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San Martín de Porres e il senso dell’umiltà

San Martiìn de Porres
San Martiìn de Porres

Il donato che si dona

“[…]: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini[1]”. Questo breve brano della Lettera di san Paolo ai Filippesi non vuole essere l’inizio di una riflessione sul testo biblico, bensì la chiave di lettura per comprendere la santità di un uomo. Se infatti i santi sono i migliori testimoni che Cristo ha donato alla Chiesa, e se ognuno di loro riflette con maggiore intensità un aspetto della Divina Perfezione, non sarà vano cercare d’individuare un testo che ne rappresenti l’intima esemplarità. A mio parere, le poche righe appena riportate svolgono bene questo compito nei confronti di un mio illustre confratello domenicano, san Martín de Porres.

Egli nacque a Lima il 9 dicembre del 1579; sua madre, Anna Velasquez[2], era un’ex schiava di colore, probabilmente di proprietà della famiglia dalla quale prese il cognome, liberata in seguito alle Novas Leyes promulgate nel 1530 grazie al domenicano Bartolomé de Las Casas[3].

Al momento della nascita del santo, la donna era alle dipendenze di don Juan de Porres, funzionario della Corte di Lima e Governatore di Panama. Questi era un Cavaliere di Alcantara, un Ordine Militare spagnolo di origine medievale che, nel secolo XVI, richiedeva ai suoi membri il celibato al posto del più impegnativo voto di castità. Costui ebbe una relazione con Anna Velasquez, dalla quale nacquero appunto Martín e sua sorella Juana.

L’uomo mantenne, nei confronti dei figli, un atteggiamento ambiguo: da un lato non li riconobbe se non dopo la scomparsa della madre, dall’altro manifestò, a suo modo, la volontà di prendersene cura[4]. Fatto sta che il Nostro visse tutta la vita senza una vera figura paterna, subendo in questo modo i risvolti più bassi dei pregiudizi razziali dell’epoca[5].

Dopo aver coltivato, in gioventù, una sana vita cristiana, anche a contatto con l’Ordine dei Predicatori, Martín entrò, nel 1596, nel locale convento di santo Domingo a Lima come donato. Egli, appena diciassettenne, aveva alle spalle già cinque anni di apprendistato come barbiere e cerusico, due funzioni che all’epoca erano svolte dalla medesima figura professionale. Proprio alle doti ed alla sensibilità acquisite in questo periodo si dovranno, in seguito, le forme caritative ed assistenziali proprie del santo[6].

L’essere un donato faceva di san Martín de Porres un frate che, non legato da voti pubblici, viveva la vita conventuale offrendo alla comunità tutto il suo lavoro e la sua devota ubbidienza. Egli era, in sostanza, un Terziario Domenicano che, alla stregua di un domestico, si occupava dei compiti più umili e bassi, pur vivendo regolarmente in convento. Tale condizione intermedia, si potrebbe dire, fra un semplice laico e un frate professo era simboleggiata dal suo abito: identico a quello dei frati cooperatori[7] se non per la mancanza del cappuccio[8]. Egli comunque, oltre ai doveri legati alla sua appartenenza al Terz’Ordine Domenicano, si legò privatamente ai tre voti di povertà, castità ed ubbidienza.  

Ben felice della sua umile posizione nell’Ordine, costruì la sua santità e la sua attività quotidiana attorno a due elementi: la carità verso i più disagiati e l’ufficio d’infermiere. In entrambi gli ambiti, san Martín de Porres si distinse per l’umiltà e la semplicità della sua azione, nonché per la competenza e l’impegno profusi. Se quindi l’infermiere divenne noto, anche presso le autorità dell’epoca, per compiere guarigioni al limite del miracoloso, e spesso oltre tale confine, l’uomo della carità riuscì, con la sua passione e il suo umile esempio, a convogliare enormi energie, spirituali e materiali, verso ogni genere di emarginati[9].

Il santo visse i suoi quarantadue anni di vita religiosa sempre nel convento di Santo Domingo a Lima e vi morì serenamente il 3 novembre del 1639. Fu in questo ambiente, florido anche spiritualmente, che Martín coltivò in segreto quella vita spirituale e penitenziale che sempre fu sostengo alle sue più visibili attività. La sua fu un’interiorità semplice ma non ingenua, fondata su di una solida vita penitenziale e su di una preghiera che non poneva alcuna netta separazione fra orazione ed azione. Per comprendere bene come possa essere per noi imitabile questo suo esempio di santità, penso sia necessario esplorarne il fondamento: l’umiltà.

 

La grandezza del servo

San Martín de Porres nacque, come si è accennato, in una società ancora legata a forti pregiudizi razziali; questo, in un ambiente cristianamente ricco qual era l’Ordine dei Predicatori, non poteva che creare contraddizioni e scontri. Non si può negare il fatto che non solo la giovinezza del Nostro, ma anche la sua lunga permanenza in convento furono sempre accompagnate da gesti ed atteggiamenti legati a simili discriminazioni.

Altrettanto innegabile tuttavia è che la sua santità rese evidente a tutti, nel cuore se non nella mente, quanto fossero vane e meschine quelle posizioni, specie se poste di fronte alla grandezza che viene da Dio. Se quindi san Martín de Porres rese evidente l’uguaglianza fra gli uomini proprio nella bellezza spirituale che gli venne dal Signore, non per questo cercò di sottrarsi alle umiliazioni cui la sua gente andava incontro.

Invece cioè di rifiutare l’ingiustizia nella quale nacque, la abbracciò come fosse la sua croce, allo scopo d’imitare quel sublime abbassamento di cui Cristo stesso fu testimone. Ciò non si concretizzò solamente in una vicinanza, materiale e spirituale, alle altre vittime dell’orrenda tratta che si perpetrava in quegli anni, ma anche nella volontaria ricerca di quelle discriminazioni che lo rendevano vicino agli ultimi[10].

Una simile umiltà, soprattutto se considerata attraverso le umiliazioni necessarie a raggiungerla, può apparirci incomprensibile, e forse anche ingiusta. Tuttavia, se proviamo a leggerla alla luce del brano con cui si apre questo articolo, possiamo giungere a coglierne la bellezza.

Cristo infatti, nello svuotare se stesso fino alla più spregevole delle morti, c’insegna che il porsi a fianco degli ultimi, anche se comporta una volontaria diminuzione di sé, è la condizione per qualunque vero atto di carità. Se perfino il Signore non ci ha salvati dall’alto, ma dal basso dell’umanità di Gesù, tanto più noi, nel farci strumenti di salvezza per il prossimo, siamo chiamati a farci servi di tutti. Ciò è necessario non solo per sfuggire alla pericolosa trappola della superbia, ma anche per donarci completamente.

San Martín de Porres, come Cristo sulla croce, visse tutta la vita nella consapevolezza di essere nulla di fronte a Dio e di dover attribuire ogni suo bene alla misericordia del Signore; come il servo prediletto, beneficiario di molti doni, egli non ha scordato la bontà del Padrone e, così facendo, ha guadagnato la libertà di farsi egli stesso dono agli altri. Noi quindi, spesso così legati alla nostra dignità, non dobbiamo esitare ad umiliarci, ad accogliere quelle occasioni di abbassamento che la vita ci offre. Esse, anche se ingiuste, sono sempre delle opportunità per vivere a fondo la nostra condizione di totale dipendenza da Dio e, così facendo, di trovare il coraggio di chiedere a Lui quella grandezza che appartiene ai piccoli e che non teme di donarsi.

 

[1] Fil 2, 6-7.

[2] Cf Reginaldo Frascisco, San Martín de Porres, ESD, Bologna 1994, pp. 25-27.

[3] Per approfondire la figura di Bartolomeo de Las Casas, cf Francesca Cantù, Bartolomé de Las Casas e i primi frati Predicatori in America, in L’Ordine dei Predicatori (a cura di G. Festa e M. Rainini), Edizioni Laterza, Bari 2016, pp. 180-201. 

[4] Paradigmatico è il viaggio che, nel 1587, don Juan de Porres fece fare ad Anna ed ai due figli piccoli fino a Guayaquil. Lo scopo dell’uomo era evidentemente di prenderli a vivere con sé, ma venne dissuaso dalle autorità locali per una questione d’onore; cf Reginaldo Frascisco, San Martín de Porres, pp. 31-36

[5] Cf ivi, pp. 29-36.

[6] Cf ivi, pp. 37-48.

[7] Nell’Ordine dei Frati Predicatori i Fratelli Cooperatori, ieri come oggi, sono dei frati professi che, non ordinati presbiteri, vivono l’ubbidienza all’Ordine partecipando con il loro lavoro alla predicazione. Ai giorni nostri invece la figura del donato non esiste più.

[8] Cf Reginaldo Frascisco, San Martín de Porres, pp. 49-60.

[9] Troppo lungo sarebbe approfondire il grande impegno caritativo del santo; per due esempi, a mio modo di vedere paradigmatici, rimando a Reginaldo Frascisco, San Martín de Porres, pp. 62-64 e pp. 96-99.

[10] Esemplare in tal senso è l’episodio, avvenuto fra il 1601 ed il 1602, nel quale don Juan de Porres, riconosciuto finalmente il figlio, pretese dal Priore Provinciale che fosse permesso a san Martín di fare la professione solenne e diventare frate cooperatore. Fu lo stesso santo a rifiutare, affermando che la posizione di donato, in quanto servo, lo avvicinava di più a quella dei suoi fratelli di colore e gli era quindi più consona; cf ivi, pp. 62-68.

Testi consigliati

  • Reginaldo Frascisco, San Martín de Porres, ESD, Bologna 1994.
  • L’Ordine dei Predicatori (a cura di G. Festa e M. Rainini), Edizioni Laterza, Bari 2016.