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La Delibera del Cipe sulle Zone Franche Urbane

Presentazione in sintesi e brevi note a commento
E’ stata registrata il 19 maggio 2008 la Delibera del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica n. 5/2008 recante “Criteri e indicatori per l’individuazione e la delimitazione delle Zone Franche Urbane”, approvata il 30 gennaio 2008 ai sensi dell’art. 1, comma 342, della L. n. 296/2006 (Legge Finanziaria 2007), così come sostituito dall’art. 2, comma 563, della L. n. 244/2007 (Legge Finanziaria 2008).

Il provvedimento, che il 14 febbraio scorso ha superato il vaglio della Conferenza Unificata, sia pure con raccomandazioni e col parere negativo di alcune Regioni, nelle scorse settimane è stato sottoposto al controllo di legittimità della Corte dei Conti, che ha avanzato osservazioni alle quali l’amministrazione ha dato evidentemente adeguato riscontro, e sarà di qui a breve pubblicato.

Solo a decorrere da quella data potranno essere ufficialmente avviate le procedure di individuazione e delimitazione delle Zone Franche Urbane, che dovranno esaurirsi entro 60 giorni.

Il testo conferma in premessa come le modifiche apportate al dispositivo originario dalla Legge Finanziaria 2008 si siano rese necessarie allo scopo di recepire le osservazioni avanzate, in fase di pre-notifica informale, dalla D.G. Concorrenza della Commissione Europea, alla quale peraltro spetterà l’autorizzazione definitiva ai sensi dell’art. 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità Europea: sotto questa luce va allora letto il complesso normativo adesso arricchito dai criteri formulati dal Cipe, in particolare per quanto riguarda la caratterizzazione prettamente urbana della misura, la destinazione a quartieri e circoscrizioni e i limiti di popolazione residente, l’applicazione a beneficio di piccole e micro imprese, il sostegno all’occupazione locale e non precaria e soprattutto la novità più rilevante, ovvero l’eliminazione del riferimento al Mezzogiorno e la possibilità che le Zone Franche Urbane siano istituite su tutto il territorio nazionale (Per ulteriori approfondimenti sulle modifiche a seguito delle osservazioni avanzate dalla Commissione Europea, sia consentito rinviare allo stesso autore, “Le Zone Franche Urbane nel Disegno di Legge Finanziaria 2008. Commento alle modifiche, spunti di riflessione giuridica e considerazioni generali”, pubblicato su Filodiritto (www.filodiritto.com), https://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=792).

Secondo la delibera, saranno i Comuni a dover assumere l’iniziativa formale, ovvero identificare le aree o i quartieri eleggibili, in quanto caratterizzati da particolari situazioni di disagio socio-economico e bisognosi di interventi per lo sviluppo e l’occupazione, e redigere progetti finalizzati alla riqualificazione delle zone individuate mediante azioni a vantaggio dell’impresa ma anche di carattere socio-assistenziale.

Di fondamentale rilevanza, e anche di una certa difficoltà per quei Comuni che non dispongono di statistiche a livello infracomunale, sarà motivare tecnicamente e documentare le proposte e le scelte, facendo ricorso a indicatori di fenomeni di esclusione sociale e di crisi economica e nel contempo di potenzialità inespresse e di pronta valorizzazione.

Ma non tutti i Comuni avranno la facoltà di proporre l’istituzione di una Zona Franca Urbana né tutte le aree genericamente caratterizzate da disagio sociale ed economico potranno essere identificate quali Zone Franche Urbane: dovrà trattarsi infatti di Comuni con un numero di abitanti non inferiore a 25000 e ricadenti nel territorio di un Sistema Locale del Lavoro avente un tasso di disoccupazione superiore alla media nazionale; le Zone Franche Urbane poi dovranno avere una dimensione demografica minima di 7500 abitanti e massima di 30000, come previsto dalla legge, e la popolazione residente interessata dalle agevolazioni non potrà in ogni caso superare il 30% del totale della popolazione residente nell’area urbana; il tasso di disoccupazione nell’area individuata, infine, dovrà essere superiore alla media comunale.

Risulta quindi in modo definitivo, in linea con i principi comunitari e nel rispetto delle regole non prescindibili su aiuti di Stato e libera concorrenza, il respiro urbano dell’iniziativa, che non è destinata a realizzarsi quale comune esempio di fiscalità di vantaggio o di compensazione per la ripresa economica largamente intesa di altri e più vasti territori, ma prima ancora e inequivocabilmente come uno speciale strumento agevolativo, attrattivo di nuovi investimenti in risposta a situazioni eccezionali di disagio socio-economico e di squilibrio tra le diverse aree di una stessa città.

Particolari indicazioni vengono fornite sulla perimetrazione delle aree, che possono coincidere con quartieri o circoscrizioni ma anche con unità urbane altrimenti individuate, per esempio aggregando diverse sezioni censuarie, purchè circoscritte e delimitate in maniera dettagliata, eventualmente in funzione e al fine di una maggiore affidabilità e puntualità degli indicatori statistici ove disponibili e sempre nei limiti demografici stabiliti.

I progetti così formulati saranno inoltrati alle Regioni, che dovranno indicare quelli di interesse prioritario a seguito della valutazione della rispondenza dell’area ai limiti e ai criteri stabiliti dal Cipe, della coerenza e della compatibilità con politiche di investimento già attuate nello stesso territorio, dell’eventualità di un co-finanziamento per un maggiore impatto dell’intervento sulle realtà locali e, infine, della corretta misurazione di un indice di disagio socio-economico.

L’indice, finalizzato a misurare il livello di esclusione sociale all’interno delle aree candidate, sarà ottenuto dalla combinazione del tasso di disoccupazione, del tasso di occupazione, del tasso di concentrazione giovanile e del tasso di scolarizzazione, risultando più esattamente dalla media ponderata degli scostamenti di questi valori dai rispettivi valori medi nazionali.

Non può non venire in particolare considerazione la funzione di filtro attribuita alle Regioni, che acquisiscono in delibera, almeno in parte, ruolo e prerogative che le modifiche introdotte dalla Legge Finanziaria 2008 avevano di molto ridimensionato se non del tutto escluso dal dettato legislativo.

Ma non può non evidenziarsi altrettanto il fine della formula adottata per il calcolo dell’indice di disagio socio-economico, che è presumibilmente quello di favorire una selezione all’origine delle ipotesi fondate e ammissibili al primo vaglio e poi di vincolare quanto più possibile le decisioni di Regioni e MISE a valori e indicatori trasparenti e oggettivi, provenienti da fonti ufficiali e, conseguentemente, a bassa discrezionalità, tanto più bassa quanto maggiore è l’eccezionalità di uno strumento che deve essere necessario, più che ambito, a fronte di uno stato di degrado e quanto più stringenti e severi sono i limiti posti dalla Commissione Europea.

Successivamente, in base allo stesso indice di disagio socio-economico, il Dipartimento per le Politiche di Sviluppo del Ministero per lo Sviluppo Economico valuterà l’ammissibilità delle proposte pervenute e filtrate dalle Regioni.

L’individuazione definitiva, che dunque spetta al MISE-DPS in collaborazione con le Regioni, sarà formalizzata da una distinta delibera del Cipe, che provvederà a decidere in ordine alla allocazione delle risorse finanziarie in virtù del numero delle aree effettivamente ammesse e della loro ampiezza demografica.

La delibera n. 5/2008, pur contenendo altre e diverse specificazioni e importanti passaggi che in questa sede si ritiene di non dover commentare in quanto di interesse esclusivamente operativo, non dispone ulteriormente sulla procedura di presentazione della documentazione da parte delle amministrazioni né su organi e uffici coinvolti: solo dopo la pubblicazione, infatti, il MISE provvederà in tal senso.

In attesa di conoscere anche condizioni, limiti e modalità di applicazione delle esenzioni fiscali in Zona Franca Urbana, che ai sensi dell’art. 1 comma 341 quater della L. n. 296/2006 competono al Ministero dell’Economia, si può in conclusione affermare come compiuto il passaggio decisivo, più articolato e dibattuto verso l’attuazione del dispositivo.

I Comuni interessati potranno sin da subito attivarsi per la stesura delle relazioni tecniche, sulla base di parametri e indicatori che ben poco spazio lasciano a incertezze e rielaborazioni, fatte salve le eventuali priorità stabilite dalle Regioni e nel limite delle risorse impegnate per la sperimentazione e del numero di Zone Franche Urbane previste: non più di 18 sul territorio nazionale e non oltre 3 per regione.

E’ stata registrata il 19 maggio 2008 la Delibera del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica n. 5/2008 recante “Criteri e indicatori per l’individuazione e la delimitazione delle Zone Franche Urbane”, approvata il 30 gennaio 2008 ai sensi dell’art. 1, comma 342, della L. n. 296/2006 (Legge Finanziaria 2007), così come sostituito dall’art. 2, comma 563, della L. n. 244/2007 (Legge Finanziaria 2008).

Il provvedimento, che il 14 febbraio scorso ha superato il vaglio della Conferenza Unificata, sia pure con raccomandazioni e col parere negativo di alcune Regioni, nelle scorse settimane è stato sottoposto al controllo di legittimità della Corte dei Conti, che ha avanzato osservazioni alle quali l’amministrazione ha dato evidentemente adeguato riscontro, e sarà di qui a breve pubblicato.

Solo a decorrere da quella data potranno essere ufficialmente avviate le procedure di individuazione e delimitazione delle Zone Franche Urbane, che dovranno esaurirsi entro 60 giorni.

Il testo conferma in premessa come le modifiche apportate al dispositivo originario dalla Legge Finanziaria 2008 si siano rese necessarie allo scopo di recepire le osservazioni avanzate, in fase di pre-notifica informale, dalla D.G. Concorrenza della Commissione Europea, alla quale peraltro spetterà l’autorizzazione definitiva ai sensi dell’art. 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità Europea: sotto questa luce va allora letto il complesso normativo adesso arricchito dai criteri formulati dal Cipe, in particolare per quanto riguarda la caratterizzazione prettamente urbana della misura, la destinazione a quartieri e circoscrizioni e i limiti di popolazione residente, l’applicazione a beneficio di piccole e micro imprese, il sostegno all’occupazione locale e non precaria e soprattutto la novità più rilevante, ovvero l’eliminazione del riferimento al Mezzogiorno e la possibilità che le Zone Franche Urbane siano istituite su tutto il territorio nazionale (Per ulteriori approfondimenti sulle modifiche a seguito delle osservazioni avanzate dalla Commissione Europea, sia consentito rinviare allo stesso autore, “Le Zone Franche Urbane nel Disegno di Legge Finanziaria 2008. Commento alle modifiche, spunti di riflessione giuridica e considerazioni generali”, pubblicato su Filodiritto (www.filodiritto.com), https://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=792).

Secondo la delibera, saranno i Comuni a dover assumere l’iniziativa formale, ovvero identificare le aree o i quartieri eleggibili, in quanto caratterizzati da particolari situazioni di disagio socio-economico e bisognosi di interventi per lo sviluppo e l’occupazione, e redigere progetti finalizzati alla riqualificazione delle zone individuate mediante azioni a vantaggio dell’impresa ma anche di carattere socio-assistenziale.

Di fondamentale rilevanza, e anche di una certa difficoltà per quei Comuni che non dispongono di statistiche a livello infracomunale, sarà motivare tecnicamente e documentare le proposte e le scelte, facendo ricorso a indicatori di fenomeni di esclusione sociale e di crisi economica e nel contempo di potenzialità inespresse e di pronta valorizzazione.

Ma non tutti i Comuni avranno la facoltà di proporre l’istituzione di una Zona Franca Urbana né tutte le aree genericamente caratterizzate da disagio sociale ed economico potranno essere identificate quali Zone Franche Urbane: dovrà trattarsi infatti di Comuni con un numero di abitanti non inferiore a 25000 e ricadenti nel territorio di un Sistema Locale del Lavoro avente un tasso di disoccupazione superiore alla media nazionale; le Zone Franche Urbane poi dovranno avere una dimensione demografica minima di 7500 abitanti e massima di 30000, come previsto dalla legge, e la popolazione residente interessata dalle agevolazioni non potrà in ogni caso superare il 30% del totale della popolazione residente nell’area urbana; il tasso di disoccupazione nell’area individuata, infine, dovrà essere superiore alla media comunale.

Risulta quindi in modo definitivo, in linea con i principi comunitari e nel rispetto delle regole non prescindibili su aiuti di Stato e libera concorrenza, il respiro urbano dell’iniziativa, che non è destinata a realizzarsi quale comune esempio di fiscalità di vantaggio o di compensazione per la ripresa economica largamente intesa di altri e più vasti territori, ma prima ancora e inequivocabilmente come uno speciale strumento agevolativo, attrattivo di nuovi investimenti in risposta a situazioni eccezionali di disagio socio-economico e di squilibrio tra le diverse aree di una stessa città.

Particolari indicazioni vengono fornite sulla perimetrazione delle aree, che possono coincidere con quartieri o circoscrizioni ma anche con unità urbane altrimenti individuate, per esempio aggregando diverse sezioni censuarie, purchè circoscritte e delimitate in maniera dettagliata, eventualmente in funzione e al fine di una maggiore affidabilità e puntualità degli indicatori statistici ove disponibili e sempre nei limiti demografici stabiliti.

I progetti così formulati saranno inoltrati alle Regioni, che dovranno indicare quelli di interesse prioritario a seguito della valutazione della rispondenza dell’area ai limiti e ai criteri stabiliti dal Cipe, della coerenza e della compatibilità con politiche di investimento già attuate nello stesso territorio, dell’eventualità di un co-finanziamento per un maggiore impatto dell’intervento sulle realtà locali e, infine, della corretta misurazione di un indice di disagio socio-economico.

L’indice, finalizzato a misurare il livello di esclusione sociale all’interno delle aree candidate, sarà ottenuto dalla combinazione del tasso di disoccupazione, del tasso di occupazione, del tasso di concentrazione giovanile e del tasso di scolarizzazione, risultando più esattamente dalla media ponderata degli scostamenti di questi valori dai rispettivi valori medi nazionali.

Non può non venire in particolare considerazione la funzione di filtro attribuita alle Regioni, che acquisiscono in delibera, almeno in parte, ruolo e prerogative che le modifiche introdotte dalla Legge Finanziaria 2008 avevano di molto ridimensionato se non del tutto escluso dal dettato legislativo.

Ma non può non evidenziarsi altrettanto il fine della formula adottata per il calcolo dell’indice di disagio socio-economico, che è presumibilmente quello di favorire una selezione all’origine delle ipotesi fondate e ammissibili al primo vaglio e poi di vincolare quanto più possibile le decisioni di Regioni e MISE a valori e indicatori trasparenti e oggettivi, provenienti da fonti ufficiali e, conseguentemente, a bassa discrezionalità, tanto più bassa quanto maggiore è l’eccezionalità di uno strumento che deve essere necessario, più che ambito, a fronte di uno stato di degrado e quanto più stringenti e severi sono i limiti posti dalla Commissione Europea.

Successivamente, in base allo stesso indice di disagio socio-economico, il Dipartimento per le Politiche di Sviluppo del Ministero per lo Sviluppo Economico valuterà l’ammissibilità delle proposte pervenute e filtrate dalle Regioni.

L’individuazione definitiva, che dunque spetta al MISE-DPS in collaborazione con le Regioni, sarà formalizzata da una distinta delibera del Cipe, che provvederà a decidere in ordine alla allocazione delle risorse finanziarie in virtù del numero delle aree effettivamente ammesse e della loro ampiezza demografica.

La delibera n. 5/2008, pur contenendo altre e diverse specificazioni e importanti passaggi che in questa sede si ritiene di non dover commentare in quanto di interesse esclusivamente operativo, non dispone ulteriormente sulla procedura di presentazione della documentazione da parte delle amministrazioni né su organi e uffici coinvolti: solo dopo la pubblicazione, infatti, il MISE provvederà in tal senso.

In attesa di conoscere anche condizioni, limiti e modalità di applicazione delle esenzioni fiscali in Zona Franca Urbana, che ai sensi dell’art. 1 comma 341 quater della L. n. 296/2006 competono al Ministero dell’Economia, si può in conclusione affermare come compiuto il passaggio decisivo, più articolato e dibattuto verso l’attuazione del dispositivo.

I Comuni interessati potranno sin da subito attivarsi per la stesura delle relazioni tecniche, sulla base di parametri e indicatori che ben poco spazio lasciano a incertezze e rielaborazioni, fatte salve le eventuali priorità stabilite dalle Regioni e nel limite delle risorse impegnate per la sperimentazione e del numero di Zone Franche Urbane previste: non più di 18 sul territorio nazionale e non oltre 3 per regione.