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La corruzione nel sistema giudiziario e l’opportunità dell’introduzione di assetti aziendali e manageriali nei palazzi di giustizia

Corruzione
Corruzione

Abstract: La corruzione è uno dei più ricorrenti temi che investono il dibattito pubblico, anche alla luce dei continui scandali che investono personaggi noti ai più. Negli ultimi due anni, in particolare, l’attenzione dei canali di informazione si è concentrata sui procedimenti giudiziari a carico di esponenti di alto rango del mondo del diritto, avvocati e magistrati. Il presente contributo, partendo dai recenti sviluppi nella vicenda che vede coinvolto come protagonista il giudice Nicola Russo, mira a fare chiarezza sull’attuale assetto della normativa italiana in tema di corruzione e sulla necessità di un cambiamento di direzione nella lotta al male di sempre.

 

Indice:

1. Introduzione al tema

2. Le modiche del sistema in tema di corruzione

3. L’introduzione di criteri manageriali nell’amministrazione della giustizia. L’ottica penal-preventiva

4. La certificazione ISO 37001

 

1. Introduzione al tema

Il quadro che emerge dalla lettura delle principali testate giornalistiche italiane non è dei più confortanti e getta una luce sinistra sui meccanismi nascosti dell’amministrazione della giustizia italiana. La seconda sezione collegiale del Tribunale di Roma ha condannato l’ormai ex giudice del Consiglio di Stato Nicola Russo per corruzione in atti giudiziari.

Il magistrato si è, infatti, visto comminare una pena pari ad 11 anni di reclusione - di molto superiore alle richieste avanzate dalla Procura - per aver asseritamente pilotato delle sentenze e ribaltato delle decisioni Tar, a fronte di lauti corrispettivi. Tale vicenda, che trascende il caso singolo e si inserisce in un filone più ampio, dall’ormai celebre caso Palamara al c.d. ‘sistema Siracusa’, pone la necessità di una riflessione organica sulla lotta alla corruzione e sui rimedi necessari per raggiungere un buon governo dell’amministrazione della giustizia.

Come noto, la corruzione rientra nel novero dei c.d. ‘reati propri’, ossia fattispecie peculiari per le quali è necessario che il fatto sia commesso da colui che rivesta una determinata qualifica o abbia uno status precisato dalla relativa norma. Inseriti nel titolo II, capo I del codice penale, intitolato “Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione”, gli articoli 318 e seguenti si occupano di regolare le varie ipotesi corruttive. In tal senso, in termini generali, la corruzione si consuma qualora un pubblico ufficiale riceva indebitamente per l’esercizio delle sue funzioni – o per commettere, omettere o ritardare un atto del suo ufficio – denaro od altra utilità.

La gravità del reato di corruzione nel contesto giudiziario è sottolineata, peraltro, dal dato che il Legislatore abbia previsto una fattispecie ad hoc. In tal senso, l’articolo 319-ter del codice penale, rubricato “Corruzione in atti giudiziari”, commina una pena decisamente severa “se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale od amministrativo”.

 

2. Le modiche del sistema in tema di corruzione

A partire dalla legge Severino (legge 190 del 2012) il legislatore italiano si è dimostrato sensibile al tema della corruzione, riconoscendo a tale problematica carattere sistemico. Tra i numerosi interventi degni di nota, tre in particolare spiccano per importanza.

In primo luogo, il Decreto legislativo n. 38/2017 attuativo della decisione quadro 568/2003 GAI, adottata in seno al Consiglio dell’Unione europea, rubricato – per l’appunto - - “attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003”.  Inserendosi all’interno del processo di adeguamento dell’ordinamento interno alle fonti internazionali, esso ha modificato la precedente normativa in materia di corruzione tra privati.

In particolare, tale intervento ha ampliato il novero degli autori del reato, aggiungendo alla classica previsione di coloro che rivestono posizioni apicali e di controllo anche di coloro che svolgono attività lavorativa mediante l’esercizio di funzioni direttive presso società o enti privati. Nondimeno, il decreto ha esteso la punibilità anche al c.d. ‘extraneus’, ossia anche di colui che, per interposta persona offre e promette denaro o altre utilità a fini corruttivi.

Infine, un ulteriore pregio è rappresentato dall’eliminazione dell’originario ‘doppio nesso di causalità’ ai fini della configurazione del reato che, ovviamente, comporta una notevole semplificazione.

Sulla scia dell’implementazione della lotta alla corruzione non può non essere menzionata, inoltre, la legge 179/2019 in tema di Whistleblowing, che ha ampliato la tutela garantita ai ‘segnalatori’ di illeciti approntata dalla legge Severino. L’intervento, che consta di 3 articoli, ha, difatti, ampliato lo spettro della protezione non solo al settore pubblico, ma anche a quello privato.

Da ultimo, il legislatore è intervenuto con la legge 3/2019, rubricata Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”. Denominata la ‘Spazzacorrotti’, l’intervento ha modificato i reati contro la Pubblica Amministrazione, introducendo delle modifiche tanto sostanziali quanto processuali della disciplina.

Sul versante sostanziale, la Spazzacorrotti ha inasprito fortemente i limiti edittali delle fattispecie corruttive. Novità importante ma, come si vedrà, insufficiente, dato che incide esclusivamente sulla risposta dell’ordinamento ai fenomeni corruttivi, senza incidere sul momento antecedente alla consumazione del reato.

Al centro di un arduo dibattito pubblico è, invece, la contestuale riforma dell’istituto della prescrizione. La legge 3/2019, infatti, all’articolo 1, lett. d), e), f), stabilisce che il corso della prescrizione rimanga sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado – sia di condanna che di assoluzione, oltre che del decreto penale di condanna- fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna. In altre parole, gli imputati resteranno alla mercé della giustizia penale per un tempo pressoché indefinito. È inutile sottolineare come questo passaggio della riforma sia collegato ad argomenti di più ampio respiro, inerenti allo stesso principio di civiltà giuridica.

Infine, la Spazzacorrotti ha introdotto delle modifiche di rilievo alla normativa dell’ordinamento penitenziario. L’articolo 1, comma 6, della legge, infatti, ha aumentato il novero dei reati ostativi di cui all’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario (legge 354/75), introducendo anche i delitti contro la Pubblica Amministrazione (nell’alveo dei quali rientra la corruzione). In tal modo, al pari ad esempio di coloro che si sono macchiati di reati di stampo mafioso o terroristico, anche i condannati per fatti corruttivi non potranno accedere ai benefici penitenziari in materia di misure alternative alla detenzione.

Stante la aleatorietà della normativa in oggetto circa il limite temporale di applicazione, si era prospettata inizialmente una sua applicazione retroattiva. Lo snodo del problema si ricollegava alla stessa natura delle norme dell’ordinamento penitenziario: se alle stesse fosse stata conferita natura sostanziale, allora avrebbero trovato applicazione i principi di cui all’articolo 25, comma 2, della Costituzione ed articolo 2 del codice penale circa la irretroattività delle norme penali. Qualora, invece, esse fossero state considerate alla stregua di norme procedurali, sarebbe stato applicato il principio del tempus regit actum.

La Corte di Cassazione, sul punto, ha propenso per l’irretroattività della normativa stabilendo che il provvedimento di sospensione dell'esecuzione della pena, legittimamente emesso ai sensi dell'articolo 656 c.p.p., non può essere revocato per effetto del sopravvenire di una legge che ampli il catalogo dei reati ostativi alla sospensione di cui all'articolo 4-bis legge 26 luglio 1975 n. 354, in ragione del generale principio del "tempus regit actum", in forza del quale un atto processuale (qui, la sospensione dell'ordine di esecuzione) validamente compiuto secondo la legge vigente al momento della sua venuta in essere è "insensibile" alle modifiche di disciplina posteriori” (Cassazione penale sez. I, 14/11/2019, n.1799).

La stessa Corte Costituzionale ha, poi, definitivamente avallato questa linea interpretativa, sancendo, in data 12 febbraio 2019, costituzionalmente illegittima l’interpretazione retroattiva con riferimento alle misure alternative alla detenzione.

 

3. L’introduzione di criteri manageriali nell’amministrazione della giustizia. L’ottica penal-preventiva

Gli interventi sin qui adottati dal legislatore si sono orientati maggiorente sul percorso classico di inasprimento delle pene, non insistendo su elementi che, invero, hanno incominciato a trovare spazio sin dalla adozione della legge Severino. Difatti essa, inaugurando un approccio innovativo in quanto non esclusivamente repressivo, estende la portata classica delle norme del codice penale, valorizzando non solo l’indagine sulle origini e sulle manifestazioni del fenomeno corruttivo, ma anche i poteri di autoregolamentazione propri delle varie Amministrazioni pubbliche.

In altre parole, l’esclusivo aggravio delle pene, per quanto aspro sia, non potrà mai raggiungere l’obiettivo sperato – la netta diminuzione della corruzione – se non accompagnato da un’ottica penal-preventiva.

In tale prospettiva si inserisce la sopra menzionata legge 179/2010 in tema di Whistleblowing, attraverso la previsione di norme a tutela della riservatezza dei segnalatori di illeciti, all’interno dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex decreto legislativo 231/2001.

Lo scrivente condivide appieno i progetti di riforma della giustizia mirate alla introduzione, anche in questo fondamentale segmento della Pubblica Amministrazione, del concetto di best practice, sviluppate, definite ed implementate a livello nazionale per garantire quella efficienza organizzativa che ictu oculi manca ai tribunali italiani.

In tal senso, si inseriscono ad esempio le proposte contenute nel progetto “Come cambiare il Sistema Giudiziario e come contrastare la corruzione per migliorare la competitività dell’Italia[1], volte all’introduzione, inter alia, di criteri manageriali nella gestione e nella organizzazione dei tribunali.

In particolare, anche tramite l’introduzione di nuove figure – come ad esempio quelle dei Court Manager – e la predisposizione di percorsi di formazione per i magistrati, si aprirebbe la strada ad un nuovo modo di concepire le Amministrazioni Pubbliche, compatibile con l’applicazione di modelli di organizzazione e gestione ex Decreto legislativo 231/01.

Partendo dall’assunto che il fenomeno corruttivo non può essere eliminato tout cour, l’ottica penal-preventiva, andando ad incidere nella fase anteriore alla configurazione del reato, abbasserebbe il rischio che questo si realizzi. Il rischio che non può essere eliminato può, quindi, essere ridotto. In questo contesto è stato disciplinato il Modello Organizzativo Gestionale, previsto dal decreto legislativo 231/01 quale strumento idoneo a prevenire la commissione dei reati contro la Pubblica Amministrazione.

Non a caso, la proposta di legge n. 4138 del 2016 presentata alla Camera dei Deputati traccia la direzione: “il Governo ha istituito una commissione interministeriale con il compito di riformarla […] La presente proposta di legge va, invece, nel senso di una razionalizzazione e di un potenziamento dei contenuti del decreto n. 231 del 2001; una riforma ispirata alla logica del doppio binario: contrastare più efficacemente i reati che germinano nelle corporation, e snellire – in via speculare – i controlli sulle piccole imprese, per loro natura non in grado di sopportare sia le sanzioni previste dallo stesso decreto, sia i costi dei modelli di organizzazione volti a prevenire la responsabilità da reato dell’impresa medesima”.

Perché, dunque, non rendere obbligatorio anche per i Palazzi di Giustizia (mi sia permessa una metonimia) l’adozione di un adeguato assetto organizzativo? 

 

4. La certificazione ISO 37001

Difatti, per quanto riguarda le società pubbliche o miste, la predisposizione di un Modello Organizzativo Gestionale, come previsto dalla normativa “231”, è il principale strumento di prevenzione in relazione alla lotta alla corruzione. A fianco dell’adozione del MOG (ad oggi non obbligatoria) è, tuttavia, prevista la possibilità per le società di avvalersi della c.d. ISO 37001:2016 (per brevità e chiarezza, solo ISO 37001) che può, senza dubbio, costituire un valido supporto alle aziende pubbliche e private, proprio per la logica e struttura operativa risk based che lo caratterizzano.

Come noto, tale certificazione è stata istituita in seno all’International Organization for Standardization (Organizzazione internazionale per la normazione), la più importante organizzazione a livello mondiale per la definizione di norme tecniche, il cui obiettivo è configurare le certificazioni per controllare tutte le fasi del processo che generano un prodotto o un servizio. Un tal sistema di Certificazione del Sistema qualità aziendale nasce dalla volontà per le imprese di far controllare da un Ente o Istituto di Certificazione, che tutte le azioni di controllo nell'intera filiera, indicate nei propri documenti della qualità (manuale, procedure, istruzioni ecc.), siano conformi e rispondenti alle norme di riferimento e, soprattutto, recepite, attuate e consolidate all’interno dell'azienda.

L’ISO 37001 è stato emesso il 15 Ottobre 2016, sostituendo la BS 10500 è uno standard di tipo A ed è quindi sottoposto a certificazione.

Questa certificazione ha il dichiarato obiettivo di costituire, implementare, mantenere, rivisitare e migliorare il sistema di gestione dell’anticorruzione dell’azienda dove, per sistema si intende quel complesso interconnesso di elementi dell’organizzazione volto a definire in concreto le politiche, gli obiettivi e i processi finalizzati alla lotta alla corruzione.

Così come con gli altri standard emessi dall'ISO, la 37001 include una disposizione che consente la certificazione da parte di una terza parte indipendente, che indica che il programma di lotta alla corruzione attuato dall'azienda è conforme allo standard. Poiché fornisce un approccio globalmente accettato per la conformità anti-corruzione, ISO37001 è stato annunciato come un passo significativo nella continua globalizzazione del rispetto contro la corruzione, in particolare nei paesi in cui la corruzione potrebbe essere considerata parte della cultura.

In particolare, lo scopo del Modello “231” risulta essere la prevenzione dei reati presupposto se commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente mentre quello dell’ISO37001 è l’esclusiva prevenzione della corruzione in applicazione di leggi vigenti o di altri impegni volontariamente assunti. Ed allora, a fianco del Modello “231” troviamo un altro strumento: la certificazione ISO37001 che la Pubblica Amministrazione ben potrebbe sposare al fine di ridurre il rischio di commissione di fatti dal genere.

Anche da quest’ultimo intervento è possibile notare come le misure di prevenzione stiano assumendo un valore sempre più importante e definito nella lotta alla corruzione. Il filo conduttore che collega tutti i provvedimenti in materia di reati societari è, infatti, costituito dal concetto di rischio; il legislatore ha anticipato il momento di contrasto ai fenomeni corruttivi alla fase in cui la fattispecie delittuosa non è ancora stata configurata. La ratio è, dunque, quella di abbassare il livello di rischio di commissione di un reato, per rendere le società e tutti gli enti – pubblici, privati e misti – efficaci e competitive e per creare un clima di legalità e trasparenza.

 

[1] Presentato dalla The European House- Ambrosetti, 2015.