x

x

231: corporate governance e responsabilità amministrativa (rectius penale) degli enti

Indice:

I – La responsabilità “penale” della societas - D.Lgs 231/01 – introduzione –

II – Ripercussioni del D.lgs 231/01 sulla corporate governance e sulla policy aziendale – focus -

I - La responsabilità “penale” della societas – D.Lgs 231/01 - introduzione –

Il costante procedimento di armonizzazione e uniformazione degli ordinamenti statuali europei ha determinato l’introduzione nel nostro ordinamento (con non poche perplessità sistematiche sulla conformità coi principi cardine del nostro diritto[1]) della responsabilità penale della societas. Un istituto di nuovo conio (recepito col decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231[2], attuativo della Convenzione OCSE[3]), che è espressione della tradizione giuridica di molti paesi europei[4]. Tale evoluzione legislativa ha determinato nel nostro ordinamento il tramonto del tradizionale principio contenuto nel brocardo “societas delinquere non potest” in favore del nuovo principio indicato col brocardo “societas puniri potest”. Come indicato nella Relazione accompagnatoria al D.Lgs 231/01, si tratta di un tertium genus di responsabilità, il cui accertamento e sindacato è demandato al Giudice penale, così come da disposto ex art. 35 D.Lgs 231/01: “…all’ente si applicano le disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili…”. Si tratta di una forma di responsabilità autonoma e diretta delle persone giuridiche[5], delle società e delle associazioni per i reati commessi (da persona fisica) nell’interesse o a vantaggio dell’ente collettivo[6] con importanti riflessi civili (di natura risarcitoria), e commerciali (relativi agli interessi economici dei soci e di responsabilità degli amministratori).

La ratio della normativa de qua è incentrata sulla repressione dei crimini dei cd. “colletti bianchi” col precipuo fine di promuovere la cultura della cd. “legalità preventiva” già a partire dall’interno della struttura aziendale. Questo scopo viene perseguito incentivando (ma, de facto, come vedremo in prosieguo, imponendo), l’adozione di un modello di organizzazione e gestione aziendale che eviti la perpetrazione di reati da parte dei subordinati dell’ente (in pro dell’ente medesimo) e che impedisca che i vertici aziendali possano deviare la politica d’impresa facendola sfociare nell’illegalità. A tal fine il D.Lgs 231/01 trae spunto dai compliance programme di stampo anglosassone, nei quali sono richieste alle aziende capacità di autocontrollo e trasparenza[7]. Varrà, infatti, rilevare come la responsabilità attribuita all’ente abbia natura colposa (in specie da cd. “colpa organizzativa”), scaturente dalla mancata adozione e/o attuazione di un valido modello di organizzazione, gestione e controllo volto a evitare la perpetrazione del reato posto in essere da persona fisica in pro dell’ente. In virtù di ciò, secondo il disposto normativo, l’impresa può (ma come è ben intuibile “deve”) efficacemente dotarsi di un codice etico e disciplinare, di un modello organizzativo per la prevenzione dei reati previsti dal decreto e di un Organismo Di Vigilanza che ne controlli l’effettiva operatività. Da quanto esposto emerge come la normativa di riferimento sia volta a disincentivare un sistema di amministrazione e controllo accentrato (in quanto e.g. facilmente corruttibile) in pro di uno a carattere orizzontale che determini una frammentazione dei centri decisionali aziendali.

II - Ripercussioni del D.lgs 231/01 sulla corporate governance e sulla policy aziendale - focus -

Nonostante il D.Lgs 231/01 sia rubricato sotto l’egida della responsabilità amministrativa degli enti, il medesimo in realtà cela una natura multidisciplinare, infatti, oltre ai notori caratteri penalistici si ritiene in questa sede di sottolinearne gli ulteriori e importanti aspetti di natura commerciale e civile. Non possono, infatti, essere ignorate le grosse ripercussioni che il D.Lgs 231/01 ha sulla vita aziendale sia in sede preventiva, in quanto comporta l’adozione di un oneroso sistema di autocontrollo, sia e soprattutto nella fase “patologica” e, quindi, nel caso in cui la società sia oggetto di provvedimenti cautelari e sanzionatori. Provvedimenti che, stante la natura giuridica e non fisica dell’imputato, si riflettono pesantemente sul patrimonio dell’ente condizionando l’attività del medesimo, coinvolgendo gli interessi economici dei soci e determinando possibili profili di responsabilità professionale degli amministratori.

In specie, per meglio comprendere l’importanza e influenza della normativa de qua sulla vita aziendale, è sufficiente rilevare come alla società possano essere inflitte sanzioni pecuniarie[8] -espresse in quote sociali- per un valore sino ad € 1.549.370,70 (lire 3.000.000.000), oltre alla confisca anche per equivalente del prezzo o profitto del reato ed all’eventuale condanna alla pubblicazione della sentenza. Non ultima per importanza si ricorda come la sanzione possa arrivare all’extrema ratio dell’interdizione dall’esercizio dell’attività dell’ente. Il tutto senza dimenticare il fatto che la società può essere chiamata a rispondere civilmente dei danni arrecati dalla perpetrazione del reato posto in essere nel suo interesse o a suo vantaggio ed in tal senso la Giurisprudenza placidamente enuncia: “…è pacifico che il d.lgs 231/01 ha introdotto un illecito risarcibile ex art. 2043 c.c…”[9].

Ovviamente gli enti potranno avere una attività sociale più o meno esposta al rischio di perpetrazione di reati ex D.lgs 231/01, tuttavia, le forti ripercussioni che una condanna penale (ovvero anche solo un provvedimento cautelare) può produrre sull’immagine aziendale, sugli interessi dei soci, azionisti e sul patrimonio sociale, costituiscono un forte monito alle aziende per l’adeguamento alla normativa medesima.

In virtù di quanto esposto ed al fine di evitare l’assoggettamento alle gravose pene edittali, il D.Lgs 231/01 crea un sistema premiale, in virtù del quale alle aziende “virtuose” che abbiano preventivamente adottato ed efficacemente attuato[10] modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire i reati previsti e puniti ex D.Lgs 231/01, è riconosciuta l’esimente[11] dal reato (ex art. 6 D.Lgs. 231/01)[12], il tutto con indubbi vantaggi indiretti concernenti l’immagine aziendale, la tutela degli azionisti e dei soci.

Preme altresì sottolineare come il fondamento della policy aziendale su principi di legalità preventiva aumenta (ed aumenterà sempre di più in futuro) il vantaggio competitivo dell’azienda medesima. Vantaggio non solo potenziale o riconducibile a meri valori etici, ma concretamente tangibile e derivante dalla progressiva tendenza a consentire l’accesso al mercato alle sole aziende che si sono adeguate al modello organizzativo previsto ex D.Lgs 231/01. In punto sono numerosi gli sforzi volti a cercare di far adottare abitualmente in sede di contrattazione una clausola che preveda l’adozione del “modello” quale conditio sine qua non per il perfezionamento del contratto. Sempre in tale ottica si segnala il caso della Regione Calabria, la quale, con una normativa interna[13] ha imposto alle imprese operanti in regime di convenzione con la medesima, di adeguarsi alle disposizioni di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, costituendo così un leading case per tutte le altre regioni.

Quello che in questa sede preme sottolineare è che, nonostante il dettato legislativo ponga in termini facoltativi la conformazione della struttura societaria alla normativa in esame, la Giurisprudenza di merito ha già avuto modo di esprimersi (nei confronti di un Amministratore Delegato e Presidente del C.d.A. di una S.p.A.) ritenendo la sussistenza di uno specifico dovere del medesimo alla attivazione di quanto disposto dal D.lgs 231/01. La Corte meneghina ha, infatti, ravvisato la sussistenza di una responsabilità per inadeguata attività amministrativa legittimante un’azione di responsabilità ex art. 2392 c.c. [14] ed ha per l’effetto riconosciuto l’insorgenza dell’obbligazione risarcitoria in capo al medesimo, così enunciando:”…l’amministratore delegato e presidente del C.d.A. è tenuto al risarcimento della sanzione amministrativa di cui all’art. 10 d.lg. n. 231/2001, nell’ipotesi di condanna dell’ente a seguito di reato, qualora non abbia adottato o non abbia proposto di adottare un modello organizzativo…”[15].

Concludendo, emerge palmarmente come l’adozione di una politica a aziendale conforme a principi di legalità preventiva sia ormai diventata un dovere per le aziende, le quali, ancorchè non espressamente obbligate dalla norma, non possono rinunciare ai benefici che l’adeguamento al disposto ex D.Lgs 231/01 può dare loro.



[1] La responsabilità dell’ente è stata, infatti, rubricata sotto l’egida della natura amministrativa al fine di evitare l’ostacolo concettuale dell’art. 27 Cost. secondo cui la responsabilità penale è personale.

[2] Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 19 giugno 2001, n. 140.

[3] La Legge 300/00 ha ratificato la Convenzione OCSE, 17.09.1997, sulla lotta alla corruzione di Pubblici Ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali a cui si aggiunge la responsabilità delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica (in specie l’art. 2 di detta convenzione espressamente sancisce”Ciascuna parte deve adottare tutte le misure necessarie, secondo i propri principi giuridici, per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche in caso di corruzione di un pubblico ufficiale straniero”). Con la succitata legge è stata altresì ratificata la Convenzione sulla tutela finanziaria delle Comunità europee, siglata a Bruxelles il 26.07.95, a cui è seguito un secondo protocollo ove (secondo Protocollo Addizionale, 19.06.1997, art. 3) veniva espressamente prevista l’introduzione della responsabilità delle persone giuridiche per i delitti di frode, corruzione attiva e riciclaggio di denaro, consumati o tentati da determinati soggetti a beneficio delle persone giuridiche stesse. In punto si precisa come l’Italia pur non avendo ratificato il secondo protocollo addizionale, ne ha, di fatto (con la legge delega 300/00 e con il successivo D.Lgs. 231/01), recepito i contenuti.

[4] In punto, si ricordano i dettati legislativi di: Francia, Finlandia, Portogallo, Danimarca, Olanda, Regno Unito, Irlanda e Svezia.

[5] In specie si osserva come il legislatore ha voluto assoggettare alla disciplina in esame il genus degli “enti” col precipuo fine di sottoporvi anche i soggetti sprovvisti di personalità giuridica. Più in particolare sono interessate dal D.Lgs 231/01 tutte le società di capitali, le società di persone (nessuna esclusa, nemmeno quelle di fatto), gli enti pubblici economici che agiscono iure privatorum e le associazioni non riconosciute. Dalla lettura del disposto del Decreto rimangono tuttavia escluse le imprese individuali (in quanto la disciplina de qua si riferisce solo agli enti collettivi), così come in virtù delle precise indicazioni della Delega vengono esclusi gli enti che esercitano pubblici poteri (Stato, Enti pubblici territoriali, altri enti pubblici non economici nonché gli altri enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale). Bisogna tuttavia notare come la normativa in esame lasci residuare un’ampia zona d’ombra intercorrente tra gli enti dotati di soggettività pubblica e gli enti pubblici economici.

[6] In punto sono eloquenti ed esaustivi gli esempi portati dalla Relazione al Decreto 231/01: “Da un lato, si collocano le ipotesi in cui, pur non essendo l’attività della persona giuridica finalizzata alla commissione di reati, quest’ultima rientri nell’ambito della sua diffusa politica aziendale. Si pensi alla corruzione, considerata un vero e proprio costo d’azienda, alle truffe in finanziamenti, ecc. In tutte queste ipotesi, che meritano - come si vedrà di seguito - un trattamento di maggior rigore, l’attività discende da decisioni di vertice dell’ente, ed involge quindi la responsabilità di persone che rivestono in esso un ruolo apicale. Dall’altro lato, si pongono i casi - egualmente significativi, anche se meno riprovevoli - in cui la commissione di reati derivi non già da una specifica volontà sociale, ma esclusivamente da un difetto di organizzazione o di controllo da parte degli apici: vale a dire, le ipotesi in cui il comportamento materiale sia realizzato da soggetti in posizione subordinata. Si faccia l’esempio - non del tutto teorico - dell’impiegato o del "quadro" il quale, agendo di sua iniziativa - se non in contrasto con una dichiarata linea di politica aziendale della società - compia un atto il quale comporti un forte risparmio di spesa per questa, disinteressandosi delle conseguenze penali dello stesso, al fine di ottenere un aumento dello stipendio od un avanzamento di carriera”.

[7] Nelle imprese anglosassoni la governance aziendale è già soggetta a codici di autoregolamentazione quali e.g. il “Listing Authority’s Combined Code”, la “Turnbull Guidance” od il “Sarbanes-Oxley Act”, che esplicitamente fanno riferimento alla necessità di instaurare e attuare un efficace sistema di controllo interno.

[8] Le sanzioni previste ex art. 9 ss. D.Lgs 231/01 hanno varia natura e consistono:

a) sanzione pecuniaria: viene espressa in quote il cui valore può variare, ex art. 10 ss. D.lgs.231/01, da un minimo di €.258,228 (lire 500.000) ad un massimo di € 1.542,37 (lire 3.000.000). L’importo della quota è fissato ed è determinato, ex art. 11 Dlgs.231/01, in base alle condizioni economico patrimoniali dell’ente. La sanzione è comminata dal Giudice penale per un importo non inferiore a 100 quote e non superiore a 1.000 quote in base alla gravità del fatto, al grado di responsabilità dell’ente ed all’attività svolta per eliminarne o attenuare le conseguenze del fatto medesimo e così per una sanzione pecuniaria di un importo massimo di € 1.549.370,70 (lire 3.000.000.000).

Come indicato dal punto 5.1 della Relazione al Decreto 231/01, il Giudicante dovrà quantificare la sanzione tenendo conto della condizioni economico patrimoniali dell’ente, in virtù di ciò “…potrà avvalersi dei bilanci o delle altre scritture comunque idonee a fotografare tali condizioni. In taluni casi, la prova potrà essere conseguita anche tenendo in considerazione le dimensioni dell’ente e la sua posizione sul mercato. … Il Giudice non potrà fare a meno di calarsi, con l’ausilio dei consulenti, nella realtà dell’impresa, dove potrà attingere anche le informazioni relative allo stato di solidità economica, finanziaria e patrimoniale dell’ente”.

Varrà altresì rilevare come, ex art. 12 D.Lgs 231/01, siano espressamente previsti dei casi di riduzione della sanzione pecuniaria, tuttavia, la sanzione medesima, non potrà comunque essere irrogata in misura inferiore a € 10.329,14 (lire 20.0000.000).

b) la confisca: con la sentenza di condanna (ex art. 19 D.Lgs 231/01) viene sempre disposta la confisca, anche per equivalenti, del prezzo o del profitto del reato, salvo per la parte che può essere restituita al danneggiato e fatti salvi i diritti acquistati dai terzi.

c) pubblicazione della sentenza di condanna: nel caso di irrogazione della sanzione interdittiva l’art. 18 D.Lgs 231/01 prevede la comminazione dell’ulteriore sanzione della pubblicazione della sentenza.

d) Le sanzioni interdittive (vengono comminate in virtù dell’ulteriore sussistenza di almeno una delle condizioni di cui all’art. 13 D.Lgs 231/01, determinate ad esempio dal rilevante profitto tratto dall’ente o dalla reiterazione del reato), consistono in:

d.1) interdizione dall’esercizio dell’attività;

d.2) sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

d.3) il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

d.4) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

d.5) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

[9] Cfr., ex plurimis, Uff. ind. Prel. Tribunale di Milano, 5 febbraio 2008, in Foro Ambrosiano, 2008, 2, 219, con nota di Bellingardi

[10] In merito la Relazione Ministeriale al D.Lgs 231/01 espressamente enuncia (punto n. 3.3): “…All’ente viene in pratica richiesta l’adozione di modelli comportamentali specificamente calibrati sul rischioreato, e cioè volti ad impedire, attraverso la fissazione di regole di condotta, la commissione di determinati reati. Requisito indispensabile perché dall’adozione del modello derivi l’esenzione da responsabilità dell’ente è che esso venga anche efficacemente attuato: l’effettività rappresenta, dunque, un punto qualificante ed irrinunciabile del nuovo sistema di responsabilità.”

[11] In applicazione del succitato disposto si segnala il primo caso giurisprudenziale: Tribunale di Milano, G.I.P., Dott. Enrico Manzi, 17 novembre 2009. caso “Impregilo”.

[12] In merito la Relazione Ministeriale al D.Lgs 231/01 espressamente enuncia (punto n. 3.4): “…secondo questa disciplina, affinché venga meno la responsabilità dell’ente ... si richiede … che non sia ravvisabile colpa alcuna da parte dell’ente stesso, il quale - attraverso il suo organismo - deve aver vigilato anche sull’osservanza dei programmi intesi a conformare le decisioni del medesimo secondo gli standard di "legalità preventiva"…”.

[13] Legge Regione Calabria n. 15 del 21 giugno 2008, ove all’art. 54 statuisce: “co. I) Le imprese che operano in regime di convenzione con la Regione Calabria, sono tenute ad adeguare, entro il 31 dicembre 2008, i propri modelli organizzativi alle disposizioni di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante la "disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società, e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300", dandone opportuna comunicazione ai competenti uffici regionali.

co. II) L’attuazione dei dispositivi contrattuali che regolano l’esercizio di nuove attività convenzionate, ovvero il rinnovo di convenzioni in scadenza, è subordinata al rispetto delle previsioni di cui al comma 1 del presente articolo”. In punto si segnala un secondo e recente intervento normativo della regione Calabria, la quale, sempre nell’ottica di affidare i servizi di pubblica utilità a enti terzi che diano garanzia di legalità, professionalità, lealtà e serietà, ed al fine di soddisfare i bisogni dell’utente, secondo criteri di qualità, efficienza, efficacia e trasparenza, sta avviando l’iter di modifica della normativa de qua (con la proposta di legge n. 428/8 del 6/11/2009) per meglio conformare l’ambito di applicazione della legge regionale n. 15/2008, art. 54, con quella del decreto legislativo n. 231/2001.

[14] La prima decisione in merito è stata la pronuncia del Tribunale Milano, sez. VIII, 13 febbraio 2008, n. 1774, la quale, in motivazione enuncia: “…per quanto attiene all’omessa adozione di un adeguato modello organizzativo …risulta… incontestabile il concorso di responsabilità di parte convenuta che, quale Amministratore Delegato e Presidente del C.d.A., aveva il dovere di attivare tale organo…”. In Riv. dottori comm. 2008, 6, 1265 -s.m.- (nota di: Troyer, Ingrassia).

[15] Tribunale Milano, sez. VIII, 13 febbraio 2008, n. 1774, in Riv. dottori comm. 2008, 6, 1265 -s.m.- (nota di: Troyer, Ingrassia).

Indice:

I – La responsabilità “penale” della societas - D.Lgs 231/01 – introduzione –

II – Ripercussioni del D.lgs 231/01 sulla corporate governance e sulla policy aziendale – focus -

I - La responsabilità “penale” della societas – D.Lgs 231/01 - introduzione –

Il costante procedimento di armonizzazione e uniformazione degli ordinamenti statuali europei ha determinato l’introduzione nel nostro ordinamento (con non poche perplessità sistematiche sulla conformità coi principi cardine del nostro diritto[1]) della responsabilità penale della societas. Un istituto di nuovo conio (recepito col decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231[2], attuativo della Convenzione OCSE[3]), che è espressione della tradizione giuridica di molti paesi europei[4]. Tale evoluzione legislativa ha determinato nel nostro ordinamento il tramonto del tradizionale principio contenuto nel brocardo “societas delinquere non potest” in favore del nuovo principio indicato col brocardo “societas puniri potest”. Come indicato nella Relazione accompagnatoria al D.Lgs 231/01, si tratta di un tertium genus di responsabilità, il cui accertamento e sindacato è demandato al Giudice penale, così come da disposto ex art. 35 D.Lgs 231/01: “…all’ente si applicano le disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili…”. Si tratta di una forma di responsabilità autonoma e diretta delle persone giuridiche[5], delle società e delle associazioni per i reati commessi (da persona fisica) nell’interesse o a vantaggio dell’ente collettivo[6] con importanti riflessi civili (di natura risarcitoria), e commerciali (relativi agli interessi economici dei soci e di responsabilità degli amministratori).

La ratio della normativa de qua è incentrata sulla repressione dei crimini dei cd. “colletti bianchi” col precipuo fine di promuovere la cultura della cd. “legalità preventiva” già a partire dall’interno della struttura aziendale. Questo scopo viene perseguito incentivando (ma, de facto, come vedremo in prosieguo, imponendo), l’adozione di un modello di organizzazione e gestione aziendale che eviti la perpetrazione di reati da parte dei subordinati dell’ente (in pro dell’ente medesimo) e che impedisca che i vertici aziendali possano deviare la politica d’impresa facendola sfociare nell’illegalità. A tal fine il D.Lgs 231/01 trae spunto dai compliance programme di stampo anglosassone, nei quali sono richieste alle aziende capacità di autocontrollo e trasparenza[7]. Varrà, infatti, rilevare come la responsabilità attribuita all’ente abbia natura colposa (in specie da cd. “colpa organizzativa”), scaturente dalla mancata adozione e/o attuazione di un valido modello di organizzazione, gestione e controllo volto a evitare la perpetrazione del reato posto in essere da persona fisica in pro dell’ente. In virtù di ciò, secondo il disposto normativo, l’impresa può (ma come è ben intuibile “deve”) efficacemente dotarsi di un codice etico e disciplinare, di un modello organizzativo per la prevenzione dei reati previsti dal decreto e di un Organismo Di Vigilanza che ne controlli l’effettiva operatività. Da quanto esposto emerge come la normativa di riferimento sia volta a disincentivare un sistema di amministrazione e controllo accentrato (in quanto e.g. facilmente corruttibile) in pro di uno a carattere orizzontale che determini una frammentazione dei centri decisionali aziendali.

II - Ripercussioni del D.lgs 231/01 sulla corporate governance e sulla policy aziendale - focus -

Nonostante il D.Lgs 231/01 sia rubricato sotto l’egida della responsabilità amministrativa degli enti, il medesimo in realtà cela una natura multidisciplinare, infatti, oltre ai notori caratteri penalistici si ritiene in questa sede di sottolinearne gli ulteriori e importanti aspetti di natura commerciale e civile. Non possono, infatti, essere ignorate le grosse ripercussioni che il D.Lgs 231/01 ha sulla vita aziendale sia in sede preventiva, in quanto comporta l’adozione di un oneroso sistema di autocontrollo, sia e soprattutto nella fase “patologica” e, quindi, nel caso in cui la società sia oggetto di provvedimenti cautelari e sanzionatori. Provvedimenti che, stante la natura giuridica e non fisica dell’imputato, si riflettono pesantemente sul patrimonio dell’ente condizionando l’attività del medesimo, coinvolgendo gli interessi economici dei soci e determinando possibili profili di responsabilità professionale degli amministratori.

In specie, per meglio comprendere l’importanza e influenza della normativa de qua sulla vita aziendale, è sufficiente rilevare come alla società possano essere inflitte sanzioni pecuniarie[8] -espresse in quote sociali- per un valore sino ad € 1.549.370,70 (lire 3.000.000.000), oltre alla confisca anche per equivalente del prezzo o profitto del reato ed all’eventuale condanna alla pubblicazione della sentenza. Non ultima per importanza si ricorda come la sanzione possa arrivare all’extrema ratio dell’interdizione dall’esercizio dell’attività dell’ente. Il tutto senza dimenticare il fatto che la società può essere chiamata a rispondere civilmente dei danni arrecati dalla perpetrazione del reato posto in essere nel suo interesse o a suo vantaggio ed in tal senso la Giurisprudenza placidamente enuncia: “…è pacifico che il d.lgs 231/01 ha introdotto un illecito risarcibile ex art. 2043 c.c…”[9].

Ovviamente gli enti potranno avere una attività sociale più o meno esposta al rischio di perpetrazione di reati ex D.lgs 231/01, tuttavia, le forti ripercussioni che una condanna penale (ovvero anche solo un provvedimento cautelare) può produrre sull’immagine aziendale, sugli interessi dei soci, azionisti e sul patrimonio sociale, costituiscono un forte monito alle aziende per l’adeguamento alla normativa medesima.

In virtù di quanto esposto ed al fine di evitare l’assoggettamento alle gravose pene edittali, il D.Lgs 231/01 crea un sistema premiale, in virtù del quale alle aziende “virtuose” che abbiano preventivamente adottato ed efficacemente attuato[10] modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire i reati previsti e puniti ex D.Lgs 231/01, è riconosciuta l’esimente[11] dal reato (ex art. 6 D.Lgs. 231/01)[12], il tutto con indubbi vantaggi indiretti concernenti l’immagine aziendale, la tutela degli azionisti e dei soci.

Preme altresì sottolineare come il fondamento della policy aziendale su principi di legalità preventiva aumenta (ed aumenterà sempre di più in futuro) il vantaggio competitivo dell’azienda medesima. Vantaggio non solo potenziale o riconducibile a meri valori etici, ma concretamente tangibile e derivante dalla progressiva tendenza a consentire l’accesso al mercato alle sole aziende che si sono adeguate al modello organizzativo previsto ex D.Lgs 231/01. In punto sono numerosi gli sforzi volti a cercare di far adottare abitualmente in sede di contrattazione una clausola che preveda l’adozione del “modello” quale conditio sine qua non per il perfezionamento del contratto. Sempre in tale ottica si segnala il caso della Regione Calabria, la quale, con una normativa interna[13] ha imposto alle imprese operanti in regime di convenzione con la medesima, di adeguarsi alle disposizioni di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, costituendo così un leading case per tutte le altre regioni.

Quello che in questa sede preme sottolineare è che, nonostante il dettato legislativo ponga in termini facoltativi la conformazione della struttura societaria alla normativa in esame, la Giurisprudenza di merito ha già avuto modo di esprimersi (nei confronti di un Amministratore Delegato e Presidente del C.d.A. di una S.p.A.) ritenendo la sussistenza di uno specifico dovere del medesimo alla attivazione di quanto disposto dal D.lgs 231/01. La Corte meneghina ha, infatti, ravvisato la sussistenza di una responsabilità per inadeguata attività amministrativa legittimante un’azione di responsabilità ex art. 2392 c.c. [14] ed ha per l’effetto riconosciuto l’insorgenza dell’obbligazione risarcitoria in capo al medesimo, così enunciando:”…l’amministratore delegato e presidente del C.d.A. è tenuto al risarcimento della sanzione amministrativa di cui all’art. 10 d.lg. n. 231/2001, nell’ipotesi di condanna dell’ente a seguito di reato, qualora non abbia adottato o non abbia proposto di adottare un modello organizzativo…”[15].

Concludendo, emerge palmarmente come l’adozione di una politica a aziendale conforme a principi di legalità preventiva sia ormai diventata un dovere per le aziende, le quali, ancorchè non espressamente obbligate dalla norma, non possono rinunciare ai benefici che l’adeguamento al disposto ex D.Lgs 231/01 può dare loro.



[1] La responsabilità dell’ente è stata, infatti, rubricata sotto l’egida della natura amministrativa al fine di evitare l’ostacolo concettuale dell’art. 27 Cost. secondo cui la responsabilità penale è personale.

[2] Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 19 giugno 2001, n. 140.

[3] La Legge 300/00 ha ratificato la Convenzione OCSE, 17.09.1997, sulla lotta alla corruzione di Pubblici Ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali a cui si aggiunge la responsabilità delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica (in specie l’art. 2 di detta convenzione espressamente sancisce”Ciascuna parte deve adottare tutte le misure necessarie, secondo i propri principi giuridici, per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche in caso di corruzione di un pubblico ufficiale straniero”). Con la succitata legge è stata altresì ratificata la Convenzione sulla tutela finanziaria delle Comunità europee, siglata a Bruxelles il 26.07.95, a cui è seguito un secondo protocollo ove (secondo Protocollo Addizionale, 19.06.1997, art. 3) veniva espressamente prevista l’introduzione della responsabilità delle persone giuridiche per i delitti di frode, corruzione attiva e riciclaggio di denaro, consumati o tentati da determinati soggetti a beneficio delle persone giuridiche stesse. In punto si precisa come l’Italia pur non avendo ratificato il secondo protocollo addizionale, ne ha, di fatto (con la legge delega 300/00 e con il successivo D.Lgs. 231/01), recepito i contenuti.

[4] In punto, si ricordano i dettati legislativi di: Francia, Finlandia, Portogallo, Danimarca, Olanda, Regno Unito, Irlanda e Svezia.

[5] In specie si osserva come il legislatore ha voluto assoggettare alla disciplina in esame il genus degli “enti” col precipuo fine di sottoporvi anche i soggetti sprovvisti di personalità giuridica. Più in particolare sono interessate dal D.Lgs 231/01 tutte le società di capitali, le società di persone (nessuna esclusa, nemmeno quelle di fatto), gli enti pubblici economici che agiscono iure privatorum e le associazioni non riconosciute. Dalla lettura del disposto del Decreto rimangono tuttavia escluse le imprese individuali (in quanto la disciplina de qua si riferisce solo agli enti collettivi), così come in virtù delle precise indicazioni della Delega vengono esclusi gli enti che esercitano pubblici poteri (Stato, Enti pubblici territoriali, altri enti pubblici non economici nonché gli altri enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale). Bisogna tuttavia notare come la normativa in esame lasci residuare un’ampia zona d’ombra intercorrente tra gli enti dotati di soggettività pubblica e gli enti pubblici economici.

[6] In punto sono eloquenti ed esaustivi gli esempi portati dalla Relazione al Decreto 231/01: “Da un lato, si collocano le ipotesi in cui, pur non essendo l’attività della persona giuridica finalizzata alla commissione di reati, quest’ultima rientri nell’ambito della sua diffusa politica aziendale. Si pensi alla corruzione, considerata un vero e proprio costo d’azienda, alle truffe in finanziamenti, ecc. In tutte queste ipotesi, che meritano - come si vedrà di seguito - un trattamento di maggior rigore, l’attività discende da decisioni di vertice dell’ente, ed involge quindi la responsabilità di persone che rivestono in esso un ruolo apicale. Dall’altro lato, si pongono i casi - egualmente significativi, anche se meno riprovevoli - in cui la commissione di reati derivi non già da una specifica volontà sociale, ma esclusivamente da un difetto di organizzazione o di controllo da parte degli apici: vale a dire, le ipotesi in cui il comportamento materiale sia realizzato da soggetti in posizione subordinata. Si faccia l’esempio - non del tutto teorico - dell’impiegato o del "quadro" il quale, agendo di sua iniziativa - se non in contrasto con una dichiarata linea di politica aziendale della società - compia un atto il quale comporti un forte risparmio di spesa per questa, disinteressandosi delle conseguenze penali dello stesso, al fine di ottenere un aumento dello stipendio od un avanzamento di carriera”.

[7] Nelle imprese anglosassoni la governance aziendale è già soggetta a codici di autoregolamentazione quali e.g. il “Listing Authority’s Combined Code”, la “Turnbull Guidance” od il “Sarbanes-Oxley Act”, che esplicitamente fanno riferimento alla necessità di instaurare e attuare un efficace sistema di controllo interno.

[8] Le sanzioni previste ex art. 9 ss. D.Lgs 231/01 hanno varia natura e consistono:

a) sanzione pecuniaria: viene espressa in quote il cui valore può variare, ex art. 10 ss. D.lgs.231/01, da un minimo di €.258,228 (lire 500.000) ad un massimo di € 1.542,37 (lire 3.000.000). L’importo della quota è fissato ed è determinato, ex art. 11 Dlgs.231/01, in base alle condizioni economico patrimoniali dell’ente. La sanzione è comminata dal Giudice penale per un importo non inferiore a 100 quote e non superiore a 1.000 quote in base alla gravità del fatto, al grado di responsabilità dell’ente ed all’attività svolta per eliminarne o attenuare le conseguenze del fatto medesimo e così per una sanzione pecuniaria di un importo massimo di € 1.549.370,70 (lire 3.000.000.000).

Come indicato dal punto 5.1 della Relazione al Decreto 231/01, il Giudicante dovrà quantificare la sanzione tenendo conto della condizioni economico patrimoniali dell’ente, in virtù di ciò “…potrà avvalersi dei bilanci o delle altre scritture comunque idonee a fotografare tali condizioni. In taluni casi, la prova potrà essere conseguita anche tenendo in considerazione le dimensioni dell’ente e la sua posizione sul mercato. … Il Giudice non potrà fare a meno di calarsi, con l’ausilio dei consulenti, nella realtà dell’impresa, dove potrà attingere anche le informazioni relative allo stato di solidità economica, finanziaria e patrimoniale dell’ente”.

Varrà altresì rilevare come, ex art. 12 D.Lgs 231/01, siano espressamente previsti dei casi di riduzione della sanzione pecuniaria, tuttavia, la sanzione medesima, non potrà comunque essere irrogata in misura inferiore a € 10.329,14 (lire 20.0000.000).

b) la confisca: con la sentenza di condanna (ex art. 19 D.Lgs 231/01) viene sempre disposta la confisca, anche per equivalenti, del prezzo o del profitto del reato, salvo per la parte che può essere restituita al danneggiato e fatti salvi i diritti acquistati dai terzi.

c) pubblicazione della sentenza di condanna: nel caso di irrogazione della sanzione interdittiva l’art. 18 D.Lgs 231/01 prevede la comminazione dell’ulteriore sanzione della pubblicazione della sentenza.

d) Le sanzioni interdittive (vengono comminate in virtù dell’ulteriore sussistenza di almeno una delle condizioni di cui all’art. 13 D.Lgs 231/01, determinate ad esempio dal rilevante profitto tratto dall’ente o dalla reiterazione del reato), consistono in:

d.1) interdizione dall’esercizio dell’attività;

d.2) sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

d.3) il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

d.4) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

d.5) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

[9] Cfr., ex plurimis, Uff. ind. Prel. Tribunale di Milano, 5 febbraio 2008, in Foro Ambrosiano, 2008, 2, 219, con nota di Bellingardi

[10] In merito la Relazione Ministeriale al D.Lgs 231/01 espressamente enuncia (punto n. 3.3): “…All’ente viene in pratica richiesta l’adozione di modelli comportamentali specificamente calibrati sul rischioreato, e cioè volti ad impedire, attraverso la fissazione di regole di condotta, la commissione di determinati reati. Requisito indispensabile perché dall’adozione del modello derivi l’esenzione da responsabilità dell’ente è che esso venga anche efficacemente attuato: l’effettività rappresenta, dunque, un punto qualificante ed irrinunciabile del nuovo sistema di responsabilità.”

[11] In applicazione del succitato disposto si segnala il primo caso giurisprudenziale: Tribunale di Milano, G.I.P., Dott. Enrico Manzi, 17 novembre 2009. caso “Impregilo”.

[12] In merito la Relazione Ministeriale al D.Lgs 231/01 espressamente enuncia (punto n. 3.4): “…secondo questa disciplina, affinché venga meno la responsabilità dell’ente ... si richiede … che non sia ravvisabile colpa alcuna da parte dell’ente stesso, il quale - attraverso il suo organismo - deve aver vigilato anche sull’osservanza dei programmi intesi a conformare le decisioni del medesimo secondo gli standard di "legalità preventiva"…”.

[13] Legge Regione Calabria n. 15 del 21 giugno 2008, ove all’art. 54 statuisce: “co. I) Le imprese che operano in regime di convenzione con la Regione Calabria, sono tenute ad adeguare, entro il 31 dicembre 2008, i propri modelli organizzativi alle disposizioni di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante la "disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società, e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300", dandone opportuna comunicazione ai competenti uffici regionali.

co. II) L’attuazione dei dispositivi contrattuali che regolano l’esercizio di nuove attività convenzionate, ovvero il rinnovo di convenzioni in scadenza, è subordinata al rispetto delle previsioni di cui al comma 1 del presente articolo”. In punto si segnala un secondo e recente intervento normativo della regione Calabria, la quale, sempre nell’ottica di affidare i servizi di pubblica utilità a enti terzi che diano garanzia di legalità, professionalità, lealtà e serietà, ed al fine di soddisfare i bisogni dell’utente, secondo criteri di qualità, efficienza, efficacia e trasparenza, sta avviando l’iter di modifica della normativa de qua (con la proposta di legge n. 428/8 del 6/11/2009) per meglio conformare l’ambito di applicazione della legge regionale n. 15/2008, art. 54, con quella del decreto legislativo n. 231/2001.

[14] La prima decisione in merito è stata la pronuncia del Tribunale Milano, sez. VIII, 13 febbraio 2008, n. 1774, la quale, in motivazione enuncia: “…per quanto attiene all’omessa adozione di un adeguato modello organizzativo …risulta… incontestabile il concorso di responsabilità di parte convenuta che, quale Amministratore Delegato e Presidente del C.d.A., aveva il dovere di attivare tale organo…”. In Riv. dottori comm. 2008, 6, 1265 -s.m.- (nota di: Troyer, Ingrassia).

[15] Tribunale Milano, sez. VIII, 13 febbraio 2008, n. 1774, in Riv. dottori comm. 2008, 6, 1265 -s.m.- (nota di: Troyer, Ingrassia).