per il deposito delle domande, vieppiù tardive.

Tuttavia, pare opportuno domandarsi se possa essere comunque elaborata una soluzione mediana che si sostanzi in una “tacita” proroga del termine in questione accompagnata da un frazionamento del progetto di stato passivo. E seguendo tale prospettiva non sembrerebbe inverosimile che il differimento della esecutorietà dello stato passivo segua il differimento oltremodo del dies a quo da cui far decorrere il termine massimo rituale di dodici mesi per la presentazione delle domande tardive [5].

***

[1] Il secondo motivo di ricorso ineriva alla circostanza per cui parte “ricorrente attribui[va] al Tribunale di Palermo la violazione dell’articolo 92 c.p.c., per averla condannata alla rifusione integrale delle spese di lite, nonostante l’assoluta novità della questione trattata, in mancanza di precedenti giurisprudenziali di legittimità in un senso o nell’altro.”

[2] Al quarto comma è espressamente prescritto che il Tribunale “stabilisce il luogo, il giorno e l’ora dell’adunanza in cui si procederà all’esame dello stato passivo, entro il termine perentorio di non oltre centoventi giorni dal deposito della sentenza, ovvero centottanta giorni in caso di particolare complessità della procedura

[3] Il primo comma della previsione statuisce che “in caso di particolare complessità della procedura, il tribunale, con la sentenza che dichiara il fallimento, può prorogare quest’ultimo termine fino a diciotto mesi.”

[4] La ricorrente eccepiva l’automatica estensione ai diciotto mesi prescritti come limite massimo, in quanto il caso di specie originava dalla “sentenza dichiarativa del fallimento, [che] fissando l’udienza per la verifica del passivo a più di 120 giorni di distanza (esattamente a 122 giorni) dalla pubblicazione della sentenza avrebbe implicitamente riconosciuto quella “particolare complessità della procedura” che la legge fallimentare pone quale presupposto, sia per la fissazione dell’udienza di accertamento del passivo a più di 120 giorni (e a non più di 180 giorni) di distanza dalla data della sentenza (articolo 16, comma 1, n. 4), sia per l’allungamento “fino a 18 mesi” del termine per proporre le domande tardive (articolo 101, comma 1).”

[5] Ex multis, appare opportuno ricordare quantomeno Cass. civ., Sez. VI - 1, Ordinanza, 5/06/2021 e Cass. civ., Sez. VI - 1, Ordinanza, 29/09/2021, n. 26501, n. 16944 secondo cui “in tema di ammissione allo stato passivo del fallimento, nella fissazione dell’adunanza dei creditori oltre il termine perentorio di centoventi giorni indicato dall’articolo 16, comma 1, n. 4, l. fall. non può intendersi implicita l’estensione a diciotto mesi del termine per le insinuazioni tardive, ai sensi dell’articolo 101, comma 1, l. fall., evocando le due norme altrettante distinte attività e postulando la seconda di esse la necessità di una proroga esplicita contenuta nella sentenza di fallimento e specificamente quantificata, senza alcun automatismo correlato con il rispetto del termine imposto dalla prima”.