La Corte di Cassazione chiarisce la nozione di abitazione di lusso ai fini dell’agevolazione prima casa
Con la sentenza 18 settembre 2013, n. 21287 del la Corte di Cassazione affronta la questione relativa alla nozione di abitazione di lusso rilevante ai fini della cosiddetta agevolazione prima casa in materia di imposta di registro e di imposte ipocatastali.
La disciplina del beneficio fiscale in oggetto è recata dalla nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986, che prevede l’applicazione dell’imposta di registro con aliquota ridotta al 3% (in luogo del 7%) agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse, purché ricorrano alcune condizioni.
Oltre all’aliquota ridotta per l’imposta di registro (come detto, 3% invece del 7%), è prevista l’applicazione in misura fissa (€ 168,00) dell’imposta ipotecaria e dell’imposta catastale in luogo, rispettivamente, del 2% e dell’1%.
Condizione necessaria ai fini della fruizione dell’agevolazione è che la casa d’abitazione non sia di lusso. Ebbene, il d.m. 2 agosto 1969 indica le caratteristiche che consentono di qualificare "di lusso" le abitazioni:
1)le abitazioni realizzate su aree destinate dagli strumenti urbanistici, adottati od approvati, a "ville", "parco privato" ovvero a costruzioni qualificate dai predetti strumenti come "di lusso" (art. 1);
2)le abitazioni realizzate su aree per le quali gli strumenti urbanistici, adottati od approvati, prevedono una destinazione con tipologia edilizia di case unifamiliari e con la specifica prescrizione di lotti non inferiori a 3000 mq., escluse le zone agricole, anche se in esse siano consentite costruzioni residenziali (art. 2);
3)le abitazioni facenti parte di fabbricati che abbiano cubatura superiore a 2000 mc. e siano realizzati su lotti nei quali la cubatura edificata risulti inferiore a 25 mc. v.p.p. per ogni 100 mq. di superficie asservita ai fabbricati (art. 3);
4)le abitazioni unifamiliari dotate di piscina di almeno 80 mq. di superficie o campi da tennis con sottofondo drenato di superficie non inferiore a 650 mq (art. 4);
5)le case composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed eventi come pertinenza un'area scoperta della superficie di oltre sei volte l'area coperta (art. 5);
6)le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) (art. 6);
7)le abitazioni facenti parte di fabbricati o costituenti fabbricati insistenti su aree comunque destinate all'edilizia residenziale, quando il costo del terreno coperto e di pertinenza supera di una volta e mezzo il costo della sola costruzione (art. 7);
8)anche se un’abitazione non ha almeno una delle caratteristiche di cui agli articoli da 1 a 7 del d.m. 2 agosto 1969, appena esposti, essa è considerata di lusso se presenta oltre 4 caratteristiche tra quelle riportate nella tabella allegata allo stesso decreto (art. 8).
Come ha chiarito la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38 del 12 agosto 2005, gli articoli da 1 a 7 del d.m. 2 agosto 1969 individuano le singole caratteristiche in presenza di ciascuna delle quali l'abitazione è considerata di "lusso".
È sufficiente, dunque, il possesso di almeno una delle caratteristiche descritte perché un immobile possa essere considerato di lusso.
La disposizione di cui all’articolo 8 del decreto è di carattere residuale in quanto, difettando le condizioni di cui agli articoli 1-7, consente di qualificare di lusso un’abitazione laddove presenti più di 4 caratteristiche individuate nell’apposita tabella allegata al decreto ministeriale.
Orbene, nella fattispecie analizzata dalla sentenza in commento l’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di liquidazione con il quale revocava l’agevolazione prima casa sul presupposto che l’immobile acquistato dal contribuente aveva caratteristiche di lusso ex d.m. 2 agosto 1969, in particolare per essere l’immobile superiore a 240 mq.
Impugnato l’avviso, la CTP accoglieva il ricorso proposto dal contribuente. In secondo grado, invece, la CTR riformava la decisione emessa dal giudice di prime cure.
La tesi del contribuente si fondava sul fatto che nel concetto di “superficie utile complessiva” di cui all’articolo 6 del decreto ministeriale 2 agosto 1969 doveva comprendersi solo la superficie calpestabile dell’immobile. In particolare, attraverso una perizia prodotta nei giudizi di merito il contribuente dimostrava come la superficie utile di calpestio fosse inferiore a 240 mq.
Disattendendo la tesi del contribuente, la Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, così ha statuito: “L'art. 6 del D.M. 2 agosto 1969 qualifica abitazioni di lusso - escluse dal beneficio fiscale di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa 1, art. 1, nota 2 bis-, le unità immobiliari ‘aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)’, e tale norma va interpretata nel senso di dover escludere dal dato quantitativo globale della superficie dell'immobile indicata nell'atto di acquisto (in essa compresi, dunque, i muri perimetrali e quelli divisori) solo i predetti ambienti e non l'intera superficie non calpestabile, come postula la ricorrente”.
La Suprema Corte, dunque, conferma il proprio consolidato orientamento, interpretando la superficie utile complessiva ai fini della definizione di abitazione di lusso come superficie globale dell’immobile a prescindere dalla “non calpestabilità” di alcuni ambienti dovuta, ad esempio, a difetto di agibilità.
Al riguardo, è da evidenziare che nella sentenza 17 luglio 2013, n. 17439 del la Corte aveva affermato i seguenti due principi in materia:
a) nel calcolo della superficie utile per stabilire se un'abitazione sia di lusso deve computarsi quella relativa ai vani interni all'abitazione, ancorché privi dell'abitabilità, in quanto requisito non richiamato dal d.m. 2 agosto 1969;
b) non è possibile alcuna interpretazione che ne amplii la sfera operativa, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica.
Sulla irrilevanza della inabitabilità dei locali di un immobile si è pronunciata anche Cassazione n. 12942 del 24 maggio 2013 secondo cui: “Nel computo della superficie utile deve essere considerato anche il piano seminterrato che sia qualificato inabitabile dalla normativa di settore”. Infatti, precisa la Cassazione, l’art. 6 del d.m. 2 agosto 1969 nel definire "di lusso" gli immobili aventi superficie utile complessiva superiore a 240 mq, non fa alcun riferimento alla caratteristica dell'abitabilità di essi, in quanto ciò che rileva è la potenziale idoneità dei locali allo svolgimento delle attività della vita quotidiana. Invece, ricorda la Corte, dal computo della superficie utile devono essere sottratti i locali espressamente individuati dalla norma, ossia i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale ed il posto macchina.
Del pari, Cassazione n. 23591 del 20 dicembre 2012 secondo la quale il requisito dell'abitabilità resta estraneo al rapporto tributario, mentre rileva, ai fini dei requisiti delle abitazioni di lusso, la superficie utile richiamata dalla norma, che è quella dell'intero complesso costruttivo, con esclusione solo di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posti auto.
Di uguale tenore è, infine, Cassazione n. 10807 del 28 giugno 2012 secondo cui deve computarsi nella “superficie utile” “il ‘piano terra’ costituito da ‘più vani’ adibiti a ‘sale hobby’, quindi funzionalmente dichiarate come destinate all'espletamento di attività significative di funzionalità proprie degli esseri umani che ivi trovano ‘alloggio’, anche se la loro altezza sia inferiore a quella prevista dal regolamento comunale per i piani destinati ad uso abitazione”.
Con la sentenza 18 settembre 2013, n. 21287 del la Corte di Cassazione affronta la questione relativa alla nozione di abitazione di lusso rilevante ai fini della cosiddetta agevolazione prima casa in materia di imposta di registro e di imposte ipocatastali.
La disciplina del beneficio fiscale in oggetto è recata dalla nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986, che prevede l’applicazione dell’imposta di registro con aliquota ridotta al 3% (in luogo del 7%) agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse, purché ricorrano alcune condizioni.
Oltre all’aliquota ridotta per l’imposta di registro (come detto, 3% invece del 7%), è prevista l’applicazione in misura fissa (€ 168,00) dell’imposta ipotecaria e dell’imposta catastale in luogo, rispettivamente, del 2% e dell’1%.
Condizione necessaria ai fini della fruizione dell’agevolazione è che la casa d’abitazione non sia di lusso. Ebbene, il d.m. 2 agosto 1969 indica le caratteristiche che consentono di qualificare "di lusso" le abitazioni:
1)le abitazioni realizzate su aree destinate dagli strumenti urbanistici, adottati od approvati, a "ville", "parco privato" ovvero a costruzioni qualificate dai predetti strumenti come "di lusso" (art. 1);
2)le abitazioni realizzate su aree per le quali gli strumenti urbanistici, adottati od approvati, prevedono una destinazione con tipologia edilizia di case unifamiliari e con la specifica prescrizione di lotti non inferiori a 3000 mq., escluse le zone agricole, anche se in esse siano consentite costruzioni residenziali (art. 2);
3)le abitazioni facenti parte di fabbricati che abbiano cubatura superiore a 2000 mc. e siano realizzati su lotti nei quali la cubatura edificata risulti inferiore a 25 mc. v.p.p. per ogni 100 mq. di superficie asservita ai fabbricati (art. 3);
4)le abitazioni unifamiliari dotate di piscina di almeno 80 mq. di superficie o campi da tennis con sottofondo drenato di superficie non inferiore a 650 mq (art. 4);
5)le case composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed eventi come pertinenza un'area scoperta della superficie di oltre sei volte l'area coperta (art. 5);
6)le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) (art. 6);
7)le abitazioni facenti parte di fabbricati o costituenti fabbricati insistenti su aree comunque destinate all'edilizia residenziale, quando il costo del terreno coperto e di pertinenza supera di una volta e mezzo il costo della sola costruzione (art. 7);
8)anche se un’abitazione non ha almeno una delle caratteristiche di cui agli articoli da 1 a 7 del d.m. 2 agosto 1969, appena esposti, essa è considerata di lusso se presenta oltre 4 caratteristiche tra quelle riportate nella tabella allegata allo stesso decreto (art. 8).
Come ha chiarito la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38 del 12 agosto 2005, gli articoli da 1 a 7 del d.m. 2 agosto 1969 individuano le singole caratteristiche in presenza di ciascuna delle quali l'abitazione è considerata di "lusso".
È sufficiente, dunque, il possesso di almeno una delle caratteristiche descritte perché un immobile possa essere considerato di lusso.
La disposizione di cui all’articolo 8 del decreto è di carattere residuale in quanto, difettando le condizioni di cui agli articoli 1-7, consente di qualificare di lusso un’abitazione laddove presenti più di 4 caratteristiche individuate nell’apposita tabella allegata al decreto ministeriale.
Orbene, nella fattispecie analizzata dalla sentenza in commento l’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di liquidazione con il quale revocava l’agevolazione prima casa sul presupposto che l’immobile acquistato dal contribuente aveva caratteristiche di lusso ex d.m. 2 agosto 1969, in particolare per essere l’immobile superiore a 240 mq.
Impugnato l’avviso, la CTP accoglieva il ricorso proposto dal contribuente. In secondo grado, invece, la CTR riformava la decisione emessa dal giudice di prime cure.
La tesi del contribuente si fondava sul fatto che nel concetto di “superficie utile complessiva” di cui all’articolo 6 del decreto ministeriale 2 agosto 1969 doveva comprendersi solo la superficie calpestabile dell’immobile. In particolare, attraverso una perizia prodotta nei giudizi di merito il contribuente dimostrava come la superficie utile di calpestio fosse inferiore a 240 mq.
Disattendendo la tesi del contribuente, la Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, così ha statuito: “L'art. 6 del D.M. 2 agosto 1969 qualifica abitazioni di lusso - escluse dal beneficio fiscale di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa 1, art. 1, nota 2 bis-, le unità immobiliari ‘aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)’, e tale norma va interpretata nel senso di dover escludere dal dato quantitativo globale della superficie dell'immobile indicata nell'atto di acquisto (in essa compresi, dunque, i muri perimetrali e quelli divisori) solo i predetti ambienti e non l'intera superficie non calpestabile, come postula la ricorrente”.
La Suprema Corte, dunque, conferma il proprio consolidato orientamento, interpretando la superficie utile complessiva ai fini della definizione di abitazione di lusso come superficie globale dell’immobile a prescindere dalla “non calpestabilità” di alcuni ambienti dovuta, ad esempio, a difetto di agibilità.
Al riguardo, è da evidenziare che nella sentenza 17 luglio 2013, n. 17439 del la Corte aveva affermato i seguenti due principi in materia:
a) nel calcolo della superficie utile per stabilire se un'abitazione sia di lusso deve computarsi quella relativa ai vani interni all'abitazione, ancorché privi dell'abitabilità, in quanto requisito non richiamato dal d.m. 2 agosto 1969;
b) non è possibile alcuna interpretazione che ne amplii la sfera operativa, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica.
Sulla irrilevanza della inabitabilità dei locali di un immobile si è pronunciata anche Cassazione n. 12942 del 24 maggio 2013 secondo cui: “Nel computo della superficie utile deve essere considerato anche il piano seminterrato che sia qualificato inabitabile dalla normativa di settore”. Infatti, precisa la Cassazione, l’art. 6 del d.m. 2 agosto 1969 nel definire "di lusso" gli immobili aventi superficie utile complessiva superiore a 240 mq, non fa alcun riferimento alla caratteristica dell'abitabilità di essi, in quanto ciò che rileva è la potenziale idoneità dei locali allo svolgimento delle attività della vita quotidiana. Invece, ricorda la Corte, dal computo della superficie utile devono essere sottratti i locali espressamente individuati dalla norma, ossia i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale ed il posto macchina.
Del pari, Cassazione n. 23591 del 20 dicembre 2012 secondo la quale il requisito dell'abitabilità resta estraneo al rapporto tributario, mentre rileva, ai fini dei requisiti delle abitazioni di lusso, la superficie utile richiamata dalla norma, che è quella dell'intero complesso costruttivo, con esclusione solo di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posti auto.
Di uguale tenore è, infine, Cassazione n. 10807 del 28 giugno 2012 secondo cui deve computarsi nella “superficie utile” “il ‘piano terra’ costituito da ‘più vani’ adibiti a ‘sale hobby’, quindi funzionalmente dichiarate come destinate all'espletamento di attività significative di funzionalità proprie degli esseri umani che ivi trovano ‘alloggio’, anche se la loro altezza sia inferiore a quella prevista dal regolamento comunale per i piani destinati ad uso abitazione”.