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Il dramma dei lavoratori in Qatar è diventato marketing

Quando lo sponsor fa i quattrini con le buone intenzioni.
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Il dramma dei lavoratori in Qatar è diventato marketing

Non bastavano le maglie nel riscaldamento pre-partita in salsa “Human Rights”, né i temibilissimi hashtag contro Qatar 2022. Non bastavano le accuse di Philipp Lahm (da ultimo) agli organizzatori del Mondiale né (notizia freschissima) la decisione della nazionale inglese di scendere in campo con la fascia arcobaleno al braccio e la scritta “One Love” ben in vista. Tutto questo e molto altro ancora non bastava: mancava un ultimo colpo di fioretto, una presa di posizione davvero forte e decisa contro quello scandalo di mondiale. Ci ha pensato la Danimarca a chiudere il cerchio: presentando infatti le nuove divise da gara, Hummel ha voluto denunciare le morti sul lavoro in Qatar con tre kit-concept “dove scompare lo sponsor” (che in realtà non scompare affatto) in segno di lutto.

Parliamo di una geniale operazione di marketing che solo i meno attenti – per non dire altro – non hanno visto e avvertito in tutta la sua potenza comunicativa. Non serve qui ricorrere al celebre discorso di Jude Law in The Young Pope sull’importanza del “silenzio” e del “nascondimento” (Mina, Salinger, Daft Punk, Kubrick) nell’efficacia mediatica e promozionale di un messaggio (o di uno sponsor, come in questo caso), perché qui quello che ha fatto la Hummel è chiaro come il sole. Stiamo parlando di uno sponsor che ha sponsorizzato tre (bellissime, peraltro) divise da gioco scrivendo di non volerle sponsorizzare: è un po’ come il paradosso logico dell’ultimo sofismo (questa frase non è vera).

Nel post di presentazione delle tre divise della Hummel, si legge: “Con le nuove maglie della Nazionale danese vogliamo lanciare un doppio messaggioNon sono solo ispirate a Euro 92, rendendo omaggio al più grande successo calcistico della Danimarca, ma anche una protesta contro il Qatar e il suo rapporto sui diritti umani“. Ma come, si denuncia un fatto cavalcandolo a suon di memorie nostalgiche? Come sarebbe a dire? Come possono mai andare d’accordo le due cose?

Ecco perché abbiamo attenuato i dettagli delle nuove maglie della Danimarca per i Mondiali, incluso il nostro logo e gli iconici simboli. Non vogliamo essere visibili durante un torneo che è costato la vita a migliaia di persone. Sosteniamo fino in fondo la Nazionale danese, ma ciò non significa sostenere il Qatar come nazione ospitante”.

Siamo davvero stanchi, credeteci. Dopo tre anni di approfondimenti e inchieste sul Qatar, abbiamo rivisto la questione (come accadde ad Edipo) con un occhio di troppo. Ci è stato donato (chissà da dove, di certo non da sponsor fluido-liberal-democratici) uno sguardo critico che ha invertito, senza smentirla, la nostra posizione di partenza. Diciamolo tutti insieme: boicottare non significa #boicottare, denunciare un fatto non significa venderlo dietro la (patetica) scusa dell’attenuamento dei dettagli.

“Crediamo che lo sport debba unire le persone. E quando non lo fa, vogliamo dire la nostra“.

#HistoryIsWhatWeDoNow

L’avete detta e come, la vostra. Tralasciando il classico e stucchevole hashtag di fine comunicato, ora tutti sapranno che la Hummel ha fatto queste maglie. Della protesta, ce ne ricorderemo a malapena. Comunque seguiremo con grande attenzione la Danimarca ai mondiali. Probabilmente lo farà anche la Hummel: soprattutto se la nazionale che sponsorizza avanzerà col muso lungo fino alle fasi finali del torneo. Quello stesso torneo che nessuno ha davvero il coraggio di boicottare. 

 

L’articolo è già stato pubblicato sulla rivista “Contrasti” ed è visibile a questo link