Un Martire delle Fosse Ardeatine, il Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo
Un Martire delle Fosse Ardeatine: il Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo
Nel pomeriggio del 24 marzo 1944, a Roma, alle Fosse Ardeatine, a due chilometri da Porta San Sebastiano, 335 italiani furono uccisi dai nazisti. Furono ammazzati velocemente, in circa 5 ore, con un colpo d’arma da fuoco alla nuca. Fu una scossa tremenda per le migliaia di combattenti per la Libertà. Sarebbe stata una ferita sempre aperta per tutti gli Italiani.
L’eccidio delle Fosse Ardeatine, per l’efferatezza e l’alto numero di vittime, è ancora oggi l’evento simbolo della durezza dell’occupazione tedesca di Roma.
Fu una tremenda e rapida reazione all’attentato di Via Rasella, dove, il 23 marzo 1944, nel giorno dell’anniversario della fondazione dei fasci di combattimento, i GAP (Gruppi di Azione Patriottica) avevano attaccato l’11a compagnia del III battaglione del Polizeiregiment “Bozen”, uccidendo 33 militari altoatesini. Alle 19,30 circa del 23 marzo, a poche ore dall’attentato, arrivò l’ordine ufficiale da Berlino: per ogni tedesco ucciso dovevano essere subito fucilati 10 italiani!
Della rappresaglia era incaricato direttamente il colonnello delle SS Herbert Kappler, che era già stato il protagonista della deportazione dei Carabinieri e degli Ebrei nell’ottobre 1943, che ho ricordato nello scorso autunno su questa mia rubrica “Esempi di Valori”.
In un clima indiavolato, ebbe luogo l’allucinante e tragica vicenda della preparazione della lista dei “Todeskandidaten” (i candidati a morte). In una frenetica nottata furono individuati 335 italiani, di cui 75 ebrei. 285 nominativi erano presenti in una lista di Kappler e 50 in una fornita da Pietro Caruso, questore di Roma durante l’occupazione tedesca, poi condannato a morte nel settembre 1944 con fucilazione alla schiena. Erano civili e militari, prigionieri politici o detenuti comuni. Tra loro vi erano anche 12 Carabinieri (inseriti nella lista Kappler, in quanto ritenuti estremamente pericolosi) che erano prigionieri nel III braccio di carcere di Regina Coeli o nel carcere di via Tasso. Erano i Tenenti Colonnello Giovanni Frignani e Manfredi Talamo, il Maggiore Ugo De Carolis, il Capitano Raffaele Aversa, i Tenenti Genserico Fontana e Romeo Rodriquez Pereira (che ho ricordato in un precedente articolo di questa rubrica), il Maresciallo Francesco Pepicelli, i Brigadieri Gerardo Sergi Candido Manca, il Corazziere Giordano Calcedonio, il Carabiniere Augusto Renzini e il Carabiniere ausiliario Gaetano Forte.
Per poter ricordare tutti i Martiri di quell’Eccidio invito l’attento lettore a consultare l’interessante sito https://www.mausoleofosseardeatine.it, ricco di spunti e approfondimenti.
Oggi, in occasione del 78° anniversario di quel tragico fatto, gradirei ricordare la figura di una delle 335 vittime, il Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, Comandante del Fronte Militare Clandestino di Roma (FMCR). Nato nel 1901 a Roma, era un Ufficiale del Regio Esercito, in particolare dell’arma del genio. Già volontario nell’agosto 1918 negli Alpini, al termine della Grande Guerra, nel dicembre quell’anno, fu ammesso al corso speciale per ufficiali di complemento del Genio presso l’Accademia militare di Torino nel quale si classificò primo. Promosso sottotenente, prestò giuramento il 2 novembre 1919. Nel gennaio 1920 si congedò per riprendere gli studi universitari al Politecnico di Torino, interrotti due anni prima. Conseguita la laurea in ingegneria civile nel luglio 1923, riprese la carriera militare, partecipando con successo, nel dicembre 1924, al concorso per l’ammissione di ufficiali al servizio attivo permanente del Genio, riservato ai laureati reduci di guerra. Promosso capitano nel gennaio 1928, comandò la I compagnia del Reggimento ferrovieri del Genio di Torino. Successivamente, entrò alla Scuola di applicazione di Artiglieria e Genio come insegnante. Dal 1930, per tre anni, frequentò la scuola di guerra, classificandosi primo su 71 ufficiali allievi. Nominato primo capitano al comando del Corpo d’armata di Torino nel 1934, continuò a dedicarsi all’attività scientifica e pubblicò studi di valore dottrinale. Allo scoppio della guerra d’Etiopia, nel 1935, fu chiamato a Roma all’Ufficio servizi del Corpo di stato maggiore. Nominato maggiore, ottenne il comando di un battaglione del 1° reggimento Genio a Vercelli e, nel settembre 1937, arruolatosi nel Corpo truppe volontarie italiano, partì per la Spagna. Dapprima assunse il comando del battaglione Telegrafisti, poi divenne capo di stato maggiore della brigata Frecce nere, incarico che gli valse la promozione a tenente colonnello e una Croce di guerra al Valor Militare.
Il 4 giugno 1940, pochi giorni prima dell’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, fu trasferito al Comando Supremo dell’Esercito presso il Ministero della Guerra, dove divenne prima responsabile dello scacchiere africano e poi Capo dell’Ufficio Operazioni. Intraprese 16 missioni in Nord Africa, mettendosi positivamente in luce, tanto da essere insignito con una Medaglia d’Argento e una di Bronzo al Valor Militare. Promosso colonnello Il 1° maggio 1943, fu nominato Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. In quei mesi concitati per il futuro del conflitto in corso, presenziò ai principali vertici con le autorità tedesche: l’8 aprile fece parte della delegazione italiana a Klessheim e il 19 luglio 1943, mentre Roma veniva bombardata, partecipò al drammatico incontro di Feltre fra Mussolini e Hitler. In quelle settimane, maturò in lui colonnello Montezemolo una marcata disillusione nei confronti del fascismo, tanto da assumere un ruolo di rilievo nei progetti di destituzione di Mussolini da parte della corona e dei vertici delle forze armate. Dopo il 25 luglio, il nuovo capo del governo, Pietro Badoglio, lo incaricò di recarsi a Palazzo Venezia a ritirare i documenti contenuti negli archivi dello studio di Mussolini. Dopo aver adempiuto all’ordine ricevuto, gli fu affidata la direzione della segreteria particolare del capo del governo. Chiese ed ottenne di essere, però, sollevato da quell’incarico politico, preferendo un impegno più vicino al suo status di militare.
Dopo l’8 settembre, fu tra i protagonisti della prima resistenza armata contro i Tedeschi a Roma. Il 10 settembre, fece parte della delegazione italiana guidata dal generale Calvi di Bergolo che raggiunse a Roma il comando del maresciallo Kesselring per fissare le clausole finali della resa ed ottenere il riconoscimento dello status di “città aperta” della Capitale.
Rifiutò di prestare giuramento di fedeltà alla neonata repubblica sociale. Riconosciuto il governo del Sud come unico legittimo, svestì la divisa, si procurò documenti falsi (col nome di Giacomo Cateratto) ed entrò in clandestinità. Fu il promotore, l’anima e la guida del Fronte Militare Clandestino di Roma (FMCR). In poche settimane definì un’organizzazione funzionale, dotata di un servizio informativo sviluppato non solo nel Lazio, con un organico che raggiunse 12.000 patrioti operanti nella Capitale. Con la piena collaborazione del suo Capo di Stato Maggiore, il Maggiore dei Carabinieri Ugo De Carolis (anche lui martire delle Fosse Ardeatine), Montezemolo impresse al FMCR un carattere nazionale, battendosi affinché le bande militari fossero riconosciute come aliquote delle forze armate italiane rimaste isolate in territorio occupato. Stabilì un regolare contatto radio col Comando supremo che subito designò Montezemolo suo diretto rappresentante in Roma, col compito di organizzare e dirigere la lotta di liberazione.
Il 10 dicembre 1943 Montezemolo scrisse le «direttive per l’organizzazione e la condotta della guerriglia», che diramò ai comandanti militari regionali del FMCR. Le disposizioni ammettevano la guerriglia esclusivamente al di fuori del territorio urbano per evitare ritorsioni nemiche, impostazione strategica spesso differente da quella di altre organizzazioni partigiane. Montezemolo, come il Generale dei Carabinieri Filippo Caruso, Comandante del Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri (FCRC, noto come “Bande Caruso”), improntò la condotta dei militari alla piena cooperazione fra le varie componenti del movimento di Resistenza, al di là di ogni pregiudiziale politica. In particolare, il Fronte Militare instaurò un rapporto di costante collaborazione coi partiti del Comitato di Liberazione nazionale, al cui interno Montezemolo assunse il compito di osservatore militare. Su sua iniziativa, inoltre, si costituì un Comitato permanente, emanazione della Giunta militare del Comitato di liberazione nazionale.
Nei giorni dello sbarco alleati ad Anzio e Nettuno, la violenta reazione nazista si manifestò con un’ondata di arresti che falcidiò i vertici del FMCR: Montezemolo fu catturato il 25 gennaio 1944, verosimilmente in seguito a delazione. Fu un colpo durissimo per l’organizzazione. I tedeschi ben sapevano quanto fosse importante il suo ruolo, tanto che, da tempo, avevano messo una grossa taglia sulla sua testa. Rinchiuso per 58 giorni nel carcere di via Tasso, fu sottoposto a estenuanti interrogatori e a ripetute, brutali sevizie. Mantenne sempre un contegno dignitoso, senza fare alcuna rivelazione sull’organizzazione militare, riuscendo anzi a far trapelare dalla prigionia informazioni utili per i suoi collaboratori. I nazisti decisero di non sottoporlo a un processo individuale, né procedettero a una sua esecuzione isolata, che avrebbe suscitato scalpore e certamente reazioni nella città. Dopo l’attentato di via Rasella, Kappler decise personalmente di includere il suo nome nella lista dei 335 che furono trucidati il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine.
Il Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo è stato decorato, alla memoria, con la Medaglia d’Oro al Valor Militare, per la seguente motivazione: “Ufficiale superiore dotato di eccezionali qualità morali, intellettuali e di carattere, dopo l'armistizio, fedele al Governo del Re ed al proprio dovere di soldato, organizzava, in zona controllata dai tedeschi, un’efficace resistenza armata contro il tradizionale nemico. Per oltre quattro mesi dirigeva, con fede ed entusiasmo inesauribili, la attività informativa e le organizzazioni patriote della zona romana. Con opera assidua e con sagace tempestività, eludendo l’accanita vigilanza avversaria, forniva al Comando Supremo alleato ed italiano numerose e preziose informazioni operative, manteneva viva e fattiva l’agitazione dei patrioti italiani, preparava animi, volontà e mezzi per il giorno della riscossa, con una attività personale senza soste, tra rischi continui. Arrestato dalla sbirraglia nazifascista e sottoposto alle più inumane torture, manteneva l’assoluto segreto circa il movimento da lui creato, perfezionato e diretto, salvando così l’organizzazione e la vita ai propri collaboratori. In occasione di una esecuzione sommaria di rappresaglia nemica, veniva allineato con le vittime designate nelle adiacenze delle catacombe romane e barbaramente trucidato. Chiudeva così, nella luce purissima del martirio, una vita eroica, interamente e nobilmente spesa al servizio della Patria.”
Le Fosse Ardeatine, antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, scelte quale luogo dell’esecuzione e per occultare i cadaveri, sono oggi state trasformate in un bel mausoleo.
Si può visitare, gratuitamente, tutti i giorni. È un invito che faccio al mio attento lettore che vive a Roma o si trova nella Capitale di passaggio. Invito a portare con noi i nostri figli, affinché possano avere strumenti per comprendere i Valori e il Sacrificio di chi ci ha preceduto.
Davanti alle lapidi dei Martiri o tra quelle cave, la Storia fa attingere nuovo vigore agli ideali di Libertà, che caratterizzano la nostra Patria e la nostra Civiltà. Proprio in queste settimane, in cui dopo decenni è tornata la guerra in Europa, quei luoghi ci confermano gli orrori che ogni totalitarismo porta con sé ed esprimono la condanna a qualsiasi forma di violenza e sopraffazione.