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Elogio al servo fedele: il cristiano come segugio

Giuseppe Girotti
Giuseppe Girotti

Fare nostra la santità

Non c’è alcun dubbio che il martirio sia la più grande forma di testimonianza che il Signore doni alla sua Chiesa. Non solo la stessa vita è quanto di più alto una persona possa offrire, ma l’atto di totale affidamento di sé a Dio, insito nell’apparente sconfitta della morte fisica, produce la massima mimesi con Cristo, nostro Signore e Salvatore. Proprio per questo ogni martire, piccolo o grande nel mondo, noto o appena udito dalla storia, carico di concretezza o avvolto dalla leggenda deve essere oggetto della nostra più viva devozione e meditazione

Penso sia evidente che ogni santo esemplifica uno o più aspetti della sequela di Cristo con la sua specifica modalità di donazione; tuttavia mi appare altrettanto ovvio che la nostra capacità di accogliere questa esposizione virtuosa e di imitarla dipende in larga parte dal grado di umanità che attribuiamo al santo stesso. Più cioè percepiremo il cammino esemplificato come avente nella nostra stessa natura umana il suo principio e soggetto, più vivremo quella proposta di vita come attuale e compatibile con la nostra miseria.

Nel caso di un martire questa operazione è anche più difficile, poiché l’atto stesso della testimonianza, in sé sublime, finisce spesso per essere vissuto come un guizzo estemporaneo, un momento di santa follia che, privo di premesse, non può essere preparato ma solo accolto. Proprio per dimostrare la falsità di questa posizione, vi parlerò brevemente del beato Giuseppe Girotti OP.

 

Il beato Giuseppe Girotti OP, martire

Ciò detto, iniziamo dalla persona, utilizzando il testo di riferimento di Massimo Negrelli, La carità segreta (ESD, Bologna 2014).

Giuseppe Girotti nacque ad Alba, in Piemonte, il 19 luglio del 1905 da Celso Girotti e Maria Martina Proetto. Primo di tre fratelli, fu educato alla fede cattolica specialmente da sua madre, la quale lo spinse a partecipare attivamente alla vivace vita pastorale dell’epoca. Entrato in contatto con l’Ordine dei Frati Predicatori attraverso le monache domenicane del Monastero di Alba, vestì l’abito domenicano il 30 settembre del 1922 nella chiesa di san Domenico a Chieri.

Dopo il periodo di formazione, terminato con l’ordinazione presbiterale il 3 agosto del 1930, Giuseppe, portato per gli studi biblici e per le lingue antiche, prosegue il suo percorso accademico prima a Roma, in quella che oggi è nota come Pontificia Università San Tommaso, e poi all’École Biblique di Gerusalemme, dove ha come professore il padre Joseph Marie Lagrange OP. Tornato in Italia nel 1935, insegna prima allo Studium domenicano di Torino, presso il convento di Santa Maria delle Rose poi, dopo alcune vicissitudini che ne causano il trasferimento nel convento di san Domenico a Torino, presso il Seminario dei Missionari della Consolata

Mentre la sua vita di religioso e di accademico si sviluppa fra insegnamento e pubblicazioni scientifiche, le tragiche vicende storiche della II Guerra Mondiale piombano nella sua quotidianità. Dopo i fatti dell’8 settembre del 1943 – con la conseguente occupazione nazista dell’Italia centro – settentrionale e l’istituzione della Repubblica di Salò, il beato Giuseppe si trova di fronte alla tragica situazione degli ebrei piemontesi, improvvisamente perseguitati dalla follia nazista.

Egli, con alle spalle un ampio appoggio da parte dell’Ordine, si adopera in tutti i modi per garantire a questi sventurati protezione, assistenza e, quando possibile, un sicuro espatrio in Svizzera. Questa sua attività va avanti fino al 29 agosto del 1944 quando, a causa di una trappola ordita dalla polizia fascista, è catturato assieme al medico ebreo che stava nascondendo, il professor Giuseppe Diena. Nonostante i tentativi di soccorrerlo fatti dai confratelli di Torino, il beato Giuseppe viene condotto a Dachau nel settembre del ’44, dove troverà la morte neppure un anno dopo il primo di aprile del 1945, giorno di Pasqua.

 

L’armonia della Carità

Ad una lettura più approfondita della biografia del beato Giuseppe non sfugge il profondo legame esistente fra il sommo atto di carità costituito dal martirio ed una quotidianità che ha sempre cercato di fondarsi sull’amore verso Dio ed il prossimo. La vita di Girotti infatti, quasi nell’ombra e nell’intimità del suo privato, si è sempre spesa alla costante ricerca di quelle occasioni di carità di cui il Signore riempie il nostro presente, al punto da esemplificare la massima secondo cui il santo non è tanto colui che costruisce le opportunità di bene, quanto chi le sa cogliere.

La figura del perfetto discepolo di Gesù come di qualcuno che è in attesa di servire il Maestro non deve trasmetterci un senso di passività, bensì di allerta.

Il cristiano non è paragonabile, in questo caso, ad una pecora in passiva attesa di una direzione, ma ad un segugio, i cui sensi sono affinati e pronti a rispondere ad ogni comando del padrone. Questa immagine ci riporta a quella evangelica del servo fedele, il quale si presenta come attivamente impegnato a servire il suo Signore laddove questo lo chiama.

Il massimo atto di carità, ossia il sacrificio cruento che Girotti ha consumato nella follia di Dachau, è sì un atto eccezionale, ma reso possibile da quell’abituale prontezza verso le occasioni d’amore che, pur celata nei piccoli gesti quotidiani, mai perse la sua sublime bellezza. Questa splendida melodia, la cui armonia fonda la vera trama del creato sulla carità, è condizione essenziale non solo al martirio ma alla stessa vita cristiana

Ciò di cui si parla è semplicemente una reale santificazione del quotidiano che passa attraverso il concepirlo come dono in sé, ricevuto e non meritato, messo a disposizione nella sua interezza da un servo che non è muto ma capace di accogliere ogni comando del Signore senza contrattare. Questo sguardo al reale, se fatto nostro, ci permette di diventare osservatori del presente, attenti scrutatori di una vita che, in quanto donata, è naturalmente inserita in un circolo di scambi e che non ci chiede di costruire una possibilità ma solo di amare Colui che ce la dà.

Testo consigliato:

Massimo Negrelli, La carità segreta, ESD, Bologna 2014.