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Le prerogative dei Consiglieri comunali: interrogazioni, interpellanze, mozioni

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Ph. Simona Loprete / natura

Indice:

Introduzione

Le interrogazioni

Le interpellanze

Le mozioni

Gli atti di sindacato ispettivo

 

Introduzione

I diritti dei Consiglieri comunali per l’esercizio del mandato sono stabiliti dal TUOEL, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in particolare, dagli articoli 43 e 44. Lo Statuto ed il regolamento del consiglio comunale definiscono compiutamente ruolo e modalità di esercizio delle funzioni dei consiglieri.

Per quel che ci occupa in questa rassegna, ai Consiglieri comunali è riconosciuto il diritto di presentare interrogazioni, interpellanze, mozioni e altri atti di sindacato ispettivo, ma nella prassi e nei regolamenti comunali sono previsti altri strumenti, tra i quali spiccano gli ordini del giorno intesi come facoltà concessa ai Consiglieri di presentare al Presidente, in apertura di seduta, appunto i cosiddetti “Ordini del Giorno” consistenti in un documento scritto di contenuto politico-amministrativo con il quale il Consiglio Comunale esprime il proprio orientamento, sentimento o formula proposte e richieste in ordine a vicende di rilevante interesse pubblico o a fatti avveratosi, temuti o sperati.

Strumenti tipici attraverso i quali i Consiglieri possono seguire e controllare l’attività del Comune o esercitare i loro poteri ispettivi su temi particolari che interessano la vita politica, sociale, economica e culturale della  comunità.

 

Le interrogazioni

Per interrogazione s’intende la domanda rivolta dal Consigliere al Sindaco o all’Assessore delegato dallo stesso (che si identifica, di regola, nell’assessore preposto al ramo interessato dall’istanza di sindacato ispettivo), per ottenere informazioni circa la sussistenza o la verità di un determinato fatto, o in ordine ai motivi ed ai criteri in base ai quali ci si prefigge di operare in merito al raggiungimento di taluni obbiettivi, ovvero se il Sindaco o la Giunta abbiano preso o stiano per prendere una decisione su oggetti determinati.

Trattasi di un atto ispettivo tendente ad accertare la legittimità e la correttezza dell’operato ell’Amministrazione, o di controllo finalizzato ad ottenere una risposta chiara e inequivocabile ad una domanda formulata in modo altrettanto puntuale; l’interrogazione, quindi, è rivolta ad ottenere dall’Amministrazione conto della sua attività.

Va precisato che, essendo il controllo ispettivo di natura politica, le interrogazioni non dovrebbero di regola avere ad oggetto atti gestionali, di competenza dei dirigenti/responsabili, ma riguardanti questioni di programmazione più ampia, anche se nella pratica amministrativa sovente si assiste, invece, a interrogazioni “ibride”, aventi ad oggetto anche atti gestionali, di competenza dei dirigenti/responsabili, che in senso lato  riguardano la programmazione strategica, operativa ed esecutiva (Documento Unico di Programmazione - contenente obiettivi strategici ed operativi – Bilancio di Previsione Finanziario, Piano Esecutivo di Gestione).

Rispondendo a un quesito posto da un Comune, il Ministero dell’Interno, con parere del 25 maggio 2012, in merito al soggetto titolato a rispondere alle interrogazioni consiliari ha evidenziato “…….. questo ufficio in precedenti occasioni ha ritenuto che l’articolo 43 del decreto legislativo n. 267/2000 preveda, per la risposta alle interrogazioni, la sola alternativa tra il Sindaco e l’Assessore delegato dallo stesso, che si identifica, di regola, nell’Assessore preposto al ramo interessato dall’istanza di sindacato ispettivo”.

In sinossi, il predetto dicastero così conclude: “Al riguardo, si premette che il sopra citato articolo 43 del Tuel n. 267/2000 al comma 3 riconosce ai Consiglieri comunali la facoltà di presentare interrogazioni e ogni altra istanza di sindacato ispettivo, a cui Sindaco o gli Assessori da esso delegati, devono dare risposta entro 30 giorni. Le modalità della presentazione di tali atti e delle relative risposte sono disciplinate dallo statuto e dal regolamento consiliare. Pertanto, lo statuto ed il regolamento stabiliscono a chi debbano essere presentate le istanze di sindacato ispettivo (al cui novero si riconducono le interrogazioni) e le modalità con cui deve essere data risposta (direttamente in Consiglio, oppure mediante risposta scritta)”.

 

Le interpellanze

L’interpellanza consiste nella domanda formulata per iscritto che uno o più Consiglieri rivolgono al Sindaco o ad un Assessore delegato dallo stesso per avere notizie sui motivi e gli intendimenti della loro azione su un determinato argomento o una questione di particolare rilievo.

Diversamente dall’interrogazione, l’interpellanza ha carattere preventivo perché non riguarda l’attività svolta, ma mira a conoscere preventivamente le intenzioni dell’amministrazione, oppure i motivi alla base delle scelte da adottare o già adottate, con l’eventuale analisi critica di tali scelte.

Spetta agli atti normativi dell’ente locale disciplinare le modalità procedurali per la presentazione delle interpellanze, individuando il soggetto a cui deve essere rivolta l’istanza, la forma con cui deve essere fornita la risposta (orale in consiglio comunale o per iscritto), nonché le eventuali conseguenze nei casi di mancata risposta entro il termine di trenta giorni, ancorché non ritenuto di carattere perentorio, in modo da evitare che eventuali omissioni vanifichino le prerogative garantite dalla legge stessa ai singoli consiglieri. Per gli atti di sindacato ispettivo da sottoporre all’esame del consiglio comunale, i regolamenti stabiliscono sia i termini per la trattazione di tali punti, sia il momento in cui trattare gli argomenti (ad inizio o alla fine della seduta).

All’interpellanza deve dare risposta il Sindaco o l’Assessore da lui delegato incaricato di seguire la specifica materia oggetto dell’atto ispettivo.  

Viene introdotta dal relatore e se la risposta del Sindaco o dell’Assessore delegato dallo stesso non è soddisfacente, l'interpellante può presentare una mozione avente lo stesso oggetto e allo scopo di provocare una discussione ed un voto da parte dell'assemblea consiliare, il cui significato politico sarà poi valutato dall’esecutivo.

In risposta a specifico quesito posto da un Presidente del Consiglio comunale che aveva chiesto se, a fronte di numerose interpellanze a risposta scritta presentate da un Consigliere comunale, sia possibile configurare una ipotesi di finalità emulativa e se il termine di trenta giorni per la risposta, prevista dall’articolo 43 del Tuel n. 267/2000 possa essere disatteso, a causa dell’elevato numero di richieste, al fine di non compromettere l’attività dell’ufficio, il Ministero dell’Interno con parere del 16 Giugno 2015 si è espresso nel senso che “alla luce della giurisprudenza in materia, l’Ente locale, in assenza di disposizioni limitative, non possa esimersi dal fornire risposta alle interpellanze nei tempi diversi, ferma restando l’esigenza di leale collaborazione da parte dei Consiglieri comunali, che con eventuali comportamenti non corretti possono provocare disservizi”. Nel suddetto parere il Ministero fa espresso riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato n. 2716 del 04/05/2004, in cui “seppur in relazione ad una richiesta di accesso di un Consigliere comunale, è stato osservato che la rilevata circostanza della rilevante quantità di atti richiesti è inidonea a giustificare il diniego opposto” ed ha richiamato il parere 10 dicembre 2002 reso dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che esprime l’avviso che costituisce “generale dovere della Pubblica Amministrazione ……. ispirare la propria attività al principio di economicità ……. che incombe non solo sugli uffici tenuti a provvedere ma anche sui soggetti che richiedono prestazioni amministrative, i quali, invece, specie se appartenenti alla stessa amministrazione, sono tenuti, in un clima di leale cooperazione, a modulare le proprie richieste”.

 

Le mozioni

La dottrina definisce le “mozioni” come atti approvati dal Consiglio per esercitare un’azione di indirizzo, esprimere posizioni e giudizi su deter­minate questioni, organizzare la propria attività, disciplinare procedure e stabilire adempimenti dell’amministrazione nei confronti del Consiglio.

La mozione può anche consistere in un giudizio sull’azione dell’Amministrazione: sono presentate per iscritto  e devono contenere l’esatta delimitazione dell’argomento e le linee essenziali delle proposte.

La giurisprudenza individua la mozione quale “istituto a contenuto non specificato”, a tutela della minoranza per situazioni non predefinibili, a differenza di altri strumenti più a valenza di mera conoscenza (quali l’interrogazione o l'interpellanza); si tratta quindi di uno strumento di “introduzione ad un dibattito” che si conclude con un voto che è ragione ed effetto proprio della mozione.

Proprio per il carattere “non circostanziato”, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che mediante le mozioni possano essere sottoposti al Consiglio anche temi di carattere generale che esulano dalle ordinarie competenze affidate dalla legge all’ente locale, senza peraltro incorrere nel vizio di incompetenza dell’organo deliberante, trattandosi di “mozioni” approvate, costituenti tipica espressione di un indirizzo politico che l’organo consiliare ha voluto assumere; pertanto sotto questo profilo non può farsi riferimento all’articolo 42 del Tuel poiché esso enumera le competenze dell’organo ad emettere veri e propri provvedimenti amministrativi.

Comunque la si definisca, la mozione consiste in una concreta proposta scritta di risoluzione, sottoposta alla decisione del Consiglio comunale, inerente a materie di sua competenza stabilite dalla legge e dallo Statuto, riferita all’esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo, alla promozione di iniziative e di interventi da parte del Consiglio o del Sindaco nell’ambito dell’attività del Comune  e degli enti ed organismi allo stesso appartenenti od ai quali esso partecipa.

Il Ministero dell’Interno si spinge oltre, ritenendo addirittura ammissibile, qualora non vietato dal regolamento, lo svolgimento di mozioni riguardanti specifiche attività di carattere strettamente gestionale che, in quanto tali, sono sottratte alla competenza dell’organo consiliare.

Sempre il Ministero dell’Interno, con parare del 17/2/2017, in risposta ad altro quesito relativo alla possibilità di trattare una mozione su materie che esulano dalla competenza del Consiglio comunale, ai sensi dell’articolo 42 del Tuel n. 267/2000 (nel caso di specie la mozione aveva ad oggetto il referendum costituzionale, cioè una materia estranea alla competenza degli organi comunali), pur ammettendo che l’articolo 138 della Costituzione non coinvolge le assemblee rappresentative locali nel procedimento previsto per l’approvazione di disposizioni di rango costituzionale, ha ritenuto che “la presenza nello statuto di un articolo che consenta al Consiglio comunale di affrontare, con il medesimo strumento, anche temi di carattere generale che esulano dalle ordinarie competenze affidate dalla legge all’Ente locale, rende possibile l’esame della mozione da parte dell’Assemblea”. Tale orientamento, ad avviso del Ministero, trova conforto anche nella giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Toscana, Sezione II, Sentenza n. 1488/2013 del 04/11/2013) secondo la quale “non può correttamente parlarsi di incompetenza, in quanto trattasi di “mozioni ……….. costituenti tipica espressione di un indirizzo politico che l’organo consiliare ha voluto assumere; pertanto sotto questo profilo non può farsi riferimento all’articolo 42 del Tuel n. 267/2000 poiché esso enumera le competenze dell’organo ad emettere veri e propri provvedimenti amministrativi”.

Per gli operatori vale, quindi, il principio generale che, qualora il Consiglio comunale in sede regolamentare si sia autolimitato circoscrivendo, nel rispetto della legge, gli ambiti ed il contenuto della mozione, è ragionevole sostenere che, comunque, spetta all’Assemblea, e non al Presidente del Consiglio, decidere se l’argomento debba essere trattato o meno.

Le mozioni approvate dal Consiglio comunale sono trasmesse dal Presidente del Consiglio agli Enti dipendenti dal Comune o a cui il Comune partecipa, ove esistenti. Qualora una mozione stabilisca dei termini entro i quali deve essere riferito al Consiglio e ciò non avvenga in tempo utile, il Presidente del Consiglio è tenuto a iscrivere all’ordine del giorno, entro i trenta giorni successivi, una comunicazione in merito del Sindaco.

Nell’ipotesi in cui la mozione approvata dal Consiglio comunale preveda il raggiungimento di determinati obiettivi da parte degli organo di governo del Comune, il Presidente del Consiglio provvede a trasmetterla al Sindaco affinché ne curi l’esecuzione.

Con la mozione si propone al Consiglio di deliberare su un atto di indirizzo politico-amministrativo che impegna il Sindaco e riguarda costui e l’Amministrazione comunale.

Può contenere richiesta di un dibattito politico-amministrativo su argomenti connessi ai compiti del Comune, al fine di pervenire a decisioni su di essi, oppure avere per scopo la formulazione di un voto in merito ai criteri seguiti o che si intendono seguire nella trattazione di determinati argomenti o di un voto politico-amministrativo sui fatti o problemi ai quali la comunità locale è interessata.

In sintesi, le mozioni possono consistere:

  • in un giudizio di merito sulla condotta o azione che il Consigliere vuole promuovere sull’operato del Sindaco o della Giunta; tale attribuzione può concretarsi in una proposta di deliberazione oppure in una proposta di voto su di un argomento. Può derivare da un’interpellanza la cui risposta non è stata ritenuta soddisfacente;
  • nell’esercizio di un’azione di indirizzo politico-amministrativo sull’attività del Sindaco e della Giunta;
  • in una concreta e formale proposta scritta di risoluzione, sottoposta alla decisione su materie di competenza del Consiglio, di una pronuncia o una decisione;
  • in proposte di organizzazione della propria attività, assumere decisioni in ordine al proprio funzionamento ed alle proprie iniziative e stabilire impegni per l’azione delle Commissioni e della presidenza;
  • disciplinare procedure e stabilire adempimenti dell’Amministrazione nei confronti del Consiglio, affinché esso possa esercitare efficacemente le proprie funzioni;
  • in una richiesta di votazione generica da adottare per un certo obbiettivo.

Possono essere generiche o elaborate. Queste ultime, a differenza delle generiche, contengono proposte di soluzioni motivate, documentate e sviluppate nella loro formulazione.

È uno strumento che permette di stimolare l’attività comunale con proposte che provengono dai componenti dell'organo volitivo, in contrapposizione all’usuale iter procedimentale per l'adozione degli atti.

Dalla mozione può scaturire la pronunzia del Consiglio nell’ambito delle competenze per lo stesso stabilite dalla legge e dallo statuto, riferita all’esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo, alla promozione di iniziative e di interventi da parte del Consiglio o della Giunta nell’ambito dell’attività del Comune e degli enti ed organismi allo stesso appartenenti od ai quali partecipa.

Sulle mozioni possono essere presentati emendamenti o subemendamenti che vengono discussi unitamente alla proposta di mozione, ma votati separatamente.

Alle proposte di mozione si applicano le disposizioni relative alle proposte di deliberazioni in quanto compatibili.

La mozione si conclude con una risoluzione ed è sottoposta all’approvazione del consiglio, nelle forme previste per la votazione delle deliberazioni.

Ha natura di atto di sindacato politico sull’operato dell’esecutivo e tende qualche volta ad incidere, mediante le indicazioni in essa contenute, sull’indirizzo politico di questo escludendosi, quindi, la natura e la forma giuridica propria dei provvedimenti amministrativi anche quando si traduca in una votazione (T.A.R. Abruzzo, Pescara, 20 Febbraio 1991, n. 191).

Non è provvedimento ma atto di indirizzo o di impulso ad agire, anche al di fuori della specifica sfera funzionale dell’organo deliberante. La mozione, infatti, è destinata a promuovere una presa di posizione di un collegio.

Di norma, si estrinseca in una richiesta di discussione (eventualmente di votazione) su un argomento determinato.

A differenza della interrogazione e dell’interpellanza a cui rispondono il Sindaco o l’Assessore delegato dallo stesso, la mozione è diretta al Consiglio comunale che deve esprimersi collegialmente nella forma della deliberazione.

Eventuali condizioni di ammissibilità delle mozioni devono essere indicate nel regolamento per il funzionamento del consiglio.

In assenza di previsioni normative e regolamentari, la possibilità da parte del Presidente del Consiglio di una preventiva valutazione dell’oggetto della mozione, al fine di inserirla o meno nell’ordine del giorno, va esercitata tenendo in considerazione il potere “sovrano” delle Assemblee politiche al qua­le spetta di decidere, in via pregiudiziale, sull’ammissibilità della discussione sugli argomenti inseriti nell'ordine del giorno.

Un cenno a parte merita la mozione d’ordine, posta durante la seduta del Consiglio comunale, consistente nel richiamo verbale oppure in un rilievo inteso ad ottenere che nel modo di presentare, discutere e approvare una deliberazione siano osservate la legge, il regolamento sul funzionamento del Consiglio Comunale e l’ordine del giorno.

 

Gli atti di sindacato ispettivo

La legge costituzionale n. 3/2001, a seguito del referendum costituzionale del 7 ottobre 2001, nell’abrogare l’articolo 130 della Costituzione ad opera dell’articolo 9, comma 2, ha eliminato ogni forma di controllo da parte dei Comitati regionali di controllo sugli atti degli Enti Locali, rafforzando il ruolo e le funzioni delle minoranze consiliari nello svolgimento democratico della vita amministrativa degli Enti locali.

Uno degli strumenti di controllo politico-amministrativo che maggiormente viene impiegato dalle minoranze consiliari, è la proposizione dei cd. atti di sindacato ispettivo (interrogazioni, mozioni e ogni altra istanza di sindacato ispettivo) che l’articolo 43 del Tuel n. 267/2000 rubricato “Diritti dei Consiglieri” attribuisce a detti Consiglieri, anche se nella prassi e nei regolamenti comunali sono previsti altri strumenti, principal­mente le interpellanze e gli ordini del giorno.

Risultando la norma generica ed indeterminata, ne consegue che una puntuale regolazione viene demandata all’autonomia dei singoli Enti (nella specie, regolamento sul funzionamento del Consiglio Comunale).

La nozione di “sindacato ispettivo” ha una portata estesa e vaga ed è strumentale proprio a garantire la funzione del Consigliere comunale che è quella di riscontrare che il Sindaco e la Giunta esercitino correttamente la loro attività di governo. La peculiarità degli atti di sindacato ispettivo è che essi costituiscono uno strumento di controllo attraverso il quale i Consiglie­ri, sia di maggioranza che di opposizione, interagiscono con i componenti dell’organo esecutivo (Sindaco e Giunta), per acquisire elementi informativi.

L’articolo 43, comma 3, del Tuel n. 267/2000, demanda espressamente allo Statuto ed al regolamen­to consiliare la disciplina delle “modalità” di presentazione delle interrogazio­ni, nonché delle relative risposte. La medesima norma dispone che il Sindaco, ovvero gli Assessori delegati, “rispondono, entro 30 giorni, alle interrogazioni e ad ogni altra istanza di sindacato ispettivo”. Il termine di trenta giorni di cui al citato articolo 43, comma 3 del Tuel, secondo la dottrina, richiamata anche in diversi pareri del Ministero dell’Interno, non ha carattere perentorio. Tuttavia, l’Ente non può sottrarsi dal fornire risposta alle interrogazioni nei tempi previsti, ferma restan­do l’esigenza di leale collaborazione da parte dei consiglieri comunali, che con eventuali comportamenti non corretti possono provocare disservizi.

Degno di nota ed esaustivo, in tal senso, è l’assunto del T.A.R. Catania (Sentenza n. 926 del 4 maggio 2020) che, sulla scorta di consolidata giurisprudenza, ha affermato quanto segue:

a)i consiglieri comunali hanno un incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti utili all'espletamento delle loro funzioni, ciò anche al fine di permettere di valutare - con piena cognizione - la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale (cfr., ex plurimis, T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sezione sez. I, 20 gennaio 2020, n. 16; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione II, 7 novembre 2017, n. 1745).

La giurisprudenza ha altresì precisato che la finalizzazione dell'accesso ai documenti in relazione all'espletamento del mandato costituisce il presupposto legittimante ma anche il limite dello stesso, configurandosi come funzionale allo svolgimento dei compiti del Consigliere (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 gennaio 2019, n. 12);

b) il diritto di accesso riconosciuto ai Consiglieri comunali ha una ratio diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto alla generalità dei cittadini (ex articolo 10 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) ovvero a chiunque sia portatore di un "interesse diretto (deve esserci una connessione evidente tra l’istante e il documento) concreto (non astratto o meramente ipotetico) e attuale (riflessi correnti sulla posizione giuridica tutelata), corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata la documento al quale è chiesto l’accesso”, ex articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Mentre il diritto di accesso è finalizzato a permettere ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti per la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, quello riconosciuto ai Consiglieri comunali è strettamente funzionale all'esercizio delle loro funzioni, alla verifica e al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell'ente locale ai fini della tutela degli interessi pubblici (piuttosto che di quelli privati e personali) e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività (cfr. T.A.R. Basilicata, sez. I, 3 agosto 2017, n. 564);

c) per evitare che sia la stessa Amministrazione a diventare arbitro dell'ambito del controllo sul proprio operato siffatto diritto non incontra alcuna limitazione in relazione:

- alla eventuale natura riservata degli atti, stante il vincolo al segreto d'ufficio ex art. 622 cod. pen. (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 27 novembre 2014, n. 2834);

-  alla necessità di fornire la motivazione della richiesta, atteso che, diversamente opinando, sarebbe introdotta una sorta di controllo dell'Ente, attraverso i propri uffici, sull'esercizio delle funzioni del consigliere comunale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 settembre 2014, n. 4525).

In definitiva gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei Consiglieri comunali possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e, per altro verso, che esso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 settembre 2014, n. 4525; T.A.R. Toscana, sez. I, 28 gennaio 2019, n. 133).

Bibliografia

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  2. G. Rizzo – Il Consiglio Comunale -  Editrice CEL
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  4. L. Vandelli – Ordinamento delle autonomie locali – Rimini 1991
  5. L. Giovenco – A. Romano – L’Ordinamento Comunale – Giuffré Editore – 1994
  6. AA.VV. – Commento al Testo Unico in materia di Ordinamento degli Enti Locali – Maggioli Editore – 2001