Proposta di Legge modifiche alla disciplina 231
(Modifiche all’art. 6, D.Lgs. 231/2001)
Il comma 1 dell’art. 6, D.Lgs. 231/2001, è sostituito dal seguente:
"1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a) e lettera b), per aversi la responsabilità amministrativa dell’ente la pubblica accusa dovrà dimostrare che:
a) l’organo dirigente non ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento non è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
b-bis) l’organismo di vigilanza di cui alla lettera b) che precede, nell’ambito degli enti di interesse pubblico economico di cui all’art. 16 del D.Lgs. 39/2010:
i) deve essere nominato dall’assemblea dei soci a maggioranza semplice;
ii) deve avere natura collegiale;
iii) almeno un membro dell’organismo di vigilanza deve essere scelto tra soggetti esterni all’ente e dotati delle stesse caratteristiche di indipendenza di cui all’art. 2399 c.c.. In tutte le società o enti in cui è nominato un Organismo di Vigilanza:
i) deve essere data apposita comunicazione della sua nomina al Registro Imprese entro 30 (trenta) giorni a cura degli amministratori;
ii) deve riferire annualmente all’assemblea in merito al suo operato con apposita relazione da presentare in occasione dell’approvazione del bilancio;
c) le persone hanno commesso il reato non eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b)".
Aggiungere dopo il comma 2, art. 6, D.Lgs. 231/2001, il seguente comma 2-bis:
"Nelle società indicate nell’art. 6 comma 1 lett. b-bis) i), i modelli organizzativi di cui alla lettera a) del comma 1 del presente articolo devono essere approvati con delibera dell’assemblea ai sensi dell’art. 2364, 1° comma, n. 5, c.c. presa a maggioranza semplice".
Sostituire il comma 3, art. 6, D.Lgs. 231/2001, con il seguente:
"Fino a prova contraria, si presumono avere efficacia esimente dalla responsabilità amministrativa degli enti i modelli di organizzazione e di gestione definiti conformemente alle indicazioni contenute nelle linee guida ovvero nei codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti e comunicati al Ministero della Giustizia. Il Ministero della Giustizia, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni dalle comunicazioni (sia in ipotesi di nuove linee guida o nuovi codici di comportamento sia in caso di modifica e/o aggiornamento degli stessi), osservazioni sulla idoneità di tali linee guida o codici di comportamento. Il Ministero della Giustizia indica le regole procedimentali che si dovranno seguire in occasione di tali comunicazioni".
ART. 2.
(Modifiche all’art. 9, D.Lgs. 231/2001)
Aggiungere dopo il comma 2, art. 9, D.Lgs. 231/2001, il seguente comma 3:
"al di fuori dei casi in cui l’unica finalità della società o dell’ente fosse quello di realizzare un progetto criminoso, in cui sono applicabili in via cautelare tutte le sanzioni interdittive previste dal presente Decreto, in via cautelare possono essere previste solo le misure del sequestro preventivo di cui all’art. 53 del D.Lgs. 231/2001 e del sequestro conservativo di cui all’art. 54 D.Lgs. 231/2001. Le sanzioni interdittive possono essere ulteriormente comminate in via cautelare solo dopo: i) la sentenza di condanna di primo grado e ii) e su richiesta del Pubblico Ministero approvata dalla Corte d’Appello competente, qualora sia presente un grave pericolo di reiterazione del reato".
ART. 3.
Gli articoli da 45 a 51 del D.Lgs. 231/2001 sono abrogati.
ART. 4.
(Modifiche all’art. 10, D.Lgs. 231/2001)
Sostituire il comma 2, art. 10, D.Lgs. 231/2001, con il seguente: "La sanzione pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a 200 né superiore a 2.000".
Sostituire il comma 3, art. 10, D.Lgs. 231/2001, con il seguente: "L’importo di una quota va da un minimo di Euro 200,00 ad un massimo di Euro 2.000,00".
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PROPOSTA DI LEGGE PRESENTATA DA
On. Benedetto Della Vedova
Proposta di modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante "Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300"
Onorevoli Colleghi!
Il presente disegno di legge contiene una proposta di modifica al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, recante "Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300", al fine di favorire la diffusione e il radicamento nelle imprese di una rinnovata cultura della legalità, del controllo e della regolarità volta all’ottimizzazione delle risorse e all’efficienza del sistemaimpresa.
Una breve premessa può aiutare ad inquadrare meglio la fattispecie normativa.
Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (qui di seguito anche il "Decreto 231"), in esecuzione della delega contenuta nell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano una nuova figura di responsabilità penale delle persone giuridiche (gli "enti" nel linguaggio del legislatore), definita come “amministrativa” al fine di evitare contrasti con l’articolo 27, comma 1 della Costituzione, per il quale “la responsabilità penale è personale”.
La responsabilità in oggetto scatta in conseguenza della commissione di determinati reati espressamente contemplati dal D.Lgs. 231/2001. I reati cd. presupposto della responsabilità delle imprese sono oggi oltre cento e gli enti, destinatari della norma, sono puniti per il tramite di un particolare sistema sanzionatorio, essenzialmente binario, articolato in sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive (per tali intendendosi: l’interdizione dall’esercizio dell’attività; la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; il divieto di pubblicizzare beni o servizi).
Le sanzioni pecuniarie si applicano sempre mentre quelle interdittive, considerata la loro capacità di incidere sulla stessa operatività e funzionalità dell’ente, si applicano solo ove espressamente previste dalla norma. Inoltre, queste ultime possono essere applicate anche in via cautelare qualora si riscontrino gravi indizi circa la sussistenza della responsabilità dell’ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e quando vi siano fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi nuovi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede.
Sono, infine, previste sanzioni ulteriori quali la confisca dell’eventuale profitto conseguito e la pubblicazione della sentenza di condanna.
Lo stesso Decreto 231, però, prevede uno specifico strumento per consentire l’esonero dalla predetta responsabilità qualora l’ente provi, tra l’altro che:
1. l’organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (qui di seguito definito i “Modelli” o singolarmente il “Modello”);
2. il compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei Modelli, nonché di curarne l’aggiornamento, sia stato affidato ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo (il cd. “Organismo di Vigilanza”).
L’adozione di tali Modelli è, ex lege, facoltativa; tuttavia, l’applicazione quotidiana nelle aule dei tribunali dimostra, nei fatti, che l’adozione dei Modelli è percepita come obbligatoria.
L’efficacia esimente dei Modelli e la loro idoneità è, comunque, rimessa alla valutazione del giudice che deciderà sulla base della dimostrazione della colpevolezza fornita dal PM, in caso di reato commesso da parte di un soggetto subordinato all’altrui direzione e controllo, o di non colpevolezza fornita dall’ente, per il caso di reato commesso da un soggetto cd. apicale (i.e. amministratori e direttore generale).
E questa, come avremo modo di evidenziare in seguito, è una delle iniquità della norma.
L’intervento normativo qui proposto mira ad intervenire su alcune specifiche parti del D.Lgs. 231/2001 affinché il sistema di governance che da questo decreto deriva non venga più percepito solo come un asettico binomio di “regole ed etica” ma come strumento di miglioramento ed efficienza del sistema-impresa.
Regole ed etica, infatti, devono essere i punti di partenza, gli strumenti necessari ad assicurare alle imprese nel lungo periodo creazione di valore, efficacia strategica ed efficienza gestionale ad una organizzazione commerciale che opera nel pieno rispetto delle regole.
Il correttivo che si propone in questa sede mira proprio a questo: favorire la diffusione della nuova cultura del controllo interno dando maggiori garanzie di tenuta al sistema di gestione previsto dal D.Lgs. 231/2001 e, pertanto, stimolando l’adozione dei Modelli da parte del maggior numero di enti possibili.
Entrando nel dettaglio, procediamo ad elencare le principali linee guida del progetto di modifica del D.Lgs. 231/2001. Esse riguardano:
a. l’esclusione dell’applicazione indiscriminata delle sanzioni interdittive in via cautelare ed il corrispondente inasprimento delle pene pecuniarie;
b. l’obbligo di elezione da parte dell’assemblea dell’Organismo di Vigilanza – che dovrà avere forma collegiale – negli enti di interesse pubblico ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. 27 gennaio 2001, n. 39 (società quotate, banche, assicurazioni, intermediari finanziari, ecc.);
c. lo spostamento dell’onere della prova di dimostrare l’inefficacia l’inefficacia del Modello a carico della Pubblica Accusa anche quando il reato è commesso da un soggetto apicale.
Prima di passare alla lettura delle modifiche al testo, premettiamo alcune considerazioni sui punti appena citati.
Anzitutto, relativamente alla necessità di escludere l’applicazione indiscriminata delle sanzioni interdittive in via cautelare si ribadisce quanto precedentemente già rilevato. Le sanzioni interdittive hanno potenzialmente un impatto così devastante da portare alla chiusura dell’ente destinatario delle stesse o, in ogni caso, di comprometterne seriamente la sopravvivenza futura in un mercato, come quello attuale, altamente concorrenziale.
La loro applicazione in sede cautelare accresce notevolmente questa situazione di rischio e di incertezza anche per tutto l’indotto collegato al singolo ente.
Se ipotizziamo la chiusura di una società per sei mesi, non solo è molto probabile che non riesca più a riconquistare le quote di mercato che possedeva prima ma, in primis, è elevato anche il rischio di perdita di posti di lavoro e di danneggiare l’economia locale che, in qualche modo, dipende da quella società. Non dobbiamo, infatti, dimenticarci che in Italia la stragrande maggioranza delle imprese è di natura medio piccola e fortemente radicata nel territorio.
In sostanza, quello che si vuole fare è estendere il regime di esenzione delle misure cautelari di natura interdittiva attualmente vigente per banche, assicurazioni, sim, sgr e sicav – previsto rispettivamente dall’art. 97-bis del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (TUB) e dall’art. 60-bis del D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (TUF) – a tutti gli enti destinatari del D.Lgs. 231/2001.
Il particolare regime di esenzione riconosciuto agli enti finanziari appena menzionati è stato, giustamente, ispirato dal bisogno di salvaguardare la stabilità di questi enti, del mercato in cui operano e di garantire una maggiore sicurezza agli investitori.
Queste stesse necessità si possono e si devono ravvisare anche per qualsiasi altro ente.
L’unico caso in cui vi sarebbe la necessità di inibire l’attività in via cautelare o, quantomeno, di procedere alla comminazione di sanzioni interdittive ad una società sarebbe quello in cui l’unica finalità della società fosse di realizzare il crimine per il quale si sta dibattendo. Inoltre, sarebbe pur sempre possibile il sequestro cautelare del presunto profitto dell’illecito per evitare che esso possa essere occultato o dissipato nel corso del processo.
È opportuno precisare che questa proposta non vuole consentire l’impunità degli enti responsabili di aver commesso degli illeciti, bensì quello di dare stabilità e governabilità al mercato economico, tarando meglio quel sistema di pesi e contrappesi previsti dal D.Lgs. 231/2001, al fine della ricerca di un suo maggior equilibrio.
Per questa ragione, le sanzioni dell’interdizione dall’esercizio dell’attività, della sospensione/revoca delle autorizzazioni e del commissariamento giudiziale dovrebbero applicarsi soltanto con la sentenza di condanna e non anche in via cautelare (eccettuato il caso sopra descritto).
Tutt’al più, le sanzioni interdittive potrebbero essere applicate in via cautelare solo dopo la sentenza di primo grado, su richiesta del Pubblico Ministero (approvata dalla Corte d’Appello competente) e qualora sia presente un grave pericolo di reiterazione del reato.
A fronte di questo intervento che possiamo definire "riduttivo", per incrementare la funzione deterrente del D.Lgs. 231/2001 e per compensare la modifica proposta, si dovrebbe, al tempo stesso, innalzare il valore delle sanzioni pecuniarie.
Passando all’approfondimento del secondo punto, ossia l’obbligo di elezione da parte dell’assemblea dell’Organismo di Vigilanza negli enti di interesse pubblico di cui all’art. 16, D.Lgs. 39/2010, può essere opportuno inquadrare brevemente la figura de qua.
Dopo aver adottato il Modello, le società devono nominare un organismo di vigilanza che ha il compito di garantire sull’efficace attuazione del Modello.
Questi cenni iniziali evidenziano che l’adeguamento organizzativo al D.Lgs. 231/2001, possibile sia in sede costitutiva che durante societate, implica l’introduzione di un sistema procedurale interno specifico per le attività a rischio reato – il Modello – e la creazione di un nuovo organo, l’OdV.
Il D.Lgs. 231/2001 attribuisce all’“organo dirigente” il potere-dovere di adottare, nonché di attuare, un Modello ai fini esimenti e di nominare l’OdV.
Ciononostante, se è vero che per l’introduzione in società di una nuova prassi può sembrare sufficiente una decisione assunta dall’organo amministrativo, le considerazioni di politica economica svolte in precedenza fanno propendere per la necessità di riconoscere all’OdV una veste anche formale.
Così facendo se ne farebbe risaltare, con l’adeguata e conseguente pubblicità societaria, la sua collocazione all’interno della struttura sociale in modo tale che anche i terzi possano venire facilmente a conoscenza del rilievo dato dalla società alle tematiche della trasparenza e della correttezza dei procedimenti interni.
Queste considerazioni assumono ancor più rilievo per le società quotate e, in genere, per gli enti di interesse pubblico di cui al D.Lgs. 39/2010.
Tale rilievo sembra possa suggerire che istituzionalizzare la costituzione, le principali funzioni, i poteri ed i requisiti di autonomia ed indipendenza attraverso l’elezione dell’OdV da parte dell’assemblea si dimostri una scelta più adeguata per proteggere i beni tutelati dalla norma attraverso il Modello.
In forza delle considerazioni proposte, incidendo l’adeguamento dell’ente al D.lgs. 231/2001 non solo sulla gestione, ma anche sulla struttura societaria, potrebbe essere presa in considerazione l’ipotesi di scindere il momento della creazione dell’OdV e dell’introduzione delle principali norme per la sua organizzazione e attività, da quello della concreta e materiale predisposizione del sistema di controllo. Investendo di detto primo momento la competenza dei soci e delegando, invece, alla competenza gestoria dell’organo amministrativo ovvero allo stesso OdV la predisposizione della regolamentazione utile a disciplinare lo svolgimento concreto delle funzioni e della corrispondente attività, quali ad esempio le regole procedimentali attraverso le quali svolgere il controllo richiesto dalla legge.
Con riferimento alla composizione di tale Organismo, almeno negli enti di interesse pubblico, dovrebbe essere prevista obbligatoriamente la forma collegiale per permettere maggior effettività nell’attività di vigilanza e controllo del rispetto del Modello.
Venendo, infine, all’ultima proposta di modifica, ossia lo spostamento dell’onere della prova dell’inadeguatezza e dell’inefficacia del Modello in ogni caso a carico della pubblica accusa, si osserva quanto segue.
Il sistema di imputazione della responsabilità all’ente ex D.Lgs. 231/2001 distingue tra illecito commesso da un soggetto apicale e quello commesso da un sottoposto. In quest’ultimo caso, l’art. 7 del D.Lgs. 231/2001 dispone l’esclusione della responsabilità dell’ente che abbia adottato un Modello; pertanto, in caso di commissione di un illecito da parte di un dipendente, spetterà alla Pubblica Accusa dimostrare la colpevolezza dell’ente.
Contrario è, invece, il funzionamento del sistema nel caso di illecito commesso da un soggetto apicale.
L’art. 6 del D.Lgs. 231/2001 prevede un’inversione dell’onere della prova. Infatti, richiede all’ente di fornire elementi idonei a giustificare la corretta e concreta adozione del Modello e che l’autore dell’illecito lo abbia commesso eludendo fraudolentemente il Modello.
In sostanza, è stabilito che all’ente accusato spetti la prova della propria non colpevolezza sovvertendo l’ordine precostituito delle cose poiché per il nostro ordinamento giuridico è sul PM che grava l’onere della prova.
In pratica, si assiste ad una presunzione di colpevolezza dell’ente.
Questa circostanza, in considerazione del fatto che è pacificamente riconosciuta come penale la natura della responsabilità ex D.Lgs. 231/2001, si scontra palesemente con la presunzione di non colpevolezza dell’imputato fino a sentenza passata in giudicato ex art. 27 della nostra Costituzione.
Quindi, secondo la vigente impostazione, l’illecito del soggetto apicale non trascina nella responsabilità l’ente solo nell’ipotesi in cui l’ente stesso possa dimostrare che lo stesso soggetto apicale abbia "pervertito e frustrato con l’inganno l’intero sistema decisionale e di controllo della società" (Trib. Milano, 27.04.2004).
Si tratta dell’ipotesi di scuola e manualistica del cd. amministratore infedele che, come è facile immaginare, è estremamente difficile da poter dimostrare in sede di giudizio. L’ente, infatti, dovrebbe dimostrare che il soggetto apicale ha agito contro l’interesse che ha l’ente stesso al proprio corretto funzionamento.
È evidente che tale difficoltà probatoria aumenta in maniera esponenziale la situazione di incertezza del diritto e che nuoce a quelle imprese che hanno investito risorse anche nell’organizzazione di un sistema di controllo.
Se lo spirito che ci anima è quello di favorire la diffusione e il radicamento nelle imprese di una rinnovata cultura del controllo, della legalità e della regolarità volta all’ottimizzazione delle risorse, l’attuale formulazione della norma non può che scontrarsi con le nostre aspettative.
Il vigente approccio che caratterizza il D.Lgs. 231/2001 sul punto deve essere mutato e mutuato da quello alla base del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il Testo unico in materia di Sicurezza sul lavoro. Il TU, infatti, contempla all’art. 30 uno strumento di gestione della sicurezza sul lavoro che si integra con il Modello ex D.Lgs. 231/2001 e che prevede:
· un’esplicita presunzione di conformità del Modello al dettato normativo;
· un’efficacia esimente dalla responsabilità ex D.lgs. 231/2001; e, quindi,
· una presunzione di non colpevolezza fino a prova contraria, nel rispetto dei principi costituzionalmente fissati;
· l’onere della prova della colpevolezza a carico della pubblica accusa.
L’approccio che ha ispirato l’art. 30 TU Sicurezza è stato caratterizzato dall’obiettivo di veicolare alle imprese – per il tramite della presunzione di conformità – il messaggio della centralità dello sviluppo di prassi virtuose nella gestione della sicurezza sul lavoro sensibilizzando le società al problema e consentendola diffusione dei Modelli antinfortunistici.
Questo nuovo approccio consentirebbe di passare da una presunzione di colpevolezza ad una presunzione di conformità; consentirebbe la diffusione dei Modelli e della cultura della legalità; rispetterebbe al meglio il dettato della nostra Costituzione; restituirebbe l’attività inquisitoria ai PM.
(Modifiche all’art. 6, D.Lgs. 231/2001)
Il comma 1 dell’art. 6, D.Lgs. 231/2001, è sostituito dal seguente:
"1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a) e lettera b), per aversi la responsabilità amministrativa dell’ente la pubblica accusa dovrà dimostrare che:
a) l’organo dirigente non ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento non è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
b-bis) l’organismo di vigilanza di cui alla lettera b) che precede, nell’ambito degli enti di interesse pubblico economico di cui all’art. 16 del D.Lgs. 39/2010:
i) deve essere nominato dall’assemblea dei soci a maggioranza semplice;
ii) deve avere natura collegiale;
iii) almeno un membro dell’organismo di vigilanza deve essere scelto tra soggetti esterni all’ente e dotati delle stesse caratteristiche di indipendenza di cui all’art. 2399 c.c.. In tutte le società o enti in cui è nominato un Organismo di Vigilanza:
i) deve essere data apposita comunicazione della sua nomina al Registro Imprese entro 30 (trenta) giorni a cura degli amministratori;
ii) deve riferire annualmente all’assemblea in merito al suo operato con apposita relazione da presentare in occasione dell’approvazione del bilancio;
c) le persone hanno commesso il reato non eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b)".
Aggiungere dopo il comma 2, art. 6, D.Lgs. 231/2001, il seguente comma 2-bis:
"Nelle società indicate nell’art. 6 comma 1 lett. b-bis) i), i modelli organizzativi di cui alla lettera a) del comma 1 del presente articolo devono essere approvati con delibera dell’assemblea ai sensi dell’art. 2364, 1° comma, n. 5, c.c. presa a maggioranza semplice".
Sostituire il comma 3, art. 6, D.Lgs. 231/2001, con il seguente:
"Fino a prova contraria, si presumono avere efficacia esimente dalla responsabilità amministrativa degli enti i modelli di organizzazione e di gestione definiti conformemente alle indicazioni contenute nelle linee guida ovvero nei codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti e comunicati al Ministero della Giustizia. Il Ministero della Giustizia, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni dalle comunicazioni (sia in ipotesi di nuove linee guida o nuovi codici di comportamento sia in caso di modifica e/o aggiornamento degli stessi), osservazioni sulla idoneità di tali linee guida o codici di comportamento. Il Ministero della Giustizia indica le regole procedimentali che si dovranno seguire in occasione di tali comunicazioni".
ART. 2.
(Modifiche all’art. 9, D.Lgs. 231/2001)
Aggiungere dopo il comma 2, art. 9, D.Lgs. 231/2001, il seguente comma 3:
"al di fuori dei casi in cui l’unica finalità della società o dell’ente fosse quello di realizzare un progetto criminoso, in cui sono applicabili in via cautelare tutte le sanzioni interdittive previste dal presente Decreto, in via cautelare possono essere previste solo le misure del sequestro preventivo di cui all’art. 53 del D.Lgs. 231/2001 e del sequestro conservativo di cui all’art. 54 D.Lgs. 231/2001. Le sanzioni interdittive possono essere ulteriormente comminate in via cautelare solo dopo: i) la sentenza di condanna di primo grado e ii) e su richiesta del Pubblico Ministero approvata dalla Corte d’Appello competente, qualora sia presente un grave pericolo di reiterazione del reato".
ART. 3.
Gli articoli da 45 a 51 del D.Lgs. 231/2001 sono abrogati.
ART. 4.
(Modifiche all’art. 10, D.Lgs. 231/2001)
Sostituire il comma 2, art. 10, D.Lgs. 231/2001, con il seguente: "La sanzione pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a 200 né superiore a 2.000".
Sostituire il comma 3, art. 10, D.Lgs. 231/2001, con il seguente: "L’importo di una quota va da un minimo di Euro 200,00 ad un massimo di Euro 2.000,00".
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PROPOSTA DI LEGGE PRESENTATA DA
On. Benedetto Della Vedova
Proposta di modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante "Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300"
Onorevoli Colleghi!
Il presente disegno di legge contiene una proposta di modifica al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, recante "Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300", al fine di favorire la diffusione e il radicamento nelle imprese di una rinnovata cultura della legalità, del controllo e della regolarità volta all’ottimizzazione delle risorse e all’efficienza del sistemaimpresa.
Una breve premessa può aiutare ad inquadrare meglio la fattispecie normativa.
Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (qui di seguito anche il "Decreto 231"), in esecuzione della delega contenuta nell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano una nuova figura di responsabilità penale delle persone giuridiche (gli "enti" nel linguaggio del legislatore), definita come “amministrativa” al fine di evitare contrasti con l’articolo 27, comma 1 della Costituzione, per il quale “la responsabilità penale è personale”.
La responsabilità in oggetto scatta in conseguenza della commissione di determinati reati espressamente contemplati dal D.Lgs. 231/2001. I reati cd. presupposto della responsabilità delle imprese sono oggi oltre cento e gli enti, destinatari della norma, sono puniti per il tramite di un particolare sistema sanzionatorio, essenzialmente binario, articolato in sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive (per tali intendendosi: l’interdizione dall’esercizio dell’attività; la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; il divieto di pubblicizzare beni o servizi).
Le sanzioni pecuniarie si applicano sempre mentre quelle interdittive, considerata la loro capacità di incidere sulla stessa operatività e funzionalità dell’ente, si applicano solo ove espressamente previste dalla norma. Inoltre, queste ultime possono essere applicate anche in via cautelare qualora si riscontrino gravi indizi circa la sussistenza della responsabilità dell’ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e quando vi siano fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi nuovi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede.
Sono, infine, previste sanzioni ulteriori quali la confisca dell’eventuale profitto conseguito e la pubblicazione della sentenza di condanna.
Lo stesso Decreto 231, però, prevede uno specifico strumento per consentire l’esonero dalla predetta responsabilità qualora l’ente provi, tra l’altro che:
1. l’organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (qui di seguito definito i “Modelli” o singolarmente il “Modello”);
2. il compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei Modelli, nonché di curarne l’aggiornamento, sia stato affidato ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo (il cd. “Organismo di Vigilanza”).
L’adozione di tali Modelli è, ex lege, facoltativa; tuttavia, l’applicazione quotidiana nelle aule dei tribunali dimostra, nei fatti, che l’adozione dei Modelli è percepita come obbligatoria.
L’efficacia esimente dei Modelli e la loro idoneità è, comunque, rimessa alla valutazione del giudice che deciderà sulla base della dimostrazione della colpevolezza fornita dal PM, in caso di reato commesso da parte di un soggetto subordinato all’altrui direzione e controllo, o di non colpevolezza fornita dall’ente, per il caso di reato commesso da un soggetto cd. apicale (i.e. amministratori e direttore generale).
E questa, come avremo modo di evidenziare in seguito, è una delle iniquità della norma.
L’intervento normativo qui proposto mira ad intervenire su alcune specifiche parti del D.Lgs. 231/2001 affinché il sistema di governance che da questo decreto deriva non venga più percepito solo come un asettico binomio di “regole ed etica” ma come strumento di miglioramento ed efficienza del sistema-impresa.
Regole ed etica, infatti, devono essere i punti di partenza, gli strumenti necessari ad assicurare alle imprese nel lungo periodo creazione di valore, efficacia strategica ed efficienza gestionale ad una organizzazione commerciale che opera nel pieno rispetto delle regole.
Il correttivo che si propone in questa sede mira proprio a questo: favorire la diffusione della nuova cultura del controllo interno dando maggiori garanzie di tenuta al sistema di gestione previsto dal D.Lgs. 231/2001 e, pertanto, stimolando l’adozione dei Modelli da parte del maggior numero di enti possibili.
Entrando nel dettaglio, procediamo ad elencare le principali linee guida del progetto di modifica del D.Lgs. 231/2001. Esse riguardano:
a. l’esclusione dell’applicazione indiscriminata delle sanzioni interdittive in via cautelare ed il corrispondente inasprimento delle pene pecuniarie;
b. l’obbligo di elezione da parte dell’assemblea dell’Organismo di Vigilanza – che dovrà avere forma collegiale – negli enti di interesse pubblico ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. 27 gennaio 2001, n. 39 (società quotate, banche, assicurazioni, intermediari finanziari, ecc.);
c. lo spostamento dell’onere della prova di dimostrare l’inefficacia l’inefficacia del Modello a carico della Pubblica Accusa anche quando il reato è commesso da un soggetto apicale.
Prima di passare alla lettura delle modifiche al testo, premettiamo alcune considerazioni sui punti appena citati.
Anzitutto, relativamente alla necessità di escludere l’applicazione indiscriminata delle sanzioni interdittive in via cautelare si ribadisce quanto precedentemente già rilevato. Le sanzioni interdittive hanno potenzialmente un impatto così devastante da portare alla chiusura dell’ente destinatario delle stesse o, in ogni caso, di comprometterne seriamente la sopravvivenza futura in un mercato, come quello attuale, altamente concorrenziale.
La loro applicazione in sede cautelare accresce notevolmente questa situazione di rischio e di incertezza anche per tutto l’indotto collegato al singolo ente.
Se ipotizziamo la chiusura di una società per sei mesi, non solo è molto probabile che non riesca più a riconquistare le quote di mercato che possedeva prima ma, in primis, è elevato anche il rischio di perdita di posti di lavoro e di danneggiare l’economia locale che, in qualche modo, dipende da quella società. Non dobbiamo, infatti, dimenticarci che in Italia la stragrande maggioranza delle imprese è di natura medio piccola e fortemente radicata nel territorio.
In sostanza, quello che si vuole fare è estendere il regime di esenzione delle misure cautelari di natura interdittiva attualmente vigente per banche, assicurazioni, sim, sgr e sicav – previsto rispettivamente dall’art. 97-bis del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (TUB) e dall’art. 60-bis del D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (TUF) – a tutti gli enti destinatari del D.Lgs. 231/2001.
Il particolare regime di esenzione riconosciuto agli enti finanziari appena menzionati è stato, giustamente, ispirato dal bisogno di salvaguardare la stabilità di questi enti, del mercato in cui operano e di garantire una maggiore sicurezza agli investitori.
Queste stesse necessità si possono e si devono ravvisare anche per qualsiasi altro ente.
L’unico caso in cui vi sarebbe la necessità di inibire l’attività in via cautelare o, quantomeno, di procedere alla comminazione di sanzioni interdittive ad una società sarebbe quello in cui l’unica finalità della società fosse di realizzare il crimine per il quale si sta dibattendo. Inoltre, sarebbe pur sempre possibile il sequestro cautelare del presunto profitto dell’illecito per evitare che esso possa essere occultato o dissipato nel corso del processo.
È opportuno precisare che questa proposta non vuole consentire l’impunità degli enti responsabili di aver commesso degli illeciti, bensì quello di dare stabilità e governabilità al mercato economico, tarando meglio quel sistema di pesi e contrappesi previsti dal D.Lgs. 231/2001, al fine della ricerca di un suo maggior equilibrio.
Per questa ragione, le sanzioni dell’interdizione dall’esercizio dell’attività, della sospensione/revoca delle autorizzazioni e del commissariamento giudiziale dovrebbero applicarsi soltanto con la sentenza di condanna e non anche in via cautelare (eccettuato il caso sopra descritto).
Tutt’al più, le sanzioni interdittive potrebbero essere applicate in via cautelare solo dopo la sentenza di primo grado, su richiesta del Pubblico Ministero (approvata dalla Corte d’Appello competente) e qualora sia presente un grave pericolo di reiterazione del reato.
A fronte di questo intervento che possiamo definire "riduttivo", per incrementare la funzione deterrente del D.Lgs. 231/2001 e per compensare la modifica proposta, si dovrebbe, al tempo stesso, innalzare il valore delle sanzioni pecuniarie.
Passando all’approfondimento del secondo punto, ossia l’obbligo di elezione da parte dell’assemblea dell’Organismo di Vigilanza negli enti di interesse pubblico di cui all’art. 16, D.Lgs. 39/2010, può essere opportuno inquadrare brevemente la figura de qua.
Dopo aver adottato il Modello, le società devono nominare un organismo di vigilanza che ha il compito di garantire sull’efficace attuazione del Modello.
Questi cenni iniziali evidenziano che l’adeguamento organizzativo al D.Lgs. 231/2001, possibile sia in sede costitutiva che durante societate, implica l’introduzione di un sistema procedurale interno specifico per le attività a rischio reato – il Modello – e la creazione di un nuovo organo, l’OdV.
Il D.Lgs. 231/2001 attribuisce all’“organo dirigente” il potere-dovere di adottare, nonché di attuare, un Modello ai fini esimenti e di nominare l’OdV.
Ciononostante, se è vero che per l’introduzione in società di una nuova prassi può sembrare sufficiente una decisione assunta dall’organo amministrativo, le considerazioni di politica economica svolte in precedenza fanno propendere per la necessità di riconoscere all’OdV una veste anche formale.
Così facendo se ne farebbe risaltare, con l’adeguata e conseguente pubblicità societaria, la sua collocazione all’interno della struttura sociale in modo tale che anche i terzi possano venire facilmente a conoscenza del rilievo dato dalla società alle tematiche della trasparenza e della correttezza dei procedimenti interni.
Queste considerazioni assumono ancor più rilievo per le società quotate e, in genere, per gli enti di interesse pubblico di cui al D.Lgs. 39/2010.
Tale rilievo sembra possa suggerire che istituzionalizzare la costituzione, le principali funzioni, i poteri ed i requisiti di autonomia ed indipendenza attraverso l’elezione dell’OdV da parte dell’assemblea si dimostri una scelta più adeguata per proteggere i beni tutelati dalla norma attraverso il Modello.
In forza delle considerazioni proposte, incidendo l’adeguamento dell’ente al D.lgs. 231/2001 non solo sulla gestione, ma anche sulla struttura societaria, potrebbe essere presa in considerazione l’ipotesi di scindere il momento della creazione dell’OdV e dell’introduzione delle principali norme per la sua organizzazione e attività, da quello della concreta e materiale predisposizione del sistema di controllo. Investendo di detto primo momento la competenza dei soci e delegando, invece, alla competenza gestoria dell’organo amministrativo ovvero allo stesso OdV la predisposizione della regolamentazione utile a disciplinare lo svolgimento concreto delle funzioni e della corrispondente attività, quali ad esempio le regole procedimentali attraverso le quali svolgere il controllo richiesto dalla legge.
Con riferimento alla composizione di tale Organismo, almeno negli enti di interesse pubblico, dovrebbe essere prevista obbligatoriamente la forma collegiale per permettere maggior effettività nell’attività di vigilanza e controllo del rispetto del Modello.
Venendo, infine, all’ultima proposta di modifica, ossia lo spostamento dell’onere della prova dell’inadeguatezza e dell’inefficacia del Modello in ogni caso a carico della pubblica accusa, si osserva quanto segue.
Il sistema di imputazione della responsabilità all’ente ex D.Lgs. 231/2001 distingue tra illecito commesso da un soggetto apicale e quello commesso da un sottoposto. In quest’ultimo caso, l’art. 7 del D.Lgs. 231/2001 dispone l’esclusione della responsabilità dell’ente che abbia adottato un Modello; pertanto, in caso di commissione di un illecito da parte di un dipendente, spetterà alla Pubblica Accusa dimostrare la colpevolezza dell’ente.
Contrario è, invece, il funzionamento del sistema nel caso di illecito commesso da un soggetto apicale. >ART. 1.
(Modifiche all’art. 6, D.Lgs. 231/2001)
Il comma 1 dell’art. 6, D.Lgs. 231/2001, è sostituito dal seguente:
"1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a) e lettera b), per aversi la responsabilità amministrativa dell’ente la pubblica accusa dovrà dimostrare che:
a) l’organo dirigente non ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento non è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
b-bis) l’organismo di vigilanza di cui alla lettera b) che precede, nell’ambito degli enti di interesse pubblico economico di cui all’art. 16 del D.Lgs. 39/2010:
i) deve essere nominato dall’assemblea dei soci a maggioranza semplice;
ii) deve avere natura collegiale;
iii) almeno un membro dell’organismo di vigilanza deve essere scelto tra soggetti esterni all’ente e dotati delle stesse caratteristiche di indipendenza di cui all’art. 2399 c.c.. In tutte le società o enti in cui è nominato un Organismo di Vigilanza:
i) deve essere data apposita comunicazione della sua nomina al Registro Imprese entro 30 (trenta) giorni a cura degli amministratori;
ii) deve riferire annualmente all’assemblea in merito al suo operato con apposita relazione da presentare in occasione dell’approvazione del bilancio;
c) le persone hanno commesso il reato non eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b)".
Aggiungere dopo il comma 2, art. 6, D.Lgs. 231/2001, il seguente comma 2-bis:
"Nelle società indicate nell’art. 6 comma 1 lett. b-bis) i), i modelli organizzativi di cui alla lettera a) del comma 1 del presente articolo devono essere approvati con delibera dell’assemblea ai sensi dell’art. 2364, 1° comma, n. 5, c.c. presa a maggioranza semplice".
Sostituire il comma 3, art. 6, D.Lgs. 231/2001, con il seguente:
"Fino a prova contraria, si presumono avere efficacia esimente dalla responsabilità amministrativa degli enti i modelli di organizzazione e di gestione definiti conformemente alle indicazioni contenute nelle linee guida ovvero nei codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti e comunicati al Ministero della Giustizia. Il Ministero della Giustizia, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni dalle comunicazioni (sia in ipotesi di nuove linee guida o nuovi codici di comportamento sia in caso di modifica e/o aggiornamento degli stessi), osservazioni sulla idoneità di tali linee guida o codici di comportamento. Il Ministero della Giustizia indica le regole procedimentali che si dovranno seguire in occasione di tali comunicazioni".
ART. 2.
(Modifiche all’art. 9, D.Lgs. 231/2001)
Aggiungere dopo il comma 2, art. 9, D.Lgs. 231/2001, il seguente comma 3:
"al di fuori dei casi in cui l’unica finalità della società o dell’ente fosse quello di realizzare un progetto criminoso, in cui sono applicabili in via cautelare tutte le sanzioni interdittive previste dal presente Decreto, in via cautelare possono essere previste solo le misure del sequestro preventivo di cui all’art. 53 del D.Lgs. 231/2001 e del sequestro conservativo di cui all’art. 54 D.Lgs. 231/2001. Le sanzioni interdittive possono essere ulteriormente comminate in via cautelare solo dopo: i) la sentenza di condanna di primo grado e ii) e su richiesta del Pubblico Ministero approvata dalla Corte d’Appello competente, qualora sia presente un grave pericolo di reiterazione del reato".
ART. 3.
Gli articoli da 45 a 51 del D.Lgs. 231/2001 sono abrogati.
ART. 4.
(Modifiche all’art. 10, D.Lgs. 231/2001)
Sostituire il comma 2, art. 10, D.Lgs. 231/2001, con il seguente: "La sanzione pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a 200 né superiore a 2.000".
Sostituire il comma 3, art. 10, D.Lgs. 231/2001, con il seguente: "L’importo di una quota va da un minimo di Euro 200,00 ad un massimo di Euro 2.000,00".
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PROPOSTA DI LEGGE PRESENTATA DA
On. Benedetto Della Vedova
Proposta di modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante "Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300"
Onorevoli Colleghi!
Il presente disegno di legge contiene una proposta di modifica al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, recante "Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300", al fine di favorire la diffusione e il radicamento nelle imprese di una rinnovata cultura della legalità, del controllo e della regolarità volta all’ottimizzazione delle risorse e all’efficienza del sistemaimpresa.
Una breve premessa può aiutare ad inquadrare meglio la fattispecie normativa.
Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (qui di seguito anche il "Decreto 231"), in esecuzione della delega contenuta nell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300, ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano una nuova figura di responsabilità penale delle persone giuridiche (gli "enti" nel linguaggio del legislatore), definita come “amministrativa” al fine di evitare contrasti con l’articolo 27, comma 1 della Costituzione, per il quale “la responsabilità penale è personale”.
La responsabilità in oggetto scatta in conseguenza della commissione di determinati reati espressamente contemplati dal D.Lgs. 231/2001. I reati cd. presupposto della responsabilità delle imprese sono oggi oltre cento e gli enti, destinatari della norma, sono puniti per il tramite di un particolare sistema sanzionatorio, essenzialmente binario, articolato in sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive (per tali intendendosi: l’interdizione dall’esercizio dell’attività; la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; il divieto di pubblicizzare beni o servizi).
Le sanzioni pecuniarie si applicano sempre mentre quelle interdittive, considerata la loro capacità di incidere sulla stessa operatività e funzionalità dell’ente, si applicano solo ove espressamente previste dalla norma. Inoltre, queste ultime possono essere applicate anche in via cautelare qualora si riscontrino gravi indizi circa la sussistenza della responsabilità dell’ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e quando vi siano fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi nuovi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede.
Sono, infine, previste sanzioni ulteriori quali la confisca dell’eventuale profitto conseguito e la pubblicazione della sentenza di condanna.
Lo stesso Decreto 231, però, prevede uno specifico strumento per consentire l’esonero dalla predetta responsabilità qualora l’ente provi, tra l’altro che:
1. l’organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (qui di seguito definito i “Modelli” o singolarmente il “Modello”);
2. il compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei Modelli, nonché di curarne l’aggiornamento, sia stato affidato ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo (il cd. “Organismo di Vigilanza”).
L’adozione di tali Modelli è, ex lege, facoltativa; tuttavia, l’applicazione quotidiana nelle aule dei tribunali dimostra, nei fatti, che l’adozione dei Modelli è percepita come obbligatoria.
L’efficacia esimente dei Modelli e la loro idoneità è, comunque, rimessa alla valutazione del giudice che deciderà sulla base della dimostrazione della colpevolezza fornita dal PM, in caso di reato commesso da parte di un soggetto subordinato all’altrui direzione e controllo, o di non colpevolezza fornita dall’ente, per il caso di reato commesso da un soggetto cd. apicale (i.e. amministratori e direttore generale).
E questa, come avremo modo di evidenziare in seguito, è una delle iniquità della norma.
L’intervento normativo qui proposto mira ad intervenire su alcune specifiche parti del D.Lgs. 231/2001 affinché il sistema di governance che da questo decreto deriva non venga più percepito solo come un asettico binomio di “regole ed etica” ma come strumento di miglioramento ed efficienza del sistema-impresa.
Regole ed etica, infatti, devono essere i punti di partenza, gli strumenti necessari ad assicurare alle imprese nel lungo periodo creazione di valore, efficacia strategica ed efficienza gestionale ad una organizzazione commerciale che opera nel pieno rispetto delle regole.
Il correttivo che si propone in questa sede mira proprio a questo: favorire la diffusione della nuova cultura del controllo interno dando maggiori garanzie di tenuta al sistema di gestione previsto dal D.Lgs. 231/2001 e, pertanto, stimolando l’adozione dei Modelli da parte del maggior numero di enti possibili.
Entrando nel dettaglio, procediamo ad elencare le principali linee guida del progetto di modifica del D.Lgs. 231/2001. Esse riguardano:
a. l’esclusione dell’applicazione indiscriminata delle sanzioni interdittive in via cautelare ed il corrispondente inasprimento delle pene pecuniarie;
b. l’obbligo di elezione da parte dell’assemblea dell’Organismo di Vigilanza – che dovrà avere forma collegiale – negli enti di interesse pubblico ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. 27 gennaio 2001, n. 39 (società quotate, banche, assicurazioni, intermediari finanziari, ecc.);
c. lo spostamento dell’onere della prova di dimostrare l’inefficacia l’inefficacia del Modello a carico della Pubblica Accusa anche quando il reato è commesso da un soggetto apicale.
Prima di passare alla lettura delle modifiche al testo, premettiamo alcune considerazioni sui punti appena citati.
Anzitutto, relativamente alla necessità di escludere l’applicazione indiscriminata delle sanzioni interdittive in via cautelare si ribadisce quanto precedentemente già rilevato. Le sanzioni interdittive hanno potenzialmente un impatto così devastante da portare alla chiusura dell’ente destinatario delle stesse o, in ogni caso, di comprometterne seriamente la sopravvivenza futura in un mercato, come quello attuale, altamente concorrenziale.
La loro applicazione in sede cautelare accresce notevolmente questa situazione di rischio e di incertezza anche per tutto l’indotto collegato al singolo ente.
Se ipotizziamo la chiusura di una società per sei mesi, non solo è molto probabile che non riesca più a riconquistare le quote di mercato che possedeva prima ma, in primis, è elevato anche il rischio di perdita di posti di lavoro e di danneggiare l’economia locale che, in qualche modo, dipende da quella società. Non dobbiamo, infatti, dimenticarci che in Italia la stragrande maggioranza delle imprese è di natura medio piccola e fortemente radicata nel territorio.
In sostanza, quello che si vuole fare è estendere il regime di esenzione delle misure cautelari di natura interdittiva attualmente vigente per banche, assicurazioni, sim, sgr e sicav – previsto rispettivamente dall’art. 97-bis del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (TUB) e dall’art. 60-bis del D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (TUF) – a tutti gli enti destinatari del D.Lgs. 231/2001.
Il particolare regime di esenzione riconosciuto agli enti finanziari appena menzionati è stato, giustamente, ispirato dal bisogno di salvaguardare la stabilità di questi enti, del mercato in cui operano e di garantire una maggiore sicurezza agli investitori.
Queste stesse necessità si possono e si devono ravvisare anche per qualsiasi altro ente.
L’unico caso in cui vi sarebbe la necessità di inibire l’attività in via cautelare o, quantomeno, di procedere alla comminazione di sanzioni interdittive ad una società sarebbe quello in cui l’unica finalità della società fosse di realizzare il crimine per il quale si sta dibattendo. Inoltre, sarebbe pur sempre possibile il sequestro cautelare del presunto profitto dell’illecito per evitare che esso possa essere occultato o dissipato nel corso del processo.
È opportuno precisare che questa proposta non vuole consentire l’impunità degli enti responsabili di aver commesso degli illeciti, bensì quello di dare stabilità e governabilità al mercato economico, tarando meglio quel sistema di pesi e contrappesi previsti dal D.Lgs. 231/2001, al fine della ricerca di un suo maggior equilibrio.
Per questa ragione, le sanzioni dell’interdizione dall’esercizio dell’attività, della sospensione/revoca delle autorizzazioni e del commissariamento giudiziale dovrebbero applicarsi soltanto con la sentenza di condanna e non anche in via cautelare (eccettuato il caso sopra descritto).
Tutt’al più, le sanzioni interdittive potrebbero essere applicate in via cautelare solo dopo la sentenza di primo grado, su richiesta del Pubblico Ministero (approvata dalla Corte d’Appello competente) e qualora sia presente un grave pericolo di reiterazione del reato.
A fronte di questo intervento che possiamo definire "riduttivo", per incrementare la funzione deterrente del D.Lgs. 231/2001 e per compensare la modifica proposta, si dovrebbe, al tempo stesso, innalzare il valore delle sanzioni pecuniarie.
Passando all’approfondimento del secondo punto, ossia l’obbligo di elezione da parte dell’assemblea dell’Organismo di Vigilanza negli enti di interesse pubblico di cui all’art. 16, D.Lgs. 39/2010, può essere opportuno inquadrare brevemente la figura de qua.
Dopo aver adottato il Modello, le società devono nominare un organismo di vigilanza che ha il compito di garantire sull’efficace attuazione del Modello.
Questi cenni iniziali evidenziano che l’adeguamento organizzativo al D.Lgs. 231/2001, possibile sia in sede costitutiva che durante societate, implica l’introduzione di un sistema procedurale interno specifico per le attività a rischio reato – il Modello – e la creazione di un nuovo organo, l’OdV.
Il D.Lgs. 231/2001 attribuisce all’“organo dirigente” il potere-dovere di adottare, nonché di attuare, un Modello ai fini esimenti e di nominare l’OdV.
Ciononostante, se è vero che per l’introduzione in società di una nuova prassi può sembrare sufficiente una decisione assunta dall’organo amministrativo, le considerazioni di politica economica svolte in precedenza fanno propendere per la necessità di riconoscere all’OdV una veste anche formale.
Così facendo se ne farebbe risaltare, con l’adeguata e conseguente pubblicità societaria, la sua collocazione all’interno della struttura sociale in modo tale che anche i terzi possano venire facilmente a conoscenza del rilievo dato dalla società alle tematiche della trasparenza e della correttezza dei procedimenti interni.
Queste considerazioni assumono ancor più rilievo per le società quotate e, in genere, per gli enti di interesse pubblico di cui al D.Lgs. 39/2010.
Tale rilievo sembra possa suggerire che istituzionalizzare la costituzione, le principali funzioni, i poteri ed i requisiti di autonomia ed indipendenza attraverso l’elezione dell’OdV da parte dell’assemblea si dimostri una scelta più adeguata per proteggere i beni tutelati dalla norma attraverso il Modello.
In forza delle considerazioni proposte, incidendo l’adeguamento dell’ente al D.lgs. 231/2001 non solo sulla gestione, ma anche sulla struttura societaria, potrebbe essere presa in considerazione l’ipotesi di scindere il momento della creazione dell’OdV e dell’introduzione delle principali norme per la sua organizzazione e attività, da quello della concreta e materiale predisposizione del sistema di controllo. Investendo di detto primo momento la competenza dei soci e delegando, invece, alla competenza gestoria dell’organo amministrativo ovvero allo stesso OdV la predisposizione della regolamentazione utile a disciplinare lo svolgimento concreto delle funzioni e della corrispondente attività, quali ad esempio le regole procedimentali attraverso le quali svolgere il controllo richiesto dalla legge.
Con riferimento alla composizione di tale Organismo, almeno negli enti di interesse pubblico, dovrebbe essere prevista obbligatoriamente la forma collegiale per permettere maggior effettività nell’attività di vigilanza e controllo del rispetto del Modello.
Venendo, infine, all’ultima proposta di modifica, ossia lo spostamento dell’onere della prova dell’inadeguatezza e dell’inefficacia del Modello in ogni caso a carico della pubblica accusa, si osserva quanto segue.
Il sistema di imputazione della responsabilità all’ente ex D.Lgs. 231/2001 distingue tra illecito commesso da un soggetto apicale e quello commesso da un sottoposto. In quest’ultimo caso, l’art. 7 del D.Lgs. 231/2001 dispone l’esclusione della responsabilità dell’ente che abbia adottato un Modello; pertanto, in caso di commissione di un illecito da parte di un dipendente, spetterà alla Pubblica Accusa dimostrare la colpevolezza dell’ente.
Contrario è, invece, il funzionamento del sistema nel caso di illecito commesso da un soggetto apicale.
L’art. 6 del D.Lgs. 231/2001 prevede un’inversione dell’onere della prova. Infatti, richiede all’ente di fornire elementi idonei a giustificare la corretta e concreta adozione del Modello e che l’autore dell’illecito lo abbia commesso eludendo fraudolentemente il Modello.
In sostanza, è stabilito che all’ente accusato spetti la prova della propria non colpevolezza sovvertendo l’ordine precostituito delle cose poiché per il nostro ordinamento giuridico è sul PM che grava l’onere della prova.
In pratica, si assiste ad una presunzione di colpevolezza dell’ente.
Questa circostanza, in considerazione del fatto che è pacificamente riconosciuta come penale la natura della responsabilità ex D.Lgs. 231/2001, si scontra palesemente con la presunzione di non colpevolezza dell’imputato fino a sentenza passata in giudicato ex art. 27 della nostra Costituzione.
Quindi, secondo la vigente impostazione, l’illecito del soggetto apicale non trascina nella responsabilità l’ente solo nell’ipotesi in cui l’ente stesso possa dimostrare che lo stesso soggetto apicale abbia "pervertito e frustrato con l’inganno l’intero sistema decisionale e di controllo della società" (Trib. Milano, 27.04.2004).
Si tratta dell’ipotesi di scuola e manualistica del cd. amministratore infedele che, come è facile immaginare, è estremamente difficile da poter dimostrare in sede di giudizio. L’ente, infatti, dovrebbe dimostrare che il soggetto apicale ha agito contro l’interesse che ha l’ente stesso al proprio corretto funzionamento.
È evidente che tale difficoltà probatoria aumenta in maniera esponenziale la situazione di incertezza del diritto e che nuoce a quelle imprese che hanno investito risorse anche nell’organizzazione di un sistema di controllo.
Se lo spirito che ci anima è quello di favorire la diffusione e il radicamento nelle imprese di una rinnovata cultura del controllo, della legalità e della regolarità volta all’ottimizzazione delle risorse, l’attuale formulazione della norma non può che scontrarsi con le nostre aspettative.
Il vigente approccio che caratterizza il D.Lgs. 231/2001 sul punto deve essere mutato e mutuato da quello alla base del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il Testo unico in materia di Sicurezza sul lavoro. Il TU, infatti, contempla all’art. 30 uno strumento di gestione della sicurezza sul lavoro che si integra con il Modello ex D.Lgs. 231/2001 e che prevede:
· un’esplicita presunzione di conformità del Modello al dettato normativo;
· un’efficacia esimente dalla responsabilità ex D.lgs. 231/2001; e, quindi,
· una presunzione di non colpevolezza fino a prova contraria, nel rispetto dei principi costituzionalmente fissati;
· l’onere della prova della colpevolezza a carico della pubblica accusa.
L’approccio che ha ispirato l’art. 30 TU Sicurezza è stato caratterizzato dall’obiettivo di veicolare alle imprese – per il tramite della presunzione di conformità – il messaggio della centralità dello sviluppo di prassi virtuose nella gestione della sicurezza sul lavoro sensibilizzando le società al problema e consentendola diffusione dei Modelli antinfortunistici.
Questo nuovo approccio consentirebbe di passare da una presunzione di colpevolezza ad una presunzione di conformità; consentirebbe la diffusione dei Modelli e della cultura della legalità; rispetterebbe al meglio il dettato della nostra Costituzione; restituirebbe l’attività inquisitoria ai PM.