x

x

Italo Cremona: incideva le acqueforti col vendicativo acido dell’ironia

Evocare la tristezza per esorcizzarla sembra sia il compito naturale di chi si affida alla satira e alla battuta irridente
painting
painting

Figlio di un medico e laureato in giurisprudenza, Italo Cremona manterrà nella scelta dell’arte una linea colta, una intellettualità alla quale saprà dare un timbro originalissimo seguendo la propria natura e lo spirito della città, Torino, che sentirà profondamente sua e in grado di assecondarlo.

 

Tra cinema e pittura

Versato in più discipline secondo i migliori esempi dello spirito italiano seppe essere pittore e incisore, ma anche studioso di storia dell’arte e letterato, sottile polemista e cineasta. Surreale e fantastico in pittura, metafisico e fiabesco in letteratura, sceneggiatore, costumista, arredatore e aiuto-regista in oltre venti film, dal 1937 al 1953.                                                                         

Presente nelle maggiori rassegne del tempo e nei musei più importanti con la pittura e le incisioni; ben noto come studioso per il suo più volte ristampato “Il tempo dell’Art Nouveau”; apprezzato per il genere letterario da suspense surreale e per la collaborazione a pellicole che conobbero il successo: La Figlia del Corsaro Verde, Carmela, Resurrezione, La Contessa di Castiglione, Dagli Appennini alle Ande, Cenerentola e il Signor Bonaventura, per non citare che i più noti, nei quali apportò riconosciute innovazioni, frutto di un gusto raffinato e informatissimo, legate al filone fiabesco-fantastico che ritroviamo come una costante in gran parte del suo lavoro.                                  

Un particolare interesse, nell’opera grafica di Cremona, è rappresentato dalle pistole incise all’acquaforte. Armi fantastiche, antropomorfe e di raffinata perfidia che rivelano la loro violenza autodenunciando un disagio fisico e meccanico che può sfociare nel pianto.

Una sorpresa è costituita dalla corrispondenza, tenuta dall’artista con i maggiori personaggi del suo tempo, in particolare le lettere scambiate con Mino Maccari che sono uno specchio fedele e impietoso del carattere dei due protagonisti e di quel mondo che poterono osservare, giudicare e commentare con l’ironia e il sarcasmo che, specialmente in Maccari, raggiungeva vertici esilaranti e graffianti al contempo. “Possiamo considerare questa vita come un dormiveglia tra due sonni infiniti”, scriveva Italo Cremona al sottoscritto nell’agosto 1977, scoprendo la parte in ombra del proprio carattere, non senza affrettarsi ad aggiungere:” Ma è meglio non pensarci troppo, Perciò saluti garibaldini da Torino estiva, fresca e gradevole”. Evocare la tristezza per esorcizzarla sembra sia il compito naturale di chi si affida alla satira e alla battuta irridente.

Era nato a Cozzo Lomellina, questo fantasioso pittore incisore e scrittore, ma una volta arrivato a Torino si era talmente immedesimato nello spirito della città da divenirne il più acuto, profondo e veritiero interprete. Nella città Albertina aveva trovato caratteri distintivi in grado di unirsi in perfetta simbiosi con il proprio: serietà, ordine e riservatezza ma soprattutto la possibilità di coltivare la propria fantasia, cupa e irridente, misteriosa e aperta, rispettosa e dissacrante al contempo. Amava quel tipo di satira che non induce al sorriso ma piuttosto all’inquietudine.              

Era un maestro nell’insinuare l’ironia restando impassibile e mostrando addirittura stupore per il corto circuito che provocava: una semplice battuta lasciata cadere nel discorso, un racconto mantenuto costantemente sopra le righe, un dipinto oscillante tra realtà e sogno o un’incisione nella quale la morsura sembrava effettuata con l’acido dello sgomento. In certe opere una quiete innaturale circondava il soggetto, in altre anche un solo particolare, studiato attentamente, poteva produrre una rottura di livello e permeare di sé l’intera composizione; nelle pistole incise, questo diviene una costante, volendo produrre nell’osservatore un ambiguo stupore.

Eccellente disegnatore, Cremona curava la resa plastica e i valori tattili, quando non addirittura il trompe l’oeil: il bracciolo di una poltrona girava in una lucida voluta e un volto poteva assumere la fissità di una sfinge per catturare l’osservatore turbato dall’enigma sprigionato.           

Prediligeva la città solitaria, magari quella notturna, quando i personaggi dell’immaginario potevano affrancarsi dalla tirannia della forma usuale e magari sfrecciare nel cielo attonito o sconvolgere l’ordine opprimente dei monumenti e delle vie. In queste occasioni l’assurdo sapeva appagare il desiderio: una donna nuda parlava tranquilla al telefono pubblico all’interno di una fiaschetteria; un demonio molto compito si faceva i fatti propri in una piazza contornata di palazzi aristocratici, mentre su tutto aleggiava un’aria di ovvietà quasi a suggerire come proprio la realtà possa rivelare potenzialità sottili e inquietanti.                                                                            

Cremona restava a mezzo tra il sonno e la veglia volendo tradurre le immagini della mente quando il bene e il male vengono a patti. Ne era conscio per antica saggezza e, secondo il proprio carattere, lo “gridava sottovoce”; una denuncia educata ma terribilmente efficace. La sua timidezza, come accade, possedeva un’intrinseca trattenuta irruenza che poteva, se provocata, rivelarsi a colpi di spillo. In questi casi lasciava trasparire il piacere sadico della punizione immaginaria.

           

Micidiali armi improprie

Per giustificare la passione dimostrata per queste che definì “armi improprie” dirà: “Il mio interesse per questi arnesi è andato dalla passione morbosa di natura infantile a qualche compiaciuta ripugnanza dell’età avanzata(…) Il ricordo di certe fanfaronate giovanili, così come il pentimento per certe stagioni di caccia, stiano lontani da questi fogli che propongono soltanto fantasticherie recenti; le quali, se pur talvolta tra il fallico e il mortuario, non hanno morale alcuna da suggerire né pretese dissacranti, ma il più delle volte esplicano invece una inconscia funzione esorcistica

Schivo, riservato, faceva di tutto per non apparire: da giovane, quando vide affisso sui muri un manifesto che lui stesso aveva eseguito su ordinazione, gli sembrò che la firma fosse troppo imponente, si sentì in colpa e, presa una lametta, percorse la città per grattare dai fogli la sigla sfacciata.

Poco prima di morire, allorché un gruppo di amici riuscì a convincerlo per una mostra ufficiale riassuntiva del proprio lavoro, sbottò tra il furente e il rassegnato: “Volete fare la mostra, e fatela! Però sappiate che io ritengo immorale e indecente ogni esposizione pubblica di momenti di vita privata”. Era talmente convinto di ciò che affermava da riuscire ad andarsene prima dell’inaugurazione. La morte gli sembrò un estremo atto di dignità.     

 

“Libero” – 12 dicembre 2001 – MI