Il futuro del calcio? Lo decidono i vecchi
I potenti del pallone, da Florentino Perez ad Arsene Wenger, sono mangiati da un’ansia di rinnovamento calcistico. Dall’idea Superlega a quella del Mondiale ogni due anni, a sorprendere è l’età media delle brillanti menti portavoce (e ideatrici, in parte) dei progetti: 74 e 71 anni. È curioso, non trovate? Il futuro del calcio è a rischio, dicono entrambi. Dobbiamo cambiare le cose, o sarà troppo tardi, ripetono con toni apocalittici. Ma il futuro non è loro, e in questo dovere alla prima persona plurale non c’è affatto un «noi».
«Noi», a dirla tutta, siamo stati esclusi da un bel po’. Noi tifosi, ma anche noi futuri fruitori e lavoratori dello sport. Una cosa che non ci si chiede mai è infatti con quale diritto Perez (Superlega) e Wenger (Mondiale) dettino la linea del calcio che verrà. Certo, almeno Wenger in quanto responsabile FIFA per lo sviluppo del calcio ha un ruolo ufficiale. D’accordo, ma chi è che scende in campo? Chi sono i veri protagonisti del gioco? gli allenatori, i calciatori, lo staff etc., o i capi delegazione? Chi è, infine, che guardando le partite sostiene la baracca?
Non è un caso se Perez, Agnelli e da ultimo Wenger, interrogati sulla bontà delle loro idee, abbiano risposto portando sul banco numeri condotti su scale patetiche (per quantità e qualità degli intervistati) e tirando in ballo generazioni z, x, y – che giustamente, in qualità di ultrasettantenni, conoscono molto meglio di chiunque altro. È tutto così grottesco, non esistono più i vecchi di una volta – brontoloni, conservatori, talmente stanchi di aver vissuto da lasciare agli altri, mica per altruismo, il timone dei tempi futuri. Guardatela, drammatica in senso pirandelliano, la decaduta nobiltà del calcio mondiale. Lucida a sufficienza da aver capito gli errori del passato ma superba abbastanza da non avere il coraggio di ammetterlo. Più conveniente è puntare su belle parole come ‘evoluzione’, ‘status quo’, ‘moderno’:
«Non è una rivoluzione, piuttosto un’evoluzione necessaria: tutti sembrano d’accordo sul fatto che il calendario vada riformato, nessuno è contento dello status quo. […] Io propongo di “pulire” il calendario ed eliminare le partite che hanno perso significato. Un modo più moderno di organizzare il calcio».
Arsene Wenger, “Il Mondiale ogni due anni: i giocatori sono con me”. Intervista di Matteo Pinci per Repubblica (04.10.2021)
Visto che Wenger fa il paraculo, lo imitiamo volentieri. Mentre l’allenatore degli Invincibili (e degli inguaribili, malati da tempo anche a causa sua) rilasciava due interviste a Repubblica e Corriere della Sera, quel vecchio saggio pazzo di Zibi Boniek andava dritto al punto:
«Da dove nasce questa cosa? Da una casa di malati mentali: non esiste. Se lo fai, non c’è spazio per altre competizioni. E poi non puoi fare più le qualificazioni: allora le nazionali devono sciogliersi. Wenger? Gli voglio bene, ma ha dormito male». Zibi Boniek, 04.10.2021
La cosa davvero incredibile è che secondo Wenger il Mondiale ogni due anni è proprio la soluzione al problema delle tante partite, perché concentrando gli impegni il tempo rimanente per il riposo dei giocatori sarebbe maggiore. Chiaramente le qualificazioni andrebbero ridefinite e riformulate, ma non è difficile immaginarsi, e proprio in ragione del fatto che Wenger parla di «maggiore inclusività», una ripresa delle idee superleghiste. Quando questi personaggio parlano di inclusione, RESPECT, fair play finanziario, in fondo c’è sempre del marcio puzzolente. Mentre Ceferin (quindi l’UEFA) prosegue sulla linea del no (sia verso la Superlega sia verso l’idea di Wenger e Infantino) e lo scontro FIFA-UEFA non è più una notizia, prepariamoci ad assistere all’ennesima inutile competizione per mungere la vacca senza latte: la Nations League.