Amicone, la capacità di cercare il bene ovunque
Oggi sale al cielo una di quelle persone che ti pare che il mondo si impoverisca enormemente senza di lui. Che ti pare impossibile non poterlo rivedere più su questa terra. Che ti si lacera l'anima, perché lo sapevi capace di una affettività in grado di riempire fino agli angoli le stanze che attraversava. E fino anche ai cuori degli avversari, che non potevano non averne in fondo simpatia, visto che quella che lui comunicava era non solo caratteriale ma profondamente umana.
Devo tantissimo a Lugi Amicone che mi ha voluto bene fin da ragazzina e che, pur conoscendo la mia storia tempestosa, aveva deciso di scommettere su di me quando nemmeno io lo avrei fatto. Infatti Gigi - lo chiamavamo così a Tempi sebbene ne fosse il direttore - era uno che anche quando nessuno lo vedeva, sapeva trovare il bianco dei denti nella carcassa, come si racconta di Gesù in un vangelo apocrifo tante volte citato da don Luigi Giussani. E così quando approdai al suo giornale per una collaborazione, dopo un anno di gavetta presso il quotidiano Libero, decise di assumermi nonostante fossi ancora molto acerba e da formare. Di me Gigi non vedeva i nei, o meglio li vedeva, ma sceglieva di non renderli determinanti. La sua decisione era per il bianco appunto: anche ce ne fosse stato appena un briciolo lui puntava gli occhi lì e scommetteva. Ci credeva così tanto da rischiare e darti responsabilità forse oltre la tua capacità, sempre valorizzandoti a partire dal tuo punto di forza.
Io non ero tecnicamente brillante ma lui vedeva l'animo che mettevo nel lavoro, la spinta ideale e la radicalità che mi muoveva. E dove altri avrebbero frenato lui spingeva. Dicevano che era un po' folle per questo, ma penso che senza questa follia io, con tanti altri, non saremmo dove siamo. Poi quando ti vedeva raggiungere l'obiettivo si esaltava come quello che punta sulla squadra non favorita che diventa vincente.
Ricordo quando una mia inchiesta sulla Ru486 divenne oggetto di una interrogazione parlamentare. Amicone entrò in redazione così: "Forza Benny, tu sì che quagli mica noi che scriviamo bei pensierini". Ma poi il giorno dopo il complimento era per qualcun altro. E così era ogni volta che andavi nel suo ufficio a comunicargli un'idea che poteva anche essere fuori dagli schemi del giornale ma che accoglieva con entusiasmo se vedeva il tuo. Come quando mi mandò a Medjugorje (un viaggio che mi cambiò la vita e per cui lo ringrazio) dopo che Benedetto XVI aveva stabilito una commissione d'inchiesta in merito: "Ho un debito con la Madonna - mi disse - vai". Poi sul mio articolo ci fece la copertina del giornale con l'immagine della Gospa. "Brava Benny", e poi "abbiamo pure venduto tantissimo". Dopodiché andammo dalla Madonna a Caravaggio insieme ad una persona fuori dalle nostre righe e lontana dalla Chiesa ma a cui lui teneva molto.
L'amicizia con Gigi è proseguita anche dopo che lasciai Tempi per la Nuova Bussola. Mi scriveva se gli piaceva qualche mio articolo, mi mandava i suoi e dove mi vedeva entusiasta con lui mi faceva il tifo. Gioendo anche delle mie gioie personali: "E pensare che eri una punk splatter in terza media... guarda ora", mi ripeteva ogni tanto. L'ultima volta me lo scrisse in un messaggio per la recente nascita della mia secondogenita che avrei desiderato fargli conoscere, sebbene ora la conosca più di me.
Conservo nella memoria diversi episodi in cui oltre alla sua purezza (cercava la verità e quando sbagliava difficilmente era per politica), emergeva la sua capacità di credere nell'incredibile. Perché lui era stato guardato così da don Giussani (che lo aveva amato come un figlio preferito) per il bianco dei suoi denti. Così Gigi, come fa un vero figlio, ha passato il resto della sua vita a ridare lo sguardo ricevuto. Generando, gettando sempre il cuore oltre l'ostacolo.
Da ultimo voglio ricordare i viaggi in macchina con lui quando mi capitava di accompagnarlo a casa dal lavoro. Si parlava del mondo, della Chiesa, del movimento di Cl, ma anche delle nostre storie personali. Più volte mi aveva ripetuto, forse rintracciando in me lo stesso bisogno nostalgico di totalità, quanto gli disse una volta don Giussani: "Luigino, la vita è triste e meno male perché altrimenti sarebbe disperata", capendo bene quale fosse l'origine della sua inquietudine e tristezza che, lungi dal farne un depresso, lo aveva reso, grazie a queste parole, un indomito ricercatore di quel Vero che lo aveva già afferrato.
Che tu possa contemplarLo faccia a faccia, caro Gigi, lasciandoci con il vuoto della tua presenza la consolazione di vederLo un giorno insieme a te.
19 ottobre