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Riaddebiti Intercompany: tra inerenza e transfer pricing

Secondo quanto disposto dal Provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 29 settembre, con cui si è data attuazione alla norma anti-sanzioni sul transfer pricing, introdotta dal Dl 78/2010, convertito nella legge n. 122 del 30 luglio 2010, la comunicazione del possesso del set documentale sul transfer pricing va effettuata annualmente con la presentazione della dichiarazione dei redditi. Non sempre però le fattispecie assimilabili al transfer pricing sono facilmente individuabili. I costi derivanti da riaddebito intercompany, non corredati da idonea documentazione, non rientrano, per esempio, in tale disciplina, rappresentando semplicemente componenti negativi non deducibili in base ai principi generali posti dall’articolo 109 del Tuir. Distinguere le due fattispecie, anche alla luce degli adempimenti formali che ne seguono, può essere quindi opportuno.

La comunicazione del possesso del set documentale sul transfer pricing va effettuata annualmente con la presentazione della dichiarazione dei redditi.

Le indicazioni emergono dal Provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 29 settembre, con cui si è data attuazione alla norma anti-sanzioni sul transfer pricing, introdotta dal Dl 78/2010, convertito nella legge n. 122 del 30 luglio 2010.

In materia di transfer pricing, infatti, la regola base (ex articolo 110 del Tuir) è quella per cui le transazioni commerciali (beni ceduti/acquistati e servizi prestati/ricevuti) con società non residenti in Italia, ma facenti parte dello stesso gruppo, vanno valutate al valore normale. Questo per evitare arbitraggi fiscali e trasferimenti di materia imponibile da un Paese all’altro.

La manovra correttiva di cui al DL 78/200 ha dunque modificato l’articolo 1 del Dlgs 471/1997, eliminando la sanzione per infedele dichiarazione per il contribuente che consegni all’Amministrazione Finanziaria la documentazione “idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati”.

La documentazione comunque non vincola l’Amministrazione (e le sanzioni possono, perciò, scattare) quando il contribuente:

  • non presenti i contenuti informativi completi e conformi alle disposizioni contenute nel provvedimento, pur rispettando la prescrizioni sulla struttura formale
  • le informazioni in essa fornite non corrispondono in tutto o in parte al vero.

I soggetti che detengono la documentazione, come detto, devono quindi comunicarne il possesso all’Agenzia delle Entrate con la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi.

Non sempre però le fattispecie assimilabili al transfer pricing sono facilmente individuabili.

I costi derivanti da riaddebito intercompany, non corredati da idonea documentazione, non rientrano per esempio in tale disciplina, rappresentando semplicemente componenti negativi non deducibili.

E questo, appunto, non in applicazione della disciplina in tema di transfer pricing, ma in base ai principi generali posti dall’articolo 109 del Tuir.

Distinguere le due fattispecie, anche alla luce degli adempimenti formali che ne seguono, può essere quindi opportuno.

Costituisce principio ormai pacifico il fatto che l’onere probatorio dei presupposti dell’esistenza, certezza ed inerenza di un componente negativo di reddito grava sul contribuente.

La Sentenza n. 1709 del 26 gennaio 2007 della Corte di Cassazione, in un caso relativo alla indeducibilità di fatture di riaddebito carenti nella descrizione della causale, ha a tal proposito già avuto modo di ribadire che, laddove il contribuente non dimostri l'inerenza del costo all'attività dell'impresa e laddove la fattura sia caratterizzata da indicazioni assolutamente generiche, che non consentano di individuare la natura del rapporto intercorso tra le società, vengono a mancare i presupposti fondamentali circa la certezza e l'inerenza del costo sostenuto.

La Corte sottolinea poi come “si deve aggiungere, inoltre, che trattandosi di servizi transnazionali, gli stessi sono soggetti al regime del transfer pricing, e cioè all'accertamento del loro valore da parte dell'Amministrazione finanziaria, la quale, a prescindere dall'esistenza e dall'inerenza all'attività d'impresa, può esercitare un sindacato sulla loro congruità. … Pur non essendo stato tale profilo giuridico espressamente dedotto nelle difese dell'ufficio, si deve ritenere che, comunque, esso doveva essere considerato dal giudice di merito, nell'ambito della verifica sull'esercizio di potere di rettifica, riguardando incontestabilmente il problema dell'inerenza del costo, …. In conclusione … i Giudici di rinvio dovranno procedere ad un analitico esame della documentazione offerta dalla società …, uniformandosi al seguente principio di diritto: “L'onere della prova dell'esistenza e dell'inerenza di un costo incombe al contribuente; per quanto riguarda i costi derivanti da servizi prestati da società controllante estera ad una controllata italiana, tale onere comprende ogni elemento che consenta all'Amministrazione finanziaria di verificare il normale valore degli stessi servizi”.

L’iter logico-giuridico seguito dai Giudici di legittimità nella sentenza citata non partiva dunque dall’applicazione dell’art. 110, comma 7, del Tuir, bensì dalla prioritaria e precedente verifica del rispetto del principio di inerenza di cui all’art. 109, comma 5, del Tuir.

Tale principio, come noto, è infatti un principio di carattere generale dell’ordinamento tributario, la cui sussistenza si colloca “a monte” della verifica della congruità quantitativa di cui all’art. 110, comma 7, del Tuir.

E’ quindi evidente che spetta al contribuente, secondo i criteri generali, fornire tutti gli elementi atti a supportare la deducibilità dei costi sostenuti, compresi i riaddebiti intercompany.

Ovviamente, la prova dell’esistenza e dell’inerenza dei costi oggetto di riaddebito implica anche che il contribuente sia in grado di fornire all’Amministrazione Finanziaria, prima di tutto, la documentazione che tale costo attesti, nella sua esistenza e nella sua inerenza all’attività di impresa, e poi, comunque, anche ogni elemento che (eventualmente, in una seconda fase di controllo) consenta di verificare il valore normale dei servizi prestati e quindi la congruità anche quantitativa del costo.

I due procedimenti di valutazione attengono però a fasi diverse di controllo: in sostanza si passa alla seconda (congruità del costo in termini di inerenza quantitativa) solo una volta che il contribuente sia stato almeno in grado di superare la prima (documentazione del costo in termini di certezza ed inerenza qualititativa).

Laddove il contribuente non sia in grado di superare la prima fase di controllo, i riaddebiti non documentati, come qualsiasi costo non documentato, non possono essere dedotti ex art. 109 del Tuir.

Naturalmente, infatti, non vi è ragione di identificare un valore normale e di valutarne la congruità, se il costo, in assenza di sufficiente documentazione, è contestato nella sua esistenza o nella sua inerenza, in quanto, ricorrendo queste ipotesi, la rettifica si basa sulle norme ordinarie dell’art.109 del Tuir.

Al fine dunque della deducibilità del corrispondente costo è fondamentale indicare nelle note di addebito almeno le famiglie a cui queste si riferiscono, o le spedizioni/acquisti effettuati in un determinato periodo di tempo, come è fondamentale che la nota di variazione possa (rectius: debba) essere sempre collegabile all’operazione originaria, dovendo il contribuente dimostrare l’identità tra oggetto della fattura e registrazione originaria da una parte e oggetto della registrazione della variazione dall’altra, cosicché esista, senza ombra di dubbio, corrispondenza tra i due atti contabili (vedi anche Cass. 9188/2001).

In conclusione, in presenza di componenti negativi di reddito spetta al contribuente l’onere di fornire la prova, puntuale, della loro deducibilità.

E questo vale a maggior ragione in caso di operazioni infragruppo, dove la “tentazione” dell’arbitraggio nello spostamento di costi da una società all’altra è semmai più forte e più agevolmente realizzabile.

Le modalità di riaddebito infragruppo, pertanto, devono essere oggettive e documentabili.

I requisiti di oggettività e di dimostrabilità sono del resto tanto più verificabili quanto maggiore è il grado di formalizzazione degli accordi intervenuti e dei criteri concretamente applicati.

Come ricordato dalla Corte Suprema con la sentenza n. 9188 del 6 luglio 2001, infatti, “In base al combinato disposto dell'art. 26, commi 2 e 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, risulta che il soggetto passivo dell'Iva, il quale rilasci note di credito, è vincolato, se desidera avvalersi della riduzione ivi prevista, a preordinare, in sede di registrazione delle operazioni, la prova che la riduzione si realizza entro un anno dall'effettuazione dell'operazione imponibile. Tale prova può essere fornita solo attraverso l'indicazione di quei dati che siano idonei a collegare le due operazioni: identità tra l'oggetto della fattura e delle registrazioni originarie da un lato e l'oggetto della variazione dall'altro”.

La mancanza del raccordo tra registrazione originaria e registrazione oggetto di variazione, peraltro, non consente neppure il controllo della tempestività (annuale) della variazione stessa.

Infatti, dice ancora la Corte Suprema, tenendo conto combinatamente delle disposizioni contenute nei commi 2 e 3 dell'art. 26, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, risulta che “… lo scopo perseguito dalla legge è quello di impedire pericolose forme di elusione degli obblighi del contribuente. E lo scopo si persegue, anzitutto, attraverso il principio della immodificabilità, sia unilaterale sia concordata tra le parti, delle registrazioni obbligatorie, fatto salvo il caso di successive variazioni dell'imponibile o dell'imposta ex art. 26, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che sono circondate, però, di particolari garanzie. Il conseguimento dello scopo è assicurato se il contribuente dimostra che vi è identità tra l'oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un lato, e, dall'altro, l'oggetto della registrazione della variazione, in modo che esista corrispondenza tra i due atti contabili (cfr. Corte di cassazione, 2 giugno 1999, n. 5356). Infatti, il vincolo di registrare le variazioni, a parte la diversità contenutistica derivante dalla sua natura di onere, ha il medesimo oggetto dell'obbligo di registrazione della fattura e un contenuto di segno totalmente o parzialmente contrario (cfr. Corte di cassazione, 2 settembre 1995, n. 9274)”.

Visto dunque il principio di immodificabilità delle registrazioni, salvo determinate eccezioni, coperte da specifiche garanzie, laddove tali garanzie non vengano rispettate, l’eccezione non si applica e la registrazione resta immodificabile.

La disciplina in tema di transfer pricing, dunque, è inconferente (almeno in una prima fase) rispetto alle contestazioni di addebiti intercompany per insufficiente documentazione giustificativa.

Si tratta, come detto, semplicemente di costi non documentati.

Se quindi il contribuente vuole avere diritto alla deduzione deve innanzitutto produrre prove e documentazione in ordine:

-   all’effettiva esistenza del costo;

-   alla sua specifica inerenza;

-   alla coincidenza tra operazione originaria e operazione oggetto di variazione;

-   alla tempestività della variazione.

Se tutto questo manca non sussiste dunque alcun motivo per passare alla seconda fase di valutazione della congruità del prezzo sulla base della disciplina in tema di transfer pricing.

Secondo quanto disposto dal Provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 29 settembre, con cui si è data attuazione alla norma anti-sanzioni sul transfer pricing, introdotta dal Dl 78/2010, convertito nella legge n. 122 del 30 luglio 2010, la comunicazione del possesso del set documentale sul transfer pricing va effettuata annualmente con la presentazione della dichiarazione dei redditi. Non sempre però le fattispecie assimilabili al transfer pricing sono facilmente individuabili. I costi derivanti da riaddebito intercompany, non corredati da idonea documentazione, non rientrano, per esempio, in tale disciplina, rappresentando semplicemente componenti negativi non deducibili in base ai principi generali posti dall’articolo 109 del Tuir. Distinguere le due fattispecie, anche alla luce degli adempimenti formali che ne seguono, può essere quindi opportuno.

La comunicazione del possesso del set documentale sul transfer pricing va effettuata annualmente con la presentazione della dichiarazione dei redditi.

Le indicazioni emergono dal Provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 29 settembre, con cui si è data attuazione alla norma anti-sanzioni sul transfer pricing, introdotta dal Dl 78/2010, convertito nella legge n. 122 del 30 luglio 2010.

In materia di transfer pricing, infatti, la regola base (ex articolo 110 del Tuir) è quella per cui le transazioni commerciali (beni ceduti/acquistati e servizi prestati/ricevuti) con società non residenti in Italia, ma facenti parte dello stesso gruppo, vanno valutate al valore normale. Questo per evitare arbitraggi fiscali e trasferimenti di materia imponibile da un Paese all’altro.

La manovra correttiva di cui al DL 78/200 ha dunque modificato l’articolo 1 del Dlgs 471/1997, eliminando la sanzione per infedele dichiarazione per il contribuente che consegni all’Amministrazione Finanziaria la documentazione “idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati”.

La documentazione comunque non vincola l’Amministrazione (e le sanzioni possono, perciò, scattare) quando il contribuente:

  • non presenti i contenuti informativi completi e conformi alle disposizioni contenute nel provvedimento, pur rispettando la prescrizioni sulla struttura formale
  • le informazioni in essa fornite non corrispondono in tutto o in parte al vero.

I soggetti che detengono la documentazione, come detto, devono quindi comunicarne il possesso all’Agenzia delle Entrate con la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi.

Non sempre però le fattispecie assimilabili al transfer pricing sono facilmente individuabili.

I costi derivanti da riaddebito intercompany, non corredati da idonea documentazione, non rientrano per esempio in tale disciplina, rappresentando semplicemente componenti negativi non deducibili.

E questo, appunto, non in applicazione della disciplina in tema di transfer pricing, ma in base ai principi generali posti dall’articolo 109 del Tuir.

Distinguere le due fattispecie, anche alla luce degli adempimenti formali che ne seguono, può essere quindi opportuno.

Costituisce principio ormai pacifico il fatto che l’onere probatorio dei presupposti dell’esistenza, certezza ed inerenza di un componente negativo di reddito grava sul contribuente.

La Sentenza n. 1709 del 26 gennaio 2007 della Corte di Cassazione, in un caso relativo alla indeducibilità di fatture di riaddebito carenti nella descrizione della causale, ha a tal proposito già avuto modo di ribadire che, laddove il contribuente non dimostri l'inerenza del costo all'attività dell'impresa e laddove la fattura sia caratterizzata da indicazioni assolutamente generiche, che non consentano di individuare la natura del rapporto intercorso tra le società, vengono a mancare i presupposti fondamentali circa la certezza e l'inerenza del costo sostenuto.

La Corte sottolinea poi come “si deve aggiungere, inoltre, che trattandosi di servizi transnazionali, gli stessi sono soggetti al regime del transfer pricing, e cioè all'accertamento del loro valore da parte dell'Amministrazione finanziaria, la quale, a prescindere dall'esistenza e dall'inerenza all'attività d'impresa, può esercitare un sindacato sulla loro congruità. … Pur non essendo stato tale profilo giuridico espressamente dedotto nelle difese dell'ufficio, si deve ritenere che, comunque, esso doveva essere considerato dal giudice di merito, nell'ambito della verifica sull'esercizio di potere di rettifica, riguardando incontestabilmente il problema dell'inerenza del costo, …. In conclusione … i Giudici di rinvio dovranno procedere ad un analitico esame della documentazione offerta dalla società …, uniformandosi al seguente principio di diritto: “L'onere della prova dell'esistenza e dell'inerenza di un costo incombe al contribuente; per quanto riguarda i costi derivanti da servizi prestati da società controllante estera ad una controllata italiana, tale onere comprende ogni elemento che consenta all'Amministrazione finanziaria di verificare il normale valore degli stessi servizi”.

L’iter logico-giuridico seguito dai Giudici di legittimità nella sentenza citata non partiva dunque dall’applicazione dell’art. 110, comma 7, del Tuir, bensì dalla prioritaria e precedente verifica del rispetto del principio di inerenza di cui all’art. 109, comma 5, del Tuir.

Tale principio, come noto, è infatti un principio di carattere generale dell’ordinamento tributario, la cui sussistenza si colloca “a monte” della verifica della congruità quantitativa di cui all’art. 110, comma 7, del Tuir.

E’ quindi evidente che spetta al contribuente, secondo i criteri generali, fornire tutti gli elementi atti a supportare la deducibilità dei costi sostenuti, compresi i riaddebiti intercompany.

Ovviamente, la prova dell’esistenza e dell’inerenza dei costi oggetto di riaddebito implica anche che il contribuente sia in grado di fornire all’Amministrazione Finanziaria, prima di tutto, la documentazione che tale costo attesti, nella sua esistenza e nella sua inerenza all’attività di impresa, e poi, comunque, anche ogni elemento che (eventualmente, in una seconda fase di controllo) consenta di verificare il valore normale dei servizi prestati e quindi la congruità anche quantitativa del costo.

I due procedimenti di valutazione attengono però a fasi diverse di controllo: in sostanza si passa alla seconda (congruità del costo in termini di inerenza quantitativa) solo una volta che il contribuente sia stato almeno in grado di superare la prima (documentazione del costo in termini di certezza ed inerenza qualititativa).

Laddove il contribuente non sia in grado di superare la prima fase di controllo, i riaddebiti non documentati, come qualsiasi costo non documentato, non possono essere dedotti ex art. 109 del Tuir.

Naturalmente, infatti, non vi è ragione di identificare un valore normale e di valutarne la congruità, se il costo, in assenza di sufficiente documentazione, è contestato nella sua esistenza o nella sua inerenza, in quanto, ricorrendo queste ipotesi, la rettifica si basa sulle norme ordinarie dell’art.109 del Tuir.

Al fine dunque della deducibilità del corrispondente costo è fondamentale indicare nelle note di addebito almeno le famiglie a cui queste si riferiscono, o le spedizioni/acquisti effettuati in un determinato periodo di tempo, come è fondamentale che la nota di variazione possa (rectius: debba) essere sempre collegabile all’operazione originaria, dovendo il contribuente dimostrare l’identità tra oggetto della fattura e registrazione originaria da una parte e oggetto della registrazione della variazione dall’altra, cosicché esista, senza ombra di dubbio, corrispondenza tra i due atti contabili (vedi anche Cass. 9188/2001).

In conclusione, in presenza di componenti negativi di reddito spetta al contribuente l’onere di fornire la prova, puntuale, della loro deducibilità.

E questo vale a maggior ragione in caso di operazioni infragruppo, dove la “tentazione” dell’arbitraggio nello spostamento di costi da una società all’altra è semmai più forte e più agevolmente realizzabile.

Le modalità di riaddebito infragruppo, pertanto, devono essere oggettive e documentabili.

I requisiti di oggettività e di dimostrabilità sono del resto tanto più verificabili quanto maggiore è il grado di formalizzazione degli accordi intervenuti e dei criteri concretamente applicati.

Come ricordato dalla Corte Suprema con la sentenza n. 9188 del 6 luglio 2001, infatti, “In base al combinato disposto dell'art. 26, commi 2 e 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, risulta che il soggetto passivo dell'Iva, il quale rilasci note di credito, è vincolato, se desidera avvalersi della riduzione ivi prevista, a preordinare, in sede di registrazione delle operazioni, la prova che la riduzione si realizza entro un anno dall'effettuazione dell'operazione imponibile. Tale prova può essere fornita solo attraverso l'indicazione di quei dati che siano idonei a collegare le due operazioni: identità tra l'oggetto della fattura e delle registrazioni originarie da un lato e l'oggetto della variazione dall'altro”.

La mancanza del raccordo tra registrazione originaria e registrazione oggetto di variazione, peraltro, non consente neppure il controllo della tempestività (annuale) della variazione stessa.

Infatti, dice ancora la Corte Suprema, tenendo conto combinatamente delle disposizioni contenute nei commi 2 e 3 dell'art. 26, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, risulta che “… lo scopo perseguito dalla legge è quello di impedire pericolose forme di elusione degli obblighi del contribuente. E lo scopo si persegue, anzitutto, attraverso il principio della immodificabilità, sia unilaterale sia concordata tra le parti, delle registrazioni obbligatorie, fatto salvo il caso di successive variazioni dell'imponibile o dell'imposta ex art. 26, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che sono circondate, però, di particolari garanzie. Il conseguimento dello scopo è assicurato se il contribuente dimostra che vi è identità tra l'oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un lato, e, dall'altro, l'oggetto della registrazione della variazione, in modo che esista corrispondenza tra i due atti contabili (cfr. Corte di cassazione, 2 giugno 1999, n. 5356). Infatti, il vincolo di registrare le variazioni, a parte la diversità contenutistica derivante dalla sua natura di onere, ha il medesimo oggetto dell'obbligo di registrazione della fattura e un contenuto di segno totalmente o parzialmente contrario (cfr. Corte di cassazione, 2 settembre 1995, n. 9274)”.

Visto dunque il principio di immodificabilità delle registrazioni, salvo determinate eccezioni, coperte da specifiche garanzie, laddove tali garanzie non vengano rispettate, l’eccezione non si applica e la registrazione resta immodificabile.

La disciplina in tema di transfer pricing, dunque, è inconferente (almeno in una prima fase) rispetto alle contestazioni di addebiti intercompany per insufficiente documentazione giustificativa.

Si tratta, come detto, semplicemente di costi non documentati.

Se quindi il contribuente vuole avere diritto alla deduzione deve innanzitutto produrre prove e documentazione in ordine:

-   all’effettiva esistenza del costo;

-   alla sua specifica inerenza;

-   alla coincidenza tra operazione originaria e operazione oggetto di variazione;

-   alla tempestività della variazione.

Se tutto questo manca non sussiste dunque alcun motivo per passare alla seconda fase di valutazione della congruità del prezzo sulla base della disciplina in tema di transfer pricing.