Il riciclaggio nel pallone, ovvero quell’irresistibile attrazione della criminalità per il calcio
In una recente intervista al giornale Le Matin, Noël Pons, esperto del fenomeno della corruzione, ha spiegato le tecniche di riciclaggio applicabili al mondo del calcio. Il suo pensiero è sintetizzabile nell’affermazione “si tratta di creare una situazione verosimile”[1]. Il riciclaggio di denaro nel calcio, così come nella finanza, vive di finzione, di coartazione, di sovrafatturazione, di enfasi creativa di pezze d’appoggio che giustifichino spostamenti di masse di denaro illecite o sottratte al fisco. A sua volta il calcio da alcuni anni ha iniziato a parlare la stessa lingua della finanza tanto da giungere, in molti casi, a confondersi con essa[2].
Ad oggi l’indotto che ruota intorno al pallone è assimilabile a circa il 3% del Pil del nostro Paese: secondo l’annuale indagine Deloitte sui numeri del calcio, il fatturato complessivo dell’industria del pallone è ulteriormente salito rispetto agli anni precedenti[3].
L’indotto è generato da sponsorizzazioni, merchandising, diritti televisivi, proventi commerciali e vendita biglietti. Una fetta rilevante è poi rappresentata dalle scommesse sportive. Non può essere un caso che esaminando questi dati emerga l’interesse degli ambienti criminali intorno allo sport più famoso al mondo, soprattutto alla luce di una regolamentazione disomogenea e che conosce ampie zone grigie in cui far confluire denari illeciti. La globalizzazione che il calcio ha conosciuto prima ancora del mercato delle merci ha accentuato un fenomeno in divenire finendo per renderlo incontrollato. La crescente attenzione delle Autorità internazionali sull’argomento testimonia la necessità di un intervento sulla normativa preventiva che consenta un maggiore monitoraggio degli spostamenti di denaro e delle transazioni internazionali. Specie quando queste coinvolgano ordinamenti non propriamente conformi agli standard antiriciclaggio varati a livello transnazionale.
In particolare, il GAFI, in uno studio del 2009 sui rapporti tra calcio e riciclaggio, indagava le tecniche più comuni utilizzate dagli stakeholders e dai protagonisti delle transazioni finanziarie, oltre ad individuare alcuni spunti di intervento da apportare alla normativa vigente[4].
Una serie di recenti episodi ha riacceso l’attenzione sull’argomento in questione. Due di questi riguardano indagini su presunti episodi di riciclaggio da parte di due giocatori di serie A, l’uno legato all’indotto generato da un caso di calcio-scommesse; l’altro fa riferimento a fondi occultati al fisco nell’ambito di un passaggio di club. In entrambi i casi il forziere dell’operazione sembrerebbe detenuto in Svizzera[5]. Ma non sono questi gli unici casi.
Nel recente passato altri episodi di tentativi di riciclaggio hanno caratterizzato la serie A. Si fa riferimento in particolare al tentativo di scalata di un gruppo criminale alla società calcistica della Lazio, attraverso l’utilizzo di prestanome di prestigio, come Giorgio Chinaglia, vecchia icona della tifoseria[6].
L’ingresso in borsa delle squadre di calcio ha poi accentuato il carattere speculativo del business, attraverso la trasformazione delle associazioni sportive in società per azioni, con tutti i rischi di illecito che questo di per sé comporta[7]. Gli enormi flussi generati dai trasferimenti dei giocatori, dei diritti televisivi, dalle sponsorizzazioni, dal merchandising influenzano la gestione finanziaria delle società, finendo per generare squilibri nei bilanci e mettere a nudo fragilità nelle situazioni finanziarie che possono prestare il fianco ai riciclatori[8]. Senza sottovalutare l’impatto mediatico-espositivo che la gestione di una squadra di calcio può garantire. “Un cappio alla fine molto più condizionante della politica e dei partiti è quello espresso dalla criminalità affaristica. Il calcio pacifica ed è utile per il controllo del territorio per grandi bande criminali che hanno fatto dell’impunità un marchio di fabbrica”[9], affermava Poto in “Le mafie nel calcio”. Investire nel calcio garantisce a chi opera non solo una certa visibilità mediatica, ma anche la possibilità di stabilire rapporti con autorità e istituzioni, altrimenti difficilmente raggiungibili. Una dimensione sviluppata soprattutto nelle realtà del calcio minore.
La progressiva internazionalizzazione del calcio poi ha fatto sì che le società nostrane venissero a rapportarsi in maniera quasi forzosa con quelle di ordinamenti diversi. Ciò appare più evidente quando si parla di Sud America, la fucina più importante di talenti[10]. Evidentemente non sempre le operazioni di compravendita dei giocatori appaiono trasparenti: un recente articolo di Bloomberg ha fatto luce sulla possibilità che alcuni club sudamericani possano nascondere attività illecite ove far transitare proventi di reato[11]. Club che militano in serie minori di campionati non blasonati producono indotti di molto superiori rispetto a club di campionati di maggiore prestigio. Spesso club fantasma che non possiedono contabilità certa e privi di controlli autoritativi pongono in essere operazioni di diversi milioni di dollari allo scopo di eludere il sistema fiscale e i controlli sulla tracciabilità[12]. Tali prassi sono facilitate dalla possibilità per i club sudamericani di cedere “porzioni” del cartellino della proprietà del giocatore – ossia anche piccole percentuali –, a fondi di investimento, agenti e procuratori, affaristi, finanche agli stessi giocatori. L’acquisto di calciatori stranieri diventa il viatico per operazioni con paradisi offshore, il tutto sotto l’egida di una normativa latitante e compiacente[13].
Da alcuni anni è in atto un controllo più pressante da parte delle massime istituzioni del calcio sui bilanci delle società, con evidenti risultati (su tutti, il Fair play finanziario)[14]. La Federazione italiana ha istituito autorità di controllo preposte alla gestione di criticità anche in ambito finanziario[15]: in particolare la Commissione di vigilanza sulle società professionistiche (COVISOC), come organismo tecnico di controllo, svolge funzioni finalizzate alla verifica dell’equilibrio finanziario. Sulla scorta di quanto richiesto nel citato Rapporto del GAFI, sulla formulata proposta di estendere le prescrizioni della direttiva 2005/60/CE[16], recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo del 21 novembre 2007, n. 231, è necessario intervenire, ad avviso di chi scrive, in maniera incisiva, non solo estendendo alle società sportive gli obblighi degli adempimenti antiriciclaggio, ma altresì predisponendo sistemi di controllo più stringenti, finalizzati ad una più efficace tracciabilità dei flussi finanziari e una più idonea trasparenza delle transazioni che investono il settore. È auspicabile inoltre la predisposizione da parte del GAFI di indicatori di anomalia specifici per il settore calcistico oltre alla redazione di una black list di Paesi a regime fiscale privilegiato cui vietare transazioni economiche. Il mondo del pallone in questi anni si è progressivamente trasformato in un hub privilegiato ove riciclare denaro. Ciò è dovuto anche a dinamiche intestine che rendono il settore più fluido e, è risaputo, la criminalità trova compiacenza nella mutevolezza. Pertanto la lotta al riciclaggio nel calcio non può che passare per misure incisive e tempestive utili a arginare flussi illegali per mezzo di strumenti legislativi appropriati. Non possiamo lasciare “zone franche” in questo settore. Integrare la legge 231/2007, pilastro dell’antiriciclaggio in Italia, è cosa da realizzarsi in fretta[17].