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Presa d’atto e mozione

Delibera universitaria
Delibera universitaria

Esame della presa d’atto, della mozione e delle comunicazioni presenti nei processi verbali delle università

Nei processi verbali delle collegialità universitarie troviamo anche due atti amministrativi meritevoli di approfondimento: la presa d’atto e la mozione.

Definiamo presa d’atto, nelle ipotesi in cui essa sia contemplata dall’ordinamento o ammessa dalla prassi o dalle procedure interne, un atto di tipo ricognitivo o un atto di controllo, non di rado collegato a un accertamento tecnico. Non assume, infatti, la dignità di provvedimento amministrativo vero e proprio (cioè di azione con contenuti volitivi), ma di atto destinato ad attestare o ad accertare l’esistenza di un fatto o di un atto giuridico.

Parliamo, invece, di mozione per indicare, anche in questo caso, non un provvedimento, ma un atto di indirizzo o di impulso ad agire, anche al di fuori della specifica sfera funzionale dell’organo deliberante. La mozione, infatti, è destinata a promuovere una presa di posizione di un collegio. Di norma, si estrinseca in una richiesta di discussione (eventualmente di votazione) su un argomento determinato.

Esaminiamone ora le tipologie e le caratteristiche di rilievo.

La più importante presa d’atto è rappresentata dalla verifica dei contenuti del verbale nella prima seduta utile, come redatto dal segretario come terza parte fidata: il Direttore Generale per gli organi collegiali centrali, mentre è di norma il segretario amministrativo (o RAU, responsabile amministrativo delle università) o il manager didattico nel caso di dipartimenti o di scuole.

Mentre le singole deliberazioni rappresentano provvedimenti collegiali di competenza dell’organo, il verbale è un atto monocratico di stretta competenza del segretario[1]. La presa d’atto, in questo caso, consiste nella ricognizione che quanto riportato dal segretario verbalizzante sia lo specchio fedele e autentico di quanto accaduto nel corso dell’adunanza.

Ritorneremo su questo aspetto nelle prossime puntate, perché ancor oggi molti Atenei preferiscono far approvare il verbale dall’organo collegiale, quando invece risulta giuridicamente necessaria esclusivamente una presa d’atto, se non altro per non deresponsabilizzare il segretario verbalizzante.

Un’altra tipica azione non provvedimentale è rappresentata dalle comunicazioni del presidente, di norma previste in esordio dell’adunanza.

Nel corso delle comunicazioni non è possibile deliberare e risulta superfluo verbalizzare alla fine delle comunicazioni “Il Consiglio ne prende atto”. La presa d’atto, in questo caso, è ridondante, dal momento che ha natura implicita collegata alla verbalizzazione medesima delle comunicazioni. Si tratta, dunque, di un altro vezzo duro a morire.

La mozione, parimenti, non ha natura provvedimentale, ma scaturisce da un’espressione di indirizzo politico e accademico, consistente in esplicite raccomandazioni alla governance, ossia al Rettore, al Direttore Generale, al Direttore di Dipartimento o al Presidente di Scuola (per analogia, vedasi la pronuncia del TAR Trentino-Alto Adige, Trento, 15 ottobre1997, n. 314), ma anche come impulso ad adottare deliberazioni su punti specifici.

La mozione è, dunque, uno strumento di sindacato e di indirizzo politico-amministrativo, che può mirare a promuovere una deliberazione di un organo collegiale. Per queste ragioni, può consistere anche semplicemente nella richiesta di procedere alla discussione e alla successiva votazione su un determinato argomento, con la conseguenza che la loro efficacia non dipende dalla forza giuridica propria dei provvedimenti amministrativi (TAR Abruzzo Pescara, 20 febbraio 1991, n. 166).

Inoltre, la mozione ha in particolare una spiccata funzione di sindacato politico sull’operato dell’esecutivo e tende solamente ad incidere, mediante le indicazioni in essa contenute, sull’indirizzo politico dell’esecutivo stesso, senza peraltro che l’indirizzo politico con essa espresso possa produrre effetti vincolanti (ancora TAR Abruzzo, Pescara, 20 febbraio 1991, n. 166).

Infine, la mozione, pur impegnando il Rettore o il Direttore sotto il profilo della politica accademica o della gestione (si pensi alle recenti proteste sugli scatti stipendiale o alla riforma universitaria), non produce effetti esterni vincolanti di carattere amministrativo, in quanto esorbitante dalle funzioni esercitate dagli organi collegiali.

 

[1] Sul punto, vedasi: http://www.procedamus.it/8-eventi/156-puntodelibere-quesitierisposte001.htm