x

x

Il fenomeno del football trafficking

Ovvero la tratta di esseri umani attraverso il sogno del pallone
Calciatori
Calciatori

Da diversi anni l’Africa è divenuta terra di usurpazione anche per quanto riguarda gli atleti del domani. Il calcio europeo in effetti rappresenta da sempre l'occasione per un futuro migliore, e sono tante le storie di campioni africani con alle spalle una prima giovinezza di estrema povertà, che in questo sport hanno trovato il mezzo per un’emancipazione, umana e sociale. È proprio a causa di questa grande speranza, tuttavia, che il pallone viene sempre più spesso utilizzato da sfruttatori, che ne hanno fatto un oggetto persuasivo per un traffico illegale di minori in tutta Europa.

Emblematico è il fenomeno dei falsi agenti FIFA che, in giro per i continenti più poveri al mondo, arruolano giovani calciatori con la promessa di un futuro migliore in Europa (tramite, ça va sans dire, il pagamento di ingenti somme di denaro). Uno schema ben preciso seguito da questi trafficanti di esseri umani, che spostandosi per stati come Nigeria, Ghana e Senegal, persuadono le famiglie africane a farsi affidare i ragazzi per poi, una volta entrati in Europa, abbandonarli in una stanza di albergo al proprio destino. La maggior parte dei ragazzi coinvolti in questo traffico sono minori provenienti da famiglie poverissime, che per assicurare ai propri figli un futuro migliore pagano tutto ciò che hanno a questi falsi procuratori, vendendo ogni singolo bene o proprietà; il tutto nella speranza che un giorno il proprio figlio, mandato in una big del calcio mondiale, possa ripagare l’investimento iniziale e, se Dio vuole, mandare qualche soldo a casa.

Una pratica emersa con i tanti minori trovati nell’ultimo decennio sui cosiddetti “barconi”, che non immaginavano minimamente quale fosse in realtà il loro destino: nel 2008, a bordo di un peschereccio abbandonato dal proprio capitano, trovato a largo di Tenerife, vi era un carico di 130 uomini proveniente dall’Africa occidentale. Ciò che ha stupito è stata la scoperta che molti di questi adolescenti intraprendevano il viaggio della speranza con la falsa promessa che, una volta attraccati, avrebbero ricevuto contratti con squadre di calcio quali Real Madrid o Marsiglia

Lo schema seguito dai falsi agenti FIFA, veri e propri trafficanti di esseri umani, è sempre lo stesso, ben preciso, riassumibile, come riporta l’università inglese di Loughborugh, in 10 punti inconciliabili con il Protocollo di Palermo, volto a sanzionare minuziosamente il traffico di esseri umani. 

Si delinea così l’iter di un vero e proprio sfruttamento in ambito sportivo, che solo in rare occasioni viene stroncato: come nel 2015 quando la FIFPro – il sindacato mondiale dei calciatori – è riuscita a liberare 17 giocatori africani di età compresa tra i 14 ed i 18 anni, tenuti prigionieri presso un’accademia calcistica in Laos gestita dalla squadra Champasak United, militante nella Lao Premier League.

L’obiettivo è far crescere questi giocatori per poi rivenderli una volta divenuti maggiorenni, creando plusvalenze utili per le finanze del club.

Il problema principale è che questi calciatori minorenni vengono prelevati dalle proprie terre natie e portati in Laos con un visto turistico della durata di un mese, per poi essere privati del proprio passaporto così da non poter abbandonare il Paese, entrando in una sudditanza psicologica nei confronti del club.

Il fenomeno migratorio collegato strettamente al calcio ha portato l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, a parlare di “commercio di schiavi moderni nei giovani calciatori africani”.

A questo fenomeno la FIFA ha dato una chiara risposta introducendo un apposito regolamento sul trasferimento di minori. Infatti con l’introduzione dell’articolo 19 è stato decretato che i giocatori di età inferiore ai 18 anni non possono firmare un contratto o registrarsi con un club in un Paese diverso dal proprio. Il problema dell'articolo 19 sono però i commi che permettono ai club di svicolarsi dalla norma, rendendo il tutto opaco. Ad esempio sono problematiche le eccezioni sottolineate: un giocatore può spostarsi se ha meno di 18 anni ed i suoi genitori hanno intenzione di trasferirsi comunque in quel Paese per motivi diversi dal calcio.

Ciò apre le porte alle pratiche corrotte, con le squadre impegnate nel trovare un lavoro alle famiglie dei ragazzi, spostandoli con il pretesto di un impiego. Un altro comma sottolinea che se un giocatore vive entro 30 miglia dal confine di uno Stato e il club si trova entro 30 miglia dallo stesso confine, il trasferimento del minore può avvenire. L'introduzione dell'Art 19 ha però mandato in confusione le autorità internazionali, in quanto non si riesce spesso a comprendere a chi spetti la competenza legislativa per questo genere di reati, se alla giustizia sportiva o alla giustizia ordinaria (si tratta pur sempre di traffico di esseri umani, reato giuridicamente perseguito a livello globale).

La caccia all’atleta del domani, in Africa, ha causato la proliferazione di centinaia di finte accademie calcistiche volte allo sfruttamento dei giovani calciatori per creare profitto. Una corsa all’oro seguita incessantemente anche dai club più importanti d’Europa, che in giro per il continente creano nuove scuole calcio, spesso dietro la maschera del “fine umanitario” ma in realtà spinti dall'interesse economico e dall'ampliamento delle proprie aree d'influenza, sperando di allargare il pubblico o di trovare quel talento che in futuro potrà portare un incremento economico nelle casse societarie (soprattutto essendo i costi di gestione in Africa ben inferiori che in Europa).

Se poi consideriamo che chi dovrebbe controllare questo fenomeno, come l’associazione Solidaire - organizzazione dedicata alla protezione dei giovani calciatori - non è sempre esente dall'essere coinvolta negli stessi reati da cui dovrebbe salvaguardare i propri assistiti, abbiamo un quadro pressoché completo della situazione odierna. Nel 2015 addirittura il fondatore Jean-Claude Mbvoumin venne accusato di aver sfruttato la propria posizione per estorcere denaro ad un giovane calciatore giapponese, utilizzando gli stessi metodi dei trafficanti e aprendo la strada a discussioni che ancora non si sono risolte in una radicale inversione di tendenza. 

E allora soprattutto in questo periodo, in cui si parla molto (e a ragione) dello sfruttamento e del lucro sulla pelle dei migranti, bisognerebbe indagare con più forza anche su questo fenomeno, chiedendo uno sforzo tanto alle federazioni nazionali e internazionali quanto alle stesse squadre di club e ai settori giovanili.

Non sempre gli interessi possono muovere il mondo e il calcio, o almeno si dovrebbero fissare dei limiti da non oltrepassare: i documentari e poi le inchieste, finite nelle aule dei tribunali, stanno lì a dimostrare come questo sia un fenomeno conosciuto, su cui però in molti, per non dire in troppi, hanno chiuso un occhio.