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La consulenza tecnica di parte nel processo tributario

Tasse e tributi
Tasse e tributi

Una perizia di parte, tanto più nel processo tributario nel quale esiste un maggiore spazio per le prove atipiche, deve essere oggetto di attenta analisi da parte del Collegio giudicante. Sul punto, si è espressa la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza 4 dicembre 2018, n. 31274, chiarendo che: <<Una perizia di parte può costituire idonea fonte di convincimento del giudice, che può porla a fondamento della propria decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga convincente>>.

 

1. I mezzi di prova nel processo tributario

2. La consulenza tecnica

3. La consulenza tecnica di parte: Corte di Cassazione, Ordinanza n. 31274/2018

 

1. I mezzi di prova nel processo tributario

Il processo tributario è quasi esclusivamente un processo documentale in cui si riscontrano importanti limitazioni probatorie.

L’articolo 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992 disponendo che “Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale sancisce, infatti, un divieto perentorio in merito all’ammissibilità delle prove testimoniali.

La prova per eccellenza nel processo tributario è costituita, dunque, dalla prova documentale, che le parti hanno l’onere di allegare al ricorso introduttivo ovvero, ai sensi dell’articolo 32 del D.Lgs. n. 546/92, di depositare fino a venti giorni liberi prima dell’udienza.

In particolare, le principali prove documentali sono:

  • l’atto pubblico che, come disciplinato dall’articolo2700 codice civile, “fa piena prova, fino a querela di falso [221 codice di procedura civile], della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”. In sostanza, è atto pubblico il documento redatto con le formalità di legge da un notaio o da altro pubblico ufficiale;
  • la scrittura privata semplice, vale a dire un documento redatto da uno o più soggetti e destinato ad assumere un valore di piena prova nei loro confronti;
  • la scrittura privata autenticata che è il documento sottoscritto dalla parte contro cui è destinato a costituire una prova. Viene definita “autenticata”, perché un notaio o un altro pubblico ufficiale hanno attestato che la sottoscrizione del documento è avvenuta in sua presenza, previo accertamento dell’identità del soggetto che ha sottoscritto il documento (ex articolo 2703 codice civile);
  • le copie fotostatiche: possono essere semplici o autenticate e il loro valore probatorio è lo stesso attribuito al documento originale (fatta eccezione per le ipotesi in cui dovesse verificarsi un eventuale disconoscimento);
  • i supporti informatici: che costituiscono rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. Come previsto dall’articolo 20, comma1 bis, del D.Lgs. 82/2005 “L'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, fermo restando quanto disposto dall' articolo 21”;
  • la corrispondenza, vale a dire le mere comunicazioni scritte tra le parti relative a fatti oggetto di causa (ne sono un esempio il fax, il telegramma e le lettere);
  • i libri e le scritture contabili, previsti dall’articolo 2709 del codice civile che espressamente recita: “libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l'imprenditore. Tuttavia chi vuol trarne vantaggio non può scinderne il contenuto”. Il dettato della norma attribuisce, dunque, efficacia probatoria a tutti i libri e alle altre scritture contabili che l'imprenditore detiene, anche qualora non siano correttamente annotati, con l'unica caratteristica necessaria della registrazione di fatti amministrativi dell'azienda in questione. Le scritture contabili dell'impresa devono essere valutate nella loro totalità, non è quindi possibile che si isolino solo le parti favorevoli o meno;
  • le scritture di terzi che non hanno effetti vincolanti, ma hanno valore di mero indizio.

Come appare evidente, l’istruttoria tributaria, non può tuttavia reggersi esclusivamente su prove documentali, sia perché le stesse possono essere facilmente oggetto di falsificazione o alterazione sia perché l’attività di reperimento di tali prove spesso viene svolta a distanza di molti anni rispetto al momento in cui il fatto è accaduto.

Per tale ragione gli altri strumenti probatori ammessi sono:

  • le dichiarazioni rese da terzi;
  • il libero interrogatorio;
  • la confessione;
  • le presunzioni legali e quelle semplici purché precise, gravi e concordanti.

In particolare, per quanto attiene alle dichiarazioni rese dai terzi, si fa presente come nel processo tributario, alla luce del divieto della prova testimoniale, sia dottrina che giurisprudenza si siano interrogate sulla possibilità o meno di potersi avvalere delle stesse.

Sul punto, sono intervenuti i giudici di legittimità che hanno avuto modo di rilevare come tali dichiarazioni non si pongano in contrasto con il divieto de quo e come possano essere introdotte nel giudizio. Le dichiarazioni rese dai terzi avrebbero, infatti, una diversa efficacia, dovendosi ritenere meri elementi indiziari non idonei da soli a costituire il fondamento della decisione (Cass. sent. n. 18065/2016).

Ad ogni modo, nonostante la raccolta delle prove sia per lo più affidata all’attività delle parti, l’articolo 7 cit. attribuisce alle Commissioni tributarie alcuni speciali poteri istruttori d’ufficio, in virtù dei quali le stesse possono:

  • disporre accessi e ispezioni;
  • richiedere dati, informazioni e chiarimenti agli uffici tributari;
  • richiedere relazioni tecniche ad organi tecnici dell’amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici (compreso il Corpo della Guardia di Finanza);
  • disporre una consulenza tecnica d’ufficio o ammettere una consulenza tecnica di parte.

Inoltre, i giudici tributari possono, ai sensi dell’articolo 210 codice di procedura civile, su istanza di parte, ordinare all’altra parte o a un terzo l’esibizione in giudizio di un documento o di altri elementi probatori di cui ritengano necessaria l’acquisizione al processo.

Nell’utilizzo dei propri poteri istruttori, tuttavia, i giudici tributari devono limitarsi ai fatti dedotti dalle parti e non possono svolgere indagini al fine di ricercare fatti non posti a fondamento della pretesa impositiva da parte dell’amministrazione finanziaria e porli a fondamento in alternativa a quelli per i quali l’atto è stato emesso.

 

2. La consulenza tecnica

Il Legislatore ha percepito la necessità di affidare la valutazione di specifiche questioni ad un soggetto terzo rispetto alle parti processuali. Per tale ragione, sono state previste anche nel processo tributario le figure del consulente tecnico d'ufficio e del consulente tecnico di parte. Al primo, sono state applicate le norme previste dagli artt. da 61 a 64 e da 191 a 200 del codice di procedura civile, concernenti la nomina, l'obbligo di accettare l'incarico, il giuramento, le attività in udienza e fuori udienza, la responsabilità e la ricusazione (articolo 51 codice di procedura civile). Al secondo, è stato applicato l'articolo 201 codice di procedura civile che gli attribuisce, oltre al diritto di assistere alle operazioni del CTU, anche la facoltà di partecipare all'udienza (e alla camera di consiglio ogni volta dovesse intervenire il consulente del giudice).

Per ciò che attiene più specificamente alla Consulenza Tecnica d’Ufficio, in questa sede è opportuno rilevare che non si è propriamente alla presenza di un mezzo di prova, bensì di uno strumento a disposizione del giudice al fine di acquisire particolare dati tecnici che non rientrano nella sua comune conoscenza. Essa rappresenta una mera eventualità processuale, giacché normalmente il processo tributario si presenta come processo scritto, a prevalente prova documentale, privo di una fase istruttoria, caratterizzato dal vaglio critico del giudice su un’attività istruttoria precedente ed esterna al processo, svolta normalmente dalla parte pubblica resistente, secondo poteri propri, spesso autoritativi, esercitati in sede amministrativa.

Ebbene, la norma sembra non comportare problemi interpretativi: quando il giudice tributario ritiene che ai fini della decisione sia necessaria, per risolvere questioni sottoposte al suo esame, una competenza estranea al diritto e al proprio sapere giuridico, può acquisire gli elementi conoscitivi di particolare complessità mancanti, ricorrendo (anche) al consulente tecnicomma Non si tratta, dunque, di un potere del tutto discrezionale, ma di un potere che va esercitato in caso di necessità e a patto che manchino al giudicante gli strumenti conoscitivi tecnico-scientifici adeguati; il giudice, inoltre, dovrà fare ricorso al consulente tecnico solo quando l’acquisizione dei predetti elementi di conoscenza non potrà essergli fornita attraverso l’ausilio dell’amministrazione o della Guardia di Finanza.

Peraltro, nelle ipotesi in cui i risultati raggiunti dalla consulenza già espletata, dovessero risultare insufficienti, la Commissione potrà decidere di:

- rinnovare le indagini richieste al perito;

- richiamare il consulente a chiarimenti.

Orbene, coerentemente con quanto disposto per il processo civile, il Ctu al termine delle operazioni svolte, dovrà redigere una apposita relazione scritta, in cui dovrà enucleare le indagini effettuate e le conclusioni a cui è pervenuto. Spetterà poi al giudice valutare la relazione e decidere se farne o meno elemento caratterizzante la propria decisione definitiva.

Se le Commissioni tributarie possono richiedere la Consulenza Tecnica d’Ufficio, in egual modo le parti del processo possono avere la necessità di farsi coadiuvare da un Consulente Tecnico di Parte. Peraltro, a seguito della nomina al consulente dovrà essere riconosciuto il diritto di:

- essere avvisato dell’inizio delle operazioni peritali;

- assistere alle operazioni svolte dal CTU;

- partecipare alle udienze ogni qualvolta vi sia il CTU;

- presentare eventuali osservazioni.

La violazione di tali diritti, determinando di riflesso la violazione del diritto di difesa della parte coinvolta, determinerà la nullità dell’espletata consulenza.

Pertanto, anche la perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, tanto da elevarla a fondamento della propria decisione (Sent. Corte di Cassazione n. 8890/2007).

 

3. La consulenza tecnica di parte: Corte di Cassazione, Ordinanza n. 31274/2018

Una perizia di parte, tanto più nel processo tributario nel quale esiste un maggiore spazio per le prove atipiche, deve essere oggetto di attenta analisi da parte del Collegio giudicante. Invero, sul punto, si è espressa da ultimo la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza 4 dicembre 2018, n. 31274, chiarendo che: <<Una perizia di parte può costituire idonea fonte di convincimento del giudice che può porla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga convincente>>.

In buona sostanza, a parere dei giudici di legittimità, in materia di accertamento nei confronti di una società, la perizia redatta da un tecnico di parte che conferma la congruità delle scritture contabili costituisce documentazione idonea a confutare le presunzioni semplici addotte dall’Ufficio e poste alla base di eventuali accertamenti analitico-induttivi. Pertanto, in sede giudiziale detta documentazione può rappresentare fonte di convincimento del giudice, il quale può porla a fondamento della propria decisione. In definitiva, la perizia di parte costituisce documentazione idonea a confutare le presunzioni addotte dall’Amministrazione e a determinare la decisione del Collegio.