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La criminalità minorile associativa

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La criminalità minorile associativa

 

L'età imputabile nel Diritto Penale

 

Vigoni (2016)[1] non nasconde, con afferenza agli Artt. 97 e 98 CP, che “i nodi più problematici da sciogliere sono quello dell'età a partire dalla quale un soggetto entra a contatto con il Diritto Penale e, viceversa, quello dell'età al di sotto della quale un soggetto che viola le norme penali non è imputabile. La definizione di queste due soglie viene sovente messa in discussione: su entrambi influiscono diversi fattori, che le rendono, per così dire, delle frontiere mobili”. Per parte sua, Padovani (2017)[2] precisa che norme come i predetti Artt. 97 e 98 CP sono indispensabili sotto il profilo della certezza del Diritto; tuttavia, “[tali] presunzioni, basandosi, come tutti i giudizi presuntivi, sull' id quod plerumque accidit, possono poi non attagliarsi alla generalità delle situazioni che sono destinate ad abbracciare”. Dunque, Padovani (ibidem)[3] invita l'interprete alla contestualizzazione della ratio dell'imputabilità, in tanto in quanto esistono minori che manifestano una notevole maturità già prima del compimento degli anni 14. P.e., i ragazzi rom recano un grado di discernimento che mette ontologicamente in dubbio l'assolutezza e la veridicità degli Artt. 97 e 98 CP. Anche Abukar Hayo (2010)[4] mette in evidenza che taluni infrattori, in certi casi concreti, recano una “capacità d'intendere e di volere” non sussumibile entro i canoni ermeneutici decisi dal Legislatore negli Artt. 97 e 98 CP.

D'altra parte, in Dottrina, negli Anni Duemila, svariati Autori, tra cui Antolisei (2003)[5] rimarcano l'esistenza di infra-14enni già pronti, perlomeno in linea teorica, a confrontarsi con l'AG in condizioni di perfetta imputabilità. Di nuovo, il pensiero di chi redige corre ai minorenni appartenenti all'etnia zingara. Oppure ancora, vi sono individui dai 14 ai 17 anni d'età nei confronti dei quali l'attenuazione sanzionatoria ex Art. 98 CP non ha alcun senso pratico. P.e., Marinucci & Dolcini & Gatta (2020)[6] sostengono che, pur nel rispetto dell'automatismo di cui all'Art. 97 CP. “esistono 13-enni che dimostrano di aver raggiunto la piena capacità di rendersi conto di quello che fanno e di dominare le loro scelte di comportamento”. D'altra parte, pure Abukar Hayo (ibidem)[7] diminuisce la piena precettività dell'Art. 98 CP quando il ragazzo compie “reati molto gravi, il cui disvalore è facilmente percepibile, [quindi] la valutazione sarà più rigorosa e più difficilmente verrà riconosciuta l'incapacità d'intendere e di volere”. Nuovamente, pertanto, la Dottrina esorta il Magistrato del merito a contestualizzare ciascuna singola fattispecie processuale.

Galuppi & Grasso (1993)[8] hanno notato che “negli ultimi anni, una parte della Dottrina ha messo in discussione questa netta suddivisione tra fasce d'età [negli Artt. 97 e 98 CP]. Alcuni Autori ritengono infatti che, nell'attuale temperie, vi sia uno sviluppo più precoce della persona e che sia necessario, quindi, un abbassamento dell'età per essere ritenuti imputabili”. Similmente, Marinucci & Dolcini & Gatta (ibidem)[9] hanno asserito la discutibilità del limite dei 14 anni, specialmente allorquando l'ultra-13enne si rende protagonista di forme criminali associative o commette delitti di strada. Diametralmente opposta, viceversa, è l'opinione di Dünkel (2004)[10], a parere del quale “oggigiorno, si riscontra un rallentamento del processo di assunzione di responsabilità; ciò suggerisce il bisogno di uno spostamento in avanti della soglia di ingresso nel processo penale […] Negli ultimi cinquant'anni, il periodo di formazione professionale e di integrazione nella vita professionale e familiare degli adulti (fondazione di una famiglia …) perdura oltre l'età dei vent'anni.

Per i giovani adulti, e anche per i giovani di età fino ai 25 anni, saranno, di conseguenza, tipiche le situazioni di crisi ed i problemi di natura psicologica dell'età evolutiva”. Analoghe osservazioni vengono espresse da Pulitanò (2021)[11], ovverosia “nell'ultimo secolo c'è stata un'anticipazione significativa della maturità puberale […], alla quale, tuttavia, non è seguita una parallela anticipazione della maturità cerebrale”. Gli asserti di Pulitanò (ibidem)[12] si attagliano perfettamente alla fattispecie dell'ultra-12enne contemporaneo/a, precocemente sessualizzato/a, ancoché privo di freni inibitori contro gli impulsi etero-lesivi. A proposito dell'Art. 97 CP, Manna (2020)[13] si dissocia dall'esegesi tradizionale ed afferma che “nell'attuale contesto sociale, economico e culturale, il minore infra-14enne è senza dubbio in grado di autodeterminarsi, grazie, soprattutto, ai moderni mezzi di comunicazione di massa, che ne accelerano lo sviluppo. Tuttavia, l'attuale apparato sanzionatorio per gli imputabili, e in particolare la pena detentiva, non appare la sanzione adeguata ad un minore degli anni 14. Sarebbe auspicabile, quindi, la creazione di un circuito sanzionatorio ad hoc con forti connotazioni rieducative”.

Parimenti, Abukar Hayo (2019)[14] ipotizza, de jure condendo, uno specifico apparato sanzionatorio per i rei infra-14enni, purché tale prospettiva penale sia “proporzionata” all'età ed alla pericolosità oggettiva del danno arrecato. Ecco, un'altra volta, in Abukar Hayo (2019)[15] un invito alla contestualizzazione soggettiva ed oggettiva dell'analisi del reato. E', pertanto, necessario analizzare le singole specificità di ciascuna infrazione penale, la cui gravità, come insegna l'Art. 133 CP, non va mai standardizzata. La sanzione, nella Giuspenalistica, non è mai una formula matematica astratta e prescindente dal contesto concreto. Ogni illecito minorile reca una sua propria oggettività e soggettività. Tuttavia, come osserva De Francesco (2008)[16], anche in Italia non mancano le spinte populiste, che esasperano la situazione “nella convinzione di offrire una soluzione rapida, efficace, ma soprattutto capace di placare, nell'immediatezza, l'allarme sociale e di soddisfare l'esigenza di sicurezza dei cittadini”. Le parole di De Francesco (ibidem)[17] mettono in evidenza la piaga di un sistema mass-mediatico che crea uno stato emergenziale perenne e che allarga strumentalisticamente le dimensioni del fenomeno della criminalità adolescenziale. Con attinenza al rischio di un giustizialismo atecnico, Larizza (2005)[18] ha notato che “l'instabilità caratterizza l'attuale approccio normativo non solo in Italia, ma anche in diverse esperienze legislative europee, che, nell'ultimo periodo, hanno abbassato l'età dell'imputabilità rilevante ai fini penali, quasi come se la scelta di far entrare nel sistema penale un minore a 10, a 12, ovvero a 14 anni non fosse gravida di conseguenze”. D'altronde, anche Dünkel (ibidem)[19] mette in risalto che “è necessario evitare ai minori un contatto troppo precoce con il sistema penale, per via delle influenze negative che ciò potrebbe esercitare sull'armonico sviluppo del bambino” Normativamente, la Convenzione ONU del 1989 sui diritti del fanciullo, al comma 3 Art. 40, sancisce che “è auspicabile trattare i fanciulli senza far ricorso a procedimenti giudiziari e a condizione che i diritti umani e le garanzie legali siano pienamente rispettati”.

Da menzionare sono pure le Regole di Pechino del 1985, ai sensi delle quali l'età minima dell'imputabilità va abbassata soltanto entro i limiti di un garantismo equo e proporzionato. A sua volta, la Risoluzione ONU 40/33 del 1985 invita gli Stati firmatari a massimizzare, per i minorenni, la ratio rieducativa e ad adottare la carcerazione degli adolescenti come un'extrema ratio da applicare solamente nei casi di grave o gravissima antisocialità. In Dottrina, Vigoni (2005)[20] sottolinea che “se l'età della responsabilità penale è fissata troppo in basso, o se non ci fosse affatto un limite minimo di età, l'età della responsabilità diverrebbe senza significato […]. [Nel Diritto Internazionale] dovrebbero quindi essere compiuti sforzi per stabilire un ragionevole limite minimo di età che sia applicabile in tutti i Paesi”. Sempre nella Letteratura criminologica, van Bueren (1998)[21] si manifesta anch'egli garantista e precisa che “bisogna escludere [nel Diritto transnazionale] la legittimazione degli Stati a fissare limiti di età eccessivamente bassi, che non tengono in considerazione lo sviluppo e la maturità del minore”. Il Consiglio d'Europa, nella Raccomandazione CM/Rec (2008)11, all'Art. 4, statuisce che “l'età minima per l'imposizione di sanzioni in conseguenza alla commissione di un reato non dev'essere troppo bassa e dev'essere predeterminata dalla legge […]. L'età imputabile deve corrispondere ad un'età accettabile a livello internazionale […] la soglia minima […] dev' essere collegata all'età in cui i minori acquisiscono responsabilità in altri ambiti, quali il matrimonio, la fine della scuola dell'obbligo ed il diritto a svolgere un'attività lavorativa”. Peraltro, nella maggior parte degli Stati europei, il limite dei 14 anni è quasi unanime nei vari Ordinamenti penali. Ciononostante, la soglia rimane inferiore in alcuni Paesi occidentali, come il Regno Unito, la Svizzera e gli USA.

 

Analisi criminologica della criminalità giovanile

Secondo Centonze (2005)[22], “negli ultimi anni, i risultati delle ricerche scientifiche hanno favorito l'ingresso delle neuroscienze nel processo penale che coinvolge imputai adulti. Gli ambiti di applicazione, tuttavia, hanno riguardato quasi esclusivamente la valutazione della prova scientifica o della capacità di intendere e di volere dell'imputato. Per contro, se si volge lo sguardo al Diritto Minorile, è agevole constatare come lo stesso sia stato interessato solo in minima parte dalla contaminazione neuroscientifica, sebbene le metodologie di esplorazione funzionale del cervello e le tecniche di neuroimaging abbiano implementato sensibilmente anche la conoscenza del funzionamento e dello sviluppo del cervello degli individui minorenni”. Chi redige reputa inquietante la fiducia di Centonze (ibidem)[23] nei confronti delle neuroscienze, le quali appoggiano una Medicina tracotante ed onnipresente, che pretende di ampliare a dismisura le categorie patologiche contenute negli Artt. 85, 88 ed 89 CP. Il rischio insito nell'abuso della neuropsichiatria è quello di addivenire ad un'impostazione eugenetica che “patologizza” il reo, predicandone, a tutti i costi, la deficienza psichica, sia essa parziale o totale.

Purtroppo, anche Corda (2014)[24] non prende le distanze dall'ermeneutica neuroscientifica e giunge ad asserire che “la giustizia minorile costituisce un terreno particolarmente fertile, in grado di recepire sia gli studi delle neuroscienze cognitive, che analizzano i meccanismi biologici sottesi ai processi cognitivi ed i substrati neurali dei processi mentali ( percezioni, decisioni, memoria, emozione, linguaggio ed apprendimento) sia quelli delle neuroscienze comportamentali, che focalizzano, invece, l'attenzione sui comportamenti aggressivi ed antisociali, nel tentativo di individuare espressioni o predisposizioni geneticamente rilevanti”. Di nuovo, Corda (ibidem)[25], più o meno consapevolmente, apre la strada alla dittatura della perizia psichiatrica nel procedimento penale. Si tratta di un primo passo che conduce alle teorie biopsichiche e deterministiche di Lombroso e dei suoi seguaci. La tecnica del neuroimaging mira a sostituire il Medico al Magistrato. Per conseguenza, come già accade negli USA, il detenuto è ridotto ad un malato da curare e non ad un infrattore da educare.

Come afferma Merzagora Betsos, in svariate sue recenti Opere, l'approccio neuroscientifico afferma, più o meno direttamente, che delinque il cervello e che la patologia toglie sempre o quasi sempre l'imputabilità. Più moderato è Carriero (2009)[26], secondo cui “il tema dell'imputabilità del minorenne, pur nella sua schietta connotazione giuridico-penalistica, non può prescindere dalla considerazione della dimensione extra-giuridica della minore età, che si compone di elementi variabili, diversificati e sfuggenti, legati sia all'essenza stessa della persona minorenne e della sua personalità, in evoluzione, sia alla considerazione sociale assegnata all'età minorile”. Come si può notare, Carriero (ibidem)[27] non nega totalmente la bontà epistemologica delle neuroscienze, ma, al contempo, sottolinea la presenza, nell'adolescente, di una “dimensione extra-giuridica” sia medico-forense sia, soprattutto, criminologica, dunque ambientale e pedagogica. La psichiatria, in Carriero (ibidem)[28] costituisce soltanto una delle possibili chiavi di lettura della criminogenesi.

Parimenti, Amisano (2005)[29] evidenzia che “il canone dell'imputabilità si pone al crocevia tra il sapere giuridico e quello medico e determina una nozione che è stata traslitterata, dalla Giurisprudenza minorile, nel concetto di maturità, che, a sua volta, è stato definito come un costrutto da riempire e di difficile definizione”. Pertanto, anche Amisano (ibidem)[30] prende le distanze da una “psicologizzazione” oltranzista del minorenne delinquente, in tanto in quanto la personalità del reo infra-18enne non è per nulla riconducibile alle classificazioni rigide ed apodittiche del DSM-V. E' necessario prendere le distanze da una psichiatria che si autoproclama onnipotente e che pretende di fornire una tassativa interpretazione medico-forense degli Artt. 85, 88 ed 89 CP. Pure Palomba (1989)[31] ripropone la supremazia o, quantomeno, l'indipendenza del Diritto Penale dalle neuroscienze, giacché, nel minorenne infrattore, l'essere più o meno capace di intendere e di volere indica “il livello di maturazione individuale sotto il profilo fisiologico, psicologico e [anche, ndr] sociale, il che presuppone la consapevolezza dell'antigiuridicità dell'atto deviante e, di conseguenza, la capacità di determinare il proprio comportamento”. Come si nota, Palomba (ibidem)[32] sottolinea la presenza di un profilo “[anche] sociale” nell'analisi della “maturità” dell'infra-18enne che ha delinquito.

Ecco, dunque, il ruolo non sostituibile della Criminologia, la quale non si concentra solo sugli eventuali handicaps mentali, ma pure sugli influssi criminogenetici delle agenzie di controllo, del quartiere e del gruppo dei pari. Esistono, in effetti, variabili non misurabili con la semplice analisi della salute del cervello. Il Magistrato non può e non deve limitarsi ad un'interpretazione meramente psico-attitudinale degli Artt. 85, 88 ed 89 CP. Oppure ancora, l'abuso di alcol e/o di sostanze illecite è un fenomeno socialmente e familiarmente condizionato, dunque non limitato alla psicopatologia deterministicamente intesa. D'altronde, una lettura non solo psicologica degli Artt. 85, 88 ed 89 CP è proposta pure da Lanotte & Capri (1997)[33], a parere dei quali “in età evolutiva, il processo di strutturazione delle funzioni psichiche, in particolar modo percettive, viene considerato, nella Letteratura specializzata, ancora in fieri, dove la labilità, nei bambini, e l'ambivalenza, negli adolescenti, dei confini tra il mondo interno ed esterno, fra il sé ed il non sé, fra i vissuti soggettivi e l'esame della realtà appare la caratteristica predominante dell'organizzazione di personalità”. Il pregio di Lanotte & Capri (ibidem)[34] consta, senza dubbio, nell'aver proposto un'analisi pedagogica della “personalità” del minore, che non deve essere valutato, esclusivamente e monotematicamente, attraverso le categorie della Medicina. I due Autori testé citati, con i loro asserti, affrancano gli Artt. 85, 88 ed 89 CP dal ruolo prepotente e predominante della psicopatologia forense. Per conseguenza, il giudice non è vincolato, in maniera supina, dalla perizia psichiatrica sull'infrattore infra-18enne. Analogo è il parere di Goleman (1996)[35], il quale postula che “il processo di maturazione si configura come un graduale passaggio di un individuo da un fase di disorganizzazione psicologica, caratteristica fisiologica e normale nei primi anni di vita, all'integrazione di coerenza, costruttività, assertività, creatività dell'età matura e più adulta”.

Si nota, anche in Goleman (ibidem)[36], un approccio eminentemente pedagogico-evolutivo che nulla ha a che vedere con l'ingannevole parvenza di scientificità del neuroimaging. Dunque, pure il Dottrinario qui in parola evita accuratamente di “medicalizzare” la ratio della “capacità di intendere e di volere” ex Artt. 85, 88 ed 89 CP, in tanto in quanto l'Operatore minorile è tenuto ad utilizzare, anzitutto e soprattutto, i canoni interpretativi del Diritto, della pedagogia e della criminologia. Per parte loro, Citterio & Piscopo & Rasio (1974)[37] invitano anch'essi il giudice dei minorenni a far prevalere valutazioni giuridiche, anziché mediche, con afferenza al concetto di “maturità/immaturità mentale” dell'infra-18enne che delinque; infatti, a parere di Citterio & Piscopo & Rasio (ibidem)[38], un conto è “una formula impiegata nelle sedi giudiziarie” mentre un altro conto è il profilo psicopatologico dell'infermità/seminfermità. Detto in altri termini, l'”immaturità” sta alla “risocializzazione”, ex comma 3 Art. 27 Cost., come, viceversa, la deficienza psichica sta alla diversa nozione di “cura”. Ciò premesso, diviene altrettanto indispensabile calare la ratio della “maturità” nell'altrettanto difficile ambito di quella fase dello sviluppo denominata “adolescenza”.

 

L'adolescenza: problemi ed interpretazioni

Nella loro magistrale definizione dell'adolescenza, gli anglofoni Herting & Sowell (2017)[39] precisano che “l'adolescenza rappresenta un momento di profonde trasformazioni strutturali e funzionali del sistema nervoso, che si verificano durante la crescita, accompagnate da variazioni ormonali e biologiche, stimoli culturali e psicosociali. I fenomeni neurobiologici dell'adolescente sono associati a cambiamenti nella sfera cognitiva ed emotiva, che gli permettono di sviluppare nuove capacità di adattamento mentale, comportamentale e socio-affettivo”. Malaugurevolmente, Larsen & Luna (2018)[40] si manifestano maggiormente legati all'apoditticità delle neuroscienze e puntualizzano che “l'adolescenza è una fase di grandi cambiamenti a livello cerebrale, poiché hanno luogo molti processi importanti che tendono a facilitare lo sviluppo dei circuiti neurali vitali. Tali processi includono la riduzione della materia grigia corticale, cambiamenti nei modelli intrinseci di connettività, mielinizzazione di circuiti critici ed alterazioni dell'attività metabolica, dei livelli ormonali, della densità dei recettori e dei livelli dei neurotrasmettitori. Alcuni di questi cambiamenti si verificano prima dei 18 anni, altri si concludono solo dopo un lungo periodo di tempo”. Le osservazioni di Larsen & Luna (ibidem)[41] sono accettabili e pertinenti, purché esse non si spingano verso il pericoloso lido del determinismo biopsichico lombrosiano.

L'essenziale, a parere di chi redige, è di non ridurre l'età evolutiva ad un mero “processo di maturazione delle fibre nervose”; ciò, infatti, significherebbe alimentare il Leviatano di una Medicina tracotante ed onnipresente. Ognimmodo, è innegabile che, prima dei 20 anni, l'adolescente manifesta una maggiore impulsività ansiosa per via della non totale maturazione della corteccia prefrontale. Ciononostante, consta che gli Artt. 97 e 98 CP reputano non del tutto inimputabile il minore ultra-13enne, che, tuttavia, non ha ancora concluso la mielinizzazione delle proprie cellule nervose. Ora, secondo Maggiolini (2019)[42], nell'ultimo secolo, si è verificata una “anticipazione significativa della maturazione puberale”, che, sino agli Anni Cinquanta dell'Ottocento, avveniva soltanto verso i 15/16 anni d'età, mentre, dal Novecento in poi, la pubertà femminile si verifica verso i 12 anni e quella maschile verso i 13/14 anni d'età. A tal proposito, in ogni caso, Twenge (2018)[43] mette in risalto che “[questa] anticipazione della pubertà […] non comporta necessariamente una parallela anticipazione della maturazione e dei comportamenti adulti. L'attuale generazione di adolescenti, i cosiddetti nativi digitali, è caratterizzata da una tendenza al ritiro sociale più che all'esternalizzazione dei comportamenti impulsivi e trasgressivi. I giovani d'oggi sono meno ribelli, [ma anche] più infelici e tendono a ritardare le tappe d'ingresso nel mondo adulto, invece di anticiparle. C'è, quindi, negli adolescenti di oggi, un rallentamento e non un'accelerazione dello sviluppo, nonostante l'anticipo della pubertà”. In effetti, pure a parere di chi scrive, la precocità dell'età puberale si traduce, nella prassi quotidiana, in un'ipersessualizzazione che, però, non si accompagna alla maturazione di adeguati freni inibitori.

Dunque, l'esercizio anticipato e fors'anche esasperato delle esperienze erotiche non diminuisce l'aggressività etero/autolesiva. Per conseguenza, Twenge (ibidem)[44] è portato a non contestare i limiti anagrafici di cui, in Italia, agli Artt. 97 e 98 CP. Per parte sua, Fusar Poli (2019)[45] evidenzia che, verso i 14 anni,  il ragazzo inizia a manifestare devianze aggressive connesse a disturbi di matrice psichiatrica. Anzi, già a 11 anni, molti infrattori recano una traumatofilia legata a crisi d'ansia ed all'incapacità di frenare la violenza fisica o materiale. Ecco, dunque, la riconferma della pertinenza del limite dei 14 anni contenuto negli Artt. 97 e 98 CP. Secondo Cerasa (2019)[46] è opportuno analizzare il contesto socio-ambientale del disagio adolescenziale, ovverosia “svariate forme di turbe mentali sono fortemente influenzate da fattori esterni, come la pressione sociale e lo stress ambientale [quindi] è molto probabile che anche la precocità [del disagio] sia connessa ai cambiamenti sociali che hanno caratterizzato le società occidentali nell'ultimo ventennio”. Gli asserti di Cerasa (ibidem)[47] riportano alla memoria l'influsso negativo dei mass-media sulla criminogenesi giovanile. Le televisioni ed Internet veicolano modelli e stili di vita improntati ad un edonismo sfrenato, ove si cancella totalmente l'accettazione del dolore e del sacrificio. L'ultra-13enne cresce senza dominio di sé e l'unico valore esaltato è quello del piacere.

Assai pertinentemente, Legrenzi & Umiltà (2009)[48] affrancano gli Artt. 97 e 98 CP dall'interpretazione neuroscientifica, in tanto in quanto, per tali Dottrinari, “il comportamento delle persone non dipende, in via esclusiva, dal loro livello di maturazione cerebrale. Ciò che, a livello comportamentale, fa la differenza tra gli individui è, in gran parte, l'ambiente o il contesto di vita, che consente al singolo giovane di crescere più o meno velocemente. Insomma, la cerebralizzazione dell'essere umano non può, da sola risolvere l'annoso dilemma sull'età dell'imputabilità” Finalmente, Legrenzi & Umiltà (ibidem)[49] hanno il coraggio di non assolutizzare l'interpretazione psicopatologico forense della ratio della “capacità di intendere e di volere” ex Artt. 97 e 98 CP. La criminalità è originata soprattutto da un malfunzionamento delle agenzie di controllo e la criminogenesi non ha origine solamente per causa di una più o meno accentuata maturazione della corteccia prefrontale. Pertanto, la psichiatria deve cessare di fornire chiavi di lettura totalizzanti con attinenza al problema della “imputabilità”. Per questi motivi di natura socio-ambientale, Zuo & He & Colcombe & Sporns & Milham (2017)[50] condividono la ratio degli Artt. 97 e 98 CP e sottolineano che “in base alle conoscenze attuali disponibili in materia di neurosviluppo, non si può affermare che oggi i minori raggiungono la maturità richiesta per essere ritenuti imputabili prima dei 14 anni”.

Ciò a prescindere dalla sessualizzazione precoce dell'infra-14enne e dalla disponibilità di maggiori stimoli cognitivo-culturali. Similmente, Berlucchi & Camaldo & Cerasa & Lucchelli & Maggiolini & Martelli & Rudelli & Saottini & Scivoletto & Strata & Tantalo (2019)[51] precisano che “ noi non sappiamo se neurobiologicamente parlando le generazioni di oggi si sviluppino più velocemente, rispetto a quelle del secolo scorso. [E] anche se fossimo in grado di affermare, in maniera scientificamente fondata, che si è effettivamente verificata un'accelerazione nel neurosviluppo negli ultimi anni (grazie, ad esempio, ad un'alimentazione più equilibrata, ad una migliore vaccinazione e a condizioni ambientali più favorevoli), con ciò non avremmo comunque risolto il problema della definizione dell'età imputabile”. Pure chi commenta reputa che le neuroscienze vadano accostate ad altre discipline criminologiche, in tanto in quanto la genesi del crimine reca fattori scatenanti socio-ambientali che nulla hanno a che spartire con presunte tare ereditarie o malformazioni cerebrali. Viceversa, un'analisi esclusivamente psichiatrica dell'imputabilità determinerebbe un pericoloso ritorno all'eugenetica novecentesca.

 

Le baby gangs nella Criminologia occidentale

Tra le agenzie di controllo più potenzialmente diseducative vi è il gruppo dei pari. Su tale tema, gli italiofoni Zani & Pombeni (1997)[52] evidenziano che “lo sviluppo dell'identità, nell'adolescente, rappresenta un processo complesso, caratterizzato da diversi fattori, nel quel un ruolo fondamentale hanno i diversi gruppi primari in cui il soggetto è inserito. Così, se la famiglia, con il suo appoggio, favorisce la crescita psicologica del ragazzo, non bisogna [però] trascurare un'altra area tradizionalmente associata all'adolescenza, ossia la possibilità di instaurare relazioni significative con i coetanei”. Altrettanto realista e diretto è Gatti (2010)[53], secondo il quale “l'influenza del gruppo si può esercitare in diversi modi: da un lato, se si tratta di coetanei ben socializzati, può rappresentare un importante fattore di protezione, mentre il contatto con coetanei devianti, o, addirittura, l'appartenenza ad una vera e propria banda, costituisce uno dei più significativi fattori di rischio della delinquenza giovanile”. Gatti (ibidem)[54] dimostra una lodevole sensibilità per quella che Merton definiva, in svariate sedi, la “natura [eventualmente] criminogenetica delle agenzie di controllo”.

Sempre nell'ottica dell'”influsso socio-ambientale”, Brown & Lohr & McClenahan (1986)[55] osservano che “avere amici ben socializzati riduce, negli adolescenti, il coinvolgimento in comportamenti antisociali. Del pari, Fergusson & Lynskey (1996)[56] notano, giustamente, che “un gruppo prosociale sembra diminuire l'impatto di altri fattori di rischio”. Degno di menzione è pure Elliott (1993)[57], il quale asserisce, a ragion veduta, che “la disapprovazione della delinquenza da parte degli amici riduce la probabilità che, in seguito, vengano commessi reati violenti in generale”. Tuttavia, con analoga sincerità scientifica, Warr (2002)[58] mette, altresì, in evidenza che “il contatto con coetanei devianti può avere un notevole effetto criminogeno. Questo effetto cresce durante l'adolescenza ed è maggiore se le interazioni in famiglia sono scarse o inadeguate [e] il legame con amici devianti è spesso la premessa per una precoce messa in atto di comportamenti antisociali”. Secondo Klein & Kerner & Maxson & Weitekamp (2001)[59], la devianza di gruppo ha una rilevanza criminologica essenziale, poiché “c'è un'importante relazione tra il comportamento degli adolescenti e le bande giovanili, che possono essere definiti come gruppi relativamente stabili, la cui identità di gruppo include, almeno in parte, la delinquenza”.

Come si può notare, Klein & Kerner & Maxson &Weitekamp (ibidem)[60] rimarcano che il fattore “gruppo”, nell'ultra-13enne, amplifica l'etero-lesività e genera maggiore disinibizione nel giovane delinquente. Senza dubbio, in ogni caso, è innegabile che talune formazioni politiche populiste alimentano la loro sete di demagogia amplificando ultra vires l'allarme sociale provocato dalle baby gangs, la cui diffusione, specialmente in Italia, non è così radicata come dipinto dai mass-media in malafede.

Secondo Novelletto (2001)[61], “diventa centrale riuscire a capire le dinamiche che trasformano il gruppo in una banda, intesa come aggregazione patologica governata da meccanismi di coesione (se non di fusione) che rispondono al bisogno di alleviare le proprie frustrazioni e paure grazie alla condivisione con quelle degli altri”. Degni di menzione sono pure Maggiolini & Riva (2003)[62], secondo cui “il gruppo dei pari rappresenta, per l'adolescente, una zona intermedia che facilita il passaggio dal mondo dell'infanzia a quello adulto, dalla famiglia alla società, fino a diventare un riferimento anche dal punto di vista normativo, tanto che i comportamenti e gli atteggiamenti vengono generalmente uniformati a quelli dei coetanei”. In Maggiolini & Riva (ibidem)[63] si vede la natura antisociale ed alternativa delle baby gangs, la quale si sostituisce alle agenzie di controllo che erano accettate dal ragazzo durante l'età infantile. Il gruppo dei coetanei viene percepito dall'adolescente alla stregua di una “porta d'ingresso” nel mondo degli adulti. I compagni nella devianza favoriscono, entro una prospettiva negativa, l'abbandono del binomio pedagogico “famiglia-scuola”.

Secondo Howell (1998)[64], “lo studio delle bande giovanili comporta, come prima difficoltà, l'individuazione del significato da attribuire al termine baby gang. Alcuni Criminologi considerano come gang i gruppi di adolescenti che mettono in atto forme meno serie di violazioni della legge, altri le semplici aggregazioni di adolescenti problematici, percepiti dalla società come un problema. Nonostante la varietà delle definizioni, la maggior parte di esse include degli elementi comuni: gruppi auto-formatisi che hanno interessi condivisi, che controllano uno specifico territorio o commercio, che usano dei simboli particolari di comunicazione e che sono collettivamente coinvolti nel crimine”. Da notare è che Howell (ibidem)[65] sottolinea la natura bagatellare delle baby gangs, le quali sono e rimangono ben distinte dalla più grave fattispecie delle associazioni per delinquere con finalità anti-democratiche o eversive. Nonostante le dispercezioni sociali populistiche, le bande giovanili recano un basso grado di “pericolosità sociale”. Per conseguenza, pure la reazione ordinamentale non raggiunge livelli estremi, pur se la situazione è esasperata dai mass-media. Da citare è pure il corollario di Balloni & Bisi & Sette (2020)[66], ovverosia “la youth gang è tipicamente composta solo da giovani, ma può includere, tra i suoi membri, anche degli adulti”. Gli USA ospitano la maggiore quantità di baby gangs, le quali sono un evidente sintomo di disorganizzazione sociale, congiunta a sottoculture delinquenziali che seguono valori alternativi antisociali e, spesso, pure antigiuridici. In maniera assai pertinente, Jankowsky (1991)[67] rileva che “le bande rappresentano una risposta alla mancanza di opportunità di crescita sociale tipica dei sobborghi delle città statunitensi. In questo contesto, l'aggregazione in gruppo produce un diverso ordine sociale, alternativo, quasi privato, governato da una struttura di leadership che ha ruoli definiti, dove l'autorità ad essa associata passa attraverso un meccanismo di legittimazione. In rapporto al territorio, la gang si impone ai residenti, che devono accettarla come parte integrante del quartiere, al quale, quasi in un mutuo scambio, deve fornire servizi in cambio di sostegno, in termini di protezione dalla polizia e dalle altre gangs”.

Dunque, anche Jankowsky (ibidem)[68] mette in risalto, nelle bande di adolescenti, la presenza di una sotto-cultura alternativa che propone (rectius: impone) valori antisociali alternativi rispetto a quelli dell'Ordine costituito. La baby gang, soprattutto negli USA, è portavoce di un sistema valoriale nuovo che si pone in pieno contrasto con il “contratto sociale” dominante. Da menzionare è pure Paternostro (2014)[69], che presenta le bande criminali giovanili come forme di rigetto adolescenziale nei confronti del disagio sociale patito dalle minoranze etniche statunitensi. Gli asserti di Paternostro (ibidem)[70] sono riferibili anche alla profonda crisi socio-ambientale delle periferie urbane del Sud-America. Simili sono, del resto, le osservazioni di Thrasher (1927)[71], il quale, già negli Anni Venti del Novecento, evidenziava che “le bande nascono da specifici bisogni dei giovani sottoprivilegiati, residenti in aree interstiziali delle grandi città. Esse sono di origine spontanea e raccolgono i ragazzi che vivono in strada e sono legati ad uno specifico territorio, i quali maturano lentamente una consapevolezza ed una tradizione comune, la cui difesa induce alla solidarietà ed alla lealtà verso i capi”. Pertanto, Thrasher (ibidem)[72] riconosce anch'egli che le baby gangs rinvengono la loro ratio nella precarietà socio-abitativa delle periferie. Il ragazzo alienato e “sottoprivilegiato” trova nel gruppo deviante una valvola di sfogo alla propria rabbia interiore e la criminalità viene ad avere il carattere di una vera e propria protesta simbolica nei confronti delle diseguaglianze sociali.

A sua volta, l'anglofono Yablonsky (2009)[73] afferma che, a prescindere dalla demagogia televisiva e politica, il fenomeno delle bande giovanili non costituisce, dopotutto, un grave allarme collettivo, giacché “le bande criminali esercitano una violenza brutale, ma solo per dimostrare ai loro membri un dato appariscente nella sua banalità: quello di essere e sentirsi vivi. La presenza di un territorio, pur essendo essenziale per la costituzione e la sopravvivenza della gang, non implica la formazione di un'organizzazione interna. Come, d'altra parte, non risulta rintracciabile alcun elemento di amicizia o lealtà verso il gruppo”. Le tesi di Yablonsky (ibidem)[74] probabilmente peccano di ottimismo, ma senza dubbio bisogna ridimensionare l'immagine stereotipata delle baby gangs, le quali costituiscono, dopotutto, una forma associativa delinquenziale meno pericolosa di certuni gruppi criminali estremamente violenti o perseguenti, addirittura, finalità eversive. In fondo, soprattutto nel contesto italiano, l'antisocialità giovanile si esterna in reati di poco conto. Le bande giovanili nascono e sono, semplicemente, un fenomeno puerile di minorenni alla ricerca di un posto nel mondo degli adulti.

Manca un'autentica etero-lesività, se si escludono furti di poco conto, piccoli danneggiamenti o altrettanto banali illeciti contro il demanio. Del pari, D'Eramo (2004)[75] parla anch'egli di una “rottura dei valori sociali”, ma, di nuovo, egli sottolinea la natura bagatellare della maggior parte dei delitti giovanili, che sono e rimangono, più che altro, una forma di protesta nei confronti di una società percepita come ingiusta ed opprimente. Diverso è il parere di Klein (1995)[76], a parere del quale il gruppo dei pari favorisce una carriera criminale in cui la violenza è molto presente. Di eguale avviso è anche Huff (1998)[77], ovverosia, nelle baby gangs, prevale la commissione di “reati sempre più gravi e violenti”. Tuttavia, l'aggressività dei gruppi di adolescenti devianti prevale quasi esclusivamente negli USA, mentre, in Italia e nel resto dell'Europa, l'allarme sociale è o dovrebbe essere meno intenso. P.e., molti Dottrinari del Vecchio Continente hanno rimarcato che quello della c.d. “banda violenta” è soltanto un falso mito alimentato da cronache giornalistiche distorte e xenofobe.

All'opposto, taluni Autori, nella Criminologia occidentale, reputano che le baby gangs costituiscano una forma di criminalità estremamente pericolosa. Per quanto attiene al caso dell'Italia, Saottini (1999)[78] fornisce un quadro non allarmistico, in tanto in quanto “in Italia, la banda di giovani che delinque non possiede le caratteristiche che contraddistinguono le gangs statunitensi: il gruppo non è strutturato gerarchicamente, ed al suo interno non esistono ruoli definiti e riconosciuti. Si tratta, piuttosto, di un'aggregazione transitoria che accomuna ragazzi pervasi dal senso di frustrazione prodotto, generalmente, dal fallimento scolastico, dall'assenza di controllo adulto e dalla povertà di risorse educative valide e di proposte alternative credibili”. Rassicuranti sono pure Maggiolini & Riva (ibidem)[79], secondo cui “i gruppi di adolescenti che delinquono nel nostro Paese, raramente hanno le caratteristiche della banda dedita ad atti delinquenziali da cui ricavare profitto”. Analogamente, Novelletto & Biondo & Monniello (2000)[80] negano che le baby gangs italiche mettano in atto delitti premeditati e gravemente antinormativi. Tuttavia, anche con afferenza all'Italia, Calvanese & Bianchetti (2005)[81] evidenziano che, negli ultimi anni, è cresciuto il numero di ragazze delinquenti all'interno dei gruppi giovanili dediti al crimine.

Rincuorano pure Vettorato & Gentili (2010)[82], in tanto in quanto, con riferimento all'Italia, essi precisano che “guardando ai casi italiani, sembrano essere assenti reati tipicamente riconducibili alle baby gangs statunitensi. Tale delinquenza, infatti, a differenza di quella italiana, si connota soprattutto per la presenza di reati ricorrenti quali il favoreggiamento e la ricettazione. Molto comuni, negli USA, sono anche le figure dei mandatari, che si servono della criminalità minorile per il raggiungimento dei propri scopi illeciti e che, in Italia, sono praticamente assenti. Nel nostro Paese, inoltre, l'uso delle armi ( sia bianche ma soprattutto da fuoco) è quasi inesistente, mentre in America risulta essere diffusissimo. E ciò non solo perché la Legislazione italiana in materia è più restrittiva, ma anche perché le azioni devianti commesse dai gruppi di minori non necessitano di livelli di violenza tali da giustificare l'utilizzo delle armi. Dal canto suo, Mariani (2005)[83] rimarca anch'egli che “nei gruppi di adolescenti che delinquono in Italia raramente vi sono una gerarchia dei ruoli, l'uso delle armi, una struttura rigida, una modalità associativa più selettiva e il controllo del territorio […] Questi sono tutti aspetti poco rappresentati nella tipologia di gruppi descritta ed analizzata nelle Ricerche italiane”. A parere di chi commenta, la migliore situazione italiani va imputata alla non libera circolazione delle armi da fuoco nell'Ordinamento giuridico dell'Italia.


[1]Vigoni, Il difetto d'imputabilità del minorenne, Torino, 2016

 

[2]Padovani, Diritto Penale, Milano, 2017

 

[3]Padovani, op. cit.

 

[4]Abukar Hayo, Lineamenti generali della pretesa punitiva. Manuale di Diritto Penale, Torino, 2010

 

[5]Antolisei, Manuale di Diritto Penale. Parte generale, Milano, 2003

 

[6]Marinucci & Dolcini & Gatta, Manuale di Diritto Penale. Parte generale, Milano, 2020

 

[7]Abukar Hayo, op. cit.

 

[8]Galuppi & Grasso, Infraquattordicenni: recrudescenza criminale e prospettive di modificazione della normativa penale vigente, in Diritto della famiglia e della persona, 1993

 

[9]Marinucci & Dolcini & Gatta, op. cit.

 

[10]Dünkel, il problema della criminalità minorile in Europa. Un confronto, in La nuova Giurisprudenza civile commentata, fascicolo speciale 2004

 

[11]Pulitanò, manuale di Diritto minorile, Bologna, 2021

 

[12]Pulitanò, op. cit.

 

[13]Manna, Adolescenti, dipendenze e recupero sociale, Bologna, 2020

 

[14]Abukar Hayo, I molteplici aspetti della funzione di garanzia della fattispecie penale, Napoli, 2019

 

[15]Abukar Hayo, 2019 op. cit.

 

[16]De Francesco, Diritto Penale, Torino, 2008

 

[17]De Francesco, op. cit.

 

[18]Larizza, Il Diritto Penale dei minori, Evoluzione e rischi di involuzione, Padova, 2005

 

[19]Dünkel, op. cit.

 

[20]Vigoni, Codice della giustizia penale minorile, Il minore autore di reato, Milano, 2005

 

[21]Van Bueren, The International Law and the Rights of the Child, in The Hague, 1998

 

[22]Centonze, L'imputabilità, il vizio di mente e i disturbi della personalità, in Rivista italiana di diritto processuale penale, 2005

 

[23]Centonze, op. cit.

 

[24]Corda, Neuroscienze forensi e giustizia penale tra Diritto e prova, disorientamenti giurisprudenziali e questioni aperte, in Archivio Penale, 2014

 

[25]Corda, op. cit.

 

[26]Carriero, Bambini, Roma, 2009

 

[27]Carriero, op. cit.

 

[28]Carriero, op. cit.

 

[29]Amisano, Incapacità per vizio totale di mente ed elemento psicologico del fatto, Torino, 2005

 

[30]Amisano, op. cit.

 

[31]Palomba, Il sistema del nuovo processo minorile, Milano, 1989

 

[32]Palomba, op. cit.

 

[33]Lanotte & Capri, I Test proiettivi in ambito giudiziario, limiti e possibilità di utilizzo, in AA.VV., Abuso sessuale di minore e processo penale: ruoli e responsabilità, Padova, 1997

 

[34]Lanotte & Capri, op. cit.

 

[35]Goleman, L'intelligenza emotiva, Milano, 1996

 

[36]Goleman, op. cit.

 

[37]Citterio & Piscopo & Rasio, Analisi psichiatrico-forense della categoria giuridica dell'immaturità mentale, Roma, 1974

 

[38]Citterio & Piscopo & Rasio, op. cit.

 

[39]Herting & Sowell, Puberty and structural brain development in humans, in Front Neuroendocrinol, 2017

 

[40]Larsen & Luna, Adolescence as a neurobiological critical period for the development of higherorder cognition, in Neuroscience and Biobehavioral Review, 2018

 

[41]Larsen & Luna, op. cit.

 

[42]Maggiolini, L'imputabilità del minorenne, in Diritto Penale e Uomo, 6 novembre 2019

 

[43]Twenge, Iperconnessi, Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a divenire adulti, Torino, 2018

 

[44]Twenge, op. cit.

 

[45]Fusar Poli, Integrated Mental Health Services for the Developmental Period, 2019

 

[46]Cerasa, Intervista pubblicata dall'Università Magna Grecia di Catanzaro, Diritto Penale e Uomo, 2019

 

[47]Cerasa, op. cit.

 

[48]Legrenzi & Umiltà, Neuro-mania, il cervello non spiega chi siamo, Bologna, 2009

 

[49]Legrenzi & Umiltà, op. cit.

 

[50]Zuo & He & Colcombe & Sporns & Milham,  Human Connectomics across the Life Span, in Trends Cognitive Science, 21(1), 2017

 

[51]Berlucchi & Camaldo & Cerasa & Lucchelli & Maggiolini & Martelli & Rudelli & Saottini & Scivoletto & Strata & Tantalo, Abbassare a 12 anni la soglia dell'imputabilità ? Uno scambio di opinioni in tema di imputabilità minorile alla luce della recente proposta di legge, in Diritto Penale e Uomo, 2019

 

[52]Zani & Pombeni, L'adolescenza: bisogni soggettivi e risorse sociali, Cesena, 1997

 

[53]Gatti, Delinquenza giovanile, in Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica, Feltrinelli, Milano, 2010

 

[54]Gatti, op. cit.

 

[55]Brown & Lohr & McClenahan, early adolescents perceptions of peer pressure, in Jounal of Early Adolescence, 6, 1986

 

[56]Fergusson & Lynskey,  Adolescent resiliency to family adversity, in Journal of Child Psychology and Psychiatry, 38, 1996

 

[57]Elliott, Serious Violent Offenders: Onset, developmental Course, and Termination, in The American Society of Criminology, Volume 32, 1993

 

[58]Warr, Companions in Crime: The Social Aspects of Criminal Conduct, in Cambridge University Press, Cambridge, 2002

 

[59]Klein & Kerner & Maxson & Weitekamp, The Eurogang Paradox, Street Gangs and Youth Groups, Kluwer Academic Publisher, Dordrecht, 2001

 

[60]Klein & Kerner & Maxson & Weitekamp, op. cit.

 

[61]Novelletto, Le figure della violenza, Introduzione teorica e stato del problema, in Adolescenza e Psicoanalisi, 2001

 

[62]Maggiolini & Riva, Adolescenti trasgressivi, Le azioni devianti e le risposte degli adulti, Milano, 2003

 

[63]Maggiolini & Riva, op. cit.

 

[64]Howell, Youth Gangs: an overview, in Juvenile Justice Bulletin, August 1998

 

[65]Howell, op. cit.

 

[66]Balloni & Bisi & Sette, Criminologia e psicopatologia forense, Milano, 2020

 

[67]Jankowsky, Islands in the Street, Gangs and American Urban Society, University of California Press, Berkeley, 1991

 

[68]Jankowsky, op. cit.

 

[69]Paternostro, Bande giovanili, La cultura delle gangs, in Gioventù fragile, i nuovi contorni della devianza e della criminalità minorile, 2014

 

[70]Paternostro, op. cit.

 

[71]Thrasher, The Gang, A Study of 1313 Gangs in Chicago, University of Chicago Press, Chicago, 1927

 

[72]Thrasher, op. cit.

 

[73]Yablonsky, The Violent Gang, Paperback, 3 June 2009

 

[74]Yablonsky, op. cit.

 

[75]D'Eramo, Il maiale e il grattacielo: Chicago, una storia del nostro futuro, Milano, 2004

 

[76]Klein, The American Street Gang: Its Nature, Prevalence and Control (Studies in Crime and Public Policy), Oxford University Press, New York, 1995

 

[77]Huff, The criminal behavior of gang members and nongang at-risk youth, US Department of Justice Office of Justice Programs National Institute of Justice, Washington, 1998

 

[78]Saottini, Gruppo e banda, l'intervento con adolescenti che commettono reati, Relazione presentata al Convegno Più o meno 16, Convegno sull'adolescenza, organizzato dall'Associazione Minotauro, dalla Provincia di Milano e dal Provveditorato agli Studi di Milano, 1999

 

[79]Maggiolini & Riva, op. cit.

 

[80]Novelletto & Biondo & Monniello, L'adolescente violento. Riconoscere e prevenire l'evoluzione criminale, Milano, 2000

 

[81]Calvanese & Bianchetti, La delinquenza minorile di gruppo: dati di una ricerca presso gli uffici giudiziari di Milano, in Cassazione penale, 2005

 

[82]Vettorato & Gentili, Educare in un mondo che cambia, Roma, 2010

 

[83]Mariani, La criminalità minorile ed il gruppo nel distretto di Milano tra il 1997 ed il 2005, in Minorigiustizia, fascicolo 4, 2005