Risorse minerarie e conoscenza tradizionale indigena nella regione polare artica
Una delle tematiche di maggiore interesse nello studio comparativo del diritto polare contemporaneo (su cui v., se vuoi, M. Mazza, Aurora Borealis. Studies on Polar Law and Legal Comparison, Oisterwijk, Wolf Legal Publishers, 2017), è rappresentata dallo sfruttamento delle risorse naturali dell’Artico. Le industrie estrattive possono recare benefici alla popolazione insediata entro il circolo polare artico (ovvero nella regione circumpolare), ma anche recare danni.
Da un lato, il livello economico sociale di larghi strati della popolazione può essere innalzato; dall’altro lato, vi possono essere conseguenze pregiudizievoli per le attività tradizionali dei popoli indigeni artici, quali l’allevamento delle renne o la pesca.
Perché, dunque, si possa procedere all’utilizzo delle risorse naturali, è quantomeno desiderabile che vi sia un procedimento preventivo partecipato, nel corso del quale i vari portatori di interessi abbiano l’occasione di esprimere la loro opinione. Tra i portatori di interesse, o stakeholder, sono certamente comprese le comunità indigene, o i loro rappresentati.
Se, alla luce di quanto detto sopra, vogliamo ora esaminare il caso, senza dubbio paradigmatico, della Groenlandia, va in primo luogo evidenziato come la componente indigena dell’isola è rappresentata in ampia maggioranza da appartenenti all’etnia degli Inuit, che costituiscono circa l’ottanta per cento della popolazione groenlandese.
La protezione della popolazione indigena della Groenlandia è imposta al Regno di Danimarca, di cui la Groenlandia stessa è parte costitutiva, da importanti documenti internazionali, sottoscritti dallo Stato danese, sia di hard law che di soft law. Viene in rilievo, dal primo dei punti di vista appena menzionati, la Convenzione n. 169 del 1989 adottata dall’Organizzazione internazionale del lavoro concernente i popoli indigeni e tribali. Sotto il secondo profilo, viene in considerazione la Dichiarazioni sui diritti dei popoli indigeni approvata dalle Nazioni Unite nel 2007.
A sua volta, il Consiglio circumpolare degli Inuit, sezione della Groenlandia, ha più volte richiamato, per esempio nel 2015 (a seguito di iniziativa assunta dal suo Presidente Hjalmar Dahl), la necessità che si tenga adeguato e preventivo conto della “voce” degli Inuit quando si prendono decisioni che riguardano il loro sviluppo economico-sociale, prestando in particolare attenzione alla tutela delle attività tradizionali degli appartenenti alle comunità indigene.
Queste problematiche sono strettamente connesse a quelle dello sviluppo sostenibile dell’Artico. Non desta stupore, quindi, che il Consiglio artico abbia ripetutamente, per esempio in occasione della Dichiarazione di Kiruna del 2013, affermato che lo sviluppo sostenibile della regione polare artica deve tenere nella massima considerazione la conoscenza tradizionale delle popolazioni indigene.
In sede di valutazione dell’impatto delle attività estrattive sulle popolazioni indigene e, in generale, sulla regione polare e circumpolare, vengono così in rilievo due aspetti, vale a dire la valutazione d’impatto ambientale e la valutazione d’impatto sociale.
È fondamentale, al riguardo, che le comunità indigene siano preventivamente sentire, rispetto alla realizzazione concreta dei progetti estrattivi, e che siano le comunità stesse a individuare al proprio interno le persone da considerare depositarie delle conoscenze tradizionali aborigene.
Naturalmente, non è agevole “catturare” il contenuto della conoscenza tradizionale indigena. Tentativamente, essa racchiude elementi che hanno a che fare con l’ambiente e l’ecologia, gli animali, le loro migrazioni e comportamenti, le piante, il clima (che nell’Artico significa attenzione specialmente per le correnti, i venti, la neve, il ghiaccio), le attività tradizionali che si svolgono sia sulla terra che nelle acque (interne e marine), ossia la caccia, l’allevamento, la pesca, la navigazione e anche le attività ricreative. Vanno considerati, inoltre, la cultura, le tradizioni (del passato e presenti), i valori, le credenze, la storia, il paesaggio, i diritti tradizionali e le norme consuetudinarie.
Sebbene vi sia una leggera differenza terminologica, nel diritto groenlandese vigente, tra la normativa in tema di valutazione d’impatto ambientale e quella relativa alla valutazione d’impatto sociale, nella misura in cui la prima fa riferimento alla conoscenza locale mentre la seconda alla conoscenza tradizionale e locale, non sembra che in definitiva si producano conseguenze significative sul piano applicativo, ossia sotto il profilo della necessaria e preventiva consultazione delle popolazioni indigene (gli Inuit) al fine della predisposizione del progetto di sfruttamento minerario delle risorse naturali groenlandesi.
Tenuto conto che il nuovo Statuto sull’autogoverno della Groenlandia, adottato con la legge n. 473 del 12 giugno 2009 entrata in vigore il successivo il 21 giugno, assegna al Governo locale groenlandese la responsabilità per l’adozione delle decisioni sullo sfruttamento delle risorse del sottosuolo dell’isola, come anche i relativi proventi, si può ritenere che le disposizioni contenute nella legge sulle risorse minerarie e sulle attività connesse alle risorse minerarie del 7 dicembre 2009, diventata vigente dal 1° gennaio 2010, siano abbastanza soddisfacenti, anche se ovviamente manca la vincolatività giuridica, rispetto alla decisione finale, delle opinioni espresse in sede di consultazione preventiva dai rappresentanti delle comunità indigene.
Ma, d’altro canto, ciò che può apparire mancante nella normativa groenlandese è piccola cosa, se confrontata con la condizione in cui si trovano, per esempio, gli Inuit della Russia settentrionale (cfr. M. Mazza, La protezione dei popoli indigeni nella Russia del Nord, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2003, pp. 1850-1863). Rimane ancora molto da fare, in definitiva, per assicurare una adeguata protezione delle comunità indigene nei vari Stati in cui le medesime sono “incapsulate”.