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L'avvocatura ieri, oggi e domani

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L'avvocatura ieri, oggi e domani

La moderna avvocatura: tra presente e futuro e con le radici di un importante passato

 

In pochi anni siamo passati dalle ricerche sui pesanti repertori di giurisprudenza a quelle velocissime su banche dati in cloud che hanno permesso di fare spazio sulle nostre librerie.

Non ci troviamo più, con i colleghi e le controparti in tribunale, prima di andare a discutere in udienza, per prendere insieme un caffè: nei nostri studi ci interfacciamo con impersonali monitor e scambiamo memorie e repliche sui portali della giustizia.

Sono terminate le chilometriche file per le notifiche e con pochi click siamo certi che il nostro atto è giunto a destinazione.

I clienti non sono più quelli che ascoltano con attenzione ogni consiglio e parola del proprio legale perché sanno già quale è la soluzione: hanno fatto ricerche in internet e guai a contraddirli; hanno già parlato con qualcuno che ha risolto lo stesso problema in pochi minuti a zero costi; conoscono già le tariffe di mercato e cercano anche chi ne offra di più basse. Peggio quando sono quelli che hanno un’idea completamente distorta di come realmente funziona la giustizia di cui si sono creati un’immagine mitica guardando una pessima TV diseducativa e si aspettano un giudice paterno che li ascolta in silenzio con toga e martelletto.

È questo lo stato dell’arte; è questa la situazione che in pochi anni ha cambiato completamente lo scenario operativo della giustizia e del modo di fare l’avvocato. Bello? Brutto? Sbagliato? Non sono interrogativi da porsi: ne dobbiamo solo prendere atto e capire che il nostro modo di fare l’avvocato deve adattarsi a questa nuova società: quella della rivoluzione digitale e di un cambiamento della nostra clientela.

Ma questa è solo una delle facce della medaglia, dobbiamo considerare anche il nostro principale interlocutore; quella che è forse la nostra vera controparte: la magistratura. E questa deve essere ben distinta nelle sue due componenti: i magistrati e la macchina burocratica ministeriale e degli uffici giudiziari che troviamo spesso sbarrati anche senza il pretesto del periodo emergenziale pandemico che, diciamolo chiaramente, ha solo accelerato verso

Ritardi dovuti agli avvocati che vogliono allungare le cause per lucrare pingui parcelle? Un luogo comune del quale difficilmente riusciremo a liberarci. Non è semplice farlo capire ad una clientela spesso saccente e pretenziosa che il nostro interesse è proprio quello opposto: noi non abbiamo stipendi garantiti, ferie pagate, una pingue pensione e personale stipendiato dallo Stato a nostra disposizione e, a differenza dei magistrati, siamo oggetto di valutazione quotidiana da parte dei nostri clienti mentre il corporativismo di categoria frena una riforma che permetterebbe giudizi basati sul merito per l’avanzamento delle loro carriere.

Un coacervo di lamentele? No, semplicemente un prendere atto del contesto che affrontiamo quotidianamente con un’unica certezza: il nostro introito fisso mensile garantito è “zero” (praticanti e aspiranti avvocati ne prendano debita nota: anche il grande studio può perdere domani il suo miglior cliente). Lo sapevamo quando abbiamo deciso di dedicarci a questa professione in cui però continuo a credere come penso la stragrande maggioranza dei miei Colleghi e continuiamo ad essere presenti ogni giorno, nelle trincee rappresentate dai nostri studi e dalle aule di tribunale purtroppo sempre più vuote.

Non dimentichiamo infatti che la nostra professione ha subìto un crollo anche a seguito dell’introduzione di sistemi giudicati deflattivi ma che, in realtà, sono solo palliativi onerosi che hanno cercato di sostituirsi a quell’attività conciliativa che ogni buon avvocato compie sempre al momento in cui riceve un incarico. Inoltre, l’aumento degli iscritti ha inevitabilmente portato a forme di concorrenza selvaggia al ribasso dei prezzi e tutto ciò ha portato anche ad improbabili piattaforme a cui potersi iscrivere (pagando) per offrire ai loro iscritti una prima consulenza gratuita e garantire una scontistica predefinita. Insomma, la possibilità di essere scelti al ribasso come allo stock dell’invenduto.

Credo non ci meritiamo tutto ciò. Credo sia il momento di ridare una dignità all’avvocatura e a chi con difficoltà ma con orgoglio se ne sente parte integrante e indossa la toga come una seconda pelle.

Cosa possiamo fare nel nostro piccolo? Con il poco tempo residuo dai nostri impegni professionali, familiari, personali e impegnati a cercare nuovi clienti e a non perdere quelli che abbiamo non è facile. Ma è necessario riflettere che l’avvocatura non è più quella del passato, dei grandi oratori che richiamavano le folle sotto le finestre dei Tribunali per udire le loro arringhe e che3 ricevevano sussiegosi clienti che pendevano dalle loro labbra. Oggi noi dobbiamo essere dei tecnici calati nella nostra realtà, a stretto contatto con la società moderna, i suoi cambiamenti e un nuovo tipo di clienti. Ma sempre orgogliosi del nostro essere avvocati.