x

x

Pietro Parigi: un umile grande coraggioso xilografo

gli-amori-impossibili-traduzione-di-alberto-luchini-con-xilografie-di-pietro-parigi_gautier2_1565173761
gli-amori-impossibili-traduzione-di-alberto-luchini-con-xilografie-di-pietro-parigi_gautier2_1565173761
Pietro Parigi
Pietro Parigi

Per gli amici, e ne aveva molti e affezionati, Pietro Parigi era semplicemente Pietrino; chi lo ha conosciuto comprende la giustezza del diminutivo dovuto alla sua modestia e riservatezza, alla bonomia del carattere e alla serenità che ispirava il suo volto da “fanciullino” pascoliano conservato tale e quale fino al 98° anno d’età.

Ma la bonomia non impediva al carattere la giusta fermezza e, all’occorrenza, il coraggio. Lo aveva dimostrato da sottufficiale nella guerra del 1915-’18, guadagnandosi una medaglia di bronzo al valore con una chiara motivazione: “Si lanciava per primo nel terrazzamento nemico e lo superava noncurante del pericolo. Iniziava quindi il fuoco contro l’avversario che vigorosamente controbatteva”

A incidere il tassello di legno Parigi aveva cominciato prestissimo, la xilografia lo accompagnerà per la vita e lo vedremo ricorrere ad essa in mille occasioni per piegarla a diverse necessità con amorosa prepotenza. Era sicuro di trovare comunque in questa tecnica una disponibilità illimitata e un’affinità con la propria sobria natura. Quello di Parigi con la xilografia sarà un matrimonio d’amore e d’interesse un legame dal quale gli sarebbe stato impossibile liberarsi rappresentando la sua più vera e valida possibilità espressiva, quella che gli procurerà uno spazio tra gl’incisori del Novecento.

Così Pietrino e l’incisione su legno divennero una cosa sola e con questa tecnica racconterà sé stesso, illustrerà il proprio mondo e quello di autori, anche diversissimi da lui, con partecipazione o indifferenza ma sorretto sempre da quel filo di poesia struggente che solo la xilografia sa dare se amorevolmente utilizzata. Ben preparato tecnicamente, della xilografia sapeva come servirsi ma anche qualche volta, costringerla umilmente a servire tacitando l’eventuale rimorso per aver rinunciato a frapporre il proprio io tra lei e i testi che doveva illustrare per soddisfare la richiesta degli editori.

Piero Bargellini e Nicola Lisi rimproveravano all’amico incisore “l’abilità di saper scomparire” proprio quando la sua presenza sarebbe stata necessaria; questa eccessiva modestia, collegata alla svagatezza del poeta, ricompare ogni tanto anche nel suo lavoro, quando come abbiamo detto, lasciava che la xilografia se la sbrigasse da sola, forte della sapienza tecnica, come il barrocciaio che abbandonava le redini conscio che il cavallo sapeva tornare a casa da solo; il rischio di finire entrambi fuori strada non sembrava preoccuparlo né lo turbava se accadeva.

Che l’incidere fosse per lui il maggiore degli interessi lo aveva dimostrato fin da giovane lavorando con qualsiasi mezzo di fortuna pur di graffiare il legno; perfino nelle attese in trincea durante le operazioni belliche, come apprendiamo dalle lettere scritte dal fronte al fratello, aveva trovato il modo per coltivare questa passione: “Forse tu  hai ricevuto i due pezzi di carta che ti mandai in una (lettera)dove erano due prove. Gli ho lavorati alla rinfusa, i legni, con due chiodi come ti dissi, sulle ginocchia in trincea seduto sul sedile di una mitragliatrice e con l’orecchio teso per sentire il colpo di qualche cannonata e lasciare il tutto.

Un’indifferenza al pericolo, per amore dell’arte e per dovere di soldato, che gli costerà l’invalidità permanente: fu infatti colpito due volte allo stesso braccio. Menomazione che cercherà sempre di nascondere o giustificare scherzosamente: “Sono cascato da piccino, di braccio alla balia”.

Il Novecento ha rappresentato per l’incisione, e per la xilografia in particolare una stagione lussureggiante: l’invenzione del cliché fotomeccanico aveva liberato l’incisione in legno dalla servitù di riprodurre immagini per quotidiani, il tassello di legno tornava pressoché esclusivamente in mano agli artisti per illustrare libri e riviste o, più semplicemente, come puro mezzo espressivo.

Ornamenti, capolettera o finali nei testi ma anche tavole a tutta pagina, in nero e a colori, gareggiarono a render preziosi, fino a farne delle rarità, i volumi del tempo. Adolfo de Carolis ornava le opere di D’annunzio, Lorenzo Viani illustrava le proprie, Bruno Bramanti rendeva magici i libri di lettura per i ragazzi delle elementari, Francesco Nonni si faceva editore di una rivista (senza scritti) dedicata esclusivamente alla xilografia e mutuandone anche il nome, Italo Zetti soddisfaceva la serena mania degli ex libris, Nicola Galante rendeva pittorica la ciappola rigata, Ardengo Soffici insegnava a superare l’accademismo xilografico incidendo con un temperino e Mino Maccari riempiva il suo “Selvaggio” con centinaia di superbe xilografie, in nero e a colori, concludendo in un fantastico gran finale questa festa del legno inciso.

Oltre ai maestri riconosciuti furono molti a esser tentati dall’incisione in xilografia notando come la stampa risultante dal tassello di legno nobilitasse il testo tipografico; perfino Giuseppe Prezzolini intagliò alcuni finalini per il “Leonardo”. In questa generale euforia venne a inserirsi Pietro Parigi: Giovanni Papini, Nicola Lisi, Carlo Betocchi, Piero Bargellini e gli editori del momento, da Vallecchi a Formiggini se lo contesero per i libri, riviste e tutto ciò che poteva essere ornato con questa tecnica fascinosa, austera, schematica, che si affidava al bianco e nero trattato a larghe zone o curato fino alla minuzia.

Pietrino iniziò quasi subito e volentieri a incidere su commissione, un legno dietro l’altro, con l’umiltà, lo spirito e la pazienza che accompagnano il frate converso nei lavori umili e utili a tutto il convento, contento di lavorare per gli amici, specialmente quando si trattava di scritti che investivano la propria fede cattolica di ligio osservante.

Incise di tutto e in ogni modo: dal capolettera al finalino di conclusione, dai fregi per una rivista, si pensi a “Il Frontespizio”, al ritratto di personaggi storici; dalle tavole fuori testo di un romanzo a quello per manifesti teatrali. A volte con lo spirito pacato di un francescano, altre con l’inquietudine di un espressionista, lasciandosi portare da un eclettismo che includeva la tecnica risaputa della xilografia e la libera espressione, scelte secondo il gusto o la necessità, ma più spesso per servire a suo modo la pietà e la tragedia cristiana in un felice girovagare da vagabondo dello spirito.

Probabilmente non disse mai di no qualunque fosse l’impegno, purché onesto, che gli si richiedeva, il legno nelle sue mani si faceva docile e lo serviva gareggiando con lui in umiltà e nell’espressione di forme e stili diversi. Poteva passare dal gusto delle incisioni popolari e divulgative, tipo “carte remondiniane”, a un’espressività tesa e serena da dramma medioevale. Se i suoi santi e le scene sacre gareggiavano in asciuttezza con le icone primitive, i fiori, gl’insetti e le figurine da calendario lo riportavano al gusto elementare ricorrente nei fogli allora in voga che avevano un prototipo nel Gioco dell’Oca.

A sfogliare il catalogo della sua opera grafica è come scorrere un caleidoscopio che si scompone e si ricompone in un migliaio d’immagini spesso diverse per stile e tecnica, unite però dal sapore della poesia. Sicuramente avrebbe stupito Pietrino e che, forse, assiso nelle alte dimore, gli avrà fatto mormorare: “Ma guarda quanto si danno da fare…”.

Pietro Parigi, Uomini sul calesse
Pietro Parigi, Uomini sul calesse

“Libero”- Milano 2001