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Social e minori: dubbi sulla validità di contratti sottoscritti da minori

E se tutte le iscrizioni ai social di minori fossero invalide?
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Minori e social: dubbi sulla validità di contratti sottoscritti da minori: e se tutte le iscrizioni ai social di minori fossero invalide?

Già non esistevano dubbi; lo aveva stabilito il TAR del Lazio e la decisione era stata confermata dal Consiglio di Stato: l’iscrizione ad un social è un contratto a titolo oneroso, concluso mediante formulari, predisposti unilateralmente dal proponente ed a prestazioni corrispettive.

L’utente paga per utilizzare la piattaforma con i suoi dati personali che possono così essere utilizzati. Il principio è stato ribadito da una sentenza dello scorso anno della Corte d’Appello de L’Aquila che, confermando un’ordinanza del Tribunale locale, ha compiuto un’attenta disamina della fattispecie e analizzato le condizioni di utilizzo della piattaforma social che, ben possiamo considerare “Condizioni generali di contratto” ai sensi dell’art.1341 C.C. e che devono essere interpretate nel dubbio, a favore dell’altro» (art. 1370 C.C.).

La vicenda che ha dato origine alla sentenza è stata la richiesta di risarcimento danni da parte di un utente che si era visto chiudere il profilo più volte a causa della pubblicazione di post che erano stati considerati contrari agli standard della community unilateralmente da parte di Facebook.

Il provvedimento della Corte abruzzese riporta i termini negoziali usati da Facebook (oggi Meta), secondo cui Anziché richiedere all'utente un pagamento per l'utilizzo di Facebook o degli altri prodotti e servizi coperti dalle presenti Condizioni, Facebook riceve una remunerazione da parte di aziende e organizzazioni per mostrare agli utenti inserzioni relative ai loro prodotti e servizi.

Il sistema utilizzato è quello noto che, purtroppo, sfugge all’utente: Facebook non cede (perlomeno così dichiara) i dati degli utenti ai suoi inserzionisti, ma mette a loro disposizione un’immensa banca dati, che viene ogni giorno ampliata dal popolo della rete per permettere la visualizzazione di contenuti personalizzati sugli interessi di ciascun singolo utente.

Nel caso in questione l’utente si era considerato danneggiato da quella che è stata ritenuta una violazione dei termini di contratto da parte di Facebook e la Corte di Appello ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per l’illegittimità dei ban a cui era stato sottoposto.

Per completezza si deve fare presente che in sede di appello è stato sensibilmente ridotto l’importo riconosciuto in primo grado e la Corte ha precisato che nel nostro ordinamento non sono previsti i danni punitivi. Ma i termini della sentenza pongono alcuni interrogativi a cui verosimilmente dovrà essere il legislatore a dare una urgente risposta.

Il nostro Codice civile prevede che la capacità di agire, vale a dire quella di concludere contratti che comportino disposizioni patrimoniali si raggiunge al compimento della maggiore età: diciotto anni. Il limite di età previsto nel nostro ordinamento per l’iscrizione ai social è fissato a quattordici anni, due in meno di quanto previsto dal GDPR che prevede per la liceità del trattamento dati che il consenso possa essere dato al compimento del sedicesimo anno.

Di fatto ben sappiamo che migliaia, se non milioni, di adolescenti se non addirittura anche bambini, si iscrivono sui social semplicemente mentendo sull’età. Controlli pari a zero.

Su TikTok, la piattaforma che va per la maggiore tra i giovanissimi e che ha creato star bambini che furoreggiano, il limite è tredici anni.

Ergo, ci troviamo con milioni di utenti, senza capacità di agire, che hanno pagato per utilizzare i social con quel bene prezioso che sono i loro dati personali, concessi in uso ai gestori delle piattaforme. Si tratta di un pagamento di modico valore, come acquistare una maglia alla moda o un gelato, quelli che secondo un illustre autore come Rescigno, non sono pregiudizievoli al soggetto, oppure ci troviamo di fronte ad un negozio della vita quotidiana che permette a un minore di partecipare alla vita di relazione, secondo le normali esigenze della sua personalità a condizione che abbia raggiunto la capacità di discernimento e la consapevolezza delle sue azioni?

Da un lato la risposta istintiva ben potrebbe essere un sì, considerato che i social sono parte integrante, se non essenziale dell’interagire di oggi, Ma a ben vedere il corrispettivo richiesto, e ben utilizzato, da parte del fornitore del servizio sono beni estremamente preziosi di cui difficilmente un giovanissimo si rende conto del valore.

Inoltre, andando a spulciare alcune di queste informative, ad esempio quella di TikTok, si legge che “quando decidi di importare i tuoi contatti, noi raccogliamo informazioni dalla rubrica telefonica del tuo dispositivo o i tuoi contatti dei social media. usiamo queste informazioni per aiutarti a creare nuove connessioni sulla piattaforma quando stai usando la nostra funzione ‘trova amici’ e per suggerire il tuo account ad altri utenti.”

Chissà quanti dati di mamme e papà sono stati trasmessi a TikTok da figli che, iscrivendosi e mentendo sull’età, dubito fortemente abbiano letto l’informativa.

Tuttavia, in questo contesto, i social a causa delle loro dimensioni e dell’importanza dell’argomento sono solo la punta dell’iceberg. Basta infatti leggere alcune informative di app per giochi e scoprire che per alcune delle più popolari, scaricabili dagli store online, “Lo sviluppatore non ha fornito dettagli sulle proprie procedure per la tutela della privacy e il trattamento dei dati. E rimandano a pagine magari scritte in cinese.

Per il momento possiamo iniziare ad avanzare dubbi sulla validità di contratti sottoscritti da minori incapaci di contrarre e che hanno pagato con la loro identità digitale (e forse anche quella di genitori e amici), ma resta aperto il problema sui limiti di età per l’iscrizione ai social.