Non sempre le emittenti radio devono registrare la testata giornalistica

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Non sempre le emittenti radio devono registrare la testata giornalistica

 

ABSTRACT: Analizzati i commenti a due sentenze poste a fondamento dell’obbligo di registrare la testata giornalistica per le emittenti radio, l’Autore elabora una interpretazione costituzionalmente orientata della vigente normativa, individuando quali sono le fattispecie di esclusione per le emittenti radio.

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The author analyzes the comments on two judges’s rulings that underlie the legal obligation for radio broadcasters to be registered on the Court Registry, developing a correctly oriented interpretation for the applicable regulations according to the Constitution and identifying the cases of exclusion for radio broadcasters.

 

L’attenzione della giurisprudenza

Nel mondo della radiofonia italiana spesso ritorna il dubbio se tutte le emittenti radio debbano obbligatoriamente registrarsi presso il competente tribunale come testata giornalistica, ai sensi dell'articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa).

Nel passato l’attenzione degli studiosi venne attirata da due sentenze: Tribunale di Milano, II sez. civile, sentenza 10-16 maggio 2002 n. 6127 e Cassazione penale, sez. VI, sentenza (data ud. 13/06/2017) 13/09/2017, n. 41765 (la quale aveva confermato le sentenze di merito adottate invece da giudici del Trentino-Alto Adige/Südtirol).

 

I commenti alle sentenze

Un dubbio, quello sopra evidenziato, che aveva interessato, quindi, tanto la giurisdizione civile quanto quella penale, portando alcuni commentatori a basarsi sulla sentenza milanese per affermare che “Si può sostenere legittimamente e ragionevolmente che sono da registrare nei tribunali (con un direttore responsabile) tutte le libere manifestazioni del pensiero rivolte al pubblico e strutturate come «giornale» (sia esso di carta, radiofonico, televisivo, oppure utilizzante «ogni altro mezzo di diffusione» che  oggi è  internet)” [F. Abruzzo, Testate on-line: analisi sulla obbligatorietà della registrazione al tribunale ed al ROC, in Altalex, 22 giugno 2003], altri invece a invocare la Suprema Corte per sostenere che “Ne consegue che non solo le emittenti radiotelevisive analogiche, ma anche i soggetti titolari di autorizzazione alla fornitura di servizi di media audiovisivi e dati che diffondono, quale che sia la tecnologia trasmissiva, prodotti editoriali a contenuto informativo devono dotarsi di testata giornalistica regolarmente registrata all’Ufficio Stampa del Tribunale territorialmente competente. Il suddetto obbligo prescinde dal fatto che si usufruisca o meno di provvidenze editoriali o contributi statali a vario titolo.” [M. Lualdi, L’obbligatorietà della testata giornalistica in capo alle emittenti ed ai fornitori di contenuti digitali, in Consulenza radiofonica, 6 ottobre 2017].

In particolare, il commento alla sentenza del 2002 aveva dato adito ad ulteriori affermazioni, quali: “Sono evidenti le ragioni per le quali i «soggetti» e le «imprese», descritti nell’articolo 1 della delibera [dell’Agcom n. 236/01/CONS del 30 maggio 2001 - Regolamento per l’organizzazione e la tenuta del registro degli operatori di comunicazione], sono esentati dall'osservanza degli obblighi previsti dall'articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47: le imprese editoriali non hanno cittadinanza nella legge n. 47/1948 sulla stampa. Presso i tribunali, invece, vengono registrate le testate giornalistiche (di cui agli articoli 2 e 5 della legge 47/1948) (…)

Le finalità delle due registrazioni sono divergenti: quella presso i tribunali serve a individuare le responsabilità (civili, penali, amministrative) collegate alle pubblicazioni anche telematiche; quella presso l’Agcom tutela la trasparenza del settore editoriale tradizionale e digitale (…)

In conclusione vale la doppia iscrizione differenziata: gli editori nel Roc e le testate presso i tribunali”.

Anche se su tali conclusioni si è retta sino ad oggi l’interpretazione adottata dagli ordini professionali e da una parte dei commentatori, sono esse da considerarsi corrette? In particolare, è proprio vero che tutte le emittenti - in particolare quelle radiofoniche “comunitarie” - debbano sottostare a tale obbligo di registrazione?

 

Osservazioni critiche ai commenti

In primo luogo, va osservato – come riportato nel citato commento alla sentenza  del giudice civile milanese – che l’assimilazione della pubblicazione cartacea a quella diffusa in via elettronica (con particolare attenzione alle pubblicazioni on-line) era stata effettuata dal giudice con riferimento più che altro alla impossibilità di sequestro se non in virtù di una sentenza irrevocabile: “Alla luce della complessiva normativa in tema di pubblicazioni diffuse sulla rete Internet, risulta ormai acquisito all’ordinamento giuridico il principio della totale assimilazione della pubblicazione cartacea a quella diffusa in via elettronica, secondo quanto stabilito esplicitamente dall’articolo 1 della legge  62/2001. Tale definizione incide e amplia quella contenuta nel Rdlg 561/1946 secondo cui non si può procedere al sequestro delle edizioni dei giornali, di pubblicazioni o stampati – contemplati nell’Editto della stampa 26 marzo 1848 n. 695 – se non in virtù di una sentenza irrevocabile” [Tribunale di Milano, II sez. civile, sentenza 10-16 maggio 2002 n. 6127]

Evidente, quindi, la volontà del Giudice di garantire la libertà di espressione, anziché di porre ad essa limitazioni.

Con riferimento, invece, alla sentenza della Suprema Corte in sede penale, in virtù della funzione nomofilattica [di garanzia dell’interpretazione e dell'applicazione uniforme della legge]  che la caratterizza essa non poteva che ribadire la funzione del Giudice di legittimità “cui è precluso l'accesso al merito, che deve verificare la stabilità argomentativa della motivazione e del ragionamento probatorio sotteso”, ritenendo nel caso di specie che “Le censure dedotte attengono, in particolare, alla ricostruzione dei fatti, non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata e sono sostanzialmente volte a sovrapporre un'interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito, piuttosto che a far emergere un vizio della motivazione rilevante ai sensi dell'art. 606 c.p.p.” [punti 3 e 4 delle Motivazioni della sentenza n. 41765/2017]. Improprio, pertanto, enucleare perentoriamente da tale sentenza considerazioni attinenti al merito della vicenda, oggetto invece delle sentenze di primo grado e di appello.

Inoltre, come vedremo nei paragrafi 6 e 7, non trova fondamento normativo alcuno continuare a sostenere la citata apodittica conclusione, secondo la quale “le emittenti radiotelevisive analogiche, quale che sia la tecnologia trasmissiva (…) devono dotarsi di testata giornalistica regolarmente registrata (…)” e che “Il suddetto obbligo prescinde dal fatto che si usufruisca o meno di provvidenze editoriali o contributi statali a vario titolo”.

 

Il ruolo dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni

A sciogliere il dubbio posto in esordio è chiamata l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), forte dei propri poteri di normazione (di rango regolamentare) e amministrativo a tutela della libertà di comunicazione: tali poteri sono rinvenibili, ad esempio, nelle disposizioni di cui all’articolo 3 della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) e all’articolo 58, comma 1 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 e s.m.i. (Codice delle comunicazioni elettroniche).

In altre parole, l’Agcom ha il compito di offrire agli operatori una sicura interpretazione della normativa, evitando che diventino irreversibile realtà gli eterni motti “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?” e “A saper ben maneggiare le leggi, nessuno è reo, e nessuno è innocente” tramandati dalla nostra letteratura.

Come vedremo nel successivo paragrafo 6, l’Agcom ha operato nel rispetto della legge una efficace distinzione tra emittenti radiofoniche “commerciali” ed emittenti “comunitarie”, come si riscontra nell’ambito delle correnti Consultazioni in materia di prominence dei servizi di media audiovisivi e radiofonici di interesse generale (c.d. SIG) [si vedano le delibere n. 390/24/CONS e n. 110/25/CONS: tali consultazioni condurranno tra qualche anno i radioascoltatori a ricevere i programmi radiofonici non più sintonizzando una frequenza (in kilohertz o megahertz), ma selezionando un’icona posizionata in una interfaccia di navigazione].

 

I titolari della liberà di comunicazione – Il concetto di responsabilità editoriale nel diritto dell’Unione europea

Il commentatore della sentenza del giudice civile milanese si spinse anche ad osservare – avvalendosi della sentenza del 12 gennaio 1971, n. 2 della Corte costituzionale - che “Ora, nella specie, le ragioni che giustificano la disposizione in riferimento all'art. 21 della Costituzione dimostrano che l'obbligo di nominare un [vice] direttore responsabile fra gli iscritti nell'albo - e la cui osservanza può, certo, comportare un aggravio di spese - è strumento di salvaguardia di un interesse generale a rilievo costituzionale: di tal che la legge, imponendolo a chiunque voglia dar vita ad un giornale, non può essere considerata fonte di discriminazioni non consentite dall'art. 3 della Costituzione.”

Va invece affermato, senza esitazione alcuna, che larticolo 21 della Costituzione garantisce la libertà di informare e, più in generale, la libertà di comunicazione a ciascun individuo e non solamente quei soggetti particolarmente qualificati quali sono quelli appartenenti alla pur imprescindibile categoria dei giornalisti. [Al termine del paragrafo n. 8 vedremo che un’altra sentenza della Corte costituzionale (n. 98 del 1968, alla quale fa peraltro riferimento proprio la citata sentenza n. 2/1971 invocata dal predetto commentatore) aveva già chiarito l’esatta portata dell’articolo 46, comma primo della legge 3 febbraio 1963, n. 69, che richiede la preventiva iscrizione all’Albo dei giornalisti del direttore responsabile di una pubblicazione periodica.]

A tale proposito, l’European Media Freedom Act – EMFA (Regolamento europeo sulla libertà dei media) approvato con il Regolamento (UE) 2024/1083 dell’11 aprile 2024, nell’articolo 2, n. 8 afferma che per “responsabilità editoriale” si intende “l'esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi o delle pubblicazioni di carattere giornalistico sia sulla loro organizzazione, ai fini della fornitura di un servizio di media, a prescindere dall'esistenza di una responsabilità ai sensi del diritto nazionale per il servizio fornito”.

Constatiamo, quindi, che per il diritto dell’Unione europea sussiste una responsabilità “editoriale” differente (in proposito, va notata la “o” disgiuntiva del testo sopra citato) da quella tradizionale del direttore responsabile iscritto all’Albo dei Giornalisti, che ricordiamo essere contemplato, invece, dalla legge statale sulla stampa n. 47 del 1948.

La nozione di “responsabilità editoriale”, pertanto, onera anche chi giornalista non è, consentendogli però di esercitare la libertà di comunicazione costituzionalmente garantita, naturalmente facendogli assumere quegli equilibrati obblighi che giustamente l’ordinamento giuridico deve pretendere, ma senza per questo dover sottostare anche all’ulteriore obbligo di iscrizione della testata giornalistica.

 

La normativa statale italiana

A proposito di quanto ora affermato, la normativa italiana è da tempo in regola con il diritto dell’Unione avendo previsto l’iscrizione obbligatoria al R.O.C. (Registro degli operatori di comunicazione e postali) la quale, ai sensi dell’articolo 16 della legge 7 marzo 2001, n. 62 (Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416), esenta alcuni soggetti – tra i quali proprio le radio - dall'osservanza degli obblighi previsti dall'articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. Ed era stata proprio l’Autorità, mediante la delibera n. 666/08/CONS del 26 novembre 2008, ad aver previsto la “responsabilità editoriale” per i fornitori di servizi di media audiovisivi e radiofonici iscritti al ROC (articolo 2 dell’Allegato A alla delibera).

Ecco, allora, che il commentatore della sentenza del giudice civile milanese avrebbe dovuto casomai distinguere non tra “impresa editoriale” e “testata giornalistica”, bensì tra “responsabilità editoriale” e “responsabilità del direttore di testata”, così come avrebbe dovuto concludere – ai sensi del citato articolo 16 della legge 62 del 2001 – che non sempre sussiste l’obbligo di una doppia iscrizione al ROC presso l’Agcom e al Registro della stampa presso un tribunale.

Inoltre, lo stesso commentatore aveva tralasciato il fatto che l’articolo 16 è significativamente rubricato con il termine “Semplificazioni”, con conseguente valore derogatorio all’obbligo dettato dall’articolo 1 della legge medesima.

Non potrebbe certo essere considerata una semplificazione l’ipotesi di prevedere una doppia registrazione (Registro della stampa e R.O.C.), come formulato dai commentatori oggetto delle critiche formulate con il presente scritto.

Rivolgendo ora la nostra attenzione specificamente alle emittenti radio, va evidenziato che il Testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi -TUSMA (D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 208) – riportando all’articolo 3, comma 1, lettera hh) le definizioni di «emittente radiofonica a carattere comunitario» e di «emittente radiofonica a carattere commerciale locale» - ha previsto per le sole radio “commerciali” la destinazione di una quota di programmazione settimanale all'informazione, esonerando quindi le radio “comunitarie” dall’obbligo di trasmettere programmi di informazione.

A riprova di tale distinzione, la stessa Agcom - nella citata delibera n. 390/24/CONS (pag. 28) - ha ritenuto opportuno includere nel paniere dei SIG (servizi di interesse generale) anche i servizi commerciali con genere di programmazione di tipo tematico “bambini e ragazzi” e tematico “cultura”, a prescindere dal possesso di una testata giornalistica registrata.

Quindi l’Autorità bene ha operato - in modo corretto e rispettoso della Costituzione – quando nella delibera n. 390/24/CONS (pagg. 27 e 28) ha previsto l’obbligo del possesso di una testata giornalistica per i soli servizi “commerciali” di media audiovisivi e radiofonici nazionali e locali.

 

Un’interpretazione rispettosa dei principi costituzionali

L’obbligo ora ricordato  (e previsto per le sole radio “commerciali”) di destinare una quota di programmazione settimanale all'informazione va però coordinata con la disposizione normativa – di carattere generale – dell’articolo 6 del TUSMA, il quale afferma che “L'attività di informazione mediante servizio di media audiovisivo o radiofonico costituisce un servizio di interesse generale” (comma 1), prevedendo che “ La disciplina dell'informazione radiotelevisiva, garantisce:… b) la trasmissione quotidiana di telegiornali o giornali radio da parte dei soggetti abilitati a fornire servizi di media audiovisivi e radiofonici in ambito nazionale o locale su frequenze terrestri” (comma 2).

Potrebbe allora porsi il dubbio di quale debba essere la disciplina per quelle radio “comunitarie” che meritoriamente intendono comunque offrire ai propri ascoltatori anche “servizi informativi”, considerati dal TUSMA appunto “di interesse generale”. In questo caso, le radio devono dotarsi di un direttore responsabile ai sensi dell’articolo 5 della legge sulla stampa?

Se letta con attenzione, è proprio la citata sentenza della Cassazione penale, sez. VI, 13/09/2017, n. 41765 a porre le basi per una lettura costituzionalmente orientata della normativa sopra richiamata, distinguendo nettamente tra “emittente” e “testata”. La Suprema Corte, infatti, ha ricordato che iil giudice di merito aveva inflitto la sentenza di condanna al legale rappresentante di una radio locale “per aver trasmesso, nella qualità di rappresentante legale dell'emittente ..., attraverso la testata..., notiziari radiofonici senza essere iscritta nell'apposito registro istituito presso il Tribunale” [punto 2 dei Motivi della decisione].

Ecco allora emergere la fondatezza della interpretazione secondo la quale una emittente radio “comunitaria” deve obbligatoriamente registrare anche una “testata” giornalistica solamente nel caso in cui trasmetta notiziari radiofonici redatti in proprio.

Tale norma viene ricavata mediante un’operazione di carattere ermeneutico, distinguendo la messa in onda dei notiziari radiofonici “prodotti in proprio” (con obbligo quindi di registrazione di una testata giornalistica da parte della stessa emittente) dalla messa in onda dei notiziari prodotti dalle agenzie di stampa. In questo ultimo caso la normativa viene rispettata imponendo all’agenzia di stampa di registrarsi come testata giornalistica, rimanendo invece esclusa da tale obbligo la emittente radio comunitaria.

Solo così l’obbligo di registrazione dettato dall’articolo 5 della legge n. 47 del 1948 può conciliarsi con il principio costituzionale dell’articolo 21, primo comma della Costituzione e, soprattutto, con l'articolo 16 della legge n. 62 del 2001, ai sensi del quale “I soggetti tenuti all'iscrizione al registro degli operatori di comunicazione, ai sensi dell'articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5), della legge 31 luglio 1997, n. 249, sono esentati dall'osservanza degli obblighi previsti dall'articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47”.

 

Conclusione

Crediamo di aver fornito validi elementi a supporto della esclusione delle radio “comunitarie” dall’obbligo di registrare una testata giornalistica.

Resta da evidenziare che tale obbligo è stato integrato - in virtù dell’articolo 46, comma primo della legge 3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione di giornalista) - dalla previsione che il direttore responsabile di una testata deve obbligatoriamente appartenere all’Ordine dei Giornalisti.

Era stata proprio detta disposizione normativa dell’articolo 46 a ricevere le attenzioni della Corte costituzionale, la quale – con sentenza del 2 luglio 1968, n. 98 – dopo aver considerato che “primo e fondamentale dovere” del direttore responsabile di una testata giornalistica è quello di “garantire che l'attività affidata alla sua direzione e responsabilità si svolga in quel clima di libertà di informazione e di critica che la legge vuole assicurare come necessario fondamento di una libera stampa”  [punto 3 del Considerato in diritto] - ne ha chiarito l’esatta portata.

Ne riportiamo allora il testo, limpido nella sua essenzialità:  Se queste sono le ragioni che rendono costituzionalmente valido l'obbligo di cui si discorre, si deve riconoscere che esse appaiono soddisfatte dall'iscrizione del direttore e del vicedirettore nell'albo, indipendentemente dal fatto che si tratti di professionisti o di pubblicisti: nell'uno e nell'altro caso, infatti, si rende possibile la vigilanza dell'Ordine, nella quale, secondo quanto si è detto, si deve ravvisare il solo fondamento di legittimità di quell'obbligo” [punto 4 del Considerato in diritto].

La “legittimità” cui ha fatto cenno il Giudice delle Leggi è ovviamente quella “costituzionale”; a maggior chiarimento di tale precisazione la Corte ci aiuta anche con un'altra pronuncia – la sentenza 23 gennaio 1957, n. 31 -, tra le prime della sua attività ormai settantennale e riguardante ancora la legge n. 47 sulla stampa: “Inoltre sostanziale differenza, quanto alla finalità, si riscontra fra le disposizioni della legge ordinaria [artt. 5 e 16 della legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47] e la norma costituzionale [art. 21 della Costituzione]. Questa è diretta a rimuovere ogni ostacolo preventivo alla libertà di manifestazione del pensiero, l'altra ad identificare preventivamente i responsabili dei reati commessi a mezzo della stampa ed a reprimere gli abusi della stampa clandestina,  come si desume anche dall'art. 16 della stessa legge, contenente le sanzioni per la violazione degli obblighi imposti dall'art. 5.” [Settimo periodo del Considerato in diritto].

Pertanto, non si deve commettere l’errore di richiedere ad una emittente radio “comunitaria” la presenza di un ulteriore direttore responsabile iscritto all’Albo dei Giornalisti e, quindi, la registrazione nel Registro istituito presso il Tribunale, nel caso che  a tale obbligo avesse dato adempimento  l’agenzia  di stampa redattrice dei notiziari messi in onda dalla emittente.

Ne va della libertà di comunicazione da garantire ad ogni persona.