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La fine del privilegio dell’autoriciclaggio

marina di ravenna
Ph. Ermes Galli / marina di ravenna

Abstract

L’incriminazione dell’autoriciclaggio non rappresenta altro che uno dei tasselli della strategia di politica criminale avviata di recente dal legislatore all’insegna della «tolleranza zero nei confronti della criminalità del profitto»: il crimine non deve fruttare.

 

Indice:

1. Premessa

2. L’introduzione dell’art. 648-ter I nel codice penale: «il metodo del bastone e della carota»

3. Le interferenze tra l’autoriciclaggio e il delitto di trasferimento di valori

 

1. Premessa

In tema di autoriciclaggio, emerge una nuova concezione del reato, raffigurabile alla stregua di un complesso circuito al cui interno l’intervento punitivo non dovrebbe mirare a frazionare le singole entità delittuose di cui esso si compone, identificandone analiticamente gli ante facta e i post facta, dovendosi all’opposto privilegiare un’indagine che metta a fuoco le mutevoli concatenazioni finalistiche che si istaurano tra le diverse particelle criminose, concatenazioni, queste, talora capaci di imprimere all’iter criminis complessivo un disvalore unitariamente apprezzabile.

Destinate pertanto a fallire al cospetto della realtà empirica sono le pretese di ogni supposta concezione atomistica, da liquidare frettolosamente, le quali manifestano un’indole piuttosto antiquata di fronte al frenetico dilagare di una criminalità di volta in volta più organizzata nella progettazione, esecuzione e consolidamento di un iniziale proposito criminoso, in grado esso di perpetrarsi in una catena di reati che non possono essere aprioristicamente spezzati.

Il fine ultimo cui dovrebbe orientarsi l’azione legislativa non starebbe quindi nello smascheramento e conseguente repressione del singolo reato commesso, bensì nella intercettazione del vincolo teleologico e logistico che avvince una pluralità di illeciti ascrivibili ad un soggetto-persona fisica ovvero ad un organismo che appare giuridicamente unitario.

Se infatti la nuova criminalità imprenditrice, nel delinquere, si muove nella duplice ottica di conseguire profitti dalla commissione di plurimi reati e di reinvestire poi nel tessuto economico e finanziario i suddetti proventi allo scopo di procacciarsi accresciute utilità, assumendo la gestione delle diverse fasi del processo criminale, parimenti il legislatore non può più limitarsi ad interventi asistematici e parziali, dovendosi al contrario intraprendere misure di contrasto che siano tra loro coordinate: «all’unica regia che sorregge il crimine organizzato deve, giocoforza, contrapporsi un’unica strategia di contrasto»

Una prova della citata esigenza di coordinamento si rinviene nella prassi legislativa che ha caratterizzato lo scorso decennio, dove si è significativamente agito in maniera sinergica su più fronti ontologicamente connessi, non già mediante singole misure isolate, bensì attraverso l’espediente di «pacchetti» cumulativi: si pensi, emblematicamente, alla fattispecie di autoriciclaggio e alla procedura della voluntary disclosure collocate nell’ambito del medesimo provvedimento di cui alla l. n. 186/2014, ovvero al nuovo reato di false comunicazioni sociali introdotto per il tramite di una legge c.d. «contenitore» (l. n. 69/2015), in cui sono state trasfuse numerose disposizioni anticorruzione e di contrasto alle associazioni di stampo mafioso.

Nello scenario così prospettato l’autoriciclaggio cessa di essere connotato da una accessorietà meramente occasionale rispetto all’eterogeneo panorama dei reati presupposto, assurgendo piuttosto a nesso sistemico tra condotte criminali di procacciamento del profitto da una parte e condotte tese a consolidare o comunque portare a conseguenze ulteriori il citato profitto dall’altra.        

 

2. L’introduzione dell’articolo 648-ter I nel codice penale: «il metodo del bastone e della carota»

L’articolo 3 della l. 15 dicembre 2014, n. 186, recante «Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio», introduce nell’ordinamento giuridico italiano, all’articolo 648-ter I c.p., il delitto di autoriciclaggio. 

La neonata norma, che nasce dalla approvazione in Senato, il 4 dicembre 2014, del disegno di legge n. 1642, di iniziativa dei deputati Causi, Bernardo, Sottanelli, Sberna e Gebhard, punisce con la pena della reclusione da due a otto anni, chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega sostituisce o trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il danaro, i beni, o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa; si prevede poi una speciale causa di esclusione della punibilità per l’ipotesi in cui i beni provenienti dal reato presupposto siano destinati alla mera utilizzazione o al godimento personale.

La lettura del dato testuale dell’articolo 648-ter I se da una parte rivela la sua natura di compromesso e di sintesi delle proposte avanzate dal Gruppo di studio Greco e dalla Commissione Fiandaca, coadiuvandosi in essa le basilari indicazioni da queste  provenienti, dall’altra manifesta  un’indole parzialmente svincolata dai modelli testé menzionati.

Infatti, discostandosi dal suggerimento, fornito dalle due Commissioni, di inserire in un’unica disposizione le fattispecie di riciclaggio e autoriciclaggio, da collocarsi in un apposito capo dedicato ai delitti contro l’ordine economico e finanziario, il legislatore del 2014 ha dotato l’ipotesi delittuosa de qua di uno spazio sistematico e operativo del tutto autonomo: la norma, nell’ambito dei delitti contro il patrimonio, segue ai reati di riciclaggio ex articolo 648-bis e di impiego ex articolo 648-ter, il cui tessuto normativo è lasciato pressoché immutato.

Il reato fa quindi ingresso nel codice penale non attraverso la mera eliminazione della clausola di riserva, soluzione questa che avrebbe garantito la conservazione di un identico frammento oggettivo della fattispecie tanto per il riciclatore quanto per autoriciclatore; all’opposto, si è prediletto un prototipo di condotta in parte differenziato, per la terminologia utilizzata, da quelle dei preesistenti delitti di riciclaggio e di impiego, risultando in una commistione ibrida che prende un po’ dell’uno e un po’ dell’altro.

Nondimeno, le riflessioni della Commissione Fiandaca palesano la loro carica suggestiva sulla rappresentazione dei comportamenti suscettibili di integrare il reato tracciata dal legislatore della riforma, laddove, recependo i timori manifestatisi in seno al gruppo circa l’implicita indeterminatezza descrittiva della condotta di chi trasferisce, sostituisce ovvero impiega i proventi del reato presupposto, si è fatta espressa menzione di quella modalità decettiva che massimamente dovrebbe concorrere a qualificarla: in altre parole, può dirsi che il requisito della concreta idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni attribuisce alla condotta dell’autoriciclatore un disvalore aggiunto, in grado di spezzare, quantomeno in astratto, il nesso di continuazione tra questa e quelle meramente esecutive del reato presupposto, dissipandosi così, per questa via, i dubbi sollevati sui presunti conflitti con la dogmatica del post factum non punibile.

Sulla stessa strada, tesa presumibilmente a superare le frizioni con il principio del ne bis in idem –  preoccupazione questa similmente avvertita dalla Commissione –, si muove la previsione di un trattamento sanzionatorio più lieve per i fatti di autoriciclaggio rispetto a quelli di riciclaggio e impiego.

Da notare, infine, che la norma introduce, al quarto comma, ancora una volta ispirandosi al testo delle sopra citate proposte, la clausola di non punibilità della mera utilizzazione o godimento personale.

Ora, se è lecito asserire che alla base della riforma che ha portato all’introduzione dell’autoriciclaggio ci sia stata la comune volontà di porre rimedio al vulnus di tutela del nostro ius puniendi, all’epoca simboleggiato dalla clausola di riserva apposta in apertura dei reati di cui agli articoli 648-bis e 648-ter, nondimeno non può negarsi che si è inteso fare da margine, tramite la medesima l. n. 186/2014, alla contestuale normativa di regolarizzazione fiscale, istitutiva della c.d. voluntary disclosure.

Non pare casuale infatti che la norma che disciplina il reato di autoriciclaggio (articolo 3 della l. n. 186/2014) sia collocata nell’ambito dello stesso provvedimento legislativo istitutivo della procedura di collaborazione volontaria (articolo 1 della legge citata).

 

3. Le interferenze tra l’autoriciclaggio e il delitto di trasferimento di valori

Dopo l’introduzione dell’articolo 648-ter I nel codice penale, sorge per l’interprete una questione dai risvolti tutt’altro che meramente teorici, relativa ai rapporti tra questa fattispecie ed un’altra preesistente, similmente tesa a reprimere il fenomeno di occultamento di capitali in circolazione.

Si tratta del delitto di trasferimento fraudolento di valori, introdotto dal d.l. 7 agosto 1992, n. 306, recante «Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa», e trasfuso senza modifiche ad opera del d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 («Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale»), all’articolo 512-bis c.p., nel capo del titolo VIII dedicato ai delitti contro l’economia pubblica.

Esso punisce, con la reclusione da due a sei anni, chiunque attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

Come si evince dal titolo del citato decreto legge, che fa riferimento alla «criminalità mafiosa«, la norma si inserisce nel quadro della legislazione di emergenza, la cui adozione si è resa necessaria a seguito delle stragi mafiose del 1992, con il precipuo intento di contrastare l’accumulo di ricchezza illecita da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso. A ben vedere tuttavia, trascendendo la voluntas del legislatore storico, la disposizione, imperniata sullo schema del reato comune, commissibile da «chiunque», è apparsa, fin dall’origine, dotata di una potenzialità applicativa in grado di travalicare i confini del mero fenomeno mafioso, fino ad assurgere a strumento efficace all’interno del più generale armamentario predisposto dalla legge per combattere la c.d. criminalità del profitto, nelle sue multiformi e mutevoli manifestazioni.

Ai nostri fini rileva la circostanza che fino all’introduzione del delitto di autoriciclaggio la disposizione in esame, emblematicamente designata «autoriciclaggio improprio», fosse l’unica fattispecie che consentiva di perseguire particolari condotte di carattere autoriciclatorio, non essendo la stessa contraddistinta, se non marchiata, in apertura da alcuna clausola di esclusione della punibilità dell’autore del reato da cui si sono originati i proventi illeciti, rappresentando così un primo, seppur timido, accenno verso la demolizione di quello che da più parti era da tempo additato come un «ingiusto privilegio».

In particolare, l’articolo 512-bis poteva essere utilizzato, sia pure negli stretti limiti ivi previsti, per punire l’autore del reato presupposto che, dopo averlo realizzato in regime di esecuzione monosoggettiva ovvero in concorso, trasferisse fittiziamente ad altri i proventi delittuosi conseguiti al fine di «agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter», in modo tale che i suddetti proventi potessero formare oggetto dei successivi reati di ricettazione, riciclaggio o impiego.

Letture consigliate:

  • Mezzetti E. – Piva D., Punire l’autoriciclaggio. Come, quando e perché, G. Giappichelli Editore, Torino, 2016, p. 17.
  • D’Avirro A. – Giglioli M., Autoriciclaggio e reati tributari, in Dir. pen. proc., Ipsoa, Milano, fasc. 2, 2015, p. 3.
  • Mainieri N. – Tovini G. A., I primi quattro anni dell’autoriciclaggio nell’interpretazione della Cassazione, in Giurisprudenza Penale, 2019, p. 4.
  • Dinacci E., Trasferimento fraudolento di valori, in Diritto online, 2018, p. 2.
  • Minutillo Turtur M., Riciclaggio e autoriciclaggio, in Rassegna della giurisprudenza di legittimità, vol. 1, sez. 4, cap. 1, p. 487
  • Gullo A., Autoriciclaggio. Voce per “Il libro dell’anno del diritto Treccani 2016”, in Dir. pen. cont. Riv. trim., 2015, p. 5.
  • Palazzi M., I rapporti tra il delitto di autoriciclaggio e quello di trasferimento fraudolento di valori, in Mezzetti, E. – Piva, D., a cura di, Punire l’autoriciclaggio. Come, quando e perché?, Torino, 2016, pp. 55 ss.; Mainieri N. – Tovini G. A., I primi quattro anni dell’autoriciclaggio nell’interpretazione della Cassazione, in Giurisprudenza Penale, 2019, 2.