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La convocazione del Consiglio Comunale previa richiesta di un quinto dei Consiglieri

Natura, 23 maggio 2021
Ph. Francesca Russo / Natura, 23 maggio 2021

Abstract

Di frequente il Presidente del Consiglio, o chi per esso, è chiamato a pronunciarsi sull’ammissibilità di istanze della minoranza consiliare di richiesta convocazione del Consiglio Comunale. Nella preponderanza dei casi, previa positiva verifica dei requisiti oggettivi (materia di competenza dell’organo) e formali (un quinto dei Consiglieri), dà seguito alla richiesta di convocazione del Civico Consesso.

In altre situazioni, nutre dubbi ed incertezze sull’accoglimento delle stesse poiché generiche ed indeterminate, ossia prive degli elementi essenziali identificativi idonei ad evitare perplessità ed indecisioni (in particolare quelle che riguardano “le questioni richieste e la competenza”). In taluni casi, per essere confortati della legittimità delle proprie decisioni, gira la richiesta alla Prefettura con richiesta di motivato parere; in altri contesti, per lo più marginali, viene chiesto parere al Ministero dell’Interno, per il tramite della competente Prefettura.

Il presente scritto vuole essere, nelle intenzioni dello scrivente, di ausilio per i Presidenti di Consiglio destinatari della corretta applicazione di questo istituto.

 

Indice:

1. Introduzione

2. La richiesta di convocazione di un quinto dei Consiglieri

3. Questione pregiudiziale

 

1. Introduzione

Il Consiglio comunale è il massimo organo istituzionale rappresentativo della collettività locale in quanto eletto direttamente dal corpo elettorale, cui spettano funzioni di indirizzo e di controllo politico-amministrativo dell’ente locale.

I diritti e le prerogative dei consiglieri comunali per l’esercizio del mandato sono stabiliti dal TUOEL, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in particolare, dagli articoli 43 e 44. Lo Statuto ed il Regolamento sul funzionamento del Consiglio Comunale definiscono ruolo e modalità di esercizio delle funzioni dei Consiglieri.

Con specifico riferimento all’argomento trattato, i Consiglieri hanno diritto di chiedere la convocazione del Consiglio secondo le modalità di cui all’articolo 39, comma 2, del Tuel n. 267/2000.

Per disposizione normativa, il Presidente del Consiglio è tenuto a “riunire” il Consiglio, in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste; in caso di inosservanza, previa diffida, provvede il Prefetto, ex articolo 39, comma 5, del Tuel n. 267/2000 (Parere del Ministero dell’Interno del 18 maggio 2017).

Di conseguenza, nell'arco temporale di venti giorni, decorrenti dalla presentazione della richiesta, debbono svolgersi tanto la convocazione quanto la effettiva seduta consiliare strumentale alla discussione degli argomenti proposti dal quinto dei Consiglieri, fermo restando che sedute consiliari convocate oltre detto termine possono comunque tenersi, a prescindere dall'intervento sostitutivo del Prefetto, rimanendo a carico del Presidente l'obbligo di convocare il Civico Consesso.

 

2. La richiesta di convocazione di un quinto dei Consiglieri

Riguardo il contenuto della richiesta di convocazione del Consiglio di un quinto dei Consiglieri (calcolato sul numero dei Consiglieri in carica e senza includere il Sindaco), ossia se debba essere necessariamente formulata una “proposta …... al fine di consentire anche agli altri Consiglieri di avere piena cognizione dei termini e finalità della discussione anche ai fini volitivi e decisori ......”, si fa rilevare che l’articolo 39, comma 2, del citato decreto legislativo n. 267/2000, al riguardo utilizza la generica espressione “questioni richieste”.

Il predetto articolo nel disporre che il Presidente del Consiglio è tenuto a riunire (non è sufficiente la sola convocazione) il Consiglio, in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, inserendo all’ordine del giorno le questioni richieste, configura in capo al medesimo un obbligo di procedere alla convocazione dell'organo assembleare, senza alcun riferimento alla necessaria adozione di determinazioni del Consiglio stesso.

La dizione legislativa che fa riferimento a “questioni” e non di “deliberazioni o di atti fondamentali”, depone a favore della tesi che la trattazione di argomenti da vagliare in Consiglio comunale  non rientranti nella previsione legislativa di cui al citato articolo 42, comma 2, non debba necessariamente essere subordinata alla successiva adozione di provvedimenti finali da parte del Civico Consesso.

Sarà, dunque, compito del Presidente del Consiglio assicurare, contrariamente agli ordinari criteri seguiti, a regime, per il deposito e visione degli atti e/o proposte di delibere, una adeguata e preventiva informazione ai Consiglieri di conoscere le proposte e/o le questioni sottoposte all’esame del Consiglio con congruo anticipo al fine di consentire la partecipazione diretta dei Consiglieri nel procedimento di formazione di un atto deliberativo.

In caso di inosservanza degli obblighi di convocazione, in base al comma 5, previa diffida, provvede il Prefetto.

Qualora l’intenzione dei proponenti non sia diretta a sollecitare una delibera del Consiglio comunale, ma a porre in essere un esame degli argomenti proposti, si potrebbe ammettere ex articolo 42, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che rientri nella competenza del Consiglio comunale in veste di organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, anche la trattazione di questioni che, pur non rientrando nell’elencazione del comma 2 del citato articolo 42, attengono comunque alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo che vanno comunque esercitate mediante l’adozione di atti rientranti esclusivamente nelle proprie competenze, non derogatorie, fissate dall’ordinamento comunale.

La richiesta di convocazione di un quinto dei Consiglieri è lo strumento che permette al Consiglio comunale di esaminare questioni di propria competenza, non derogabili, mentre eventuali attività di controllo politico-amministrativo (ad esempio, sull’operato del Sindaco e/o della Giunta comunale) vanno esercitate attraverso gli strumenti di sindacato ispettivo riconosciuti ai singoli Consiglieri, come interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno.

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, in tale ipotesi è sufficiente la sommaria e sintetica indicazione degli affari da trattare, purché sussista la presenza di quegli elementi essenziali identificativi, idonei ad evitare dubbi ed incertezze sulle questioni poste.

Spetta poi alla sovranità consiliare, oltre che trovare soluzioni per le singole questioni, valutare l’opportunità di indicare, in sede regolamentare, una disciplina di dettaglio e chiarezza nelle materie oggetto della questione prospettata, al fine di assicurare alla minoranza le garanzie previste dal legislatore e l’ordinato svolgimento delle funzioni proprie dell’Assemblea consiliare.

Per la trattazione di proposte deliberative a contenuto dispositivo è richiesta la iscrizione all’ordine del giorno del Consiglio nell’osservanza delle garanzie procedurali di cui agli articoli 49 (Pareri dei responsabili dei servizi) e 147 bis (Controllo di regolarità amministrativa e contabile) del decreto legislativo n. 267/2000 e dell’obbligo di informazione preventiva dei membri del Consiglio in ordine alle questioni sottoposte alla loro deliberazione.

Riguardo alla determinazione numerica dei Consiglieri sufficiente a richiedere la convocazione del Consiglio, il Ministero dell’Interno, con parere del 16 Settembre 2013, rispondendo a un quesito posto da un Comune circa la corretta applicazione dell'articolo 39, comma 2, del decreto legislativo n. 267/2000 ha evidenziato che, data la consistenza complessiva del Consiglio Comunale che prevede la presenza di sei consiglieri, oltre il Sindaco, e di una pregressa nota interpretativa ministeriale secondo cui era ammesso il criterio dell'arrotondamento per difetto, per il Comune richiedente implicherebbe la possibilità anche per un singolo Consigliere di richiedere la convocazione.

Il predetto dicastero ha confermato l’orientamento che tende ad armonizzarsi con la ratio della disposizione volta a tutelare la posizione della minoranza, facendo presente che la vigente normativa nello stabilire l'obbligo di convocazione del Consiglio previa richiesta del quinto dei consiglieri non ha chiarito se, per il calcolo del quinto dei consiglieri, debba adottarsi il criterio dell'arrotondamento della cifra decimale per eccesso o per difetto, né si è formato un orientamento giurisprudenziale in materia. In tale contesto, è compito dell'ente locale disciplinare, con apposito regolamento, il criterio da applicare in caso di cifra decimale.

In assenza di esplicita previsione regolamentare il Viminale ha corroborato l’orientamento che tende ad armonizzarsi con la ratio della disposizione volta a tutelare la posizione della minoranza, ossia l’applicazione del criterio dell'arrotondamento aritmetico, in quanto richiamato espressamente a vario titolo, in più disposizioni del citato decreto legislativo n. 267/2000 (cfr. articolo 47, comma 1, articolo 71, comma 8, articolo 73, comma 1 e articolo 75, comma 8).

Detto criterio implica, com’è noto, che in caso di cifra decimale superiore a 50 si procederà ad arrotondamento per eccesso, mentre in caso di cifra uguale o inferiore a 50, l’arrotondamento debba essere effettuato per difetto.

Per quanto precede, deve pervenirsi a conclusione che, nel caso di specie, considerando che un quinto dei consiglieri del comune corrisponde al numero 1,2, sia sufficiente la sottoscrizione di un solo Consigliere comunale.

Di recente il Ministero dell’Interno (Parere del 7 maggio 2019) è tornato ad esprimersi su una richiesta di parere relativa all’applicazione della norma. Il caso riguardava la richiesta di convocazione avente ad oggetto un argomento di competenza del Consiglio comunale, che tale organo aveva già affrontato (nel caso di specie l’esistenza di una causa di incompatibilità di un consigliere). Il presidente del Consiglio non aveva ritenuto di dover convocare nuovamente il Civico Sinedrio in quanto l’argomento era stato già esaminato in altra seduta consiliare nella quale il Consiglio aveva deliberato di non dare corso alla contestazione della causa di incompatibilità. Il Ministero ha ritenuto il comportamento del presidente non corretto, proprio sulla considerazione che la giurisprudenza prevalente in materia si è da tempo espressa affermando che, in caso di richiesta di convocazione del Consiglio da parte di un quinto dei consiglieri, “al Presidente del consiglio comunale spetta soltanto la verifica formale che la richiesta provenga dal prescritto numero di soggetti legittimati, mentre non può sindacarne l’oggetto”. Per tale motivo, conclude il Ministero, in tali casi il Presidente del Consiglio è tenuto alla convocazione del Consiglio, spettando al potere “sovrano” dell’Assemblea decidere, in via pregiudiziale, sull’ammissibilità della discussione degli argomenti inseriti nell’ordine del giorno.

Nello stabilire, poi, se una determinata questione sia o meno di competenza del Consiglio comunale occorre aver riguardo non solo agli atti fondamentali espressamente elencati dal comma 2 dell'articolo 42 del TUEL n. 267/2000, ma anche alle funzioni di indirizzo e di controllo politico-amministrativo di cui al comma 1 del medesimo articolo 42, con la possibilità, quindi, che la trattazione da parte del collegio non debba necessariamente sfociare nell'adozione di un provvedimento finale. Il Consiglio comunale ha, infatti, un potere generale di indirizzo e di controllo politico-amministrativo sull'attività del Comune, nel cui ambito rientra pure quello di indirizzo, coordinamento e controllo sull'operato della Giunta (in tal senso, Tribunale di Giustizia Amministrativa di Trento n. 20/2010 del 14.01.2010).

In altro recente parere rilasciato a un Comune richiedente, il Viminale ha ritenuto legittimo il diniego di convocazione da parte del Presidente del Consiglio comunale in considerazione che, nella fattispecie esaminata, la richiesta riguardava una materia di competenza della Giunta comunale.

Sulla controversa questione della sindacabilità, da parte del Presidente del Consiglio (del Sindaco, nei Comuni inferiori a 15.000 abitanti, salvo differente previsione statutaria), dei motivi che inducono i Consiglieri a chiedere la convocazione straordinaria dell’Assemblea, la giurisprudenza amministrativa prevalente è orientata nel senso che allo stesso spetti solo la verifica formale della richiesta (prescritto numero di consiglieri), mentre non potrebbe essere sindacata nel merito, salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze dell’Assemblea consiliare, in nessun caso potrebbe essere posto all’ordine del giorno (in tal senso, T.A.R. Piemonte, Sez. II, 24 aprile 1996, n. 268, T.A.R. Sardegna n. 718/2003).

Di conseguenza, le uniche ipotesi per le quali il Presidente del Consiglio può omettere la convocazione sembrano la carenza del prescritto numero di consiglieri oppure la verificata illiceità, impossibilità o manifesta estraneità dell'oggetto alle competenze del Consiglio.

È bene sottolineare che trattasi di una forma di controllo “non giuridico”, culminante in un sindacato di legittimità dei singoli atti adottati, i quali non possono essere annullati, revocati, modificati, ecc., dall’Assemblea consiliare.

Mentre all’esecutivo (Sindaco e Giunta) spettano i poteri di amministrazione, al Consiglio comunale competono gli atti fondamentali di indirizzo, programmazione e pianificazione, di controllo e di verifica. Esso, dunque, è l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo dell’ente locale; la funzione di indirizzo consiste nella partecipazione del Consiglio alla definizione degli obiettivi politico-amministrativi dell’Ente che, costituendo criteri guida dell’azione politica e gestionale del Comune, di fatto vincolano il Sindaco, il Presidente, gli Assessori, i Dirigenti/Responsabili dei servizi; la funzione di controllo si concretizza nel monitoraggio dell’attività degli organi politici e burocratici al fine di accertarne la congruità all’indirizzo politico-amministrativo dell’ente.

L’attività di indirizzo del Consiglio comunale può essere definita come il potere di indicare, suggerire, imporre le linee da seguire nelle attività di governo dell’Ente, compiute dalla Giunta in collaborazione con il Sindaco, come espressamente dispone l’articolo 48 del Tuel n. 267/2000, che attribuisce ai suindicati organi del potere esecutivo il compito di provvedere all’attuazione degli indirizzi generali del Consiglio. In conclusione, non è altro che il risultato di una interdipendenza tra Sindaco e Consiglio comunale per dare risposte ai bisogni della comunità: all’esecutivo (Sindaco e Giunta) spettano i poteri di amministrazione, al Consiglio comunale competono gli atti fondamentali di indirizzo, programmazione e pianificazione, di controllo e di verifica.

In definitiva, l’organo consiliare definisce in concreto l’indirizzo mediante l’adozione di atti che dettano norme cui devono attenersi gli altri organi nell’adottare atti di propria competenza ed esercita il controllo politico-amministrativo che si sostanzia nel continuo “monitoraggio” dell’attività dei competenti organi esecutivi (Sindaco e Giunta, enti, aziende e istituzioni) e degli organi non politici (dirigenti/responsabili di servizi) che svolgono le relative attività in armonia con l’indirizzo politico-amministrativo definito dal Consiglio.

Esempio tipico dell’attività di indirizzo e controllo politico-amministrativo del Consiglio, è quella che prevede la partecipazione dello stesso alla “definizione e alla verifica periodica dell’attuazione delle linee programmatiche, da parte del Sindaco o del presidente della provincia e dei singoli assessori”, avendo in tale occasione un potere di indirizzo politico-amministrativo dell’Ente, vincolante per i sopra citati organi di governo.

 

3. Questione pregiudiziale

Un Ente locale, nel ritenere non obbligatoria la convocazione del Consiglio comunale per esaminare questioni considerate "estranee" alla competenza consiliare, ha richiamato le osservazioni formulate dal Tar Puglia nella sentenza n. 1022/2004. In detta pronuncia i giudici amministrativi pugliesi hanno sentenziato che appartiene ai poteri sovrani dell’Assemblea consiliare decidere in via pregiudiziale che un dato argomento inserito nell’ordine del giorno non debba essere discusso (“questione pregiudiziale”) ovvero se ne debba rinviare la discussione (“questione sospensiva”) (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, n. 4278/2001 e 124/2004).

Inoltre, hanno precisato che” ..... sono ammissibili solo quelle questioni pregiudiziali che impediscono la discussione dell’argomento ... per ragioni interne e proprie della specifica procedura, con esclusione di questioni strumentalmente dirette a porre nel nulla la funzione del diritto di iniziativa ..., ovvero ...di procedimenti coinvolgenti l’attività assembleare che, in quanto definiti per tempi e fasi da precise norme di legge, non siano suscettibili di essere derogate e, quindi, utilmente e legittimamente richiamabili a base di una questione pregiudiziale. Il che avviene quando, come nel caso, il procedimento tipizzato con legge, ha la funzione di tutela di interessi indisponibili ed estranei alla sovranità dell’Assemblea consiliare che si realizzano proprio attraverso il rispetto di fasi e modalità del procedimento stesso ...”.

In conclusione, "… tale diritto di iniziativa è tutelato in modo specifico dalla legge con la previsione severa ed eccezionale della modificazione dell'ordine delle competenze mediante intervento sostitutivo del Prefetto in caso di mancata convocazione del Consiglio comunale in un termine simbolicamente breve (venti giorni). Il significato giuridicamente utile di tale procedura rafforzata di tutela va individuato nel fatto che l'ordinamento ritiene un valore essenziale del sistema democratico che alla minoranza sia assicurata effettività del diritto di iniziativa, e cioè del diritto di discussione in Assemblea consiliare sull'argomento richiesto. Ove, così non fosse, grave ed evidente sarebbe la contraddizione fra tutela rafforzata del diritto di iniziativa e mancanza di limiti per la maggioranza di metterlo nel nulla con la proposizione di una qualunque questione pregiudiziale”.

Pertanto è nell'ambito delle descritte coordinate giurisprudenziali che il Presidente del Consiglio dovrà conformare il proprio operato.

  1. E. Maggiora – Il funzionamento del Consiglio  comunale e provinciale – Giuffré Editore
  2. L. Vandelli – Ordinamento delle autonomie locali – Rimini 1991
  3. L. Giovenco – A. Romano – L’Ordinamento Comunale – Giuffré Editore – 1994
  4. G. Rizzo – Il Consiglio Comunale -  Editrice CEL
  5. AA.VV. – Commento al Testo Unico in materia di Ordinamento degli Enti Locali – Maggioli Editore – 2001
  6. A. Scarsella – Il vademecum dell’amministratore locale – Maggioli Editore – 2019