x

x

Organici ed assunzioni negli enti locali in vista del d.p.c.m. previsto dalla finanziaria per l’anno 2005 e della finanziaria per l’anno 2006.

Un caso problematico: gli enti locali in rapida crescita demografica.

Il complesso quadro normativo in materia di organici ed assunzioni impone, a coloro che operano nell’ambito degli enti locali, profonde riflessioni dalle quali far discendere spunti metodologici che – sebbene suscettibili di attenta valutazione critica – possano servire da necessario orientamento, nel concreto operare quotidiano. Ciò soprattutto in alcuni casi marginali, rispetto ai quali gli strumenti ordinari non sembrano consentire alcuna soluzione concreta. La prima impressione è quella per cui l’obiettivo del risparmio finanziario imposto dal legislatore, da realizzarsi con modalità predeterminate sotto il profilo della certezza e della celerità, abbia fatto trascurare la previsione – cosa obiettivamente complicata – di meccanismi di salvaguardia per situazioni particolari che, ad oggi, sembrano senza speranza.

E’ soprattutto alla ricerca di soluzioni per casi complessi che le considerazioni di seguito sviluppate vogliono contribuire.

1.      Gli organici ed il dato normativo.

Le norme operative specifiche in materia di organici degli enti locali – oltre a quelle generali contenute negli articoli 1 e 6 del d.lgs. n° 165/2001 – sono contenute nell’articolo 34 della legge n° 289/2002 (finanziaria per l’anno 2003) e nel relativo d.p.c.m. di attuazione del 12/09/2003, nonché nell’ultimo capoverso dell’articolo 1, comma 93, della legge n° 311/2004 (finanziaria per l’anno 2005).

In base a tali norme, gli enti locali – ad eccezione dei comuni con meno di 3.000 abitanti – dovrebbero provvedere alla rideterminazione delle loro dotazioni organiche tenendo conto dei processi di riforma delle amministrazioni, di trasferimento di funzioni, nonché delle regole sul patto di stabilità (articolo 34, comma 1, l. 289/2002). Nell’effettuare la rideterminazione – dice la norma – “… è assicurato il principio dell’invarianza della spesa e le dotazioni organiche rideterminate non possono comunque superare il numero dei posti di organico complessivi vigenti alla data del 29/12/2002” (comma 2) e, in ogni caso, fino all’adozione del relativo provvedimento “… le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari ai posti coperti al 31/12/2002 tenuto conto dei posti per i quali alla stessa data risultino in corso di espletamento procedure di reclutamento, di mobilità o di riqualificazione del personale” (comma 3) e “… dei posti formalmente istituiti successivamente al 29/09/2002 ma comunque entro il 31/12/2002, per l’esercizio di funzioni trasferite dallo Stato e dalle regioni ai comuni ed alle province” (articolo 2, comma 6, d.p.c.m. del 12/09/2003).

Successivamente – imposto alle amministrazioni statali l’obbligo di riduzione del 5% delle dotazioni (con la finanziaria per l’anno 2005) – si è stabilito che per gli enti locali tali disposizioni “…costituiscono principi e norme di indirizzo…” e che gli stessi enti “…operano le riduzioni delle rispettive dotazioni organiche secondo l’ambito di applicazione da definire con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri…” (articolo 1, comma 93, ultimo capoverso, l. 311/2004).

2.      Le possibili interpretazioni del dato normativo

Dalle disposizioni sopra riportate si possono trarre diverse interpretazioni in ordine ai provvedimenti da adottare in materia di rideterminazione delle dotazioni organiche.

Una prima interpretazione – che definiremmo legalistica – è quella per la quale la portata delle disposizioni contenute nella legge n° 289/2002 (rideterminazione della dotazione con garanzia del principio dell’invarianza della spesa) sia di carattere generale ed immutabile negli anni a seguire. Da ciò discenderebbe che qualsiasi provvedimento di rideterminazione della dotazione organica adottato dal 01/01/2003 (entrata in vigore della legge citata) non avrebbe potuto che prevedere una riduzione – al massimo l’invarianza – della spesa complessiva derivante dalla dotazione stessa. Per cui, gli enti che avessero già definitivamente rideterminato, nel corso del 2003 o del 2004, la propria dotazione organica, oggi non potrebbero che rideterminarla in riduzione ulteriore rispetto alla precedente. Gli enti che, invece, non avessero provveduto nel corso del 2003 e del 2004, potrebbero oggi rideterminare definitivamente la dotazione, operando in riduzione rispetto a quella vigente al 31/12/2002 (considerando, perciò, anche i posti di cui al citato articolo 2, comma 6, d.p.c.m. del 12/09/2003). Tutto questo, nonostante la finanziaria per l’anno 2004 ed i dd.p.c.m. non abbiano ribadito – ammesso e non concesso che ve ne fosse il bisogno – l’obbligo di rideterminare le dotazioni in riduzione anche nell’anno 2004.

A questo proposito giova ricordare che nessuna delle norme che disciplinano in via generale la dotazione organica prevede – quale regola, per così dire, immanente – la progressiva riduzione della stessa. D’altro canto, ciò potrebbe anche essere irragionevole, tenuto conto del fatto che diversi fattori – e lo vedremo in seguito – potrebbero richiedere, piuttosto, un ampliamento della dotazione organica di un’amministrazione.

Tutto ciò posto, si deve ritenere che la previsione contenuta nella finanziaria per l’anno 2005 (riduzione del 5% quale principio e norma di indirizzo da operare secondo l’ambito di applicazione stabilito nell’emanando d.p.c.m.) sia una mera ripetizione – se non nel quantum – del principio generale già vigente di riduzione della dotazione in sede di rideterminazione.

Accettare pienamente questa prima interpretazione, comporterebbe, l’accettazione del principio delle non modificabilità in aumento delle attuali dotazioni organiche degli enti locali, stante la vigenza della regola dell’invarianza della spesa e dell’obbligo (per gli enti locali in principio ed indirizzo) di riduzione delle dotazioni organiche. Il che equivale a dire che le esigenze di contenimento della finanza pubblica limitano momentaneamente l’autonomia organizzatoria degli enti locali.

Una seconda interpretazione[1] – che definiremmo, invece, estensiva – afferma che il vincolo della rideterminazione in riduzione della dotazione organica abbia esplicato i suoi effetti fino alla sua mancata riproposizione nella finanziaria per l’anno 2004. In base a questa interpretazione, gli enti che nel 2004 avessero adottato provvedimenti di rideterminazione della dotazione organica avrebbero potuto farlo in deroga ai limiti posti dall’articolo 34 della legge n° 289/20002. In sostanza, nel corso dell’anno 2004, gli enti – indipendentemente dall’aver provveduto alla rideterminazione definitiva nel corso del 2003 – avrebbero potuto ampliare la loro dotazione organica senza tener conto dei limiti contenuti nella finanziaria per l’anno 2003, considerandoli, per così dire, scaduti. A sostegno della tesi testé esposta si è invocata l’autonomia con la quale le amministrazioni pubbliche (anche gli enti locali) “…secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, … determinano le dotazioni organiche complessive …” (articolo 2, comma 1, del d.lgs. n° 165/2001). Principio, peraltro, ribadito al successivo articolo 6, commi 1 e 3, laddove si stabilisce che “… la consistenza e le variazioni delle dotazioni organiche sono determinate previa verifica degli effettivi fabbisogni…”. Ovviamente, l’autonomia delle amministrazioni si attua anche all’interno dei più generali principi di efficienza, efficacia ed economicità e, tuttavia, senza prescindere dalla motivata rappresentazione dei fabbisogni, mutevoli nel tempo per loro stessa natura.

L’accettazione di questa seconda interpretazione consentirebbe, invece, di sostenere che i vincoli posti alla rideterminazione delle dotazioni organiche non possono essere considerati generali ed immutabili – se non stabiliti chiaramente e specificamente – tanto da limitare stabilmente l’autonomia organizzatoria dell’ente locale.

 

3.      Il destino dell’autonomia organizzatoria degli enti locali in attesa dei dd.p.c.m.

Ciò che ad oggi andrebbe attentamente valutata è la portata imperativa del vincolo contenuto nel citato ultimo capoverso dell’articolo 1, comma 93, della finanziaria per l’anno 2005.

Dovremmo chiederci: quale cogenza può assumere la riduzione delle dotazioni organiche laddove qualificata come principio e norma di indirizzo? Ed inoltre: come può tale principio convivere con quello di autonomia organizzatoria delle amministrazioni locali?

Affrontare questi temi determina lo spostamento della discussione ad un piano più generale nel quale vengono in evidenza aspetti ulteriormente problematici quali il rapporto tra fonti normative e gli orientamenti più recenti della giurisprudenza costituzionale.

Non c’è dubbio che la tesi per la quale nelle norme vigenti esisterebbe un vincolo generale alla riduzione delle dotazioni organiche solleva parecchi dubbi in ordine alla sua possibile convivenza con il principio – questo si, senz’altro generale – di autonomia organizzatoria degli enti locali. Infatti, non sembra contestabile che le dotazioni possano avere bisogno di un ampliamento a fronte di processi di riorganizzazione delle amministrazioni, passaggi funzioni o addirittura della semplice volontà dell’amministrazione di fornire in maniera più articolata i servizi di propria competenza. E se è vero che le norme vigenti tendono a fare salve le modifiche alle dotazioni che conseguono ad eventi del tipo di quelli testé descritti è altrettanto vero che l’esperienza quotidiana è fatta anche di passaggi di funzioni ad enti locali (quelle relative al demanio marittimo, alle autorizzazioni venatorie, ecc.) senza che a ciò abbia corrisposto un eguale trasferimento di risorse economiche o umane. Comunque, anche in questi casi, potrebbe sostenersi l’esistenza di un obbligo generale alla riduzione delle dotazioni organiche.

In definitiva, l’adozione della interpretazione che sopra abbiamo definito legalistica, comporterebbe una sostanziale ingessatura delle dotazioni fino a quando non fosse disposta l’abrogazione delle disposizioni contenute nell’articolo 34, comma 1, della legge n° 289/2002, a nulla valendo le eventuali ragionevoli motivazioni che potrebbero rendere necessario l’ampliamento della dotazione di un ente locale, ultima fra le quali, l’aumento notevole del numero dei residenti.

Peraltro, non pare del tutto lineare nemmeno la proposizione del vincolo sulle dotazioni in presenza di limiti agli strumenti di implementazione delle stesse, ovvero alle assunzioni. Qualcuno, infatti, potrebbe chiedersi che senso ha imporre un generale obbligo di riduzione delle dotazioni – a prescindere da eventuali ragionevoli motivi per ampliarle – in presenza del divieto di assunzione e tenendo conto che, verosimilmente, nessuno dei due vincoli potrà essere eterno. Oppure sostenere che “… ciò che suscita qualche perplessità è la motivazione che ha spinto il legislatore ad utilizzare l’intervento unitamente al sostanziale divieto di assunzioni per l’anno 2003. Gli effetti delle due disposizioni sembrano, infatti, sovrapporsi: non posso assumere perché non ho il posto libero; non posso assumere perché la legge lo impedisce (salvo deroghe)” [2].

Orbene, che l’interpretazione cosiddetta legalistica non sia pienamente convincente, sotto il profilo della ragionevolezza generale delle norme, è fuori di dubbio. Tra l’altro, la praticabilità giuridica di questa interpretazione potrebbe essere dubbia anche alla luce del consolidato orientamento della Corte Costituzionale, ribadito da ultimo con la recentissima sentenza n° 417/2005.

La sentenza testé citata ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 9, 10 e 11 del decreto legge n° 168/2004 convertito con modificazioni dalla legge n° 191/2004. Le norme dichiarate illegittime avevano introdotto un limite alla spesa di Regioni ed enti locali per studi ed incarichi di consulenza (comma 9), missioni all’estero, rappresentanza e convegni (comma 10) e acquisto di beni e servizi (comma 11).

La suprema Corte – senza innovare rispetto ad un percorso interpretativo già stabilito in precedenti pronunce (vedi le sentenze n° 376/2003, 4/2004, 36/2004 e 390/2004) – non ha fatto altro che ribadire il principio per cui “… le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle Regioni e degli enti locali non costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma della Costituzione, e ledono pertanto l’autonomia finanziaria di spesa garantita dall’articolo 119 della Costituzione”. Ciò perché – spiega la Corte – i vincoli posti dal legislatore statale possono considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali solo se hanno ad oggetto “… o l’entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale – la crescita della spesa corrente degli enti autonomi; in altri termini, la legge statale può stabilire solo un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa”.

Spunti altrettanto interessanti, si riscontrano nella sentenza n° 390 del 2004 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 34, comma 11, della legge n° 289/2002 e dell’articolo 3, comma 60, della legge n° 350/2003, nelle parti in cui le norme censurate disponevano un limite percentuale alla possibilità di assunzioni a tempo indeterminato, in attesa che lo stesso limite venisse – cosa poi successa effettivamente – ribadito nei dd.p.c.m. previsti e preannunciati dalle stesse norme.

La Suprema Corte – per la verità – affronta solo parzialmente il problema prospettatole, limitandosi a statuire sulla illegittimità del vincolo alle assunzioni (articolo 34, comma 11, legge n° 289/2002) e non pronunciandosi (motivatamente) sulla denunciata illegittimità del vincolo sulle dotazioni contenuto nei commi 1, 2 e 3 dell’articolo 34. In particolare, la Consulta dopo aver constatato che i commi 1, 2 e 3 dell’articolo 34 (vincolo sulle dotazioni) riguardavano anche le Regioni (che avevano promosso il giudizio di legittimità costituzionale), rileva che per effetto dei commi 10, 13 e 22 del medesimo articolo 34, le Regioni non erano assoggettate a nessun vincolo specifico, ma solo (comma 22) al generico rispetto del principio del contenimento della spesa e dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata.

La pronuncia della Corte Costituzionale è tuttavia importantissima perché dimostra come l’interpretazione che più sopra abbiamo definito estensiva abbia una sua ragionevolezza nel complesso normativo vigente.

Infatti – tornando alla sentenza – in nessuna delle norme censurate dai ricorrenti nella leggi n° 289/2002 e n° 350/2003 il destino delle Regioni è stato distinto da quello delle autonomie locali, ergo, le conclusioni cui la Corte giunge per le Regioni debbono intendersi teoricamente valide anche per gli enti locali.

In parole più semplici, la Suprema Corte non si è pronunciata sulle limitazioni alle dotazioni organiche solo perché ha rilevato che tali norme (ai sensi dei commi 10, 13 e 22 dell’articolo 34 della finanziaria per l’anno 2003 e dei commi 58 e 65 dell’articolo 3 della finanziaria per l’anno 2004) non vincolano le Regioni che avevano proposto ricorso. Ma i commi testé citati accomunano alle Regioni – nel destino di esclusione delle limitazioni della legge finanziaria – anche gli enti locali, per cui parrebbe corretto applicare anche a loro il medesimo ragionamento.

 

4.      In attesa dei dd.p.c.m.

Veniamo, in conseguenza di quanto sopra esposto, proprio al cuore del problema che intendiamo affrontare, ovvero dei provvedimenti che si possono adottare in vigenza della legge finanziaria per l’anno 2005 ed in attesa dei dd.p.c.m. dei quali essa prevede l’emanazione.

La scelta di aderire alla interpretazione che all’inizio abbiamo definito estensiva ci pone in una situazione di fatto per la quale alle regole generali di rideterminazione della dotazione organica (quelle di autonomia decisionale degli enti, di corrispondenza ai fabbisogni e di rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, tutte contenute nel d.lgs. n° 165/2001) si contrappone il principio di cui al già citato ultimo capoverso dell’articolo 1, comma 93, della legge n° 311/2004 (finanziaria per l’anno 2005), secondo il quale gli obblighi di riduzione del 5% delle dotazioni organiche – già norma imperativa per le amministrazioni statali – per gli enti locali “…costituiscono principi e norme di indirizzo…” e che gli stessi enti “…operano le riduzioni delle rispettive dotazioni organiche secondo l’ambito di applicazione da definire con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri…” .

In attesa dei dd.p.c.m. – le cui norme si presuppongono cogenti a prescindere dagli scenari aperti dalle citate sentenze della Corte Costituzionale che, anzi, confermano che le limitazioni non consentite alla Finanziaria possono essere introdotte con i dd.p.c.m. in quanto frutto di accordo in sede di Conferenza unificata – la risoluzione del contrasto tra due norme di principio non appare semplice, anche in considerazione del fatto che i principi in contrasto sono emanazione diretta di norme di rango costituzionale perché da esse (articolo 117, comma 3, della Costituzione) emana sia il potere normativo concorrente di Stato e Regioni in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, sia (articolo 114, comma 2 ed articolo 119, comma 1 della Costituzione) l’autonomia degli enti locali che si trasfonde, poi, nell’autonomia stabilita dall’articolo 3 del d.lgs. n° 267/2000, t.u.ee.ll..

Tuttavia, le pronunce della Suprema Corte citate fanno apparire decisamente discutibile la legittimità costituzionale di un vincolo permanente (o che pare tale) alla riduzione delle dotazioni organiche degli enti locali, in presenza di una più volte ribadita autonomia di questi. Si badi bene che non si tratta di discutere il potere legislativo concorrente dello Stato di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica – che ben si può tradurre nell’imposizione di un obiettivo di riduzione della spesa (generale in sede di legge finanziaria ed eventualmente di dettaglio nei dd.p.c.m. conseguenti) – ma di evitare che sia il solo legislatore statale a stabilire quali spese debbano essere limitate per conseguire il risultato del risparmio.

Per fornire, allora, una risposta al quesito posto in apertura di paragrafo – e accettando la ragionevolezza di tutto quanto argomentato nelle pagine precedenti – la questione della “manovrabilità” delle dotazioni organiche, si può riassumere nelle seguenti proposizioni:

a)      nonostante l’articolazione alquanto complessa, le leggi finanziarie per gli anni 2003 e 2004 non contengono alcun vincolo di dettaglio per le autonomie locali come affermato (per le Regioni) dalla Corte Costituzionale (sentenza n° 390/2004) sulla scorta di quanto disposto rispettivamente nel comma 10 dell’articolo 34 della legge n° 289/2002 e nel comma 58 dell’articolo 3 della legge n° 350/2003; tuttavia, laddove l’avessero introdotto, si sarebbe dovuto ritenere (vedi anche la sentenza n° 417/2005) che lo stesso non sarebbe stato costituzionalmente legittimo;

b)     i vincoli di dettaglio su dotazioni ed assunzioni sono stati definiti con i dd.p.c.m. che hanno fatto seguito alle due leggi finanziarie sopra citate e devono considerarsi del tutto leciti in quanto – come spiega la Corte Costituzionale con la sentenza n° 390/2004 – frutto dell’accordo in sede di conferenza Stato-Regioni-Autonomie locali, volto a dare contenuto specifico al principio di coordinamento di finanza pubblica rappresentato dal vincolo generico della finanziaria;

c)      la legge finanziaria per l’anno 2005 non solo non contiene un vincolo diretto volto a limitare la possibilità di rideterminazione delle dotazioni organiche delle amministrazioni non statali ma non introduce nemmeno un “… divieto temporalmente limitato … funzionalmente collegato all’accordo da raggiungere in sede di Conferenza unificata” (Corte Costituzionale, sentenza n° 390/2004) tale da regolare il periodo transitorio fino all’emanazione dei dd.p.c.m., limitandosi – secondo “l’insegnamento” della Corte Costituzionale – a stabilire l’esistenza di un principio o norma di indirizzo in tal senso;

d)     non vi è alcun motivo valido – nemmeno il dato normativo di tutte le finanziarie citate – perché le considerazioni che la Corte Costituzionale ha svolto per le Regioni non si debbano ritenere valide anche per gli enti locali.

Sulla base dei concetti riassuntivi sopra esposti sembra ragionevole ritenere, a tutto novembre 2005, possibili interventi in ampliamento della dotazione organica, adeguatamente motivati con il riferimento ad un effettivo fabbisogno e senza tuttavia prescindere dall’esigenza di accrescere la propria efficienza, razionalizzare la spesa complessiva per il personale e realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane (articolo 1 del d.lgs n° 165/2001).

Insomma, anche se ancora non si hanno notizie di un contenzioso avente ad oggetto la violazione di obblighi imposti dalla legge finanziaria ad enti locali in materia di organici ed assunzioni e che abbia innescato un giudizio di legittimità costituzionale sulle norme stesse, il principio di autonomia organizzatoria degli enti locali sembra reggere l’urto di una legislazione statale che, in vista dell’obiettivo di finanza pubblica di contenimento della spesa, tenta di condizionare pesantemente le scelte degli enti locali in materie – pure altamente problematiche per i loro riflessi sulla spesa pubblica – come la gestione delle dotazioni organiche e delle assunzioni.

 

5.      Un caso problematico: gli enti locali in rapida crescita demografica.

Le considerazioni sin qui sviluppate e le tesi sostenute – ove ritenute accoglibili – potrebbero consentire di affrontare quelle situazioni marginali, nelle quali gli strumenti ordinari previsti dal legislatore non sembrano consentire soluzioni[3]. Una di queste situazioni è quella degli enti locali caratterizzati da una considerevole crescita della popolazione residente nel territorio di propria competenza, tale da rendere necessario l’adeguamento delle dotazioni organiche per insufficienza di unità di personale previsto a fronte dei servizi da erogare alla collettività.

Il comune di cui sono dipendente, può essere utilizzato quale esempio di una obiettiva difficoltà che il tradizionale approccio alle norme in materia di dotazioni non consente di superare. Nato nel 1970 per separazione da Comune più grande limitrofo, il Comune di Ardea si trova oggi ad avere una popolazione che si avvicina rapidamente ai 40.000 abitanti con una dotazione organica complessiva di 190 posti.  E’ da considerare che Ardea ha visto crescere la propria popolazione – nel periodo da settembre 2002 a luglio 2005 – da 28.523 a 35.038 residenti, con un incremento medio annuo di 2.302 unità pari ad una percentuale di crescita annua della popolazione superiore all’otto per cento. Tanto per comprendere le dimensioni del fenomeno, sarebbe come dire che la popolazione italiana sia aumentata di cinque milioni di persone ogni anno negli ultimi tre anni.

In una condizione del genere, pur volendo utilizzare gli strumenti di implementazione del personale che ancora sono consentiti, ci si trova di fronte al problema della dotazione, certamente sottodimensionata rispetto al fabbisogno. Scartata l’ipotesi dell’arrangiarsi – ed anche quella paradossalmente prospettataci di dichiarare il dissesto per poter rideterminare la dotazione con il parametro popolazione-dipendenti molto più favorevole previsto dal d.lgs. n° 267/2000, t.u.ee.ll. – occorre individuare nell’ordinamento vigente le disposizioni che rendono risolvibile il problema, anche ricorrendo ad interpretazioni che a prima vista possono sembrare poco ortodosse ma che alla prova dei fatti – ed aggiungerei del diritto – contengono una ragionevolezza ed un grado di conformità ai principi dell’ordinamento tali da renderle senz’altro condivisibili.

Quanto esposto nei paragrafi precedenti, costituisce – a mio avviso – una risposta praticabile. A ben vedere si tratta di una soluzione che consente ad enti locali, che abbiano delle obiettive e documentabili motivazioni, di adeguare la propria dotazione ai fabbisogni del momento rispettando la loro autonomia organizzatoria e senza pregiudicare gli obiettivi di finanza pubblica che ben possono – come successo negli anni passati – trovare attuazione mediante il limite alle assunzioni nei dd.p.c.m. previsti dalla legge finanziaria. In tal modo, ricorrendo alle procedure di mobilità per esempio, potrebbe essere realizzato il giusto compromesso tra esigenza di adeguamento del proprio organico e contenimento della spesa pubblica complessiva.



[1] Marcella Castronovo, Il regime delle assunzioni negli enti locali secondo la legge n° 350/2003, atti del convegno su “Le risorse umane negli enti locali: rinnovi contrattuali e impatto della legge finanziaria 2004”, Torino, Museo dell’auto Carlo Biscaretti di Ruffia, 21/04/2004.

[2] Sergio Gasparrini, Il disegno di legge sulla finanziaria, in ARAN newsletter n° 6/2002, pagine 24 e 25, citato in Gianfrancesco Vecchio, La pubblica amministrazione nella legge finanziaria 2003, in Nuova economia, nuova società, anno III, n° 7-8, Aprile 2003.

[3] Interessante è la proposta di Marcella Castronovo secondo la quale “… è certamente valida l’idea di individuare meccanismi attraverso i quali ridurre la spesa teorica di alcune amministrazioni, che presentano una dotazione organica non reale … ma allo stesso tempo occorre pensare ad una riduzione tecnica che non sia uguale per tutti, ma che incentivi quelle amministrazioni virtuose, che hanno delle dotazioni organiche che rispecchiano le loro reali necessità … perché è possibile organizzare delle economie e non ridurre il personale”, in atti del convegno “Le disposizioni della finanziaria 2005 in materia di organizzazione del personale. Assunzioni, dotazioni organiche collaborazioni ed incarichi”, organizzato dal Formez – Dipartimento della Funzione Pubblica, Roma, 21/02/2005, pubblicati a cura di Daniela Bolognino, in Amministrazione in Cammino, rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell’economia e di scienza dell’amministrazione, diretta da Giuseppe Di Gaspare.

Il complesso quadro normativo in materia di organici ed assunzioni impone, a coloro che operano nell’ambito degli enti locali, profonde riflessioni dalle quali far discendere spunti metodologici che – sebbene suscettibili di attenta valutazione critica – possano servire da necessario orientamento, nel concreto operare quotidiano. Ciò soprattutto in alcuni casi marginali, rispetto ai quali gli strumenti ordinari non sembrano consentire alcuna soluzione concreta. La prima impressione è quella per cui l’obiettivo del risparmio finanziario imposto dal legislatore, da realizzarsi con modalità predeterminate sotto il profilo della certezza e della celerità, abbia fatto trascurare la previsione – cosa obiettivamente complicata – di meccanismi di salvaguardia per situazioni particolari che, ad oggi, sembrano senza speranza.

E’ soprattutto alla ricerca di soluzioni per casi complessi che le considerazioni di seguito sviluppate vogliono contribuire.

1.      Gli organici ed il dato normativo.

Le norme operative specifiche in materia di organici degli enti locali – oltre a quelle generali contenute negli articoli 1 e 6 del d.lgs. n° 165/2001 – sono contenute nell’articolo 34 della legge n° 289/2002 (finanziaria per l’anno 2003) e nel relativo d.p.c.m. di attuazione del 12/09/2003, nonché nell’ultimo capoverso dell’articolo 1, comma 93, della legge n° 311/2004 (finanziaria per l’anno 2005).

In base a tali norme, gli enti locali – ad eccezione dei comuni con meno di 3.000 abitanti – dovrebbero provvedere alla rideterminazione delle loro dotazioni organiche tenendo conto dei processi di riforma delle amministrazioni, di trasferimento di funzioni, nonché delle regole sul patto di stabilità (articolo 34, comma 1, l. 289/2002). Nell’effettuare la rideterminazione – dice la norma – “… è assicurato il principio dell’invarianza della spesa e le dotazioni organiche rideterminate non possono comunque superare il numero dei posti di organico complessivi vigenti alla data del 29/12/2002” (comma 2) e, in ogni caso, fino all’adozione del relativo provvedimento “… le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari ai posti coperti al 31/12/2002 tenuto conto dei posti per i quali alla stessa data risultino in corso di espletamento procedure di reclutamento, di mobilità o di riqualificazione del personale” (comma 3) e “… dei posti formalmente istituiti successivamente al 29/09/2002 ma comunque entro il 31/12/2002, per l’esercizio di funzioni trasferite dallo Stato e dalle regioni ai comuni ed alle province” (articolo 2, comma 6, d.p.c.m. del 12/09/2003).

Successivamente – imposto alle amministrazioni statali l’obbligo di riduzione del 5% delle dotazioni (con la finanziaria per l’anno 2005) – si è stabilito che per gli enti locali tali disposizioni “…costituiscono principi e norme di indirizzo…” e che gli stessi enti “…operano le riduzioni delle rispettive dotazioni organiche secondo l’ambito di applicazione da definire con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri…” (articolo 1, comma 93, ultimo capoverso, l. 311/2004).

2.      Le possibili interpretazioni del dato normativo

Dalle disposizioni sopra riportate si possono trarre diverse interpretazioni in ordine ai provvedimenti da adottare in materia di rideterminazione delle dotazioni organiche.

Una prima interpretazione – che definiremmo legalistica – è quella per la quale la portata delle disposizioni contenute nella legge n° 289/2002 (rideterminazione della dotazione con garanzia del principio dell’invarianza della spesa) sia di carattere generale ed immutabile negli anni a seguire. Da ciò discenderebbe che qualsiasi provvedimento di rideterminazione della dotazione organica adottato dal 01/01/2003 (entrata in vigore della legge citata) non avrebbe potuto che prevedere una riduzione – al massimo l’invarianza – della spesa complessiva derivante dalla dotazione stessa. Per cui, gli enti che avessero già definitivamente rideterminato, nel corso del 2003 o del 2004, la propria dotazione organica, oggi non potrebbero che rideterminarla in riduzione ulteriore rispetto alla precedente. Gli enti che, invece, non avessero provveduto nel corso del 2003 e del 2004, potrebbero oggi rideterminare definitivamente la dotazione, operando in riduzione rispetto a quella vigente al 31/12/2002 (considerando, perciò, anche i posti di cui al citato articolo 2, comma 6, d.p.c.m. del 12/09/2003). Tutto questo, nonostante la finanziaria per l’anno 2004 ed i dd.p.c.m. non abbiano ribadito – ammesso e non concesso che ve ne fosse il bisogno – l’obbligo di rideterminare le dotazioni in riduzione anche nell’anno 2004.

A questo proposito giova ricordare che nessuna delle norme che disciplinano in via generale la dotazione organica prevede – quale regola, per così dire, immanente – la progressiva riduzione della stessa. D’altro canto, ciò potrebbe anche essere irragionevole, tenuto conto del fatto che diversi fattori – e lo vedremo in seguito – potrebbero richiedere, piuttosto, un ampliamento della dotazione organica di un’amministrazione.

Tutto ciò posto, si deve ritenere che la previsione contenuta nella finanziaria per l’anno 2005 (riduzione del 5% quale principio e norma di indirizzo da operare secondo l’ambito di applicazione stabilito nell’emanando d.p.c.m.) sia una mera ripetizione – se non nel quantum – del principio generale già vigente di riduzione della dotazione in sede di rideterminazione.

Accettare pienamente questa prima interpretazione, comporterebbe, l’accettazione del principio delle non modificabilità in aumento delle attuali dotazioni organiche degli enti locali, stante la vigenza della regola dell’invarianza della spesa e dell’obbligo (per gli enti locali in principio ed indirizzo) di riduzione delle dotazioni organiche. Il che equivale a dire che le esigenze di contenimento della finanza pubblica limitano momentaneamente l’autonomia organizzatoria degli enti locali.

Una seconda interpretazione[1] – che definiremmo, invece, estensiva – afferma che il vincolo della rideterminazione in riduzione della dotazione organica abbia esplicato i suoi effetti fino alla sua mancata riproposizione nella finanziaria per l’anno 2004. In base a questa interpretazione, gli enti che nel 2004 avessero adottato provvedimenti di rideterminazione della dotazione organica avrebbero potuto farlo in deroga ai limiti posti dall’articolo 34 della legge n° 289/20002. In sostanza, nel corso dell’anno 2004, gli enti – indipendentemente dall’aver provveduto alla rideterminazione definitiva nel corso del 2003 – avrebbero potuto ampliare la loro dotazione organica senza tener conto dei limiti contenuti nella finanziaria per l’anno 2003, considerandoli, per così dire, scaduti. A sostegno della tesi testé esposta si è invocata l’autonomia con la quale le amministrazioni pubbliche (anche gli enti locali) “…secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, … determinano le dotazioni organiche complessive …” (articolo 2, comma 1, del d.lgs. n° 165/2001). Principio, peraltro, ribadito al successivo articolo 6, commi 1 e 3, laddove si stabilisce che “… la consistenza e le variazioni delle dotazioni organiche sono determinate previa verifica degli effettivi fabbisogni…”. Ovviamente, l’autonomia delle amministrazioni si attua anche all’interno dei più generali principi di efficienza, efficacia ed economicità e, tuttavia, senza prescindere dalla motivata rappresentazione dei fabbisogni, mutevoli nel tempo per loro stessa natura.

L’accettazione di questa seconda interpretazione consentirebbe, invece, di sostenere che i vincoli posti alla rideterminazione delle dotazioni organiche non possono essere considerati generali ed immutabili – se non stabiliti chiaramente e specificamente – tanto da limitare stabilmente l’autonomia organizzatoria dell’ente locale.

 

3.      Il destino dell’autonomia organizzatoria degli enti locali in attesa dei dd.p.c.m.

Ciò che ad oggi andrebbe attentamente valutata è la portata imperativa del vincolo contenuto nel citato ultimo capoverso dell’articolo 1, comma 93, della finanziaria per l’anno 2005.

Dovremmo chiederci: quale cogenza può assumere la riduzione delle dotazioni organiche laddove qualificata come principio e norma di indirizzo? Ed inoltre: come può tale principio convivere con quello di autonomia organizzatoria delle amministrazioni locali?

Affrontare questi temi determina lo spostamento della discussione ad un piano più generale nel quale vengono in evidenza aspetti ulteriormente problematici quali il rapporto tra fonti normative e gli orientamenti più recenti della giurisprudenza costituzionale.

Non c’è dubbio che la tesi per la quale nelle norme vigenti esisterebbe un vincolo generale alla riduzione delle dotazioni organiche solleva parecchi dubbi in ordine alla sua possibile convivenza con il principio – questo si, senz’altro generale – di autonomia organizzatoria degli enti locali. Infatti, non sembra contestabile che le dotazioni possano avere bisogno di un ampliamento a fronte di processi di riorganizzazione delle amministrazioni, passaggi funzioni o addirittura della semplice volontà dell’amministrazione di fornire in maniera più articolata i servizi di propria competenza. E se è vero che le norme vigenti tendono a fare salve le modifiche alle dotazioni che conseguono ad eventi del tipo di quelli testé descritti è altrettanto vero che l’esperienza quotidiana è fatta anche di passaggi di funzioni ad enti locali (quelle relative al demanio marittimo, alle autorizzazioni venatorie, ecc.) senza che a ciò abbia corrisposto un eguale trasferimento di risorse economiche o umane. Comunque, anche in questi casi, potrebbe sostenersi l’esistenza di un obbligo generale alla riduzione delle dotazioni organiche.

In definitiva, l’adozione della interpretazione che sopra abbiamo definito legalistica, comporterebbe una sostanziale ingessatura delle dotazioni fino a quando non fosse disposta l’abrogazione delle disposizioni contenute nell’articolo 34, comma 1, della legge n° 289/2002, a nulla valendo le eventuali ragionevoli motivazioni che potrebbero rendere necessario l’ampliamento della dotazione di un ente locale, ultima fra le quali, l’aumento notevole del numero dei residenti.

Peraltro, non pare del tutto lineare nemmeno la proposizione del vincolo sulle dotazioni in presenza di limiti agli strumenti di implementazione delle stesse, ovvero alle assunzioni. Qualcuno, infatti, potrebbe chiedersi che senso ha imporre un generale obbligo di riduzione delle dotazioni – a prescindere da eventuali ragionevoli motivi per ampliarle – in presenza del divieto di assunzione e tenendo conto che, verosimilmente, nessuno dei due vincoli potrà essere eterno. Oppure sostenere che “… ciò che suscita qualche perplessità è la motivazione che ha spinto il legislatore ad utilizzare l’intervento unitamente al sostanziale divieto di assunzioni per l’anno 2003. Gli effetti delle due disposizioni sembrano, infatti, sovrapporsi: non posso assumere perché non ho il posto libero; non posso assumere perché la legge lo impedisce (salvo deroghe)” [2].

Orbene, che l’interpretazione cosiddetta legalistica non sia pienamente convincente, sotto il profilo della ragionevolezza generale delle norme, è fuori di dubbio. Tra l’altro, la praticabilità giuridica di questa interpretazione potrebbe essere dubbia anche alla luce del consolidato orientamento della Corte Costituzionale, ribadito da ultimo con la recentissima sentenza n° 417/2005.

La sentenza testé citata ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 9, 10 e 11 del decreto legge n° 168/2004 convertito con modificazioni dalla legge n° 191/2004. Le norme dichiarate illegittime avevano introdotto un limite alla spesa di Regioni ed enti locali per studi ed incarichi di consulenza (comma 9), missioni all’estero, rappresentanza e convegni (comma 10) e acquisto di beni e servizi (comma 11).

La suprema Corte – senza innovare rispetto ad un percorso interpretativo già stabilito in precedenti pronunce (vedi le sentenze n° 376/2003, 4/2004, 36/2004 e 390/2004) – non ha fatto altro che ribadire il principio per cui “… le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle Regioni e degli enti locali non costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma della Costituzione, e ledono pertanto l’autonomia finanziaria di spesa garantita dall’articolo 119 della Costituzione”. Ciò perché – spiega la Corte – i vincoli posti dal legislatore statale possono considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali solo se hanno ad oggetto “… o l’entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale – la crescita della spesa corrente degli enti autonomi; in altri termini, la legge statale può stabilire solo un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa”.

Spunti altrettanto interessanti, si riscontrano nella sentenza n° 390 del 2004 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 34, comma 11, della legge n° 289/2002 e dell’articolo 3, comma 60, della legge n° 350/2003, nelle parti in cui le norme censurate disponevano un limite percentuale alla possibilità di assunzioni a tempo indeterminato, in attesa che lo stesso limite venisse – cosa poi successa effettivamente – ribadito nei dd.p.c.m. previsti e preannunciati dalle stesse norme.

La Suprema Corte – per la verità – affronta solo parzialmente il problema prospettatole, limitandosi a statuire sulla illegittimità del vincolo alle assunzioni (articolo 34, comma 11, legge n° 289/2002) e non pronunciandosi (motivatamente) sulla denunciata illegittimità del vincolo sulle dotazioni contenuto nei commi 1, 2 e 3 dell’articolo 34. In particolare, la Consulta dopo aver constatato che i commi 1, 2 e 3 dell’articolo 34 (vincolo sulle dotazioni) riguardavano anche le Regioni (che avevano promosso il giudizio di legittimità costituzionale), rileva che per effetto dei commi 10, 13 e 22 del medesimo articolo 34, le Regioni non erano assoggettate a nessun vincolo specifico, ma solo (comma 22) al generico rispetto del principio del contenimento della spesa e dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata.

La pronuncia della Corte Costituzionale è tuttavia importantissima perché dimostra come l’interpretazione che più sopra abbiamo definito estensiva abbia una sua ragionevolezza nel complesso normativo vigente.

Infatti – tornando alla sentenza – in nessuna delle norme censurate dai ricorrenti nella leggi n° 289/2002 e n° 350/2003 il destino delle Regioni è stato distinto da quello delle autonomie locali, ergo, le conclusioni cui la Corte giunge per le Regioni debbono intendersi teoricamente valide anche per gli enti locali.

In parole più semplici, la Suprema Corte non si è pronunciata sulle limitazioni alle dotazioni organiche solo perché ha rilevato che tali norme (ai sensi dei commi 10, 13 e 22 dell’articolo 34 della finanziaria per l’anno 2003 e dei commi 58 e 65 dell’articolo 3 della finanziaria per l’anno 2004) non vincolano le Regioni che avevano proposto ricorso. Ma i commi testé citati accomunano alle Regioni – nel destino di esclusione delle limitazioni della legge finanziaria – anche gli enti locali, per cui parrebbe corretto applicare anche a loro il medesimo ragionamento.

 

4.      In attesa dei dd.p.c.m.

Veniamo, in conseguenza di quanto sopra esposto, proprio al cuore del problema che intendiamo affrontare, ovvero dei provvedimenti che si possono adottare in vigenza della legge finanziaria per l’anno 2005 ed in attesa dei dd.p.c.m. dei quali essa prevede l’emanazione.

La scelta di aderire alla interpretazione che all’inizio abbiamo definito estensiva ci pone in una situazione di fatto per la quale alle regole generali di rideterminazione della dotazione organica (quelle di autonomia decisionale degli enti, di corrispondenza ai fabbisogni e di rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, tutte contenute nel d.lgs. n° 165/2001) si contrappone il principio di cui al già citato ultimo capoverso dell’articolo 1, comma 93, della legge n° 311/2004 (finanziaria per l’anno 2005), secondo il quale gli obblighi di riduzione del 5% delle dotazioni organiche – già norma imperativa per le amministrazioni statali – per gli enti locali “…costituiscono principi e norme di indirizzo…” e che gli stessi enti “…operano le riduzioni delle rispettive dotazioni organiche secondo l’ambito di applicazione da definire con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri…” .

In attesa dei dd.p.c.m. – le cui norme si presuppongono cogenti a prescindere dagli scenari aperti dalle citate sentenze della Corte Costituzionale che, anzi, confermano che le limitazioni non consentite alla Finanziaria possono essere introdotte con i dd.p.c.m. in quanto frutto di accordo in sede di Conferenza unificata – la risoluzione del contrasto tra due norme di principio non appare semplice, anche in considerazione del fatto che i principi in contrasto sono emanazione diretta di norme di rango costituzionale perché da esse (articolo 117, comma 3, della Costituzione) emana sia il potere normativo concorrente di Stato e Regioni in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, sia (articolo 114, comma 2 ed articolo 119, comma 1 della Costituzione) l’autonomia degli enti locali che si trasfonde, poi, nell’autonomia stabilita dall’articolo 3 del d.lgs. n° 267/2000, t.u.ee.ll..

Tuttavia, le pronunce della Suprema Corte citate fanno apparire decisamente discutibile la legittimità costituzionale di un vincolo permanente (o che pare tale) alla riduzione delle dotazioni organiche degli enti locali, in presenza di una più volte ribadita autonomia di questi. Si badi bene che non si tratta di discutere il potere legislativo concorrente dello Stato di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica – che ben si può tradurre nell’imposizione di un obiettivo di riduzione della spesa (generale in sede di legge finanziaria ed eventualmente di dettaglio nei dd.p.c.m. conseguenti) – ma di evitare che sia il solo legislatore statale a stabilire quali spese debbano essere limitate per conseguire il risultato del risparmio.

Per fornire, allora, una risposta al quesito posto in apertura di paragrafo – e accettando la ragionevolezza di tutto quanto argomentato nelle pagine precedenti – la questione della “manovrabilità” delle dotazioni organiche, si può riassumere nelle seguenti proposizioni:

a)      nonostante l’articolazione alquanto complessa, le leggi finanziarie per gli anni 2003 e 2004 non contengono alcun vincolo di dettaglio per le autonomie locali come affermato (per le Regioni) dalla Corte Costituzionale (sentenza n° 390/2004) sulla scorta di quanto disposto rispettivamente nel comma 10 dell’articolo 34 della legge n° 289/2002 e nel comma 58 dell’articolo 3 della legge n° 350/2003; tuttavia, laddove l’avessero introdotto, si sarebbe dovuto ritenere (vedi anche la sentenza n° 417/2005) che lo stesso non sarebbe stato costituzionalmente legittimo;

b)     i vincoli di dettaglio su dotazioni ed assunzioni sono stati definiti con i dd.p.c.m. che hanno fatto seguito alle due leggi finanziarie sopra citate e devono considerarsi del tutto leciti in quanto – come spiega la Corte Costituzionale con la sentenza n° 390/2004 – frutto dell’accordo in sede di conferenza Stato-Regioni-Autonomie locali, volto a dare contenuto specifico al principio di coordinamento di finanza pubblica rappresentato dal vincolo generico della finanziaria;

c)      la legge finanziaria per l’anno 2005 non solo non contiene un vincolo diretto volto a limitare la possibilità di rideterminazione delle dotazioni organiche delle amministrazioni non statali ma non introduce nemmeno un “… divieto temporalmente limitato … funzionalmente collegato all’accordo da raggiungere in sede di Conferenza unificata” (Corte Costituzionale, sentenza n° 390/2004) tale da regolare il periodo transitorio fino all’emanazione dei dd.p.c.m., limitandosi – secondo “l’insegnamento” della Corte Costituzionale – a stabilire l’esistenza di un principio o norma di indirizzo in tal senso;

d)     non vi è alcun motivo valido – nemmeno il dato normativo di tutte le finanziarie citate – perché le considerazioni che la Corte Costituzionale ha svolto per le Regioni non si debbano ritenere valide anche per gli enti locali.

Sulla base dei concetti riassuntivi sopra esposti sembra ragionevole ritenere, a tutto novembre 2005, possibili interventi in ampliamento della dotazione organica, adeguatamente motivati con il riferimento ad un effettivo fabbisogno e senza tuttavia prescindere dall’esigenza di accrescere la propria efficienza, razionalizzare la spesa complessiva per il personale e realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane (articolo 1 del d.lgs n° 165/2001).

Insomma, anche se ancora non si hanno notizie di un contenzioso avente ad oggetto la violazione di obblighi imposti dalla legge finanziaria ad enti locali in materia di organici ed assunzioni e che abbia innescato un giudizio di legittimità costituzionale sulle norme stesse, il principio di autonomia organizzatoria degli enti locali sembra reggere l’urto di una legislazione statale che, in vista dell’obiettivo di finanza pubblica di contenimento della spesa, tenta di condizionare pesantemente le scelte degli enti locali in materie – pure altamente problematiche per i loro riflessi sulla spesa pubblica – come la gestione delle dotazioni organiche e delle assunzioni.

 

5.      Un caso problematico: gli enti locali in rapida crescita demografica.

Le considerazioni sin qui sviluppate e le tesi sostenute – ove ritenute accoglibili – potrebbero consentire di affrontare quelle situazioni marginali, nelle quali gli strumenti ordinari previsti dal legislatore non sembrano consentire soluzioni[3]. Una di queste situazioni è quella degli enti locali caratterizzati da una considerevole crescita della popolazione residente nel territorio di propria competenza, tale da rendere necessario l’adeguamento delle dotazioni organiche per insufficienza di unità di personale previsto a fronte dei servizi da erogare alla collettività.

Il comune di cui sono dipendente, può essere utilizzato quale esempio di una obiettiva difficoltà che il tradizionale approccio alle norme in materia di dotazioni non consente di superare. Nato nel 1970 per separazione da Comune più grande limitrofo, il Comune di Ardea si trova oggi ad avere una popolazione che si avvicina rapidamente ai 40.000 abitanti con una dotazione organica complessiva di 190 posti.  E’ da considerare che Ardea ha visto crescere la propria popolazione – nel periodo da settembre 2002 a luglio 2005 – da 28.523 a 35.038 residenti, con un incremento medio annuo di 2.302 unità pari ad una percentuale di crescita annua della popolazione superiore all’otto per cento. Tanto per comprendere le dimensioni del fenomeno, sarebbe come dire che la popolazione italiana sia aumentata di cinque milioni di persone ogni anno negli ultimi tre anni.

In una condizione del genere, pur volendo utilizzare gli strumenti di implementazione del personale che ancora sono consentiti, ci si trova di fronte al problema della dotazione, certamente sottodimensionata rispetto al fabbisogno. Scartata l’ipotesi dell’arrangiarsi – ed anche quella paradossalmente prospettataci di dichiarare il dissesto per poter rideterminare la dotazione con il parametro popolazione-dipendenti molto più favorevole previsto dal d.lgs. n° 267/2000, t.u.ee.ll. – occorre individuare nell’ordinamento vigente le disposizioni che rendono risolvibile il problema, anche ricorrendo ad interpretazioni che a prima vista possono sembrare poco ortodosse ma che alla prova dei fatti – ed aggiungerei del diritto – contengono una ragionevolezza ed un grado di conformità ai principi dell’ordinamento tali da renderle senz’altro condivisibili.

Quanto esposto nei paragrafi precedenti, costituisce – a mio avviso – una risposta praticabile. A ben vedere si tratta di una soluzione che consente ad enti locali, che abbiano delle obiettive e documentabili motivazioni, di adeguare la propria dotazione ai fabbisogni del momento rispettando la loro autonomia organizzatoria e senza pregiudicare gli obiettivi di finanza pubblica che ben possono – come successo negli anni passati – trovare attuazione mediante il limite alle assunzioni nei dd.p.c.m. previsti dalla legge finanziaria. In tal modo, ricorrendo alle procedure di mobilità per esempio, potrebbe essere realizzato il giusto compromesso tra esigenza di adeguamento del proprio organico e contenimento della spesa pubblica complessiva.



[1] Marcella Castronovo, Il regime delle assunzioni negli enti locali secondo la legge n° 350/2003, atti del convegno su “Le risorse umane negli enti locali: rinnovi contrattuali e impatto della legge finanziaria 2004”, Torino, Museo dell’auto Carlo Biscaretti di Ruffia, 21/04/2004.

[2] Sergio Gasparrini, Il disegno di legge sulla finanziaria, in ARAN newsletter n° 6/2002, pagine 24 e 25, citato in Gianfrancesco Vecchio, La pubblica amministrazione nella legge finanziaria 2003, in Nuova economia, nuova società, anno III, n° 7-8, Aprile 2003.

[3] Interessante è la proposta di Marcella Castronovo secondo la quale “… è certamente valida l’idea di individuare meccanismi attraverso i quali ridurre la spesa teorica di alcune amministrazioni, che presentano una dotazione organica non reale … ma allo stesso tempo occorre pensare ad una riduzione tecnica che non sia uguale per tutti, ma che incentivi quelle amministrazioni virtuose, che hanno delle dotazioni organiche che rispecchiano le loro reali necessità … perché è possibile organizzare delle economie e non ridurre il personale”, in atti del convegno “Le disposizioni della finanziaria 2005 in materia di organizzazione del personale. Assunzioni, dotazioni organiche collaborazioni ed incarichi”, organizzato dal Formez – Dipartimento della Funzione Pubblica, Roma, 21/02/2005, pubblicati a cura di Daniela Bolognino, in Amministrazione in Cammino, rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell’economia e di scienza dell’amministrazione, diretta da Giuseppe Di Gaspare.