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Anche se è grossolana è pur sempre contraffazione

contraffazione
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Interessante sentenza della Cassazione Penale (II, 7 giugno 2019, n. 40324) sulla contraffazione del marchio.

Il Collegio ha osservato come la circostanza della registrazione del marchio asseritamente contraffatto, valorizzata dalla Corte di appello, fosse un dato indifferente ai fini della configurazione del reato, in ragione del carattere autonomo del diritto penale e in forza del costante orientamento della Corte di cassazione che ha pacificamente affermato che il reato di cui all’articolo 473 Codice Penale (Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni), nel caso di marchi regolarmente registrati, può ritenersi astrattamente sussistente ove siano ravvisabili i connotati della condotta descritta dalla norma incriminatrice de qua (V, sentenza n. 51754 del 2 ottobre 2018, Fabbri; I, sentenza n. 30774 del 9 settembre 2015, Baccalaro; V, sentenza n. 10193 del 9 marzo 2006, Tiburzi), ossia la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio.

È stato, inoltre, chiarito che tali due condotte consistono, rispettivamente, nella riproduzione integrale o nella riproduzione parziale del marchio originale, con la precisazione che, in tale ultimo caso, la riproduzione deve essere di consistenza comunque idonea a creare la confusione con il marchio originale (V, n. 38068 del 9 marzo 2006, Lauri).

Occorre ulteriormente precisare che il requisito di confondibilità affermato dal richiamato orientamento giurisprudenziale non va riferito al momento dell’acquisto e alla prospettiva dell’acquirente, ma va verificato nel rapporto di comparazione con il marchio genuino. Ciò in quanto l’interesse del singolo acquirente non rappresenta l’oggetto della tutela giuridica apprestata dalla norma penale di riferimento.

“Come affermato, infatti, dal prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’interesse giuridico tutelato dagli articoli 473 e 474 (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) Codice Penale, è innanzitutto [...] la pubblica fede in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l’affidamento del singolo, sicché, ai fini dell’integrazione dei reati non è necessaria la realizzazione di una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto (V, sentenza n. 18289 del 27 gennaio 2016, Volponi; II, sentenza n. 28423 del 27 aprile 2012, Fabbri).”.

Il reato di cui all’articolo 473 Codice Penale è plurioffensivo, essendo destinato a tutelare non solo quel particolare bene giuridico, di natura immateriale e collettiva, rappresentato dalla pubblica fede, ma anche altri beni meritevoli di protezione, quali le privative sui marchi registrati, l’interesse alla regolarità del commercio e dell’industria e, più in generale, l’economia nazionale, secondo una condivisibile tendenza volta ad assicurare effettività ai principi costituzionali in materia di iniziativa economica e di proprietà privata (Sezioni Unite, sentenza n. 46982 del 25 ottobre 2007, Pasquini).

La Corte, pertanto, ribadisce che ai fini della configurabilità del reato di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (articolo 473 Codice Penale), nessun rilievo acquista la c.d. contraffazione grossolana, considerato che il bene tutelato in via principale e diretta dalla fattispecie incriminatrice, non è la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione.

“Si tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno, analogamente a quanto richiesto per l’ipotesi del reato di cui all’articolo 474 c. p., considerato che, ferma la diversità della condotta caratterizzanti le due fattispecie, la res oggetto della condotta è la medesima, di guisa che ricorrendo la eadem ratio si applica analogo principio (V, sentenza n. 10193 del 9 marzo 2006, Pascale; V 5, sentenza n. 5260 del 11 dicembre 2013, Faje).”.

Con particolare riferimento alle modalità di comparazione dei marchi, ai fine della valutazione del requisito della confondibilità inteso nel senso sopra precisato, risulta utile fare riferimento ai principi fissati dalla Cassazione civile, che ha spiegato che

“in tema di tutela del marchio, l’apprezzamento sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto [...] non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo, cioè, all’insieme degli elementi salienti – grafici, fonetici e visivi, nonché tenendo conto che, ove si tratti di marchio “forte” [...], detta tutela si caratterizza per una maggiore incisività, rispetto a quella dei marchi “deboli”, poiché rende illegittime le variazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l’attitudine individuante” (I, sentenza n. 10205 del 18 dicembre 2018; I, sentenza n. 1249 del 18 gennaio 2013; I, sentenza n. 4405 del 28 febbraio 2006; I, sentenza n. 17671 del 29 luglio 2009).

La sentenza d’appello è stata annullata limitatamente alle statuizioni civili, posto che il ricorso era stato proposto dalle parti civili e riguardava esclusivamente l’azione civile.

Va, infine, ricordato che i reati di cui agli articoli 473 e 474 Codice Penale possono essere imputati ad un ente collettivo, ove commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, ai sensi dell’articolo 25-bis Decreto Legislativo 231/2001.