Normativa a difesa dell’ordinamento democratico-costituzionale in Austria
I
La difesa e il mantenimento dell’ordinamento libero e democratico-costituzionale in Austria, è un obbligo che scaturisce non soltanto dalla Costituzione stessa, ma anche da trattati internazionali (dall’articolo 3 del 1° Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, norma che ha “Verfassungsrang”) nonché dagli articoli 8 e 9 dello Staatsvertrag von Wien, concluso il 15 maggio 1955, oltre che da ben note norme di diritto comunitario.
Tra i mezzi intesi a preservare il sistema democratico figurano – naturalmente – anche una serie di disposizioni penali dirette a salvaguardare, direttamente o indirettamente, le istituzioni libero-democratiche da attacchi sovversivi da parte di frange estremiste di vario colore. Si tratta, principalmente, dei §§ 242, 246, 248, 249, 250, 251 e 283 dello StGB (Codice Penale).
II
La Costituzione federale austriaca (B-VG) ha accolto un concetto ampio di democrazia nel senso di un ordinamento, in cui le decisioni collettive più importanti possano essere adottate effettivamente, liberamente e responsabilmente dal popolo intero. La democrazia viene concepita come regime, nel quale il governo è “aperto a tutti”, dove viene rispettato il principio dell’uguale partecipazione alla vita politica e alle relative procedure. È significativo che l’Austria è stata la patria del grande Kelsen [1], il quale ha anche collaborato alla stesura della Costituzione austriaca del 1920, rimessa in vigore dopo il 1945.
Ha affermato Kelsen, in un saggio del 1953, che la democrazia è una gerechte Staatsform sul presupposto che la garanzia della libertà individuale sia lo scopo principale di questo ordinamento. Uguaglianza dinanzi alla legge deve significare che coloro ai quali è affidata l’applicazione della legge, non facciano una differenza laddove il diritto da applicare non la faccia il diritto stesso. Secondo Kelsen la democrazia è una gerechte Staatsform in quanto basata sulla libertà e libertà vuol dire tolleranza (“Demokratie bedeutet nach ihrer innersten Natur Freiheit; Freiheit bedeutet Toleranz und Toleranz bedeutet Gedankenfreiheit“. „Völlige Freiheit“, asserisce Kelsen, herrscht im Spiel von Argument und Gegenargument“).
La Sicherheit der Rechtspflege è stata indicata da Mohl tra i grundlegenden, staatsbürgerlichen Rechte 150 anni orsono. Un suo contemporaneo ha scritto che Rechtsstaat bedeutet regieren nach Gesetzen e che der Staat hat sich als Rechtsstaat ins Recht zu stellen und nicht über das Recht. In uno Stato di diritto darf die Verwaltung weder gegen ein Gesetz (contra legem) noch ohne gesetzliche Grundlage (praeter, ultra legem) handeln. Altrimenti non può parlarsi di “Herrschaft des Gesetzes”, ma si tratta di “Despotie”. “Gesetzmäßigkeit der Verwaltung und gerichtliche Sicherung der Rechte” costituivano, già nella metà dell’Ottocento, l’essenza dello Stato di diritto. La “Abkehr vom Begriff des Gesetzes als generelle (und allgemein-gültige) Norm für den Bereich der Verwaltung” ha per conseguenza l’arbitrio e conduce a “spezielle, lenkende Maßnahmen” che non dovrebbero essere ammissibili in uno Stato di diritto e implica la Verletzung oberster Rechtsgrundsätze und Rechtswerte. Di quest’avviso almeno era la dottrina di fine Ottocento.
III
Nella parte terminale del saggio del 1953, Kelsen ha precisato che per lui le cose più importanti sono “die Gerechtigkeit der Freiheit, die Gerechtigkeit der Demokratie und die Gerechtigkeit der Toleranz”. Secondo Kelsen, la tolleranza implica che una democrazia possa (sia in grado di) tollerare anche manifestazioni antidemocratiche, purché avvengano pacificamente (ed in tal modo la democrazia si distingue dall’autocrazia). Ciò non toglie però che ogni democrazia abbia il diritto di difendersi contro chi intende rovesciarla con la violenza. Questo diritto non contrasta, nè con il principio di tolleranza, nè con quello democratico. Trovare una linea di demarcazione tra quanto, in una democrazia, può essere tollerato e quanto potrebbe minare la stessa alla sua base (e che legittima l’applicazione del principio “vis vi repellere”), non è certo facile. Individuare il relativo “confine”, è però essenziale per il mantenimento di un sistema democratico ed implica anche un pericolo. Tuttavia l’essenza stessa della democrazia postula che la democrazia debba correre questo pericolo. Se non è in grado di affrontarlo, la democrazia “ist es nicht Wert, verteidigt zu werden”(non vale la pena di difenderla).
Il governo “aperto a tutti” costituisce un valido rimedio contro la diffusione dello spirito antidemocratico che si estrinseca anche nell’indifferenza, nell’apatia politica. Democrazia vuol dire sottrarre il popolo alla passività e alla mera reattività. L’ideale della democrazia richiede una comunità di individui politicamente attivi e a tal fine nel B-VG sono previsti istituti di partecipazione diretta alla vita pubblica. Solo così si riesce ad ottenere un’opinione pubblica consapevole, condizione indispensabile per lo sviluppo e per la stessa sopravvivenza di una democrazia, oltre al rispetto dell’uguale dignità di tutti. Vi è democrazia, se può parlarsi di governo del popolo e non per il popolo (si è visto a quali risultati aberranti ha condotto il governo per il popolo negli Stati dell’ est europeo). Eine Ordnung, die nicht das subjektive Recht gewährleistet, soll überhaupt nicht als Rechtsordnung betrachtet werden (H. Kelsen). Delle volte potrebbe sembrare che la Anzahl der Rechtsordnungen, anche nell’ attuale XXI secolo, non sia molto elevata e che non siano pochi a ritenere che “Macht ist identisch mit Recht”, mentre invece Kelsen negava questa identità.
IV
L’uguaglianza, l’isonomia, viene realizzata mediante leggi valide per tutti, mediante l’eliminazione di privilegi. I cittadini, in una vera democrazia, non si distinguono in individui che sono “sotto” la legge ed individui che sono “sopra” la legge, tutti essendo ugualmente soggetti alla legge. La legge deve essere, in una vera democrazia, la regola, nella quale tutti possono (e devono) riconoscersi. “Am Unrecht bewährt sich die Existenz des Rechts”, aveva “sentenziato” Kelsen negli anni ‘30 del secolo passato; delle volte sembra che da allora poco sia cambiato e che prevalga la tesi che “jeder beliebige Inhalt kann Recht sein”.
Democrazia vuol dire libertà nel senso di protezione dei diritti degli inermi contro l’arbitrio, vuol dire legalità, solidarietà e pari dignità. La democrazia va concepita quale metodo di legittimazione e di controllo delle decisioni politiche, quale garanzia affinché vengano rispettati i diritti di libertà; implica il diritto di controllare il potere (e non soltanto quello esecutivo), cui spetta di attuare questi diritti. Una vera democrazia deve essere fondata sulla convinzione che il governo deve dare vita alla trasparenza del potere, al controllo del potere, alla pubblicità degli atti di governo (vengono in mente, in proposito le parole di M. Joly, secondo il quale le azioni del governo devono essere compiute in pubblico, “au grand jour”); pubblicità, che essa stessa, è una forma di controllo, è un espediente per distinguere ciò che (anche per i governanti) è lecito da ciò che lecito invece non è. Hans Kelsen, quasi un secolo addietro, aveva scritto che la Zahl derer, die den Geist höher schätzen, als die Macht, scheint höher zu sein, als man heute vermutet. Ci si rimette al lettore di questo articolo se aveva ragione o meno.
La democrazia è incompatibile con la credenza cieca nella propria verità e nella forza capace di imporla (agli altri). In una repubblica democratica – ha scritto James Madison – è di grande importanza non soltanto salvare la società dalla pressione dei suoi governati, ma anche di garantire una parte della società contro l’ingiustizia dell’ altra parte. Il fine supremo di ogni governo autenticamente democratico è (e deve/dovrebbe essere) la giustizia e la giustizia è anche il fine di ogni società civile. In una lettera a Madison, Jefferson ha scritto che “il potere esecutivo non è l’ unico e forse neppure il principale oggetto delle mie preoccupazioni. La tirannia del legislatore è effettivamente il pericolo più temibile”.
Secondo Kelsen, “nicht als Zweck, sondern als spezifisches Mittel ist das Recht zu charakterisieren”.
V
Contro l’eventuale risorgere del nazionalsocialismo, il Governo provvisorio austriaco aveva emanato, l’8.5.1945, una legge che prevedeva, in alcuni casi, anche la pena di morte per la cosiddetta Wiederbetätigung in nationalsozialistischem Sinne. Nel 1947 questa legge (entrata poi in vigore il 6.6.1947) venne modificata e da allora è nota sotto il nome di Verbotsgesetz (VerbotsG). Per tutti i reati previsti dal Verbotsgesetz, veniva sancita la competenza del Geschworenengericht (Corte d’Assise) e vi era obbligo, a carico di tutti i cittadini, di informare l’ autorità giudiziaria o gli organi di polizia, qualora fossero a conoscenza dei reati ricompresi nel Verbotsgesetz. Veniva assicurata Straffreiheit a coloro che, prima che le autorità avessero avuto conoscenza dei fatti, le avessero informate, rivelando tutto quanto era di loro conoscenza. Attualmente, del Verbotsgesetz, sono in vigore soltanto i §§ da 1 a 3J dell’ articolo 1. Il Verbotsgesetz è norma avente Verfassungsrang.
Più volte Il Verfassungsgerichtshof (Corte costituzionale) ha statuito che il Verbotsgesetz contiene norme di applicazione diretta e da osservarsi da parte di ogni organo dello Stato nell’ esercizio delle proprie competenze e funzioni. Di particolare importanza in proposito è l’Erkenntnis VfSlg 9648/1983, nel quale il Verfassungsgerichtshof ha statuito che alla “unmittelbaren Anwendbarkeit del § 3 del Verbotsgesetz non ostano, nè il principio dello Stato di diritto, nè il rechtsstaatliche Prinzip der Bundesverfassung, nè l’articolo 26, 5°c., del B-VG. Pertanto non può ravvisarsi, a carico del legislatore, un obbligo di ripetere, nelle varie norme di rango inferiore, il Verbot nationalsozialistischer Wiederbetätigung.
Ha precisato, la Corte costituzionale, nella suddetta sentenza, che la mancata ripetizione, p. es. del divieto nel § 15, 5°c., dell’Hochschülerschaftsgesetz (HSchG) del 1973, non è censurabile e che non è fondato il dedotto dubbio di costituzionalità di questa norma, in quanto si tratta di una “implizit getroffenen normativen Regelung”. Ha osservato altresì il Verfassungsgerichtshof, che l’ Austria, con l’articolo 9 dello Staatsvertrag von Wien del 1955, ha assunto il preciso ed inderogabile obbligo, non solo di cancellare tutte le tracce (visive) del nazismo dalla vita politica, economica e culturale (come poi effettivamente è avvenuto; in Austria non si trovano “residui” del dominio nazionalsocialista (1938-1945)), ma anche di garantire che organizzazioni nazionalsocialiste, di qualsiasi stampo, possano risorgere nonché di impedire qualsiasi attività, anche di propaganda, oltreché di mero di sostegno. Parimenti è vietata la Leugnung, la gröbliche und einseitige Verharmlosung, la Gutheißung e la Rechtfertigung dei delitti contro l’umanità perpetrati dal regime nazista.
VI
Per quanto concerne l’interpretazione dei §§ 3 e segg. del Verbotsgesetz da parte dell’OGH, va segnalata una sentenza di fondamentale importanza della Corte suprema dd. 25.6.86. Ha ritenuto l’ OGH che un’attività va qualificata come Wiederbetätigung (vietata dal VerbotsG), se mediante la stessa “in propagandistisch vorteilhafter Art” vengono diffuse idee tipiche del nazionalsocialismo (qual’è la Verharmlosung der Massenvernichtungen durante il periodo 1933-1945). Parimenti è stata ritenuta Wiederbetätigung, la Verunglimpfung di coloro che, attivamente, hanno partecipato al Widerstand.
Nella sentenza del 18 ottobre 1990 (12 Os 57/90), l’OGH ha precisato che integrano il Tatbestand della Wiederbetätigung “jede unsachliche, einseitige und propagandistisch vorteilhafte Darstellung natioalsozialistischer Maßnahmen (e questo, anche se die Ideologie des Nationalsozialismus wird in ihrer Gesamtheit nicht bejaht).
Vi è poi la sentenza del 11 marzo 1993 che ha ritenuto Wiederbetätigung anche il “Lächerlichmachen” dell’ assassinio di massa con gas tossici; cosi’ pure la negazione dell’ assassinio sistematico nei campi di concentramento (sentenza del 16 febbraio 1994 – 13Os 135/92, la quale ha precisato che integra la Wiederbetätigung qualsiasi comportamento atto, anche soltanto astrattamente, a realizzare uno degli scopi perseguiti dal partito nazionalsocialista).
Il bundesverfassungsrechtliche Wiederbetätigungsverbot di cui al § 9, n. 1, dello Staatsvertrag von Wien, oltre a postulare sanzioni penali per i contravventori (attuate con appositi §§ contenuti anche nel codice penale), viene interpretato dalla Corte costituzionale nel senso che le due predette disposizioni contengono “umfassende Verbote” che impongono la repressione di ogni attività antidemocratica o l’incitamento alla stessa.
VII
Il § 3 del Verbotsgesetz, sempre secondo la Corte Costituzionale, deve essere considerato una “Generalklausel” e deve trovare applicazione, da parte delle autorità, anche se una determinata norma non ne prevede – espressamente ˗ l’ applicazione (“als allgemeine Generalklausel steht dieses Verbot neben und über allen Einzelvorschriften”). Si è detto anche che l’articolo 3 del Verbotsgesetz “ist eine umfassende Maßgabe jeglichen staatlichen Handelns”, è una specie di canone per l’agire delle autorità dello Stato e che “jede Staatstätigkeit hat sich an diesem Verbot zu orientieren”. Il rifiuto categorico del nazionalsocialismo è una caratteristica fondamentale della Repubblica austriaca post 1945. Non può essere posto in essere alcun atto, da parte di autorità statali (e pubbliche in genere), che possa essere interpretato come collusione delle stesse “an nationalsozialistischer Wiederbetätigung”.
Il divieto in questione è operante, anche se per l’atto posto in essere, non vi è stata ancora condanna, vale a dire, se un movimento o un’organizzazione oppure un Personenkreis operano allo scopo di perseguire gli obiettivi caratteristici del disciolto partito nazista o di una delle tante “Unterorganisationen” del medesimo. In altre parole, ogni autorità pubblica, prima di porre in essere un atto di sua competenza, deve valutare se l’atto non sia contrario a disposizioni del Verbotsgesetz. Con l’articolo 3 di questa legge il legislatore ha predisposto una norma di rango costituzionale al fine di salvaguardare le fondamenta dell’ ordinamento democratico che erano state minate – dopo la prima guerra mondiale – dalla cosiddetta NS-Bewegung.
Qualsiasi atto giuridico posto in essere in violazione di uno dei divieti contenuti nel Verbotsgesetz, è privo di efficacia (in particolare sono da considerare nulli, ai sensi dell’articolo 879 ABGB [2] (Codice Civile austriaco), i contratti aventi per oggetto la stampa di propaganda nazionalsocialista.
Parimenti è vietata l’erogazione di contributi o di sovvenzioni in genere ad organizzazioni neo-naziste nonché la concessione di qualsiasi autorizzazione a manifestazioni di stampo nazista o paranazista. In proposito sussiste un obbligo per qualsiasi autorità(statale e non), di verificare se una determinata manifestazione o un determinato comportamento siano contrari al Verbotsgesetz.
VIII
Per quanto concerne la costituzione di partiti politici, se vi sono anche soltanto indizi che la stessa miri alla Wiederbetätigung”, vietata dall’articolo 3 del Verbotsgesetz, il costituendo partito non può considerarsi validamente costituito, neppure dopo il deposito dello statuto (presso il ministero degli Interni, ex articolo 1, 4°c., del Parteiengesetz).
In proposito meritano di essere richiamate alcune tra le più importanti decisioni del Verfassungsgerichtshof (Corte Costituzionale):
VfSlg: 9648/1983 (“Lista contro gli stranieri”)
VfSlg: 11258/1987 (“Nationale Front”)
VfSlg: 11761/1988 (“Nationaldemokratische Partei”).
È stato sostenuto che le suddette decisioni della Corte costituzionale sono state emesse al fine di colmare una lacuna esistente nel Parteiengesetz. In questa legge è sancito il principio della libertà di costituzione di partiti politici e le formalità prescritte per “fondare” un partito politico sono minime; consistono principalmente nella Satzungshinterlegung (deposito dello statuto). Il Parteiengesetz non prevede – espressamente ˗ la possibilità di adottare – da parte delle autorità amministrative – un provvedimento, col quale viene disposto il divieto di costituzione di un partito politico oppure la declaratoria – espressa – di “inesistenza” dello stesso, una volta avvenuta la Satzungshinterlegung (in quanto in contrasto con il principio, al quale sopra si è accennato). In questo senso, vedasi la decisione della Corte Costituzionale VfSlg 9643/1983.
La diffusione di idee nazionalsocialiste, qualora il fatto non sia punibile in base al Verbotsgesetz, viene sanzionata anche in via amministrativa (Verwaltungsübertretung – si veda articolo III, Abs. 1, Z. 4, EGVG) che prevede, a carico di chiunque diffonde l’ ideologia nazionalsocialista, la sanzione pecuniaria amministrativa fino ad Euro 2.180. È punibile anche il tentativo. Le cose che sono servite per commettere la violazione, possono essere confiscate.
IX
Esaminiamo ora le disposizioni più importanti contenute nel Codice Penale e poste, direttamente o indirettamente, a difesa dell’ ordinamento libero-democratico.
Il § 242 punisce con la reclusione da 10 a 20 anni chiunque – con violenza o minacciando il ricorso alla violenza – compie atti diretti a modificare la Costituzione della Repubblica o la Verfassung di uno dei Länder (si parla in proposito di Verfassungshochverrat) oppure di distaccare parte del territorio della Repubblica (Gebietshochverrat). Va pero’ rilevato che integra il Verfassungshochverrat non qualsiasi modifica della Costituzione federale o di una Landesverfassung, ma soltanto se si tende a sostituire principi fondamentali contenuti in questi ordinamenti (quale, p. es., das republikanische, bundesstaatliche, rechtsstaatliche Prinzip o quello della neutralità). Viola il § 242 c.p. anche colui che compie atti diretti ad abrogare la Corte costituzionale o il Nationalrat.
Ai fini di un’eventuale Verfassungsänderung non è indispensabile un provvedimento formale di abrogazione, di modifica o di sostituzione della Costituzione vigente con una nuova, ma basta creare una situazione, anche di mero fatto, di inapplicabilità della Verfassung. Ai sensi dell’articolo 64, comma 1, n.1, Codice Penale, sussiste la giurisdizione austriaca anche qualora le hochverräterischen Handlungen vengano progettate all’ estero.
X
Con la pena detentiva da sei mesi a cinque anni è punito chiunque, ricorrendo a mezzi illeciti, costituisce un’ organizzazione, il cui scopo, anche se non esclusivo, è quello di mettere in pericolo l’indipendenza, la Staatsform prevista dalla Costituzione o un’istituzione prevista dalla medesima o da una Landesverfassung (articolo 246). Con la stessa pena è punito chiunque dirige un’ organizzazione del genere, svolge attività di proselitismo in favore della stessa, la finanzia con denaro oppure le fornisce, in altro modo, un sostegno rilevante. Chiunque aderisce ad un’organizzazione di cui sopra, è punito con la pena detentiva fino ad un anno.
Il delitto di cui all’articolo 246 del Codice Penale si distingue da quello previsto dall’articolo 242 del Codice Penalein quanto non viene perseguito un concreto “hochverräterisches Unternehmen”, di modificare o sostituire la Costituzione con violenza o con la minaccia di impiegare mezzi violenti, ma è sufficiente la messa in pericolo dei beni giuridici indicati nell’articolo 246 del Codice Penale, anche se, ai fini dell’ integrazione di quest’ultimo reato, ciò deve avvenire “auf gesetzwidrige Weise”.
XI
Un apposito paragrafo (il 249 c.p.) tutela l’istituzione e la persona del Presidente della Repubblica. Chiunque, con violenza, o con gefährlicher Drohung [3], compie atti diretti alla destituzione del Presidente della Repubblica ovvero, ricorrendo ad uno dei mezzi sopra elencati ad impedirgli lo svolgimento delle sue funzioni istituzionali o ad influire sulla sua libertà di decisione, è punito con la reclusione da uno a dieci anni. Il § 249 del Codice Penaleprevede un cosiddetto Nötigungstatbestand ed il tentativo è equiparato al delitto consumato; pertanto l’avvenuta Willensbeugung (coartazione della volontà) non è necessaria ai fini della consumazione del reato (si tratta di un cosiddetto Versuchsdelikt).
XII
Altra norma diretta a garantire la libertà di decisione e di adempimento alle proprie funzioni, è costituito dall’articolo 250 del Codice Penale, il quale sanziona, con la pena detentiva da uno a dieci anni, chiunque, ricorrendo all’ uso di violenza, compie atti intesi ad impedire o a condizionare l’esercizio delle funzioni del Nationalrat, del Bundesrat, della Bundesversammlung, del Governo federale, di un Governo regionale, di un’assemblea regionale, della Corte Costituzionale, del Consiglio di Stato o dell’ OGH (Corte suprema). Il reato di cui all’articolo 250 del Codice Penalesi distingue da quello contemplato dall’articolo 249 del Codice Penalein quanto, ai fini dell’ integrazione del primo, non è richiesta la gefährliche Drohung, bastando il semplice ricorso alla minaccia.
Il Codice Penale austriaco tutela la libertà di decisione non soltanto degli organi collegiali menzionati nell’articolo 250, ma anche dei singoli componenti di tali organi. IL § 251 del Codice Penalepunisce con la reclusione da mesi sei a cinque anni, chiunque, con violenza, o con gefährlicher Drohung, impedisce ad un membro del Nationalrat, del Bundesrat, della Bundesversammlung, di un Governo regionale, della Corte costituzionale, del Consiglio di Stato o della Corte suprema (OGH) o al Presidente o al Vicepresidente della Corte dei Conti di adempiere alle proprie funzioni o di condizionare in un determinato modo l’esercizio delle loro funzioni.
A differenza di quanto previsto per il reato di cui al § 249, quello contemplato dal § 251 Codice Penale, non è un Versuchsdelikt, per cui il reato è consumato soltanto quando viene posto in essere il comportamento coartato.
La pena è da 1 a 10 anni di reclusione in caso di schwerer Nötigung (§ 251, 2°c., c.p.) che sussiste qualora:
a) Il soggetto passivo venga minacciato di morte o se il male prospettato è quello di una mutilazione, di uno sfregio, di un incendio oppure se viene minacciata la rovina dell’ esistenza economica o della posizione sociale;
b) il soggetto passivo o altra persona contro la quale la violenza o la minaccia è diretta, viene tenuto, durante un apprezzabile lasso di tempo e per effetto della minaccia di uno dei mali sopra indicati, in uno stato di rilevante sofferenza oppure se il soggetto passivo viene indotto ad un’azione od un’omissione con conseguenze rilevanti per gli interessi dello stesso o di terzi.
XIII
Chiunque, pubblicamente ed in modo tale da essere idoneo a mettere in pericolo l’ordine pubblico, incita ad un’azione ostile contro una confessione o comunità religiosa riconosciuta, contro una razza, un popolo o contro uno Stato, è punito con la pena detentiva fino a due anni (§ 283, 1°c., Codice Penale). La stessa pena è prevista per chiunque, pubblicamente, compie azioni istigatrici contro uno dei soggetti ora menzionati, tenta di denigrarli, compie azioni istigatrici dirette a violare la loro dignità umana (§ 283, 2°c., c. p.). L’ espressione “pubblicamente” viene interpretata nel senso che l’ incitamento deve essere percepito da almeno dieci persone.
La ratio della norma è quella di prevenire ostilità tra le varie componenti della comunità statale. Il § 283 c. p. prevede un abstraktes Gefährdungsdelikt; pertanto non è necessario, ai fini dell’ integrazione della fattispecie, che l’ ordine pubblico venga effettivamente messo in pericolo o turbato da parte di chi incita ad azioni ostili contro uno dei gruppi indicati nel 1°c. del § 283 c. p. L’azione del soggetto attivo di questo delitto deve essere diretta, come già detto, a provocare un’ azione ostile e non è sufficiente, per l’integrazione del Tatbild, suscitare semplicemente sentimenti di antipatia. Le azioni ostili, al cui compimento si incita, non devono necessariamente costituire reato (comunemente viene fatto l’esempio dell’ incitamento al boicottaggio economico contro un determinato gruppo sociale o contro una minoranza). È da puntualizzare che il § 238 c. p. trova applicazione tutte le volte in cui i fatti non integrano uno dei reati previsti dal § 3g o 3h del Verbotsgesetz.
Va però rilevato che le migliori leggi non varranno a tutelare, a difendere l’ordinamento libero-democratico, se esse non vengono attuate, con il dovuto rigore e se i contravventori non saranno puniti. Appare opportuno riportare una frase di N. Bergasse: “È necessario che il potere giudiziario – spogliato di ogni specie di attività contro il regime politico dello Stato e non avendo alcuna influenza sulle volontà che concorrono a formare questo regime – disponga, per proteggere tutti gli individui e tutti i diritti, di tale forza che, onnipotente per difendere e per soccorrere, essa divenga assolutamente nulla non appena, mutando la sua destinazione, tenterà di farne un uso improprio. Si noti che quanto ora citato è contenuto in un rapporto, diretto ad un’ assemblea costituente, oltre due secoli orsono. Queste parole, ancor oggi, pare, che non abbiano perso alcunché di attualità.
Anche Hans Kelsen, “Mastermind des Rechts und der Rechtstheorie”, in una delle sue opere fondamentali, ha affermato che Recht soll niemandem zu Diensten sein; niemandes Büttel sein.
XIV
In Austria, nel 1945 e negli anni seguenti, non sono state adottate soltanto misure efficaci per cancellare ogni traccia visibile del passato nazista e per impedire il risorgere del nazionalsocialismo, ma si è agito concretamente anche in senso repressivo contro i capi e i gregari della NS-Partei nonché contro chi dirigeva o apparteneva alle organizzazioni (e non sono state poche) “fiancheggiatrici” di questo regime.
Nelle varie zone di occupazione (Besatzungszonen), dall’agosto 1945 all’ inizio del 1946, venne istituita la c. d. Volksgerichtsbarkeit, con sedi a Vienna, Linz, Graz ed Innsbruck. I Volksgerichte erano composti da tre Schöffen (giudici non togati) e da due magistrati che durante il periodo 1938 – 1945, non erano stati “uomini di regime”.
Tra il 1945 e il 1955 vennero emesse 13.607 sentenze di condanna (comprese quelle alla pena di morte, di cui 30 effettivamente eseguite). Le condanne all’ergastolo sono state ventinove. 269 imputati sono stati condannati alla reclusione tra i dieci e i vent’anni. Tenuto conto del fatto che in Austria, in quell’epoca, il numero degli abitanti è stato di circa 5.000.000, le condanne non sono state, nè poche, nè poco severe. Particolarmente severi si sono dimostrati i Volksgerichte di Graz e di Innsbruck con una percentuale di condanna pari al 58% e risp. del 54%.
[1] Hans Kelsen, uno dei più eminenti giuristi del secolo passato, professore universitario, giudice costituzionale, autore di opere di fondamentale importanza ancora oggi, perseguitato per motivi razziali e politici, costretto a rifugiarsi in Svizzera e poi negli Stati Uniti, perchè si era rifiutato di piegarsi ai venti dittatoriali che spiravano su gran parte dell’Europa continentale.
[2] Prevede questo paragrafo : “Un contratto concluso contro un divieto di legge o contra bonas mores è nullo”.
[3] Per gefährlicher Drohung, nel diritto penale austriaco, si intende la prospettazione di un male avente per oggetto la libertà, l’ incolumità fisica, il patrimonio o l’onore. Sono, questi, i (soli) nötigungserheblichen Rechtsgüter e tali da suscitare, nella persona oggetto della Drohung (si parla in proposito della cosiddetta Besorgniseignung), tenuto conto delle condizioni della stessa, uno stato di fondata preoccupazione. La Besorgniseignung deve essere valutata da un punto di vista oggettivo-astratto. Il male minacciato può riguardare anche parenti o cosiddette Sympathiepersonen.
I
La difesa e il mantenimento dell’ordinamento libero e democratico-costituzionale in Austria, è un obbligo che scaturisce non soltanto dalla Costituzione stessa, ma anche da trattati internazionali (dall’articolo 3 del 1° Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, norma che ha “Verfassungsrang”) nonché dagli articoli 8 e 9 dello Staatsvertrag von Wien, concluso il 15 maggio 1955, oltre che da ben note norme di diritto comunitario.
Tra i mezzi intesi a preservare il sistema democratico figurano – naturalmente – anche una serie di disposizioni penali dirette a salvaguardare, direttamente o indirettamente, le istituzioni libero-democratiche da attacchi sovversivi da parte di frange estremiste di vario colore. Si tratta, principalmente, dei §§ 242, 246, 248, 249, 250, 251 e 283 dello StGB (Codice Penale).
II
La Costituzione federale austriaca (B-VG) ha accolto un concetto ampio di democrazia nel senso di un ordinamento, in cui le decisioni collettive più importanti possano essere adottate effettivamente, liberamente e responsabilmente dal popolo intero. La democrazia viene concepita come regime, nel quale il governo è “aperto a tutti”, dove viene rispettato il principio dell’uguale partecipazione alla vita politica e alle relative procedure. È significativo che l’Austria è stata la patria del grande Kelsen [1], il quale ha anche collaborato alla stesura della Costituzione austriaca del 1920, rimessa in vigore dopo il 1945.
Ha affermato Kelsen, in un saggio del 1953, che la democrazia è una gerechte Staatsform sul presupposto che la garanzia della libertà individuale sia lo scopo principale di questo ordinamento. Uguaglianza dinanzi alla legge deve significare che coloro ai quali è affidata l’applicazione della legge, non facciano una differenza laddove il diritto da applicare non la faccia il diritto stesso. Secondo Kelsen la democrazia è una gerechte Staatsform in quanto basata sulla libertà e libertà vuol dire tolleranza (“Demokratie bedeutet nach ihrer innersten Natur Freiheit; Freiheit bedeutet Toleranz und Toleranz bedeutet Gedankenfreiheit“. „Völlige Freiheit“, asserisce Kelsen, herrscht im Spiel von Argument und Gegenargument“).
La Sicherheit der Rechtspflege è stata indicata da Mohl tra i grundlegenden, staatsbürgerlichen Rechte 150 anni orsono. Un suo contemporaneo ha scritto che Rechtsstaat bedeutet regieren nach Gesetzen e che der Staat hat sich als Rechtsstaat ins Recht zu stellen und nicht über das Recht. In uno Stato di diritto darf die Verwaltung weder gegen ein Gesetz (contra legem) noch ohne gesetzliche Grundlage (praeter, ultra legem) handeln. Altrimenti non può parlarsi di “Herrschaft des Gesetzes”, ma si tratta di “Despotie”. “Gesetzmäßigkeit der Verwaltung und gerichtliche Sicherung der Rechte” costituivano, già nella metà dell’Ottocento, l’essenza dello Stato di diritto. La “Abkehr vom Begriff des Gesetzes als generelle (und allgemein-gültige) Norm für den Bereich der Verwaltung” ha per conseguenza l’arbitrio e conduce a “spezielle, lenkende Maßnahmen” che non dovrebbero essere ammissibili in uno Stato di diritto e implica la Verletzung oberster Rechtsgrundsätze und Rechtswerte. Di quest’avviso almeno era la dottrina di fine Ottocento.
III
Nella parte terminale del saggio del 1953, Kelsen ha precisato che per lui le cose più importanti sono “die Gerechtigkeit der Freiheit, die Gerechtigkeit der Demokratie und die Gerechtigkeit der Toleranz”. Secondo Kelsen, la tolleranza implica che una democrazia possa (sia in grado di) tollerare anche manifestazioni antidemocratiche, purché avvengano pacificamente (ed in tal modo la democrazia si distingue dall’autocrazia). Ciò non toglie però che ogni democrazia abbia il diritto di difendersi contro chi intende rovesciarla con la violenza. Questo diritto non contrasta, nè con il principio di tolleranza, nè con quello democratico. Trovare una linea di demarcazione tra quanto, in una democrazia, può essere tollerato e quanto potrebbe minare la stessa alla sua base (e che legittima l’applicazione del principio “vis vi repellere”), non è certo facile. Individuare il relativo “confine”, è però essenziale per il mantenimento di un sistema democratico ed implica anche un pericolo. Tuttavia l’essenza stessa della democrazia postula che la democrazia debba correre questo pericolo. Se non è in grado di affrontarlo, la democrazia “ist es nicht Wert, verteidigt zu werden”(non vale la pena di difenderla).
Il governo “aperto a tutti” costituisce un valido rimedio contro la diffusione dello spirito antidemocratico che si estrinseca anche nell’indifferenza, nell’apatia politica. Democrazia vuol dire sottrarre il popolo alla passività e alla mera reattività. L’ideale della democrazia richiede una comunità di individui politicamente attivi e a tal fine nel B-VG sono previsti istituti di partecipazione diretta alla vita pubblica. Solo così si riesce ad ottenere un’opinione pubblica consapevole, condizione indispensabile per lo sviluppo e per la stessa sopravvivenza di una democrazia, oltre al rispetto dell’uguale dignità di tutti. Vi è democrazia, se può parlarsi di governo del popolo e non per il popolo (si è visto a quali risultati aberranti ha condotto il governo per il popolo negli Stati dell’ est europeo). Eine Ordnung, die nicht das subjektive Recht gewährleistet, soll überhaupt nicht als Rechtsordnung betrachtet werden (H. Kelsen). Delle volte potrebbe sembrare che la Anzahl der Rechtsordnungen, anche nell’ attuale XXI secolo, non sia molto elevata e che non siano pochi a ritenere che “Macht ist identisch mit Recht”, mentre invece Kelsen negava questa identità.
IV
L’uguaglianza, l’isonomia, viene realizzata mediante leggi valide per tutti, mediante l’eliminazione di privilegi. I cittadini, in una vera democrazia, non si distinguono in individui che sono “sotto” la legge ed individui che sono “sopra” la legge, tutti essendo ugualmente soggetti alla legge. La legge deve essere, in una vera democrazia, la regola, nella quale tutti possono (e devono) riconoscersi. “Am Unrecht bewährt sich die Existenz des Rechts”, aveva “sentenziato” Kelsen negli anni ‘30 del secolo passato; delle volte sembra che da allora poco sia cambiato e che prevalga la tesi che “jeder beliebige Inhalt kann Recht sein”.
Democrazia vuol dire libertà nel senso di protezione dei diritti degli inermi contro l’arbitrio, vuol dire legalità, solidarietà e pari dignità. La democrazia va concepita quale metodo di legittimazione e di controllo delle decisioni politiche, quale garanzia affinché vengano rispettati i diritti di libertà; implica il diritto di controllare il potere (e non soltanto quello esecutivo), cui spetta di attuare questi diritti. Una vera democrazia deve essere fondata sulla convinzione che il governo deve dare vita alla trasparenza del potere, al controllo del potere, alla pubblicità degli atti di governo (vengono in mente, in proposito le parole di M. Joly, secondo il quale le azioni del governo devono essere compiute in pubblico, “au grand jour”); pubblicità, che essa stessa, è una forma di controllo, è un espediente per distinguere ciò che (anche per i governanti) è lecito da ciò che lecito invece non è. Hans Kelsen, quasi un secolo addietro, aveva scritto che la Zahl derer, die den Geist höher schätzen, als die Macht, scheint höher zu sein, als man heute vermutet. Ci si rimette al lettore di questo articolo se aveva ragione o meno.
La democrazia è incompatibile con la credenza cieca nella propria verità e nella forza capace di imporla (agli altri). In una repubblica democratica – ha scritto James Madison – è di grande importanza non soltanto salvare la società dalla pressione dei suoi governati, ma anche di garantire una parte della società contro l’ingiustizia dell’ altra parte. Il fine supremo di ogni governo autenticamente democratico è (e deve/dovrebbe essere) la giustizia e la giustizia è anche il fine di ogni società civile. In una lettera a Madison, Jefferson ha scritto che “il potere esecutivo non è l’ unico e forse neppure il principale oggetto delle mie preoccupazioni. La tirannia del legislatore è effettivamente il pericolo più temibile”.
Secondo Kelsen, “nicht als Zweck, sondern als spezifisches Mittel ist das Recht zu charakterisieren”.
V
Contro l’eventuale risorgere del nazionalsocialismo, il Governo provvisorio austriaco aveva emanato, l’8.5.1945, una legge che prevedeva, in alcuni casi, anche la pena di morte per la cosiddetta Wiederbetätigung in nationalsozialistischem Sinne. Nel 1947 questa legge (entrata poi in vigore il 6.6.1947) venne modificata e da allora è nota sotto il nome di Verbotsgesetz (VerbotsG). Per tutti i reati previsti dal Verbotsgesetz, veniva sancita la competenza del Geschworenengericht (Corte d’Assise) e vi era obbligo, a carico di tutti i cittadini, di informare l’ autorità giudiziaria o gli organi di polizia, qualora fossero a conoscenza dei reati ricompresi nel Verbotsgesetz. Veniva assicurata Straffreiheit a coloro che, prima che le autorità avessero avuto conoscenza dei fatti, le avessero informate, rivelando tutto quanto era di loro conoscenza. Attualmente, del Verbotsgesetz, sono in vigore soltanto i §§ da 1 a 3J dell’ articolo 1. Il Verbotsgesetz è norma avente Verfassungsrang.
Più volte Il Verfassungsgerichtshof (Corte costituzionale) ha statuito che il Verbotsgesetz contiene norme di applicazione diretta e da osservarsi da parte di ogni organo dello Stato nell’ esercizio delle proprie competenze e funzioni. Di particolare importanza in proposito è l’Erkenntnis VfSlg 9648/1983, nel quale il Verfassungsgerichtshof ha statuito che alla “unmittelbaren Anwendbarkeit del § 3 del Verbotsgesetz non ostano, nè il principio dello Stato di diritto, nè il rechtsstaatliche Prinzip der Bundesverfassung, nè l’articolo 26, 5°c., del B-VG. Pertanto non può ravvisarsi, a carico del legislatore, un obbligo di ripetere, nelle varie norme di rango inferiore, il Verbot nationalsozialistischer Wiederbetätigung.
Ha precisato, la Corte costituzionale, nella suddetta sentenza, che la mancata ripetizione, p. es. del divieto nel § 15, 5°c., dell’Hochschülerschaftsgesetz (HSchG) del 1973, non è censurabile e che non è fondato il dedotto dubbio di costituzionalità di questa norma, in quanto si tratta di una “implizit getroffenen normativen Regelung”. Ha osservato altresì il Verfassungsgerichtshof, che l’ Austria, con l’articolo 9 dello Staatsvertrag von Wien del 1955, ha assunto il preciso ed inderogabile obbligo, non solo di cancellare tutte le tracce (visive) del nazismo dalla vita politica, economica e culturale (come poi effettivamente è avvenuto; in Austria non si trovano “residui” del dominio nazionalsocialista (1938-1945)), ma anche di garantire che organizzazioni nazionalsocialiste, di qualsiasi stampo, possano risorgere nonché di impedire qualsiasi attività, anche di propaganda, oltreché di mero di sostegno. Parimenti è vietata la Leugnung, la gröbliche und einseitige Verharmlosung, la Gutheißung e la Rechtfertigung dei delitti contro l’umanità perpetrati dal regime nazista.
VI
Per quanto concerne l’interpretazione dei §§ 3 e segg. del Verbotsgesetz da parte dell’OGH, va segnalata una sentenza di fondamentale importanza della Corte suprema dd. 25.6.86. Ha ritenuto l’ OGH che un’attività va qualificata come Wiederbetätigung (vietata dal VerbotsG), se mediante la stessa “in propagandistisch vorteilhafter Art” vengono diffuse idee tipiche del nazionalsocialismo (qual’è la Verharmlosung der Massenvernichtungen durante il periodo 1933-1945). Parimenti è stata ritenuta Wiederbetätigung, la Verunglimpfung di coloro che, attivamente, hanno partecipato al Widerstand.
Nella sentenza del 18 ottobre 1990 (12 Os 57/90), l’OGH ha precisato che integrano il Tatbestand della Wiederbetätigung “jede unsachliche, einseitige und propagandistisch vorteilhafte Darstellung natioalsozialistischer Maßnahmen (e questo, anche se die Ideologie des Nationalsozialismus wird in ihrer Gesamtheit nicht bejaht).
Vi è poi la sentenza del 11 marzo 1993 che ha ritenuto Wiederbetätigung anche il “Lächerlichmachen” dell’ assassinio di massa con gas tossici; cosi’ pure la negazione dell’ assassinio sistematico nei campi di concentramento (sentenza del 16 febbraio 1994 – 13Os 135/92, la quale ha precisato che integra la Wiederbetätigung qualsiasi comportamento atto, anche soltanto astrattamente, a realizzare uno degli scopi perseguiti dal partito nazionalsocialista).
Il bundesverfassungsrechtliche Wiederbetätigungsverbot di cui al § 9, n. 1, dello Staatsvertrag von Wien, oltre a postulare sanzioni penali per i contravventori (attuate con appositi §§ contenuti anche nel codice penale), viene interpretato dalla Corte costituzionale nel senso che le due predette disposizioni contengono “umfassende Verbote” che impongono la repressione di ogni attività antidemocratica o l’incitamento alla stessa.
VII
Il § 3 del Verbotsgesetz, sempre secondo la Corte Costituzionale, deve essere considerato una “Generalklausel” e deve trovare applicazione, da parte delle autorità, anche se una determinata norma non ne prevede – espressamente ˗ l’ applicazione (“als allgemeine Generalklausel steht dieses Verbot neben und über allen Einzelvorschriften”). Si è detto anche che l’articolo 3 del Verbotsgesetz “ist eine umfassende Maßgabe jeglichen staatlichen Handelns”, è una specie di canone per l’agire delle autorità dello Stato e che “jede Staatstätigkeit hat sich an diesem Verbot zu orientieren”. Il rifiuto categorico del nazionalsocialismo è una caratteristica fondamentale della Repubblica austriaca post 1945. Non può essere posto in essere alcun atto, da parte di autorità statali (e pubbliche in genere), che possa essere interpretato come collusione delle stesse “an nationalsozialistischer Wiederbetätigung”.
Il divieto in questione è operante, anche se per l’atto posto in essere, non vi è stata ancora condanna, vale a dire, se un movimento o un’organizzazione oppure un Personenkreis operano allo scopo di perseguire gli obiettivi caratteristici del disciolto partito nazista o di una delle tante “Unterorganisationen” del medesimo. In altre parole, ogni autorità pubblica, prima di porre in essere un atto di sua competenza, deve valutare se l’atto non sia contrario a disposizioni del Verbotsgesetz. Con l’articolo 3 di questa legge il legislatore ha predisposto una norma di rango costituzionale al fine di salvaguardare le fondamenta dell’ ordinamento democratico che erano state minate – dopo la prima guerra mondiale – dalla cosiddetta NS-Bewegung.
Qualsiasi atto giuridico posto in essere in violazione di uno dei divieti contenuti nel Verbotsgesetz, è privo di efficacia (in particolare sono da considerare nulli, ai sensi dell’articolo 879 ABGB [2] (Codice Civile austriaco), i contratti aventi per oggetto la stampa di propaganda nazionalsocialista.
Parimenti è vietata l’erogazione di contributi o di sovvenzioni in genere ad organizzazioni neo-naziste nonché la concessione di qualsiasi autorizzazione a manifestazioni di stampo nazista o paranazista. In proposito sussiste un obbligo per qualsiasi autorità(statale e non), di verificare se una determinata manifestazione o un determinato comportamento siano contrari al Verbotsgesetz.
VIII
Per quanto concerne la costituzione di partiti politici, se vi sono anche soltanto indizi che la stessa miri alla Wiederbetätigung”, vietata dall’articolo 3 del Verbotsgesetz, il costituendo partito non può considerarsi validamente costituito, neppure dopo il deposito dello statuto (presso il ministero degli Interni, ex articolo 1, 4°c., del Parteiengesetz).
In proposito meritano di essere richiamate alcune tra le più importanti decisioni del Verfassungsgerichtshof (Corte Costituzionale):
VfSlg: 9648/1983 (“Lista contro gli stranieri”)
VfSlg: 11258/1987 (“Nationale Front”)
VfSlg: 11761/1988 (“Nationaldemokratische Partei”).
È stato sostenuto che le suddette decisioni della Corte costituzionale sono state emesse al fine di colmare una lacuna esistente nel Parteiengesetz. In questa legge è sancito il principio della libertà di costituzione di partiti politici e le formalità prescritte per “fondare” un partito politico sono minime; consistono principalmente nella Satzungshinterlegung (deposito dello statuto). Il Parteiengesetz non prevede – espressamente ˗ la possibilità di adottare – da parte delle autorità amministrative – un provvedimento, col quale viene disposto il divieto di costituzione di un partito politico oppure la declaratoria – espressa – di “inesistenza” dello stesso, una volta avvenuta la Satzungshinterlegung (in quanto in contrasto con il principio, al quale sopra si è accennato). In questo senso, vedasi la decisione della Corte Costituzionale VfSlg 9643/1983.
La diffusione di idee nazionalsocialiste, qualora il fatto non sia punibile in base al Verbotsgesetz, viene sanzionata anche in via amministrativa (Verwaltungsübertretung – si veda articolo III, Abs. 1, Z. 4, EGVG) che prevede, a carico di chiunque diffonde l’ ideologia nazionalsocialista, la sanzione pecuniaria amministrativa fino ad Euro 2.180. È punibile anche il tentativo. Le cose che sono servite per commettere la violazione, possono essere confiscate.
IX
Esaminiamo ora le disposizioni più importanti contenute nel Codice Penale e poste, direttamente o indirettamente, a difesa dell’ ordinamento libero-democratico.
Il § 242 punisce con la reclusione da 10 a 20 anni chiunque – con violenza o minacciando il ricorso alla violenza – compie atti diretti a modificare la Costituzione della Repubblica o la Verfassung di uno dei Länder (si parla in proposito di Verfassungshochverrat) oppure di distaccare parte del territorio della Repubblica (Gebietshochverrat). Va pero’ rilevato che integra il Verfassungshochverrat non qualsiasi modifica della Costituzione federale o di una Landesverfassung, ma soltanto se si tende a sostituire principi fondamentali contenuti in questi ordinamenti (quale, p. es., das republikanische, bundesstaatliche, rechtsstaatliche Prinzip o quello della neutralità). Viola il § 242 c.p. anche colui che compie atti diretti ad abrogare la Corte costituzionale o il Nationalrat.
Ai fini di un’eventuale Verfassungsänderung non è indispensabile un provvedimento formale di abrogazione, di modifica o di sostituzione della Costituzione vigente con una nuova, ma basta creare una situazione, anche di mero fatto, di inapplicabilità della Verfassung. Ai sensi dell’articolo 64, comma 1, n.1, Codice Penale, sussiste la giurisdizione austriaca anche qualora le hochverräterischen Handlungen vengano progettate all’ estero.
X
Con la pena detentiva da sei mesi a cinque anni è punito chiunque, ricorrendo a mezzi illeciti, costituisce un’ organizzazione, il cui scopo, anche se non esclusivo, è quello di mettere in pericolo l’indipendenza, la Staatsform prevista dalla Costituzione o un’istituzione prevista dalla medesima o da una Landesverfassung (articolo 246). Con la stessa pena è punito chiunque dirige un’ organizzazione del genere, svolge attività di proselitismo in favore della stessa, la finanzia con denaro oppure le fornisce, in altro modo, un sostegno rilevante. Chiunque aderisce ad un’organizzazione di cui sopra, è punito con la pena detentiva fino ad un anno.
Il delitto di cui all’articolo 246 del Codice Penale si distingue da quello previsto dall’articolo 242 del Codice Penalein quanto non viene perseguito un concreto “hochverräterisches Unternehmen”, di modificare o sostituire la Costituzione con violenza o con la minaccia di impiegare mezzi violenti, ma è sufficiente la messa in pericolo dei beni giuridici indicati nell’articolo 246 del Codice Penale, anche se, ai fini dell’ integrazione di quest’ultimo reato, ciò deve avvenire “auf gesetzwidrige Weise”.
XI
Un apposito paragrafo (il 249 c.p.) tutela l’istituzione e la persona del Presidente della Repubblica. Chiunque, con violenza, o con gefährlicher Drohung [3], compie atti diretti alla destituzione del Presidente della Repubblica ovvero, ricorrendo ad uno dei mezzi sopra elencati ad impedirgli lo svolgimento delle sue funzioni istituzionali o ad influire sulla sua libertà di decisione, è punito con la reclusione da uno a dieci anni. Il § 249 del Codice Penaleprevede un cosiddetto Nötigungstatbestand ed il tentativo è equiparato al delitto consumato; pertanto l’avvenuta Willensbeugung (coartazione della volontà) non è necessaria ai fini della consumazione del reato (si tratta di un cosiddetto Versuchsdelikt).
XII
Altra norma diretta a garantire la libertà di decisione e di adempimento alle proprie funzioni, è costituito dall’articolo 250 del Codice Penale, il quale sanziona, con la pena detentiva da uno a dieci anni, chiunque, ricorrendo all’ uso di violenza, compie atti intesi ad impedire o a condizionare l’esercizio delle funzioni del Nationalrat, del Bundesrat, della Bundesversammlung, del Governo federale, di un Governo regionale, di un’assemblea regionale, della Corte Costituzionale, del Consiglio di Stato o dell’ OGH (Corte suprema). Il reato di cui all’articolo 250 del Codice Penalesi distingue da quello contemplato dall’articolo 249 del Codice Penalein quanto, ai fini dell’ integrazione del primo, non è richiesta la gefährliche Drohung, bastando il semplice ricorso alla minaccia.
Il Codice Penale austriaco tutela la libertà di decisione non soltanto degli organi collegiali menzionati nell’articolo 250, ma anche dei singoli componenti di tali organi. IL § 251 del Codice Penalepunisce con la reclusione da mesi sei a cinque anni, chiunque, con violenza, o con gefährlicher Drohung, impedisce ad un membro del Nationalrat, del Bundesrat, della Bundesversammlung, di un Governo regionale, della Corte costituzionale, del Consiglio di Stato o della Corte suprema (OGH) o al Presidente o al Vicepresidente della Corte dei Conti di adempiere alle proprie funzioni o di condizionare in un determinato modo l’esercizio delle loro funzioni.
A differenza di quanto previsto per il reato di cui al § 249, quello contemplato dal § 251 Codice Penale, non è un Versuchsdelikt, per cui il reato è consumato soltanto quando viene posto in essere il comportamento coartato.
La pena è da 1 a 10 anni di reclusione in caso di schwerer Nötigung (§ 251, 2°c., c.p.) che sussiste qualora:
a) Il soggetto passivo venga minacciato di morte o se il male prospettato è quello di una mutilazione, di uno sfregio, di un incendio oppure se viene minacciata la rovina dell’ esistenza economica o della posizione sociale;
b) il soggetto passivo o altra persona contro la quale la violenza o la minaccia è diretta, viene tenuto, durante un apprezzabile lasso di tempo e per effetto della minaccia di uno dei mali sopra indicati, in uno stato di rilevante sofferenza oppure se il soggetto passivo viene indotto ad un’azione od un’omissione con conseguenze rilevanti per gli interessi dello stesso o di terzi.
XIII
Chiunque, pubblicamente ed in modo tale da essere idoneo a mettere in pericolo l’ordine pubblico, incita ad un’azione ostile contro una confessione o comunità religiosa riconosciuta, contro una razza, un popolo o contro uno Stato, è punito con la pena detentiva fino a due anni (§ 283, 1°c., Codice Penale). La stessa pena è prevista per chiunque, pubblicamente, compie azioni istigatrici contro uno dei soggetti ora menzionati, tenta di denigrarli, compie azioni istigatrici dirette a violare la loro dignità umana (§ 283, 2°c., c. p.). L’ espressione “pubblicamente” viene interpretata nel senso che l’ incitamento deve essere percepito da almeno dieci persone.
La ratio della norma è quella di prevenire ostilità tra le varie componenti della comunità statale. Il § 283 c. p. prevede un abstraktes Gefährdungsdelikt; pertanto non è necessario, ai fini dell’ integrazione della fattispecie, che l’ ordine pubblico venga effettivamente messo in pericolo o turbato da parte di chi incita ad azioni ostili contro uno dei gruppi indicati nel 1°c. del § 283 c. p. L’azione del soggetto attivo di questo delitto deve essere diretta, come già detto, a provocare un’ azione ostile e non è sufficiente, per l’integrazione del Tatbild, suscitare semplicemente sentimenti di antipatia. Le azioni ostili, al cui compimento si incita, non devono necessariamente costituire reato (comunemente viene fatto l’esempio dell’ incitamento al boicottaggio economico contro un determinato gruppo sociale o contro una minoranza). È da puntualizzare che il § 238 c. p. trova applicazione tutte le volte in cui i fatti non integrano uno dei reati previsti dal § 3g o 3h del Verbotsgesetz.
Va però rilevato che le migliori leggi non varranno a tutelare, a difendere l’ordinamento libero-democratico, se esse non vengono attuate, con il dovuto rigore e se i contravventori non saranno puniti. Appare opportuno riportare una frase di N. Bergasse: “È necessario che il potere giudiziario – spogliato di ogni specie di attività contro il regime politico dello Stato e non avendo alcuna influenza sulle volontà che concorrono a formare questo regime – disponga, per proteggere tutti gli individui e tutti i diritti, di tale forza che, onnipotente per difendere e per soccorrere, essa divenga assolutamente nulla non appena, mutando la sua destinazione, tenterà di farne un uso improprio. Si noti che quanto ora citato è contenuto in un rapporto, diretto ad un’ assemblea costituente, oltre due secoli orsono. Queste parole, ancor oggi, pare, che non abbiano perso alcunché di attualità.
Anche Hans Kelsen, “Mastermind des Rechts und der Rechtstheorie”, in una delle sue opere fondamentali, ha affermato che Recht soll niemandem zu Diensten sein; niemandes Büttel sein.
XIV
In Austria, nel 1945 e negli anni seguenti, non sono state adottate soltanto misure efficaci per cancellare ogni traccia visibile del passato nazista e per impedire il risorgere del nazionalsocialismo, ma si è agito concretamente anche in senso repressivo contro i capi e i gregari della NS-Partei nonché contro chi dirigeva o apparteneva alle organizzazioni (e non sono state poche) “fiancheggiatrici” di questo regime.
Nelle varie zone di occupazione (Besatzungszonen), dall’agosto 1945 all’ inizio del 1946, venne istituita la c. d. Volksgerichtsbarkeit, con sedi a Vienna, Linz, Graz ed Innsbruck. I Volksgerichte erano composti da tre Schöffen (giudici non togati) e da due magistrati che durante il periodo 1938 – 1945, non erano stati “uomini di regime”.
Tra il 1945 e il 1955 vennero emesse 13.607 sentenze di condanna (comprese quelle alla pena di morte, di cui 30 effettivamente eseguite). Le condanne all’ergastolo sono state ventinove. 269 imputati sono stati condannati alla reclusione tra i dieci e i vent’anni. Tenuto conto del fatto che in Austria, in quell’epoca, il numero degli abitanti è stato di circa 5.000.000, le condanne non sono state, nè poche, nè poco severe. Particolarmente severi si sono dimostrati i Volksgerichte di Graz e di Innsbruck con una percentuale di condanna pari al 58% e risp. del 54%.
[1] Hans Kelsen, uno dei più eminenti giuristi del secolo passato, professore universitario, giudice costituzionale, autore di opere di fondamentale importanza ancora oggi, perseguitato per motivi razziali e politici, costretto a rifugiarsi in Svizzera e poi negli Stati Uniti, perchè si era rifiutato di piegarsi ai venti dittatoriali che spiravano su gran parte dell’Europa continentale.
[2] Prevede questo paragrafo : “Un contratto concluso contro un divieto di legge o contra bonas mores è nullo”.
[3] Per gefährlicher Drohung, nel diritto penale austriaco, si intende la prospettazione di un male avente per oggetto la libertà, l’ incolumità fisica, il patrimonio o l’onore. Sono, questi, i (soli) nötigungserheblichen Rechtsgüter e tali da suscitare, nella persona oggetto della Drohung (si parla in proposito della cosiddetta Besorgniseignung), tenuto conto delle condizioni della stessa, uno stato di fondata preoccupazione. La Besorgniseignung deve essere valutata da un punto di vista oggettivo-astratto. Il male minacciato può riguardare anche parenti o cosiddette Sympathiepersonen.