I rischi penali del doping: quali reati possono essere contestati?

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I rischi penali del doping: quali reati possono essere contestati?

 

Abstract: È rrisaputo. che l’utilizzo di sostanze dopanti può aver conseguenze negative sulla salute degli atleti. Sono invece meno conosciuti i rischi penali connessi al mondo del doping. Il presente contributo si propone quindi di illustrate i reati astrattamente configurabili nel caso di acquisto o vendita di sostanze dopanti.

 

Abstract: It is well known that the use of doping substances can have negative health consequences for athletes. Less well known are the criminal risks associated with the world of doping. Therefore, this paper aims to illustrate the crimes that can abstractly be committed in the case of buying or selling doping substances.

 

Premessa

L’utilizzo di sostanze dopanti è una pratica diffusa in modo trasversale nello sport e nel mondo del fitness in genere.

Nelle discipline sportive, l’uso del doping ha lo scopo di migliorare le prestazioni, incrementando la potenza, la resistenza, la velocità o la precisione dell’atleta. Nel fitness e nel bodybuilding ha invece l’obiettivo di incrementare la massa muscolare e ridurre il grasso corporeo, al fine di costruire un corpo impressivo o semplicemente migliorare l’aspetto estetico.

Il progresso nella chimica, nella farmacologia e nella biologia molecolare ha comportato la moltiplicazione di sostanze in grado di favorire gli sportivi nella preparazione atletica, consentendo sforzi altrimenti insostenibili o il recupero delle energie spese in tempi più brevi.

L’esistenza di un mercato nero strutturato, la facile reperibilità online di prodotti dopanti, così come la diffusione sui social network di modelli estetici irraggiungibili, oltre ad alimentare accese discussioni in rete sul carattere “natural” o “doped” dei diversi fit-influencer, hanno purtroppo favorito la diffusione del doping anche tra i giovani.

Sono noti i diversi rischi per la salute (dal cancro alla prostata, ai disturbi cardiovascolari e psichiatrici, al diabete) che l’assunzione di sostanze quali gli ormoni steroidei, gli stimolanti, gli alteratori dell’ematocrito, il GH, il trenbolone possono comportare per gli assuntori.

Scopo del presente contributo è invece quello di illustrare le possibili conseguenze penali connesse all’acquisto, all’assunzione così come alla commercializzazione di sostanze dopanti.

 

L’utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti

Il fenomeno del doping in ambito sportivo era originariamente disciplinato e punito dalla Legge 14 dicembre 2000, n. 376 in materia di tutela sanitaria delle attività sportive e di lotta contro il doping. 

Le disposizioni penali ivi contenute sono state successivamente trasfuse, per effetto dell’art. 2 del Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21 e in attuazione del c.d. principio di riserva di codice (art. 3-bis c.p.), nel Libro II, Titolo XII, Capo I, del codice penale, tra i delitti contro la vita e l'incolumità individuale.

In particolare, l’art. 586-bis c.p., in continuità normativa con il precedente art. 9 L. 376/00, oggi punisce con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da Euro 2.582 a Euro 51.645 «chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l'utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste dalla legge» ed in particolare dai decreti antidoping emessi periodicamente dal Ministero della Sanità ai sensi della L. 376/00 (cfr. da ultimo il DM 3 ottobre 2023), avuto riguardo alla lista delle sostanze vietate, ciclicamente aggiornata dalla World Anti-Doping Agency (WADA).

Tali condotte sono in particolare punite quando la cessione o l’utilizzo delle predette sostanze, «non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull'uso di tali farmaci o sostanze» (comma 1).

La stessa pena si applica anche a chi adotta o si sottopone a «pratiche mediche» (ad esempio, trasfusioni) previste dalla legge antidoping al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero di eludere i cd. drug test. (comma 2).

Come precisato dalla Corte di Cassazione, per la configurabilità del delitto “non è richiesto che l'attività sportiva sia svolta a livello professionistico o comunque agonistico” (Cass., sez. III pen., 21 gennaio 2020, n.16437. Nello stesso senso v. anche Cass., sez. III pen., 18 aprile 2023, n. 32963), potendo essere svolta quindi anche a livello dilettantistico.

Secondo la Corte infatti si tratta di un reato di pericolo che, nel colpire sia la domanda che l’offerta di sostanze dopanti, ha la finalità di prevenire i rischi alla salute legati all'utilizzo e all'abuso di queste sostanze nelle attività sportive, come peraltro dimostra l’attuale collocazione sistematica della fattispecie tra i delitti contro la vita e l’incolumità individuale.

La disposizione – che prevede un inasprimento sanzionatorio quando (1) il fatto produce un danno alla salute, (2) è commesso nei confronti di un minorenne o (3) da un atleta professionista (comma 3) o, ancora, da un esercente una professione sanitaria (commi 4 e 5) -   si applica soltanto allorché i fatti non integrino anche una più grave fattispecie di reato.

In particolare, considerato che nella lista ministeriale di farmaci e sostanze dopanti vi rientrano sostanze (come l’amfetamina, la cocaina, i narcotici e i cannabinoidi) ricomprese anche nell’elenco delle sostante stupefacenti ai sensi del d.p.r. 309/1990 (cd. Testo Unico della Droga), deve ritenersi che le disposizioni penali antidoping trovano un limite quando la sostanza dopante sia anche stupefacente.

In tali casi troverà applicazione la più grave fattispecie incriminatrice di produzione, traffico e detenzione illecita (in quantitativi superiore ai limiti massimi indicati con decreto ministeriale) di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all’art. 73 del testo unico citato, punita con la pena della reclusione da sei a venti anni e con la multa da Euro 26.000 a Euro 260.000.

 

L’acquisto di sostanze dopanti per fini estetici

La lettura dell’art. 586-bis c.p. potrebbe indurre a pensare che l’acquisto di sostanze dopanti sia penalmente irrilevante quando sia finalizzato al miglioramento dell’aspetto estetico e non, invece, ad una frode nelle competizioni tramite l’alterazione delle prestazioni agonistiche degli atleti”.

Non è così!

La Corte di Cassazione ha infatti più volte stabilito che “l'acquisto consapevole di sostanze dopanti attraverso canali diversi dalle farmacie e dai dispensari autorizzati, effettuato con il fine specifico… di procurarsi il vantaggio di un miglioramento del proprio aspetto estetico, realizza il” diverso “reato di ricettazione nelle sue componenti oggettiva e soggettiva” (Cass., sez. II pen., 10 novembre 2016, n. 2640).

Tale reato, previsto dall’art. 648 c.p., punisce con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da Euro 516 a Euro 10.329 «chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto” (e quindi anche dal commercio di sostanze dopanti), “o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare”.

Sebbene vi sia chi, alla luce della collocazione della ricettazione tra i delitti contro il patrimonio, inquadra la nozione di profitto in senso restrittivo, nel senso di attribuire rilievo unicamente al perseguimento di una utilità di tipo patrimoniale (ad esempio, l’intenzione di rivendita), la giurisprudenza prevalente ritiene che il profitto avuto di mira dall’agente nella ricettazione può consistere in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale od economica, idonea a soddisfare un bisogno umano, anche di tipo psichico (cfr., fra le altre, Cass., sez. II pen., 22 dicembre 2022, n. 14604. In senso contrario v, Cass., sez. II pen., 19 dicembre 2012, n. 843).

Tale orientamento, peraltro indirettamente confermato dalle Sezioni Unite di Cassazione con una recente sentenza concernente la finalità di profitto nel furto (cfr. Cass. SS.UU. pen., 25 maggio 2023, n. 41570), è stato puntualmente articolato nel 2016 dalla Seconda Sezione della Corte di Cassazione in un caso relativo all’acquisizione di anabolizzanti.

Secondo la Corte chi acquista sostanze dopanti incrementa il proprio patrimonio con “beni che, non avrebbero potuto acquistare nel mercato legale”.

Solo per effetto di tale acquisto (illegale) l’acquirente può “soddisfare quel …bisogno "edonistico" di incrementare la massa muscolare”, bisogno che, ove ricorresse al "circuito" legale, di certo non potrebbe conseguire.

L’acquisto di tali beni, aventi un valore economico ed idonei a soddisfare un proprio bisogno (materiale o spirituale), costituisce in sé il profitto del reato.

Il desiderio edonistico di utilizzare la sostanza per incrementare la massa muscolare costituirebbe invece il mero movente del delitto, “irrilevante ai fini della configurabilità del reato, potendo essere preso in esame solo ai fini del trattamento sanzionatorio ex art. 133 c.p., comma 2, n. 1” (Cass., sez. II pen., 22 marzo 2016, n. 15680).

 

Il commercio di farmaci o sostanze dopanti

La disciplina penale in materia di doping è in ogni caso completata dall’ultimo comma dell’art. 586-bis c.p. che incrimina il commercio di farmaci e sostanze dopanti.

In particolare, la fattispecie, in seguito alla sentenza n. 105 del 22 aprile 2022 della Corte Costituzionale,  punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da Euro 5.164 a Euro 77.468 «chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi indicate dalla legge, che siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo …attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente destinati alla utilizzazione sul paziente». Ciò indipendentemente dalla finalità di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti.

Tale reato, integrato da tutte quelle attività di predisposizione e tenuta di canali di commercio in qualche modo sovrapponibili e alternativi a quelli costituiti dalle farmacie, assorbe i delitti di esercizio abusivo della professione di farmacista, di cui all'art. 348 c.p., e di somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica, di cui all'art. 445 c.p.

Come precisato dalla Corte di Cassazione tra il reato di commercio di sostanze dopanti e quelli previsti agli artt. 348 e 445 c.p. “sussiste un rapporto di specialità, in quanto chi commercia farmaci e sostanze dopanti in difetto della prescritta abilitazione professionale realizza altresì, con la medesima condotta, il compimento di attività riservate alla professione di farmacista, ulteriormente ponendo in essere, qualora le sostanze medicinali non corrispondano in specie, qualità o quantità alle ordinazioni mediche, il comportamento sanzionato dal predetto art. 445 c.p.” (Cass., sez. III pen., 28 febbraio 2017, n. 19198).

La disposizione incriminatrice trova applicazione con la semplice immissione in commercio, ossia “l’immissione della merce sul mercato” (ad esempio tramite pubblicizzazione online) quale ne sia il fine, non essendo necessaria “l'individuazione di specifici acquirenti” e “non essendo richiesto, ai fini del perfezionamento del delitto, la vendita dei medicinali in questione” (Cass., sez. III pen., 14 maggio 2019, n. 26289).

Perché si possa parlare di “commercio” è sufficiente, secondo la giurisprudenza (cfr. Cass., sez. III pen. 23 ottobre 2013, n. 46246), che l'attività di intermediazione clandestina venga svolta in forma continuativa e con il supporto di una pur elementare organizzazione (ad esempio, l’allestimento di un magazzino ove stoccare le sostanze vietate).

Ovviamente, l’approvvigionamento di sostanze dopanti da parte del “commerciante” può integrare il già discusso reato di ricettazione.

Difatti, secondo la Corte di Cassazione il delitto di commercio di farmaci o sostanze dopanti può concorrere con quello di ricettazione, in ragione della loro diversità strutturale, essendo il primo integrabile anche con condotte acquisitive non ricollegabili a un delitto, nonché della disomogeneità del bene giuridico protetto, atteso che il secondo è posto a tutela di un interesse di natura patrimoniale, diversamente dall'altro, finalizzato alla tutela della salute di coloro che partecipano alle manifestazioni sportive” (Cass., sez. IV pen., 7 luglio 2023, n. 34355. Nello stesso senso v. anche Cass., sez. II pen., 11 marzo 2010, n. 12744).

Nei casi più gravi, in presenza di una strutturata catena di distribuzione, il delitto in trattazione può altresì concorrere con il reato di associazione per delinquere, integrato, ai sensi dell’art.  416 c.p., quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti, indipendentemente dalla commissione dei singoli reati programmati.

Tale delitto -  punito con reclusione dai tre ai sette anni per i promotori, costitutori, organizzatori o capi del sodalizio criminoso e con la reclusione da uno a cinque anni per i semplici associati – può infatti dirsi sussistente nel caso in cui il pactum sceleris sia finalizzato alla consumazione di più delitti di commercializzazione di specialità medicinali ad azione dopante.

Secondo la Corte di Cassazione infatti “l'esistenza del vincolo associativo ben può desumersi dalla stabilità dei collegamenti tra acquirente e fornitore delle sostanze, quale elemento che garantisce, al secondo, la consapevolezza di un sicuro smercio delle stesse e, al primo, la sicurezza in ordine ad una stabile fonte di approvvigionamento” (Cass. sez. III pen., 29 gennaio 2009, n. 9499).

Peraltro, “la diversità degli scopi perseguiti da ciascuno dei sodali” implicati nella commercializzazione della sostanza dopante, così come “la mancanza di una struttura gerarchica o di una cassa comune” non incide sulla sussistenza del reato (Cass., sez. III pen., 28 febbraio 2017, n. 19198).

Ed invero, da un lato, il fine comune di commercio di sostanze anabolizzanti non deve essere confuso con i moventi personali (profitto, ampliamento della clientela, utilizzo di anabolizzanti senza esborsi, ecc.) rilevanti soltanto ai fini della quantificazione della pena ex art. 133 c.p., dall’altro, per costante giurisprudenza ai fini dell’integrazione del reato “è sufficiente un'organizzazione, ancorché rudimentale, che fa leva sulla comunanza degli interessi degli associati” (Cass., sez. I pen., 13 luglio 1987, n. 9295. In tal senso v. anche Cass, sez. VI pen., 15 giugno 2011, n. 25698).

 

Il reato di morte come conseguenza di altro delitto

Sono note le morti correlate all’uso di doping, da quella del ciclista britannico Tommy Simpson, morto al traguardo della tappa del Mont Ventoux del Tour de France per un collasso cardiocircolatorio sopraggiunto dopo aver assunto per gareggiare una dose consistente di amfetamina, a quella più recente del culturista italiano Francesco Consonno, deceduto (secondo la perizia medico-legale) per un infarto "dovuto all'assunzione di farmaci dopanti".

Diverse sono inoltre le morti “sospette” potenzialmente riconducibili all’uso di sostanze vietate, da quella del culturista, imprenditore e youtuber statunitense, Rich Piana a quella che ha colpito lo scorso dicembre il bodybuilder e fit-influencer spagnolo Alfred Martin Villano.

Non ci si può pertanto esimere dall’evidenziare che, quando la morte dell’atleta può essere causalmente correlata all’uso o abuso di sostanze dopanti, il fornitore delle stesse potrebbe astrattamente incorrere in una contestazione di morte come conseguenza di altro delitto ai sensi dell’art. 586 c.p.

La citata disposizione punisce invero chi, commettendo un fatto preveduto dalla legge come delitto doloso, causa - quale conseguenza non voluta -  la morte o la lesione di una persona.

Mentre l’ipotesi di “lesione non voluta” può ritenersi assorbita nella circostanza aggravante prevista dall’art. 586-bis, comma 3, c.p. nel caso in cui dalla cessione/ somministrazione di sostanze dopanti «deriva un danno per la salute», l’ipotesi di “morte non voluta” sembra essere disciplinata proprio dal citato art. 586 c.p.

Si consideri infatti che, nell’analogo caso di morte dell’assuntore di sostanze stupefacenti, la Corte di Cassazione ha da tempo stabilito che la morte dell'assuntore della sostanza vietata “è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale” (Cass., SS.UU pen., 22 gennaio 2009, n. 22676).

Tali principi sono ovviamente applicabili anche alla cessione di sostanze dopanti considerato che – come detto – alcune di esse (amfetamine, cocaina e stimolanti in genere) rientrano anche fra le sostanze stupefacenti e che sono noti i rischi per la salute riconducibili all’assunzione di doping.

In altri termini, se  nella situazione concreta, risultava ragionevolmente prevedibile la morte come conseguenza dell’assunzione della sostanza proibita ceduta (si pensi alla fornitura, senza precauzioni, ad un giovane inesperto di dosi eccessive di stimolanti o anabolizzanti), “l’evento sarà imputabile al cedente a titolo di colpa, ove dalle circostanze del caso concreto risulti evidente un concreto pericolo per l'incolumità dell'assuntore o comunque rimanga un dubbio in ordine alla effettiva pericolosità dell'azione, tali da dovere indurre l'agente ad astenersi dall'azione” (Cass., sez. V pen., 15 febbraio 2023, n.16930).

 

Conclusioni

In conclusione, l’acquisto, l’assunzione, così come la commercializzazione di prodotti dopanti non soltanto mettono a repentaglio la salute individuale e collettiva e tradiscono i princìpi etici ed i valori educativi dello sport, ma comportano diversi e non indifferenti rischi penali per tutti i soggettivo coinvolti.