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L’esame di stato per l’abilitazione all’esercizio professionale di assistente sociale

Indagine sul punto di vista degli studenti attraverso i principali social network
Abstract

L’esame di stato ancora oggi per molti giovani suscita molte perplessità in quanto vissuto come un passaggio obbligatorio ma di cui non si comprende del tutto la necessità. Questo lavoro vuole gettare luce sull’argomento e approfondire il punto di vista degli studenti cioè di chi, in primis, è coinvolto in tale passaggio. Una prima parte introduce il lettore sulla legislazione attuale nonché sull’excursus storico che ha determinato l’introduzione di un simile istituto. Una seconda parte descrive le principali caratteristiche nonché il procedimento attraverso il quale si svolge l’esame. L’ultima sezione è interamente dedicata ai risultati della ricerca svolta tramite l’ausilio dei social network virtuali.

The State enabling was still raises many concerns for many young people as experienced as a required step but that does not include all the features. This work aims to shed light on the subject from the point of view of students that those who, first and foremost, is involved in this effort. The first section introduces the reader on current legislation and history about such an institution. A second section describes the main characteristics and the process by which the exam takes place. The last section is dedicated to the results of research conducted with the help of virtual social network.

1.1 Premessa metodologica

L’indagine è stata realizzata coinvolgendo esclusivamente informatori iscritti ai social network di internet, precisamente 31 gruppi facebook e 9 forum virtuali. Le domande tendono a descrivere gli eventi caratterizzanti dell’esame di stato: la laurea che precede la scelta, l’accesso alle prove, le aspettative future e le motivazioni presenti. La scelta metodologica è stata, dunque, quella di evitare domande succinte, piuttosto descrivere concretamente atti e comportamenti in modo da favorire l’apertura degli informatori a ciò che li attende. Prima di compilare il questionario, ogni informatore poteva leggere un messaggio di benvenuto che fungeva anche da consenso informato e attraverso il quale poteva conoscere le finalità della ricerca e le modalità di rilevazione.

La rilevazione è stata effettuata nell’arco di due mesi solari, dal 12.10 al 12.12 alla quale data risultavano pervenuti 99 questionari compilati su un totale di 178 inviati. Data la peculiarità dell’ausilio informatico, non è stato possibile rilevare dati sensibili degli informatori, sebbene il software registra l’indirizzo IP del PC di provenienza delle risposte. Di conseguenza è impossibile per chiunque compilare il questionario più di una volta utilizzando il medesimo computer. È possibile tuttavia rintracciare un profilo generico sui partecipanti dei forum e dei social network interessati che sono frequentati da giovani con un età anagrafica compresa tra i 18 e i 40 anni per la maggior parte iscritti ai corsi di laurea triennale in servizio sociale.

Per la realizzazione del questionario e il computo dei dati mi sono avvalso del software gratuito Qualtrics che utilizza un’interfaccia semplice e performante del tipo WYSIWYG (What You See Is What You Get). Il software pone a disposizione degli utenti il questionario in un server locale al quale basta accedere tramite un semplice link che ho provveduto personalmente ad inserire presso le pagine web dei forum e del social network. Per motivi di spazio non è stato possibile aggiungere le fonti dei dati per il questionario, tuttavia è possibile scaricare un prospetto al seguente link http://www.box.net/shared/7yse0od8ne.

1.2 Finalità della laurea magistrale

Tabella 1. Considerando che il termine specializzazione sottende un approfondimento disciplinare, secondo te per cosa dovrebbe preparare la laurea magistrale (ex specialistica)?
#Itemf.a.%
1Specializzazione in un settore d’intervento6465
2Dirigenza3131
3Insegnamento44
 Totale99100

 

Il risultato del primo quesito sembra ribaltare l’attualità professionale, anche se la cd. specializzazione da un lato può migliorare l’efficacia di determinate competenze, d’altro canto può minare la coesione interna a causa della concorrenza (es. specialisti in mediazione, specialisti in abusi minorili, specialisti in assistenza domiciliare, etc.).

Le prime sezioni speciali risalgono al Fascismo quando furono introdotte nella professione forense per le magistrature superiori alle quali si poteva accedere, ad pompam, cioè per anzianità, dopo alcuni anni di esercizio (L. 07.12.51 n. 1333 art. 3). Nel servizio sociale la sezione speciale fu introdotta a seguito dal D.M. 509/99. La formulazione del quesito sembra trarre in inganno quando cita “approfondimento disciplinare”, inducendo forse il lettore a confondere le conoscenze con le competenze, così come Rossi ha scritto: «la laurea specialistica ha l’obiettivo di fornire allo studente una formazione di livello avanzato per l’esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici» (Rossi, 2000). Si tratta dunque di una domanda “trabocchetto” alla quale la maggior parte di informatori sono incappati, fermo restando che, salvo l’approfondimento disciplinare, il termine ’’speciale’’ non implica l’utilizzo di competenze in un settore esclusivo d’intervento. La settorializzazione degli interventi, in auge fini ai primi anni ’70, è stata progressivamente abbandonata in favore di un un orientamento integrale e manageriale.

Attualmente la sezione speciale gode di un regime particolare di accesso, forse ispirata dal R.D. 29.08.1929 n. 1823 art. 1 co. 1, così come, infatti, Zambotti ha scritto: «possono inoltrare richiesta all’Ordine (degli assistenti sociali) per l’iscrizione all’Albo A coloro i quali possano dimostrare di aver svolto per almeno cinque anni, anche non continuativi, funzioni dirigenziali» (Zambotti, 2002), mentre nel DPR 05.06.2001 n. 328 sta scritto: «agli esami di Stato di cui al co. 1 (sezione A) sono ammessi anche gli assistenti sociali non in possesso di laurea specialistica, iscritti all’albo (sezione B), ai sensi della normativa previgente, da almeno cinque anni alla data di entrata in vigore del presente regolamento e che hanno svolto per almeno cinque anni le funzioni di cui all’art. 20, co. 2 (assistente sociale specialista)». La differenza è che nel primo caso non risulta obbligatorio superare l’esame di stato, essendo sufficiente un’autocertificazione, mentre nel secondo caso è sufficiente aver conseguito anche una semplice laurea di primo livello.

Per quanto riguarda la dirigenza, non sempre la disciplina è stata chiara al riguardo. Il documento dell’Amministrazione attività internazionali addirittura lo confonde con un semplice coordinatore: «responsabile dell’operato del personale, dell’organizzazione del lavoro, rappresentanza verso terzi enti, programmazione, collegamento con la sede centrale della Ripartizione» (AAI, 1970). Altri problemi derivano dalle possibilità di accesso a tale ruolo per gli assistenti sociali. Se, infatti, consideriamo che: «i programmi dei singoli esami di stato sono determinati per regolamento dal Ministero dell’istruzione, udito il Consiglio superiore e gli ordini professionali (TU 1933 art. 184 e L. 1956 n. 1378 art. 3)». Ne risulta che nel documento delle proposte sui profili professionali presentate dal Consiglio Nazionale Assistenti Sociali nel 2000 risultano indicate, come programma per l’esame di stato ai fini dell’accesso per la sezione ’’B’’, le competenze di gestione, programmazione, coordinamento e direzione mentre quella ’’A’’ si differenzia solo per l’attività di ricerca, docenza e supervisione (Zambotti, 2000).

In seguito alla promulgazione del DPR 05.06.01 n. 328, tuttavia, sta scritto: «coloro che avevano precedentemente conseguito l’abilitazione per la dirigenza, saranno iscritti alla sezione B e si vedranno preclusa la possibilità di esercitare le attività proprie di tale ruolo» (Zambotti, 2001), mentre la L. 23.03.93 n. 84 non prevedendo una sezione speciale, conferiva a tutti tale esercizio. Fu presentato un ricorso dal Consiglio regionale del Veneto per l’annullamento di tali norme. Ciò nonostante: «la suddivisione in due sezioni – A “Assistente sociale specialista” B “Assistente sociale” dell’Albo Professionale non ha, ad oggi, trovato riscontri, se non in casi isolati, nello svolgimento dell’attività professionale e il D.P.R. 328/01 non è ancora recepito nei contratti collettivi nazionali del lavoro e pertanto non costituisce titolo di accesso alla Pubblica Amministrazione» (Samory, Massaro, 2009).

Nel convegno del Sunas svoltosi a Rimini il 28.03.2007 è emerso che «nonostante la riforma universitaria abbia introdotto nel 2000 i due percorsi di formazione accademica con proprie classi di laurea e laurea magistrale, ed il decreto 328/01 abbia rivisto l’ordinamento della professione indicando le attività e gli ambiti di intervento dei due distinti profili, attualmente c’è spazio per la dirigenza sociale unicamente all’interno delle Aziende Sanitarie che hanno istituito la relativa dirigenza tramite L. 251/00 e successiva L. 27/06», di fatto «non esiste dirigenza sociale» (Zambotti, 2007). In altre parole «questi assistenti sociali (specialisti), collocati in una sorta di limbo, sperimentano o esplorano settori di intervento innovativi, pur mantenendo lo stesso inquadramento e profilo (degli altri colleghi)» (Zambotti, 2007).

Il paradosso della professione è che «la legittima aspirazione di vedere sancito il diritto alla direzione dei servizi sociali, tradotta nelle regole del percorso formativo della laurea magistrale (ex laurea specialistica), ha consentito l’ingresso a laureati di corsi di laurea diversi da Scienze del Servizio Sociale che possiedono i crediti formativi sufficienti, l’ancora più aspecifica preparazione non aggiunge molto alla laurea triennale ed infine il possesso del profilo A è raramente speso nella funzione che gli apparterebbe. Ciò determina la presenza nei posti di lavoro di molti specialisti che svolgono attività di base e non di direzione e se questi non provengono dalla professioni, non sono pronti a ricoprire le funzioni né di un profilo né dell’altro» (Massaro, 2009).

Gli esami di stato, infine, non devono confondersi con quelli per l’abilitazione all’insegnamento previsti dall’art. 179 co. 2 del TU 31.08.1933, con l’eccezione della professione forense che «può essere esercitata dai professori universitari di ruolo in materie giuridiche senza averlo sostenuto» (Rossi, 1989).

1.3 Finalità dell’esame di stato

 

Tabella 2. A cosa dovrebbe servire secondo te, l’esame di stato?
#Itemf.a.%
1A valutare le attitudini psico-attitudinali del candidato2222
2A valutare le conoscenze acquisite durante il percorso di studi7273
3A valutare le esperienze acquisite durante l’esperienza lavorativa55
 Totale99100

La maggior parte di informatori ritiene che l’esame di stato debba servire a valutare le conoscenze quasi come a voler rimarcare quanto già stabilito dall’esame di laurea. La possibilità indicata dal campione non corrisponde tuttavia all’attualità. Sebbene nella domanda è esplicito un predicato condizionale, non si può fare a meno di dare uno sguardo alla situazione attuale. Il DM 09.09.57 pone in evidenza il riconoscimento della “capacità tecnica” del candidato, mentre il R.D. 04.06.1938 n. 1269 art. 62 co. 2 indicava la “capacità pratica”. Anche il Zanobini ribadisce che «l’esame di stato riguarda solo la capacità professionale dei laureati e non è un esame universitario» (Zanobini, 1954). Un’altra testimonianza proviene dal Civiello, funzionario del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica, in un’intervista rilasciata all’epoca della riforma universitaria: «una laurea professionalizzante sarebbe un controsenso, infatti nel nostro panorama accademico i corsi di laurea hanno l’obiettivo di formare alla conoscenza e preparare alla ricerca in una determinata area disciplinare, non si propongono invece di preparare ad un’attività professionale. Sono esclusivamente centrati sul sapere e non sul saper fare» (Raineri, 1997).

Assodato dunque che l’oggetto di valutazione sono le competenze, occorre stabilire dove queste sono assunte. Il servizio sociale, così come il servizio medico, prevede forme di tirocinio, durante lo svolgimento del percorso accademico, che è a tutti gli effetti un’esperienza lavorativa; il Zanobini addirittura la definisce “locazione di lavoro”, il Predieri, di converso, afferma che il tirocinio rappresenta un’opera «intellettuale ma non professionale perché mancante del carattere contrattuale di prestazione d’opera» (Predieri, 1963) e di come questo preveda una connotazione più educativa mentre nella pratica l’apporto del supervisore passa in secondo piano.

La discrasia tra attualità e possibilità, che emerge dal questionario, potrebbe essere causata giocoforza dalla confusione circa la collocazione e la prestazione di tirocinio il cui espletamento, secondo Fiorella Cava ex presidente dell’Ordine Nazionale, presenta non poche difficoltà dovute sia al sovraffollamento dei corsi di laurea, che alla minore partecipazione di supervisori (Cava, 2006).

Sebbene «il tirocinio professionale ha lo scopo di addestrare gli studenti in modo graduale all’esercizio della professione dando loro la possibilità di sperimentare situazioni di lavoro programmate e guidate nell’ambito delle realtà istituzionali preposte alla programmazione e gestione dei servizi socio-sanitari», secondo Bonomo e Corposanto «la preparazione specifica all’esercizio professionale non sembra essere tra le preoccupazioni peculiari dell’istituzione accademica».

Non sorprende il dato rilevante circa gli attributi psico-attitudinali se si considera che l’art. 2 della L. 987/38 indicava che, oltre al titolo di studio, occorreva valutare anche la «specchiata condotta morale e politica» (Piscione, 1959) che, secondo l’autore, sarebbe rimasta in uso nel tempo. Nella “buona condotta” rientrano, invece, l’esclusione di precedenti penali e il decoro personale che potrebbero inficiare il prestigio dell’ente associativo. Il Zanobini fa rientrare nella condotta morale anche «qualunque mancanza contro l’onore» (Zanobini, 1954) in riferimento all’art. 54 Cost.

1.4 Adesione all’ordine professionale

 

Tabella 3. Ritieni che l’adesione all’ordine professionale debba essere...
#Itemf.a%
1Un privilegio                                                23
2Un diritto4646
2Un merito5150
 Totale99100

Questo quesito, così come quello seguente, consentono di porre in chiaro la differenza tra diritto all’esercizio professionale e iscrizione all’albo. Ho già accennato alla differenza tra ordine e gruppo professionale, ma qui occorre un approfondimento. L’appartenenza determina l’attribuzione di poteri e facoltà così come di diritti e doveri (Catelani, 1976), mentre la partecipazione implica l’assunzione di situazioni giuridiche attive o passive. Bruno Cavallo giustamente osserva che: «non può affermarsi l’equivalenza tra ordine professionale ed ente professionale, poiché il gruppo professionale ed il suo necessario apparato organizzativo possono anche non essere entificati» (Cavallo, 1994), così come Silvia Mirate distingue tra «l’ente professionale», che è un soggetto pubblico, e il gruppo professionale di appartenenza» che è un soggetto privato (Mirate, 2010).

L’iscrizione all’albo, e non quindi l’abilitazione, è un diritto soggettivo. L’assunzione dell’una non implica necessariamente la presenza dell’altra, venendosi a creare una situazione paradossale, per chi ha superato l’esame di stato, che «si ritrova ad essere abilitato ma non autorizzato» (Chiarelli, 1967). In effetti l’esercizio professionale è attribuito con una deliberazione del Consiglio dell’ordine, e quindi l’iscrizione assume solo un valore formale, poiché «l’attività svolta dagli organi professionali è di mero accertamento, senza alcun margine di discrezionalità» (Chiarelli, 1967).

Per tali ragioni, l’organo a cui è affidato il potere abilitante deve essere “tecnico” nel senso di essere formato da esperti, e deve essere “imparziale” «al fine di garantire pari opportunità tra tutti i candidati», nello specifico si intende «organo di controllo tecnico» in relazione alla responsabilità nei confronti della collettività e in relazione all’incidenza sulla libertà professionale (Chialà, 1980). Nonostante ciò, gli esami di stato «così come sono regolati, non rispondono tutti all’esigenza di garantire la capacità professionale dei candidati (Saitta, 1966), in particolare «le sedi della nostra formazione hanno mancato al compito di far crescere la professione, integrando il passato con il presente, sino a diluirla in una generica funzione di operatore sociale» (Piazza, 2000). Tale scollamento di generazioni si evince dalle parole del medesimo autore: «siamo una professione senza storia, senza memoria storica, senza ricordo delle radici» (Piazza, 2000).

1.5 Esercizio della professione

 

Tabella 4. Ritieni che l’esercizio della professione debba essere...
#Itemf.a.%
1Un privilegio                                                           55
2Un diritto4546
3Un merito4849
 Totale98100

I risultati in questo caso si avvicinano molto più all’attualità che alla possibilità. Tuttavia rispetto al quesito precedente sussiste un minore margine di differenza tra merito e diritto. Gli informatori, in questo caso, sono sempre propensi a identificare l’esercizio come un merito così come abbiamo constatato con l’adesione all’ordine, ma rispetto a ciò, sono più propensi a considerare l’esercizio come un diritto. Il diritto al lavoro, infatti, è costituzionalmente garantito ed, anzi, è un obbligo, come abbiamo visto, se paragonato al tirocinio. I risultati, dunque, anche in questo caso si allontanano dall’attualità.

Un conflitto con la Costituzione potrebbe essere ravvisato tra l’art. 33 co. 5 e l’art. 2231 c.c. nel quale si afferma che chi non è iscritto all’albo non ha diritto alla retribuzione, cioè può esercitare a titolo gratuito pur non essendo associato a un ordine. In altre parole il Legislatore fascista assumeva come principio fondante la libertà di lavoro, mentre nella Costituzione tale diritto passa in secondo piano, subordinata appunto al potere disciplinare dello Stato.

1.6 Futuro dell’esame di stato

 

Tabella 5. Considerando che il numero di esami per concludere la laurea triennale e quella specialistica è già di per se elevato e considerando che l’esame di stato non è un colloquio di lavoro finalizzato ad acquisire una posizione lavorativa, ritieni plausibile l’abolizione definitiva di tale esame?
#Itemf.a.%
1Si, sono favorevole all’abolizione dell’esame di stato3535
2L’esame di stato è necessario ma cambierei le modalità di valutazione5455
3No, preferisco lasciare tutto così com’è1010
 Totale99100

Il riconoscimento dell’esame di stato risponde in pieno alla ratio del legislatore italiano del XX secolo e cioè di porre l’individualità in secondo piano rispetto alla collettività. Sta di fatto che, a meno di una legge di revisione costituzionale, non si potrà procedere all’eliminazione integrale dell’esame di stato. Tuttavia l’orientamento del legislatore si è rivolto negli ultimi anni verso una maggiore flessibilità, (07.08.1997 n. 266). Il divieto di esercitare la professione in forma societaria era contenuto nella L. 23.11.39 n. 1815 art. 2 e valeva per le prestazioni di assistenza e consulenza, mentre i minimi tariffari, così come il divieto di pubblicità, sono stati aboliti dalla L. 04.08.2006 n. 248 art. 2.

Un altro processo di riforma ha coinvolto il secondo governo Berlusconi (Zambotti, 2000) per passare poi per quello Prodi e infine con un Dlgs attualmente in discussione al Parlamento. Le buone intenzioni ci sono ma persistono ancora resistenze da parte degli Ordini professionali che, naturalmente, hanno timore di perdere il proprio status sinora acquisito. Ammesso che si possa trovare un equilibrio tra le istanze dell’una e l’altra parte, occorre scoprire come potrà mutare la valutazione in relazione all’accesso alla professione di assistente sociale. Non ritengo opportuno, almeno al momento – ma mi riprometto di farlo in data posteriore – di approfondire le modalità nuove di valutazione. Mi preme soltanto aggiungere un contributo che potrà fare luce sugli orientamenti del legislatore in futuro.

In una ricerca sull’accesso alla formazione accademica Maciotti e Tini hanno scritto: «non possiamo creare una società libera senza dare a tutti la possibilità di studiare. Una società socialista può considerare più utile che non tutti abbiano gli stessi livelli di istruzione e che la capacità dell’individuo debba essere in qualche modo retribuita, così che anche coloro che non abbiano avuto la possibilità di studiare godano di un salario minimo. Ma una società libera deve garantire a tutti i costi l’uguaglianza dei punti di partenza, e che liberamente chiunque possa arrivare ai livelli più alti» (Maciotti, Tini, 1976).

Conclusioni

Nell’esporre le conclusioni, vorrei innanzitutto ringraziare tutti coloro che hanno partecipato alla ricerca, specialmente gli studenti di servizio sociale che ne rappresentano certamente il contributo più valido. All’interno dell’articolo ho cercato di approfondire i contenuti normativi e metodologici che sono alla base dell’esame di abilitazione di Stato. Chi si appresta ad accedere ad una professione, non può fare a meno di iniziare a riflettere su un settore di intervento speciale presso il quale dovrà esercitare la pratica. Fermo restando la necessità di regole condivise occorre, a mio avviso, anche capire del perché sia nata l’esigenza di adottare simili strategie e, sopra tutto, di come assumere uno spirito critico verso ciò che le istituzioni di comunicazione sociale propinano quotidianamente specialmente ai giovani sprovveduti che, al termine del proprio percorso di studi, si ritrovano ad affrontare un ulteriore prova di idoneità che, in fin dei conti, non comprendono del tutto.

Il primo risultato della ricerca stimola il dibattito intorno alle istituzioni deputate ai sistemi di comunicazione. Gli studenti oggi più che mai desiderano essere informati sull’esame di stato. Non solo ma esprimono la volontà di condividere le proprie impressioni su un istituto che sembra immutabile. I social network giungono laddove i portali istituzionali non riescono a soddisfare la domanda sociale. Molti studenti trasmettono on line una propria memoria della prova che diventa, in tal modo, una prassi costante per tutti coloro che si accingono per la prima volta all’esame. Molti addirittura non sanno neanche di poter beneficiare di uno sconto sulle prove, es. nel caso si avesse già superato l’esame per una sezione diversa. Ho dimostrato, ai fini della ricerca, che gli studenti sono abituati a “sentirsi dire” cosa devono fare, piuttosto ciò che vorrebbero esprimere nella pratica. Mi spiego meglio. Più che porre una discriminante tra formazione e valutazione, come sogliono fare in molti, specificherei tra formazione intesa come “sapere” e formazione intesa come “fare”. Anche perché come afferma Maria Luisa Raineri: «è possibile leggere fino a dieci manuali di counselling, senza sapere come si conduce un colloquio» (Raineri, 1997).

La ratio dell’esame di stato, così come era stata concepita dal legislatore, ma disattesa dalla professione, è giocoforza di valutare le competenze e non le conoscenze. Fiorella Cava, giustamente, ha indicato l’esperienza del tirocinio come prevista dall’esame di stato sebbene attualmente sono previsti percorsi differenziati (Cava, 2006). Da quanto risulta in una ricerca di Annalisa Spinaci, infatti, in base alle tracce proposte dalle commissioni d’esame, non si riscontrano riferimenti a tale esperienza (Spinaci, 2009). La maggior parte di informatori, d’altro canto, ha risposto che la prova verte sulle conoscenze, sebbene si è visto di come l’esame di stato è disgiunto da quello di laurea. Questo ultimo, infatti, è costituita da una dissertazione orale su un elaborato scritto di concerto con un docente relatore che si presume abbia seguito lo studente durante la preparazione della tesi. L’esame di stato, di converso, è la combinazione di una serie di prove (scritte e orali) sulle competenze acquisite durante il tirocinio dove il candidato si presume sia stato seguito da un supervisore, presumibilmente un’assistente sociale che, però, non interviene in sede valutativa.

Al contempo occorre aggiungere che lavorare per competenze implica un mutamento non indifferente non solo nelle modalità di svolgimento dell’esame ma anche e soprattutto della didattica accademica. Una rivoluzione, forse, che l’attuale sistema universitario non è pronto ad accogliere e per la quale si rimanda alla formazione post laurea. Specialmente poi dal momento in cui la legislazione attuale stimola molto di più gli studenti a cercare un lavoro anziché continuare gli studi. Il constante riferimento all’attività legislativa nazionale, tuttavia, non vuole assolutamente evitare il coinvolgimento di quella locale.

Quando nei primi anni ottanta si decise di realizzare il trasferimento della didattica dalle scuole di servizio sociale ai corsi di laurea accademici, probabilmente si pensava, in buona fede, che in tal modo la professione ne avrebbe beneficiato non solo sul piano delle competenze ma soprattutto su quello del prestigio. In realtà, a più di venti anni dall’introduzione del Diploma Universitario e a circa dieci anni dall’introduzione dei corsi di laurea, non è mutata sostanzialmente la mission della professione se non per il fatto di aver perduto una buona fetta della propria autonomia. Perché se è vero che le scuole di servizio sociale avevano assunto nel proprio organico quasi tutti docenti universitari, è anche vero che la gestione generale era affidata alle associazioni professionali. Oggi invece la gestione dei tirocini con tutto ciò che concerne la scelta dei supervisori, dei programmi e delle quote d’ingresso dipende esclusivamente dalla corporazione accademica.

La rivoluzione di cui si è fatto cenno implica che il ruolo degli studenti sia maggiormente preso in considerazione, infatti, appartenere all’ente professionale non significa soltanto partecipare all’organizzazione generale, piuttosto includere molti più processi non assimilabili esclusivamente all’abilitazione.

Lo ribadisco, il futuro del servizio sociale è insito negli studenti e nel sistema di formazione accademica che va comunque migliorato liberalizzando gli accessi ma differenziando i percorsi in base ai progressi. Se c’è qualcosa che manca nella qualità della formazione è questo atteggiamento di accettare passivamente, fino addirittura ad entrare in acquiescenza, tutto ciò che le istituzioni somministrano a scuola, figuriamoci all’università. Così proprio non va. Se il servizio sociale lo vorrà, potrà sopravvivere, e lo farà ampliando le proprie schiere, accogliendo tutti gli aspiranti, istruendoli, preparandoli, ma accogliendoli, non reclutandoli. Il diritto di scelta non si può negare a nessuno.



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Nomografia

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LEGGI ORDINARIE: Artt. 2229-2238 c.c. Libro V ’’Del lavoro’’ Codice civile (Capo II Delle professioni intellettuali); Art. 348 c.p. “Abilitazione dello Stato”; L. 25.04.1938 n. 897 ’’Obbligo di iscrizione all’albo’’; L. 29.10.1953 n. 1046 ’’Sulle infermiere professionali, assistenti visitatrici e vigilatrici d’infanzia’’; L. 23.03.1993, n. 84 ’’Ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell’albo professionale’’; L. 04.08.2006 n. 248 ’’Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale’’.

ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE:

R.D. 31.12.1923 n. 2909 ’’Abilitazione all’esercizio professionale’’

R.D.L. 24.01.1924 n. 103 ’’Disposizioni per le classi professionali non regolate da precedenti disposizioni legislative’’

R.D. 29.08.29 n. 1823 ’’Disposizioni per il riconoscimento della qualifica di specialista agli effetti dell’esercizio professionale’’

R.D. 21.11.1929 n. 2330 ’’Approvazione del regolamento per l’esecuzione del R. DL 15 agosto 1925, n. 1832, riguardante le scuole-convitto professionali per infermiere e le scuole specializzate di medicina, pubblica igiene ed assistenza sociale per assistenti sanitarie visitatrici’’

R.D. 14.10.1832 n. 1366 ’’Regolamento per gli esami di stato di abilitazione all’esercizio professionale’’

R.D. 31.08.1933 n.1592 ’’Approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore’’

R.D. 4.6.1938 n. 1269 ’’Approvazione del regolamento sugli studenti, i titoli accademici, gli esami di Stato e l’assistenza scolastica nelle università e negli istituti superiori’’

DM 11.10.94 n. 615 ’’Regolamento in attuazione della L. 23 marzo 1993 n. 84’’

D.Lgs. 23.11.1944 n. 382 ’’Norme sui Consigli degli ordini e collegi e sulle Commissioni centrali professionali’’

D.M. 09.09.1957 ’’Approvazione del regolamento di esami di stato di abilitazione all’esercizio delle professioni’’

D.M. 30.03.1998 n.155 ’’Regolamento all’esame di Stato per l’esercizio della professione di assistente sociale’’

Decreto Rettorale Università di Trieste 17.12.1998 ’’Modificazioni allo statuto dell’università’’

D.P.R. 05.06.2001 n. 328 ’’Modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove per l’esercizio di talune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti’’

GIURISPRUDENZA: sentenze Corte Cost. 14.06.1956 n. 1; 26.01.1957 n. 2; 26.01.1960 n. 1; 18.02.1960 n. 6; 22.11.1962 n. 93; 03.05.1963 n. 58; 23.06.1964 n. 77; 15.03.1972 n.43; 27.03.1974 n. 83; 23.07.1974 n. 244; 31.06.1979 n. 54; 22.12.1980 n. 174; 06.07.1983 n. 207; 27.12.1996 n. 418; Corte Giustizia CE Sez. V 18.06.1998 n. 35.

FONTI INTERNAZIONALI: Dichiarazione universale diritti dell’uomo artt. 13 ’’diritto ad un ricorso effettivo’’ protocollo addizionale Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; artt. 22 ’’sicurezza sociale’’, 26 ’’istruzione’’, 27 ’’proprietà intellettuale’’; Carta diritti fondamentali UE artt. 149 ’’Istruzione, formazione professionale e gioventù’’ e 151 ’’cultura’’ TCE; artt. 13 ’’libertà delle arti e delle scienze’’ e 15 ’’libertà professionale’’; Costt. Austria art. 14, Belgio artt. 23 e 24, Germania artt. 5 o 7, Spagna artt. 27 e 44, Grecia art. 16.

Abstract

L’esame di stato ancora oggi per molti giovani suscita molte perplessità in quanto vissuto come un passaggio obbligatorio ma di cui non si comprende del tutto la necessità. Questo lavoro vuole gettare luce sull’argomento e approfondire il punto di vista degli studenti cioè di chi, in primis, è coinvolto in tale passaggio. Una prima parte introduce il lettore sulla legislazione attuale nonché sull’excursus storico che ha determinato l’introduzione di un simile istituto. Una seconda parte descrive le principali caratteristiche nonché il procedimento attraverso il quale si svolge l’esame. L’ultima sezione è interamente dedicata ai risultati della ricerca svolta tramite l’ausilio dei social network virtuali.

The State enabling was still raises many concerns for many young people as experienced as a required step but that does not include all the features. This work aims to shed light on the subject from the point of view of students that those who, first and foremost, is involved in this effort. The first section introduces the reader on current legislation and history about such an institution. A second section describes the main characteristics and the process by which the exam takes place. The last section is dedicated to the results of research conducted with the help of virtual social network.

1.1 Premessa metodologica

L’indagine è stata realizzata coinvolgendo esclusivamente informatori iscritti ai social network di internet, precisamente 31 gruppi facebook e 9 forum virtuali. Le domande tendono a descrivere gli eventi caratterizzanti dell’esame di stato: la laurea che precede la scelta, l’accesso alle prove, le aspettative future e le motivazioni presenti. La scelta metodologica è stata, dunque, quella di evitare domande succinte, piuttosto descrivere concretamente atti e comportamenti in modo da favorire l’apertura degli informatori a ciò che li attende. Prima di compilare il questionario, ogni informatore poteva leggere un messaggio di benvenuto che fungeva anche da consenso informato e attraverso il quale poteva conoscere le finalità della ricerca e le modalità di rilevazione.

La rilevazione è stata effettuata nell’arco di due mesi solari, dal 12.10 al 12.12 alla quale data risultavano pervenuti 99 questionari compilati su un totale di 178 inviati. Data la peculiarità dell’ausilio informatico, non è stato possibile rilevare dati sensibili degli informatori, sebbene il software registra l’indirizzo IP del PC di provenienza delle risposte. Di conseguenza è impossibile per chiunque compilare il questionario più di una volta utilizzando il medesimo computer. È possibile tuttavia rintracciare un profilo generico sui partecipanti dei forum e dei social network interessati che sono frequentati da giovani con un età anagrafica compresa tra i 18 e i 40 anni per la maggior parte iscritti ai corsi di laurea triennale in servizio sociale.

Per la realizzazione del questionario e il computo dei dati mi sono avvalso del software gratuito Qualtrics che utilizza un’interfaccia semplice e performante del tipo WYSIWYG (What You See Is What You Get). Il software pone a disposizione degli utenti il questionario in un server locale al quale basta accedere tramite un semplice link che ho provveduto personalmente ad inserire presso le pagine web dei forum e del social network. Per motivi di spazio non è stato possibile aggiungere le fonti dei dati per il questionario, tuttavia è possibile scaricare un prospetto al seguente link http://www.box.net/shared/7yse0od8ne.

1.2 Finalità della laurea magistrale

Tabella 1. Considerando che il termine specializzazione sottende un approfondimento disciplinare, secondo te per cosa dovrebbe preparare la laurea magistrale (ex specialistica)?
#Itemf.a.%
1Specializzazione in un settore d’intervento6465
2Dirigenza3131
3Insegnamento44
 Totale99100

 

Il risultato del primo quesito sembra ribaltare l’attualità professionale, anche se la cd. specializzazione da un lato può migliorare l’efficacia di determinate competenze, d’altro canto può minare la coesione interna a causa della concorrenza (es. specialisti in mediazione, specialisti in abusi minorili, specialisti in assistenza domiciliare, etc.).

Le prime sezioni speciali risalgono al Fascismo quando furono introdotte nella professione forense per le magistrature superiori alle quali si poteva accedere, ad pompam, cioè per anzianità, dopo alcuni anni di esercizio (L. 07.12.51 n. 1333 art. 3). Nel servizio sociale la sezione speciale fu introdotta a seguito dal D.M. 509/99. La formulazione del quesito sembra trarre in inganno quando cita “approfondimento disciplinare”, inducendo forse il lettore a confondere le conoscenze con le competenze, così come Rossi ha scritto: «la laurea specialistica ha l’obiettivo di fornire allo studente una formazione di livello avanzato per l’esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici» (Rossi, 2000). Si tratta dunque di una domanda “trabocchetto” alla quale la maggior parte di informatori sono incappati, fermo restando che, salvo l’approfondimento disciplinare, il termine ’’speciale’’ non implica l’utilizzo di competenze in un settore esclusivo d’intervento. La settorializzazione degli interventi, in auge fini ai primi anni ’70, è stata progressivamente abbandonata in favore di un un orientamento integrale e manageriale.

Attualmente la sezione speciale gode di un regime particolare di accesso, forse ispirata dal R.D. 29.08.1929 n. 1823 art. 1 co. 1, così come, infatti, Zambotti ha scritto: «possono inoltrare richiesta all’Ordine (degli assistenti sociali) per l’iscrizione all’Albo A coloro i quali possano dimostrare di aver svolto per almeno cinque anni, anche non continuativi, funzioni dirigenziali» (Zambotti, 2002), mentre nel DPR 05.06.2001 n. 328 sta scritto: «agli esami di Stato di cui al co. 1 (sezione A) sono ammessi anche gli assistenti sociali non in possesso di laurea specialistica, iscritti all’albo (sezione B), ai sensi della normativa previgente, da almeno cinque anni alla data di entrata in vigore del presente regolamento e che hanno svolto per almeno cinque anni le funzioni di cui all’art. 20, co. 2 (assistente sociale specialista)». La differenza è che nel primo caso non risulta obbligatorio superare l’esame di stato, essendo sufficiente un’autocertificazione, mentre nel secondo caso è sufficiente aver conseguito anche una semplice laurea di primo livello.

Per quanto riguarda la dirigenza, non sempre la disciplina è stata chiara al riguardo. Il documento dell’Amministrazione attività internazionali addirittura lo confonde con un semplice coordinatore: «responsabile dell’operato del personale, dell’organizzazione del lavoro, rappresentanza verso terzi enti, programmazione, collegamento con la sede centrale della Ripartizione» (AAI, 1970). Altri problemi derivano dalle possibilità di accesso a tale ruolo per gli assistenti sociali. Se, infatti, consideriamo che: «i programmi dei singoli esami di stato sono determinati per regolamento dal Ministero dell’istruzione, udito il Consiglio superiore e gli ordini professionali (TU 1933 art. 184 e L. 1956 n. 1378 art. 3)». Ne risulta che nel documento delle proposte sui profili professionali presentate dal Consiglio Nazionale Assistenti Sociali nel 2000 risultano indicate, come programma per l’esame di stato ai fini dell’accesso per la sezione ’’B’’, le competenze di gestione, programmazione, coordinamento e direzione mentre quella ’’A’’ si differenzia solo per l’attività di ricerca, docenza e supervisione (Zambotti, 2000).

In seguito alla promulgazione del DPR 05.06.01 n. 328, tuttavia, sta scritto: «coloro che avevano precedentemente conseguito l’abilitazione per la dirigenza, saranno iscritti alla sezione B e si vedranno preclusa la possibilità di esercitare le attività proprie di tale ruolo» (Zambotti, 2001), mentre la L. 23.03.93 n. 84 non prevedendo una sezione speciale, conferiva a tutti tale esercizio. Fu presentato un ricorso dal Consiglio regionale del Veneto per l’annullamento di tali norme. Ciò nonostante: «la suddivisione in due sezioni – A “Assistente sociale specialista” B “Assistente sociale” dell’Albo Professionale non ha, ad oggi, trovato riscontri, se non in casi isolati, nello svolgimento dell’attività professionale e il D.P.R. 328/01 non è ancora recepito nei contratti collettivi nazionali del lavoro e pertanto non costituisce titolo di accesso alla Pubblica Amministrazione» (Samory, Massaro, 2009).

Nel convegno del Sunas svoltosi a Rimini il 28.03.2007 è emerso che «nonostante la riforma universitaria abbia introdotto nel 2000 i due percorsi di formazione accademica con proprie classi di laurea e laurea magistrale, ed il decreto 328/01 abbia rivisto l’ordinamento della professione indicando le attività e gli ambiti di intervento dei due distinti profili, attualmente c’è spazio per la dirigenza sociale unicamente all’interno delle Aziende Sanitarie che hanno istituito la relativa dirigenza tramite L. 251/00 e successiva L. 27/06», di fatto «non esiste dirigenza sociale» (Zambotti, 2007). In altre parole «questi assistenti sociali (specialisti), collocati in una sorta di limbo, sperimentano o esplorano settori di intervento innovativi, pur mantenendo lo stesso inquadramento e profilo (degli altri colleghi)» (Zambotti, 2007).

Il paradosso della professione è che «la legittima aspirazione di vedere sancito il diritto alla direzione dei servizi sociali, tradotta nelle regole del percorso formativo della laurea magistrale (ex laurea specialistica), ha consentito l’ingresso a laureati di corsi di laurea diversi da Scienze del Servizio Sociale che possiedono i crediti formativi sufficienti, l’ancora più aspecifica preparazione non aggiunge molto alla laurea triennale ed infine il possesso del profilo A è raramente speso nella funzione che gli apparterebbe. Ciò determina la presenza nei posti di lavoro di molti specialisti che svolgono attività di base e non di direzione e se questi non provengono dalla professioni, non sono pronti a ricoprire le funzioni né di un profilo né dell’altro» (Massaro, 2009).

Gli esami di stato, infine, non devono confondersi con quelli per l’abilitazione all’insegnamento previsti dall’art. 179 co. 2 del TU 31.08.1933, con l’eccezione della professione forense che «può essere esercitata dai professori universitari di ruolo in materie giuridiche senza averlo sostenuto» (Rossi, 1989).

1.3 Finalità dell’esame di stato

 

Tabella 2. A cosa dovrebbe servire secondo te, l’esame di stato?
#Itemf.a.%
1A valutare le attitudini psico-attitudinali del candidato2222
2A valutare le conoscenze acquisite durante il percorso di studi7273
3A valutare le esperienze acquisite durante l’esperienza lavorativa55
 Totale99100

La maggior parte di informatori ritiene che l’esame di stato debba servire a valutare le conoscenze quasi come a voler rimarcare quanto già stabilito dall’esame di laurea. La possibilità indicata dal campione non corrisponde tuttavia all’attualità. Sebbene nella domanda è esplicito un predicato condizionale, non si può fare a meno di dare uno sguardo alla situazione attuale. Il DM 09.09.57 pone in evidenza il riconoscimento della “capacità tecnica” del candidato, mentre il R.D. 04.06.1938 n. 1269 art. 62 co. 2 indicava la “capacità pratica”. Anche il Zanobini ribadisce che «l’esame di stato riguarda solo la capacità professionale dei laureati e non è un esame universitario» (Zanobini, 1954). Un’altra testimonianza proviene dal Civiello, funzionario del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica, in un’intervista rilasciata all’epoca della riforma universitaria: «una laurea professionalizzante sarebbe un controsenso, infatti nel nostro panorama accademico i corsi di laurea hanno l’obiettivo di formare alla conoscenza e preparare alla ricerca in una determinata area disciplinare, non si propongono invece di preparare ad un’attività professionale. Sono esclusivamente centrati sul sapere e non sul saper fare» (Raineri, 1997).

Assodato dunque che l’oggetto di valutazione sono le competenze, occorre stabilire dove queste sono assunte. Il servizio sociale, così come il servizio medico, prevede forme di tirocinio, durante lo svolgimento del percorso accademico, che è a tutti gli effetti un’esperienza lavorativa; il Zanobini addirittura la definisce “locazione di lavoro”, il Predieri, di converso, afferma che il tirocinio rappresenta un’opera «intellettuale ma non professionale perché mancante del carattere contrattuale di prestazione d’opera» (Predieri, 1963) e di come questo preveda una connotazione più educativa mentre nella pratica l’apporto del supervisore passa in secondo piano.

La discrasia tra attualità e possibilità, che emerge dal questionario, potrebbe essere causata giocoforza dalla confusione circa la collocazione e la prestazione di tirocinio il cui espletamento, secondo Fiorella Cava ex presidente dell’Ordine Nazionale, presenta non poche difficoltà dovute sia al sovraffollamento dei corsi di laurea, che alla minore partecipazione di supervisori (Cava, 2006).

Sebbene «il tirocinio professionale ha lo scopo di addestrare gli studenti in modo graduale all’esercizio della professione dando loro la possibilità di sperimentare situazioni di lavoro programmate e guidate nell’ambito delle realtà istituzionali preposte alla programmazione e gestione dei servizi socio-sanitari», secondo Bonomo e Corposanto «la preparazione specifica all’esercizio professionale non sembra essere tra le preoccupazioni peculiari dell’istituzione accademica».

Non sorprende il dato rilevante circa gli attributi psico-attitudinali se si considera che l’art. 2 della L. 987/38 indicava che, oltre al titolo di studio, occorreva valutare anche la «specchiata condotta morale e politica» (Piscione, 1959) che, secondo l’autore, sarebbe rimasta in uso nel tempo. Nella “buona condotta” rientrano, invece, l’esclusione di precedenti penali e il decoro personale che potrebbero inficiare il prestigio dell’ente associativo. Il Zanobini fa rientrare nella condotta morale anche «qualunque mancanza contro l’onore» (Zanobini, 1954) in riferimento all’art. 54 Cost.

1.4 Adesione all’ordine professionale

 

Tabella 3. Ritieni che l’adesione all’ordine professionale debba essere...
#Itemf.a%
1Un privilegio                                                23
2Un diritto4646
2Un merito5150
 Totale99100

Questo quesito, così come quello seguente, consentono di porre in chiaro la differenza tra diritto all’esercizio professionale e iscrizione all’albo. Ho già accennato alla differenza tra ordine e gruppo professionale, ma qui occorre un approfondimento. L’appartenenza determina l’attribuzione di poteri e facoltà così come di diritti e doveri (Catelani, 1976), mentre la partecipazione implica l’assunzione di situazioni giuridiche attive o passive. Bruno Cavallo giustamente osserva che: «non può affermarsi l’equivalenza tra ordine professionale ed ente professionale, poiché il gruppo professionale ed il suo necessario apparato organizzativo possono anche non essere entificati» (Cavallo, 1994), così come Silvia Mirate distingue tra «l’ente professionale», che è un soggetto pubblico, e il gruppo professionale di appartenenza» che è un soggetto privato (Mirate, 2010).

L’iscrizione all’albo, e non quindi l’abilitazione, è un diritto soggettivo. L’assunzione dell’una non implica necessariamente la presenza dell’altra, venendosi a creare una situazione paradossale, per chi ha superato l’esame di stato, che «si ritrova ad essere abilitato ma non autorizzato» (Chiarelli, 1967). In effetti l’esercizio professionale è attribuito con una deliberazione del Consiglio dell’ordine, e quindi l’iscrizione assume solo un valore formale, poiché «l’attività svolta dagli organi professionali è di mero accertamento, senza alcun margine di discrezionalità» (Chiarelli, 1967).

Per tali ragioni, l’organo a cui è affidato il potere abilitante deve essere “tecnico” nel senso di essere formato da esperti, e deve essere “imparziale” «al fine di garantire pari opportunità tra tutti i candidati», nello specifico si intende «organo di controllo tecnico» in relazione alla responsabilità nei confronti della collettività e in relazione all’incidenza sulla libertà professionale (Chialà, 1980). Nonostante ciò, gli esami di stato «così come sono regolati, non rispondono tutti all’esigenza di garantire la capacità professionale dei candidati (Saitta, 1966), in particolare «le sedi della nostra formazione hanno mancato al compito di far crescere la professione, integrando il passato con il presente, sino a diluirla in una generica funzione di operatore sociale» (Piazza, 2000). Tale scollamento di generazioni si evince dalle parole del medesimo autore: «siamo una professione senza storia, senza memoria storica, senza ricordo delle radici» (Piazza, 2000).

1.5 Esercizio della professione

 

Tabella 4. Ritieni che l’esercizio della professione debba essere...
#Itemf.a.%
1Un privilegio                                                           55
2Un diritto4546
3Un merito4849
 Totale98100

I risultati in questo caso si avvicinano molto più all’attualità che alla possibilità. Tuttavia rispetto al quesito precedente sussiste un minore margine di differenza tra merito e diritto. Gli informatori, in questo caso, sono sempre propensi a identificare l’esercizio come un merito così come abbiamo constatato con l’adesione all’ordine, ma rispetto a ciò, sono più propensi a considerare l’esercizio come un diritto. Il diritto al lavoro, infatti, è costituzionalmente garantito ed, anzi, è un obbligo, come abbiamo visto, se paragonato al tirocinio. I risultati, dunque, anche in questo caso si allontanano dall’attualità.

Un conflitto con la Costituzione potrebbe essere ravvisato tra l’art. 33 co. 5 e l’art. 2231 c.c. nel quale si afferma che chi non è iscritto all’albo non ha diritto alla retribuzione, cioè può esercitare a titolo gratuito pur non essendo associato a un ordine. In altre parole il Legislatore fascista assumeva come principio fondante la libertà di lavoro, mentre nella Costituzione tale diritto passa in secondo piano, subordinata appunto al potere disciplinare dello Stato.

1.6 Futuro dell’esame di stato

 

Tabella 5. Considerando che il numero di esami per concludere la laurea triennale e quella specialistica è già di per se elevato e considerando che l’esame di stato non è un colloquio di lavoro finalizzato ad acquisire una posizione lavorativa, ritieni plausibile l’abolizione definitiva di tale esame?
#Itemf.a.%
1Si, sono favorevole all’abolizione dell’esame di stato3535
2L’esame di stato è necessario ma cambierei le modalità di valutazione5455
3No, preferisco lasciare tutto così com’è1010
 Totale99100

Il riconoscimento dell’esame di stato risponde in pieno alla ratio del legislatore italiano del XX secolo e cioè di porre l’individualità in secondo piano rispetto alla collettività. Sta di fatto che, a meno di una legge di revisione costituzionale, non si potrà procedere all’eliminazione integrale dell’esame di stato. Tuttavia l’orientamento del legislatore si è rivolto negli ultimi anni verso una maggiore flessibilità, (07.08.1997 n. 266). Il divieto di esercitare la professione in forma societaria era contenuto nella L. 23.11.39 n. 1815 art. 2 e valeva per le prestazioni di assistenza e consulenza, mentre i minimi tariffari, così come il divieto di pubblicità, sono stati aboliti dalla L. 04.08.2006 n. 248 art. 2.

Un altro processo di riforma ha coinvolto il secondo governo Berlusconi (Zambotti, 2000) per passare poi per quello Prodi e infine con un Dlgs attualmente in discussione al Parlamento. Le buone intenzioni ci sono ma persistono ancora resistenze da parte degli Ordini professionali che, naturalmente, hanno timore di perdere il proprio status sinora acquisito. Ammesso che si possa trovare un equilibrio tra le istanze dell’una e l’altra parte, occorre scoprire come potrà mutare la valutazione in relazione all’accesso alla professione di assistente sociale. Non ritengo opportuno, almeno al momento – ma mi riprometto di farlo in data posteriore – di approfondire le modalità nuove di valutazione. Mi preme soltanto aggiungere un contributo che potrà fare luce sugli orientamenti del legislatore in futuro.

In una ricerca sull’accesso alla formazione accademica Maciotti e Tini hanno scritto: «non possiamo creare una società libera senza dare a tutti la possibilità di studiare. Una società socialista può considerare più utile che non tutti abbiano gli stessi livelli di istruzione e che la capacità dell’individuo debba essere in qualche modo retribuita, così che anche coloro che non abbiano avuto la possibilità di studiare godano di un salario minimo. Ma una società libera deve garantire a tutti i costi l’uguaglianza dei punti di partenza, e che liberamente chiunque possa arrivare ai livelli più alti» (Maciotti, Tini, 1976).

Conclusioni

Nell’esporre le conclusioni, vorrei innanzitutto ringraziare tutti coloro che hanno partecipato alla ricerca, specialmente gli studenti di servizio sociale che ne rappresentano certamente il contributo più valido. All’interno dell’articolo ho cercato di approfondire i contenuti normativi e metodologici che sono alla base dell’esame di abilitazione di Stato. Chi si appresta ad accedere ad una professione, non può fare a meno di iniziare a riflettere su un settore di intervento speciale presso il quale dovrà esercitare la pratica. Fermo restando la necessità di regole condivise occorre, a mio avviso, anche capire del perché sia nata l’esigenza di adottare simili strategie e, sopra tutto, di come assumere uno spirito critico verso ciò che le istituzioni di comunicazione sociale propinano quotidianamente specialmente ai giovani sprovveduti che, al termine del proprio percorso di studi, si ritrovano ad affrontare un ulteriore prova di idoneità che, in fin dei conti, non comprendono del tutto.

Il primo risultato della ricerca stimola il dibattito intorno alle istituzioni deputate ai sistemi di comunicazione. Gli studenti oggi più che mai desiderano essere informati sull’esame di stato. Non solo ma esprimono la volontà di condividere le proprie impressioni su un istituto che sembra immutabile. I social network giungono laddove i portali istituzionali non riescono a soddisfare la domanda sociale. Molti studenti trasmettono on line una propria memoria della prova che diventa, in tal modo, una prassi costante per tutti coloro che si accingono per la prima volta all’esame. Molti addirittura non sanno neanche di poter beneficiare di uno sconto sulle prove, es. nel caso si avesse già superato l’esame per una sezione diversa. Ho dimostrato, ai fini della ricerca, che gli studenti sono abituati a “sentirsi dire” cosa devono fare, piuttosto ciò che vorrebbero esprimere nella pratica. Mi spiego meglio. Più che porre una discriminante tra formazione e valutazione, come sogliono fare in molti, specificherei tra formazione intesa come “sapere” e formazione intesa come “fare”. Anche perché come afferma Maria Luisa Raineri: «è possibile leggere fino a dieci manuali di counselling, senza sapere come si conduce un colloquio» (Raineri, 1997).

La ratio dell’esame di stato, così come era stata concepita dal legislatore, ma disattesa dalla professione, è giocoforza di valutare le competenze e non le conoscenze. Fiorella Cava, giustamente, ha indicato l’esperienza del tirocinio come prevista dall’esame di stato sebbene attualmente sono previsti percorsi differenziati (Cava, 2006). Da quanto risulta in una ricerca di Annalisa Spinaci, infatti, in base alle tracce proposte dalle commissioni d’esame, non si riscontrano riferimenti a tale esperienza (Spinaci, 2009). La maggior parte di informatori, d’altro canto, ha risposto che la prova verte sulle conoscenze, sebbene si è visto di come l’esame di stato è disgiunto da quello di laurea. Questo ultimo, infatti, è costituita da una dissertazione orale su un elaborato scritto di concerto con un docente relatore che si presume abbia seguito lo studente durante la preparazione della tesi. L’esame di stato, di converso, è la combinazione di una serie di prove (scritte e orali) sulle competenze acquisite durante il tirocinio dove il candidato si presume sia stato seguito da un supervisore, presumibilmente un’assistente sociale che, però, non interviene in sede valutativa.

Al contempo occorre aggiungere che lavorare per competenze implica un mutamento non indifferente non solo nelle modalità di svolgimento dell’esame ma anche e soprattutto della didattica accademica. Una rivoluzione, forse, che l’attuale sistema universitario non è pronto ad accogliere e per la quale si rimanda alla formazione post laurea. Specialmente poi dal momento in cui la legislazione attuale stimola molto di più gli studenti a cercare un lavoro anziché continuare gli studi. Il constante riferimento all’attività legislativa nazionale, tuttavia, non vuole assolutamente evitare il coinvolgimento di quella locale.

Quando nei primi anni ottanta si decise di realizzare il trasferimento della didattica dalle scuole di servizio sociale ai corsi di laurea accademici, probabilmente si pensava, in buona fede, che in tal modo la professione ne avrebbe beneficiato non solo sul piano delle competenze ma soprattutto su quello del prestigio. In realtà, a più di venti anni dall’introduzione del Diploma Universitario e a circa dieci anni dall’introduzione dei corsi di laurea, non è mutata sostanzialmente la mission della professione se non per il fatto di aver perduto una buona fetta della propria autonomia. Perché se è vero che le scuole di servizio sociale avevano assunto nel proprio organico quasi tutti docenti universitari, è anche vero che la gestione generale era affidata alle associazioni professionali. Oggi invece la gestione dei tirocini con tutto ciò che concerne la scelta dei supervisori, dei programmi e delle quote d’ingresso dipende esclusivamente dalla corporazione accademica.

La rivoluzione di cui si è fatto cenno implica che il ruolo degli studenti sia maggiormente preso in considerazione, infatti, appartenere all’ente professionale non significa soltanto partecipare all’organizzazione generale, piuttosto includere molti più processi non assimilabili esclusivamente all’abilitazione.

Lo ribadisco, il futuro del servizio sociale è insito negli studenti e nel sistema di formazione accademica che va comunque migliorato liberalizzando gli accessi ma differenziando i percorsi in base ai progressi. Se c’è qualcosa che manca nella qualità della formazione è questo atteggiamento di accettare passivamente, fino addirittura ad entrare in acquiescenza, tutto ciò che le istituzioni somministrano a scuola, figuriamoci all’università. Così proprio non va. Se il servizio sociale lo vorrà, potrà sopravvivere, e lo farà ampliando le proprie schiere, accogliendo tutti gli aspiranti, istruendoli, preparandoli, ma accogliendoli, non reclutandoli. Il diritto di scelta non si può negare a nessuno.



Bibliografia

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BONOMO V., CORPOSANTO C. (2009) L’esame di stato per assistenti sociali: considerazioni su ruoli e competenze, “La professione sociale”, 2, pp. 52-56.

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– (2000) Anche per ordini e collegi è in arrivo la riforma, ’’Professione assistente sociale’’, 5.

– (2001) Esami di stato ed iscrizione all’albo, ’’Professione assistente sociale’’, 2, pp. 2-4

– (2002) Dal consiglio dell’ordine del 15.02.02, ’’Professione assistente sociale’’, 1, pp. 2-3

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ZANOBINI G. (1954-59) Corso di diritto amministrativo, 6 voll., Milano, Giuffrè.

Nomografia

COSTITUZIONE E LEGGI COSTITUZIONALI: Art. 33 ’’Istruzione e abilitazione professionale’’; L. 18.10.2001 n.3 ’’Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione’’

LEGGI ORDINARIE: Artt. 2229-2238 c.c. Libro V ’’Del lavoro’’ Codice civile (Capo II Delle professioni intellettuali); Art. 348 c.p. “Abilitazione dello Stato”; L. 25.04.1938 n. 897 ’’Obbligo di iscrizione all’albo’’; L. 29.10.1953 n. 1046 ’’Sulle infermiere professionali, assistenti visitatrici e vigilatrici d’infanzia’’; L. 23.03.1993, n. 84 ’’Ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell’albo professionale’’; L. 04.08.2006 n. 248 ’’Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale’’.

ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE:

R.D. 31.12.1923 n. 2909 ’’Abilitazione all’esercizio professionale’’

R.D.L. 24.01.1924 n. 103 ’’Disposizioni per le classi professionali non regolate da precedenti disposizioni legislative’’

R.D. 29.08.29 n. 1823 ’’Disposizioni per il riconoscimento della qualifica di specialista agli effetti dell’esercizio professionale’’

R.D. 21.11.1929 n. 2330 ’’Approvazione del regolamento per l’esecuzione del R. DL 15 agosto 1925, n. 1832, riguardante le scuole-convitto professionali per infermiere e le scuole specializzate di medicina, pubblica igiene ed assistenza sociale per assistenti sanitarie visitatrici’’

R.D. 14.10.1832 n. 1366 ’’Regolamento per gli esami di stato di abilitazione all’esercizio professionale’’

R.D. 31.08.1933 n.1592 ’’Approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore’’

R.D. 4.6.1938 n. 1269 ’’Approvazione del regolamento sugli studenti, i titoli accademici, gli esami di Stato e l’assistenza scolastica nelle università e negli istituti superiori’’

DM 11.10.94 n. 615 ’’Regolamento in attuazione della L. 23 marzo 1993 n. 84’’

D.Lgs. 23.11.1944 n. 382 ’’Norme sui Consigli degli ordini e collegi e sulle Commissioni centrali professionali’’

D.M. 09.09.1957 ’’Approvazione del regolamento di esami di stato di abilitazione all’esercizio delle professioni’’

D.M. 30.03.1998 n.155 ’’Regolamento all’esame di Stato per l’esercizio della professione di assistente sociale’’

Decreto Rettorale Università di Trieste 17.12.1998 ’’Modificazioni allo statuto dell’università’’

D.P.R. 05.06.2001 n. 328 ’’Modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove per l’esercizio di talune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti’’

GIURISPRUDENZA: sentenze Corte Cost. 14.06.1956 n. 1; 26.01.1957 n. 2; 26.01.1960 n. 1; 18.02.1960 n. 6; 22.11.1962 n. 93; 03.05.1963 n. 58; 23.06.1964 n. 77; 15.03.1972 n.43; 27.03.1974 n. 83; 23.07.1974 n. 244; 31.06.1979 n. 54; 22.12.1980 n. 174; 06.07.1983 n. 207; 27.12.1996 n. 418; Corte Giustizia CE Sez. V 18.06.1998 n. 35.

FONTI INTERNAZIONALI: Dichiarazione universale diritti dell’uomo artt. 13 ’’diritto ad un ricorso effettivo’’ protocollo addizionale Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; artt. 22 ’’sicurezza sociale’’, 26 ’’istruzione’’, 27 ’’proprietà intellettuale’’; Carta diritti fondamentali UE artt. 149 ’’Istruzione, formazione professionale e gioventù’’ e 151 ’’cultura’’ TCE; artt. 13 ’’libertà delle arti e delle scienze’’ e 15 ’’libertà professionale’’; Costt. Austria art. 14, Belgio artt. 23 e 24, Germania artt. 5 o 7, Spagna artt. 27 e 44, Grecia art. 16.