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Rendez-vous di acqueforti di Morandi e Bartolini

Giorgio Morandi, Le tre case del campiaro a Grizzana, Acquaforte
Giorgio Morandi, Le tre case del campiaro a Grizzana, Acquaforte

Due caratteri, due temperamenti, due artisti per certi lati agli antipodi: Giorgio Morandi che elabora le sue acqueforti tessendo un ordito meditato e portato avanti con le sole varianti necessarie ai diversi rapporti e valori plastici; Luigi Bartolini che si affida alla vibratilità del segno sicuro e insofferente, che non accetta altre remore che non siano la necessaria, composta armonia.

Ma se pure Morandi appare come un tessitore paziente che cerca sempre nuovi incroci intersecando i segni in infiniti modi, amministrando attentamente perché non abbiano a stancare eventuali ripetizioni; non è certo un ragioniere che computi a freddo l’organizzazione del proprio lavoro.

Attraverso le sue tessiture resta impigliata la poesia e, per ogni volta adescarla, il pudico Morandi inventa nuove trame di segni: tutti orizzontali per un fondo e incrociati per un piano di tavolo, formanti losanghe per dare corpo a un oggetto, e losanghe attenuate da un trattetto in mezzo per differenziarne un altro. Preziosità di sete e moire immergono gli oggetti in una luce filtrata e pacatissima anche quando vi siano contrasti di bianco e nero, tanto che non risulterà mai troppo chiaro il bianco o troppo scuro il nero.

Bartolini, Un poeta
Bartolini, Un poeta

La stessa scelta dei vecchi bricchi e ciotole desuete, vasetti dozzinali ma impreziositi dall’esser fuori moda, tutto, con la polvere e il senso d’abbandono, concorre a creare una sorta di pathos casalingo che indulge alla malinconia.

Morandi, Grande natura morta
Morandi, Grande Natura morta

Bartolini, il grande ipocondriaco, come è stato definito, dà alla tristezza una verve passionale. La sua irruenza polemica, la sua vitalità sanguigna, il suo estro stizzoso, si trasformano nelle sue acqueforti in un fiume gonfio d’armonia. Il segno spazia liberamente, eppur sempre controllatissimo, la composizione viene divisa lasciando alle parti il compito di ricreare un tutto omogeneo, e se tessiture compaiono non sopportano trame precise ma si sbizzarriscono per tutto vivacizzare.

Ora sono paesaggi nei quali il segno convergente verso imprecisate lontananze crea spazi confinanti; ora sono oggetti che un segno rapido compone, modella e chiaroscura con il virtuosismo di un giocoliere di classe, ora sono gambe e seni e braccia forti e sensuali di giovani lavandaie, plasmati da un segno carnoso, sinuoso e provocante.

E Bartolini: il polemico, il bisbetico, l’iracondo Bartolini, rovescia un flusso continuo di poesia panica su ciò che tocca e che finisce per travolgere tutto in un medesimo ritmo che permea gli alberi come gl’insetti, gli oggetti come le figure.

La sua preziosa cultura classica lo mantiene al riparo dell’improvvisazione, ogni sua immediatezza è il risultato di un lento, lungo lavoro in profondità.

Se per Morandi basta riandare col pensiero a una composta teoria di vasetti, lumi e ciotoli diversi per evocare il suo mondo intimista, la cui sostanza è mitizzazione di piccole cose elevate a simbolo da una natura introversa; per Bartolini occorre ritrovare la libertà dell’aria dove piante e animali e uomini consumano la loro esistenza; ora in un quadro di fatalità, come il «martin pescatore» o un insetto fermato da uno spillo, ora esultando per l’età verde come la ragazza che sciorina il monumento delle gambe fresche fermandosi sulla bicicletta.

Quotidiano "VITA" – Roma  5 giugno 1978