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Dürer il visionario

Albrecht Dürer
Albrecht Dürer

È appena diciannovenne, Albrecht Dürer, quando nel 1490 lascia la natia Norimberga per visitare i Paesi Bassi. Vedere cose diverse, conoscere luoghi e persone, comprendere e arricchire il proprio bagaglio di conoscenze, teoriche e pratiche, interrogando i colleghi e studiandone i lavori; ma la molla che più fortemente lo ha spinto a intraprendere il viaggio è stata l’idea d’incontrare un vecchio e rinomato maestro, il pittore e incisore Martin Schongauer.

Dürer ha il fiuto dell’uomo di genio che intuisce quali sono i maestri e quali i luoghi che rappresentano autentiche possibilità culturali; il maggiore incisore del tempo è Schongauer, lo stesso Michelangiolo ha dimostrato la propria ammirazione per un foglio a stampa del maestro tedesco, Le tentazioni di Sant’Antonio, Dürer, oltre all’opera vuol conoscere l’uomo, magari vederlo lavorare, ottenerne consigli e istruzioni.

Nel nostro tempo di ragionieri avremmo telefonato, preso appuntamento, fissato il giorno e l’ora dell’incontro; un viaggio veloce e brevissimo, l’incontro, il frettoloso ritorno. Dürer viaggia per i Paesi Bassi senza l’assillo di dover misurare il tempo, si ferma, devia, riprende, e quando arriva a Colmar apprende che Schongauer è morto da qualche mese. Ma a Colmar arriva un Dürer più ricco d’idee e più maturo di propositi che può guardare i fogli a stampa lasciati da Martino tedesco, come lo chiama il Vasari, e leggerli alla luce vivida dell’esperienza.

L’artista di Norimberga è un seme della Rinascenza che un vento estroso e accorto ha portato a nascere in Germania perché la misura del rinnovamento conoscesse contributi diversi. È lui a sancire con la propria opera e i propri studi la fine del gotico e l’affermarsi del Rinascimento d’oltralpe; se Schongauer è stato il Cimabue, Dürer è il Giotto della situazione. Un Giotto amico di Raffaello è il primo tra gli artisti che giri per l’Europa, assetato di conoscenza per fermarsi più volte il Italia, patria ideale e centro indiscusso delle idee che lo hanno mosso e guidato nella ricerca.

Nel salutare bagno italiano, nella sua decisiva risciacquatura di panni, che comprende l’Arno e il Tevere, l’artista tedesco perde le ultime crudezze nordiche, i residui contorcimenti e fioriture di quel gotico del quale sembra restare in lui una traccia unicamente nelle curiose arricciature dei panneggi, una volta acquisita l’armonia classica del disegno, degli spazi e della luce tipicamente mediterranea.

Si tratta comunque di una partita doppia che conosce generosamente il dare e l’avere; a contatto con l’arte e gli artisti italiani Dürer si rinnova e dispiega il suo grande ingegno divenendo a sua volta un riferimento per gli stessi artisti che ha preso a maestri. Andrea del Sarto e Carpaccio sfruttano le invenzioni di certe sue figure per le loro composizioni e Tiziano guarda alle stampe del tedesco per le proprie incisioni. Di contro sappiamo che lui ha conosciuto e studiato il Mantegna attraverso le tavole incise per la Divina Commedia, che ha assimilato l’amore leonardesco per gli studi di piante, animali e fortificazioni, che è amico ed ha grande stima di Giovanni Bellini e che a Raffaello ha inviato un autoritratto ad acquerello sapendo che l’urbinate tiene attaccate le sue incisioni nel proprio studio.

Un uomo del Rinascimento, Albrecht Dürer, senza freni all’ingegno e senza limiti al desiderio di conoscenza, visto che lo ritroviamo, ci ricorda Maurizio Calvesi, menzionato quale “dotto nella scienza degli astri” assieme ad altri quattro iniziati all’astrologia, una disciplina unita alle ricerche alchemiche. In Italia, e in particolare nel clima del Neo Platonismo fiorentino è ovvio che si trovi a proprio agio portando un proprio autorevole contributo anche di scritti.

Dagli autoritratti conosciamo la sua bella figura di Nazareno nordico, dal portamento austero, le mani cesellate, lo sguardo volitivo e conciliante, già una misura di perfezione come quella che ricerca in ogni campo del proprio operare. È anche a lui che dobbiamo l’affrancamento dell’artista, che passa dalla figura del pur grande artigiano a quella dell’intellettuale; una dimensione felice nella rara completezza, ma ambigua nelle perdite e prevaricazioni, come ben vediamo nel nostro tempo, una volta perso irrimediabilmente il mestiere e scivolati nel divismo che comprende l’impostura.

particolare, autoritratto

particolare, autoritratto

Arriviamo al Dürer incisore, un aspetto della sua personalità d’artista che ha contato particolarmente nella costruzione della sua fama potendo vantare il titolo non comune di precursore.E se autori come Schongauer aprono la strada verso l’affermazione dell’incisione come arte, spetta a Dürer il merito della conclusione per aver fatto di questo mezzo una completa e indipendente possibilità espressiva liberandolo dalla soggezione dell’illustrazione.

Incisione Melencolia

Incisione Melencolia

Con lui l’incisione diviene completa opera d’arte potendo arricchirsi nelle tecniche e, grazie alle sue ricerche in campo tecnico, all’antica xilografia e al bulino si aggiungono la puntasecca e l’acquaforte. Basterebbero i sedici fogli che compongono la notissima Passione incisa per dare la misura di ciò che il Maestro di Norimberga sappia ottenere graffiando una lastrina di rame. Ognuno di questi “bulini” è un capolavoro pur nelle misure minime di 12 centimetri per 8; la composizione, il disegno e un chiaroscuro che modella e suggerisce il colore, fanno di queste miniature in bianco e nero mondi compiuti ed esaltanti.

Anche lo studio attento e reale del paesaggio, già affacciatosi nei fogli di Schongauer, trova in Dürer la propria affermazione, non c’è sua xilografia o bulino o acquaforte che non abbia i personaggi immersi in un paesaggio che spesso diviene perfino preponderante, si pensi al Mostro marino, a Il figliol prodigo tra i porci, o anche la celeberrima Il Cavaliere la Morte e il Diavolo.

Acquerello

Acquerello

Le incisioni di Dürer circolano, richieste e apprezzate, per l’Europa già timidamente visitata dai fogli di Schongauer; questa nuova possibilità di poter disporre di diversi esemplari di uno stesso soggetto aiuta la diffusione dell’arte e porta ad allacciare nuovi rapporti tra gli artisti, finché non capita al nostro autore di trovare stampe dei suoi soggetti che però non ha eseguito lui…

È accaduto che il bolognese Marcantonio Raimondi, vedendo a Venezia le incisioni del Dürer, vi abbia speso tutti i suoi risparmi per acquistarle e si sia messo subito a rifarle, tali e quali, compreso il monogramma AD che è la firma dell’autore tedesco. A Dürer non resta che correre a Venezia, intentare un processo al Raimondi e averne la risibile soddisfazione di vedere imposto al copista l’obbligo di togliere il monogramma düreriano, copiare si può ma non la firma.

Da allora le copie e i falsi presero a circolare anche troppo liberamente e il Raimondi si mise al servizio di Raffaello, eppoi di Giulio Romano, per riprodurre in incisione le loro opere, disegni e dipinti, determinando così la nascita della stampa di riproduzione che portava doverosamente i due nomi: Raffaello dipinse – Raimondi incise. Un sistema arrivato fino ai nostri giorni, tramite la xilografia, prima dell’invenzione dei cliché fotomeccanici

Resta inalterata e oggetto di venerazione, l’opera incisa dal Durer; restano le sue fantasie, le sue alchimie, i suoi segni cabalistici, le sue vive figure, i suoi paesaggi reali e incantati. Rimane il suo sguardo attento a fissarci dagli autoritratti, quelli di un illuminato figlio del proprio tempo che scorge oltre le apparenze e conosce oltre la realtà.

“Il Giornale” MI- 1995