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Articolo 494 Codice Penale: sostituzione di persona

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno.

Sommario: I. INTRODUZIONE ALLA NORMA. 1. Inquadramento generale. II. IL COMMENTO. 1. L’interesse protetto. 2. Il soggetto attivo. 3. La condotta tipica. 4. L’elemento soggettivo. 5. Consumazione. 6. Sussidiarietà della norma e rapporti con altri reati. III. LE QUESTIONI APERTE. 1. Esposizione del contrassegno invalidi: sussistenza del delitto di sostituzione di persona?

I. INTRODUZIONE ALLA NORMA

1. Inquadramento generale

L’oggetto giuridico tutelato dal capo IV del Titolo VII del Codice Penale è quello della fede pubblica così come per i reati di cui capo I, II, e III del detto titolo. Nel caso di specie l’inganno, benché rivolto verso una specifica persona può avere effetti verso un numero indeterminato di soggetti.

II. IL COMMENTO

1. L’interesse protetto

Quanto all'oggetto giuridico interessato dalla norma, la Suprema Corte ha affermato che “Oggetto della tutela penale, in relazione al delitto preveduto nell’articolo 494 c.p., è l’interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali. E siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia d’un determinato destinatario, così il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome” (Cassazione penale n. 46674/2007). Le Sezioni Unite sono intervenute al fine di redimere un contrasto tra le sezioni in ordine alla natura monooffensiva o plurioffensiva dei reati contro la fede pubblica, affermando la natura plurioffensiva degli stessi posto che i reati contro la fede pubblica tutelano “anche il soggetto sulla cui concreta posizione giuridica l’atto incide direttamente, soggetto che, in tal caso, è legittimato a proporre opposizione contro la richiesta di archiviazione”(Cassazione, Sezioni Unite, n. 46982 /2007).

2. Il soggetto attivo

Soggetto attivo del reato può essere chiunque. Trattasi quindi di un reato comune.

3. La condotta tipica

La condotta idonea ad integrare l’elemento oggettivo del reato è a forma vincolata. Occorre che il soggetto attivo ponga in essere una delle modalità previste dalla norma, ossia sostituisca illegittimamente la propria all’altrui persona, attribuisca a sé o ad altri un falso nome, un falso stato o una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici (cittadinanza, potestà genitoriale, eccetera). Sul piano materiale, risulta dunque necessario da parte dell’agente una condotta positiva tale da trarre taluno in inganno. La Corte di legittimità si è pronunciata in ordine alla configurabilità del reato di cui all’articolo 494 del Codice Penale nel caso della partecipazione di un soggetto ad aste on-line con l’uso di uno pseudonimo osservando che integra il reato la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese (Sezione V, 8 novembre 2007, n. 46674, Rv. 238504). Nel caso di specie l’imputato aveva utilizzato i dati anagrafici di una donna aprendo a suo nome un account e una casella di posta elettronica, facendo così ricadere sull’inconsapevole intestataria, e non su se stesso, le conseguenze dell’inadempimento delle obbligazioni di pagamento del prezzo di beni acquistati mediante la partecipazione ad aste in rete. Ed ancora la Suprema Corte ha confermato la sentenza di condanna in ordine al reato previsto dall'articolo 494 del Codice Penale, contestato all’imputato perché, al fine di procurarsi un vantaggio e di recare un danno alla persona offesa, creava un account di posta elettronica, apparentemente intestato alla persona offesa, e successivamente, utilizzandolo, allacciava rapporti con utenti della rete internet, inducendo in errore sia il gestore del sito sia gli utenti, attribuendosi il falso nome della stessa (Cassazione n. 46674/2007). Per la configurabilità del reato è altresì necessario, evidenziano i giudici di legittimità, la sussistenza di un danno o di un vantaggio causalmente ascrivibile alla condotta del soggetto agente. Nella menzionata sentenza si sottolinea come, a seguito della condotta dell’imputato, la persona offesa ricevette telefonate da uomini che le chiedevano incontri a scopo sessuale.

4. L’elemento soggettivo

Dottrina e giurisprudenza in maniera concorde ritengono che l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico, posta la necessità sia della volontà del fatto nonché lo scopo di creare un danno.

5. Consumazione

Il reato si consuma allorquando il soggetto passivo viene indotto in errore e la forma del tentativo è giuridicamente configurabile nel momento in cui “l’agente abbia usato uno dei mezzi fraudolenti previsti dall’ art. 494 c.p., ma senza riuscire ad indurre in errore taluno” (Cassazione n. 2543/ 1985).

6. Sussidiarietà della norma. Rapporti con altri reati

Il delitto di sostituzione di persona ha carattere sussidiario rispetto ad ogni altro reato contro la fede pubblica come si evince dall'inciso “se il fatto non costituisce altro reato contro la fede pubblica”. A tal uopo la Suprema Corte ha affermato che se l’induzione in errore “al fine di vantaggio o danno, è commessa mediante l’attribuzione di un falso nome, in una dichiarazione resa a un pubblico ufficiale in un atto pubblico ovvero all’autorità giudiziaria, è configurabile soltanto il più grave reato previsto dall'articolo 495 c.p.” (Cassazione n. 8152/1987). La Suprema Corte inoltre, richiamando la costante e non contrastata giurisprudenza di legittimità, ha sottolineato che “il delitto di sostituzione di persona, in tanto può ritenersi assorbito in altra figura criminosa, in quanto ci si trovi in presenza di un fatto unico, riconducibile contemporaneamente sia alla previsione dell’art. 494 c.p. sia a quella di altra norma posta a tutela della fede pubblica” (rv 210600; rv 223887; rv 231147). Nel caso di specie esaminato, i giudici di legittimità hanno escluso l’assorbimento del reato di cui all’articolo 494 del Codice Penale in quello di falsità materiale posto che si è trattato sicuramente di condotte plurime ascrivibili all’imputato che ha prima falsificato i documenti di identità e se ne è poi servito per giustificare il passaggio alla frontiera (Cassazione n. 2540/2010). Sussiste il concorso di reati tra la truffa e quello di cui all'articolo 494 del Codice Penale, poiché, non ricorre l’ipotesi della sussidiarietà limitata ai soli reati contro la fede pubblica, né quella della specialità posto che la disposizione di cui all’articolo 640 non racchiude tutti gli elementi costitutivi del delitto di sostituzione (Cassazione n. 2227/1972).

III. LE QUESTIONI APERTE

1. Esposizione del contrassegno invalidi: sussistenza del delitto di sostituzione di persona?

La Suprema Corte ha più volte affermato che non integra il delitto di sostituzione di persona “ la condotta di colui che, al fine di accedere all'interno di una zona a traffico limitato, e percorrere le corsie preferenziali di un centro urbano, esponga sul parabrezza dell’auto un contrassegno per invalidi, rilasciato ad altra persona che non si trova a bordo del veicolo” (v. Cassazione, Sezione II, sentenza n. 4490 del 18.1.2012, P.M. Firenze c/Covali; Sezione II, sentenza n. 42988/2011 rv. 251068; Sezione II, sentenza n. 45328/2011, rv. 251220; Sezione II, sentenza n. 24454 del 24 marzo 2011, P.G. Firenze c/Cerchiai; Sezione II, sentenza n. 35004/2010 rv. 248249; Sezione II, sentenza n. 1389/2010). Il “permesso invalidi”, osserva la Corte, “rappresenta, infatti, esclusivamente l’autorizzazione amministrativa per circolare in zone altrimenti interdette, rilasciata per quell'autovettura, in quanto al servizio della persona invalida; e la mera esposizione, sul parabrezza dell’autovettura autorizzata, del relativo contrassegno, è un comportamento del tutto neutro (ed è, poco significativo che l’invalido, al momento del presunto “abuso” non si trovi sull'auto, in quanto ad esempio potrebbe essere sceso per recarsi a visita medica o altrove), che non implica di per sé una “dichiarazione” di attestazione della presenza del titolare del permesso a bordo dell’autovettura medesima, come presupposto dell'autoattribuzione della qualità di “accompagnatore” da parte del conducente. Dall'utilizzazione abusiva del permesso, e in assenza, di qualsivoglia dichiarazione a riguardo (né dal capo di imputazione, né dal provvedimento impugnato, né dal ricorso si evince che l’A. sia stato in qualche occasione fermato dai vigili, né che abbia dichiarato alcunché) non può ritenersi infatti alcuna attribuzione, neppure indiretta, per il conducente del veicolo, di una qualifica soggettiva” (Cassazione n. 7966/2012). In senso contrario, in riferimento alla configurabilità del reato di cui all'articolo 494 del Codice Penale, nel caso di specie si è pronunciata la Suprema Corte con la sentenza n. 10203/2011 in quanto in tale caso il soggetto agente “simula la qualità di titolare o di guidatore autorizzato anche al trasporto occasionale del titolare”.

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno.

Sommario: I. INTRODUZIONE ALLA NORMA. 1. Inquadramento generale. II. IL COMMENTO. 1. L’interesse protetto. 2. Il soggetto attivo. 3. La condotta tipica. 4. L’elemento soggettivo. 5. Consumazione. 6. Sussidiarietà della norma e rapporti con altri reati. III. LE QUESTIONI APERTE. 1. Esposizione del contrassegno invalidi: sussistenza del delitto di sostituzione di persona?

I. INTRODUZIONE ALLA NORMA

1. Inquadramento generale

L’oggetto giuridico tutelato dal capo IV del Titolo VII del Codice Penale è quello della fede pubblica così come per i reati di cui capo I, II, e III del detto titolo. Nel caso di specie l’inganno, benché rivolto verso una specifica persona può avere effetti verso un numero indeterminato di soggetti.

II. IL COMMENTO

1. L’interesse protetto

Quanto all'oggetto giuridico interessato dalla norma, la Suprema Corte ha affermato che “Oggetto della tutela penale, in relazione al delitto preveduto nell’articolo 494 c.p., è l’interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali. E siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia d’un determinato destinatario, così il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome” (Cassazione penale n. 46674/2007). Le Sezioni Unite sono intervenute al fine di redimere un contrasto tra le sezioni in ordine alla natura monooffensiva o plurioffensiva dei reati contro la fede pubblica, affermando la natura plurioffensiva degli stessi posto che i reati contro la fede pubblica tutelano “anche il soggetto sulla cui concreta posizione giuridica l’atto incide direttamente, soggetto che, in tal caso, è legittimato a proporre opposizione contro la richiesta di archiviazione”(Cassazione, Sezioni Unite, n. 46982 /2007).

2. Il soggetto attivo

Soggetto attivo del reato può essere chiunque. Trattasi quindi di un reato comune.

3. La condotta tipica

La condotta idonea ad integrare l’elemento oggettivo del reato è a forma vincolata. Occorre che il soggetto attivo ponga in essere una delle modalità previste dalla norma, ossia sostituisca illegittimamente la propria all’altrui persona, attribuisca a sé o ad altri un falso nome, un falso stato o una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici (cittadinanza, potestà genitoriale, eccetera). Sul piano materiale, risulta dunque necessario da parte dell’agente una condotta positiva tale da trarre taluno in inganno. La Corte di legittimità si è pronunciata in ordine alla configurabilità del reato di cui all’articolo 494 del Codice Penale nel caso della partecipazione di un soggetto ad aste on-line con l’uso di uno pseudonimo osservando che integra il reato la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese (Sezione V, 8 novembre 2007, n. 46674, Rv. 238504). Nel caso di specie l’imputato aveva utilizzato i dati anagrafici di una donna aprendo a suo nome un account e una casella di posta elettronica, facendo così ricadere sull’inconsapevole intestataria, e non su se stesso, le conseguenze dell’inadempimento delle obbligazioni di pagamento del prezzo di beni acquistati mediante la partecipazione ad aste in rete. Ed ancora la Suprema Corte ha confermato la sentenza di condanna in ordine al reato previsto dall'articolo 494 del Codice Penale, contestato all’imputato perché, al fine di procurarsi un vantaggio e di recare un danno alla persona offesa, creava un account di posta elettronica, apparentemente intestato alla persona offesa, e successivamente, utilizzandolo, allacciava rapporti con utenti della rete internet, inducendo in errore sia il gestore del sito sia gli utenti, attribuendosi il falso nome della stessa (Cassazione n. 46674/2007). Per la configurabilità del reato è altresì necessario, evidenziano i giudici di legittimità, la sussistenza di un danno o di un vantaggio causalmente ascrivibile alla condotta del soggetto agente. Nella menzionata sentenza si sottolinea come, a seguito della condotta dell’imputato, la persona offesa ricevette telefonate da uomini che le chiedevano incontri a scopo sessuale.

4. L’elemento soggettivo

Dottrina e giurisprudenza in maniera concorde ritengono che l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico, posta la necessità sia della volontà del fatto nonché lo scopo di creare un danno.

5. Consumazione

Il reato si consuma allorquando il soggetto passivo viene indotto in errore e la forma del tentativo è giuridicamente configurabile nel momento in cui “l’agente abbia usato uno dei mezzi fraudolenti previsti dall’ art. 494 c.p., ma senza riuscire ad indurre in errore taluno” (Cassazione n. 2543/ 1985).

6. Sussidiarietà della norma. Rapporti con altri reati

Il delitto di sostituzione di persona ha carattere sussidiario rispetto ad ogni altro reato contro la fede pubblica come si evince dall'inciso “se il fatto non costituisce altro reato contro la fede pubblica”. A tal uopo la Suprema Corte ha affermato che se l’induzione in errore “al fine di vantaggio o danno, è commessa mediante l’attribuzione di un falso nome, in una dichiarazione resa a un pubblico ufficiale in un atto pubblico ovvero all’autorità giudiziaria, è configurabile soltanto il più grave reato previsto dall'articolo 495 c.p.” (Cassazione n. 8152/1987). La Suprema Corte inoltre, richiamando la costante e non contrastata giurisprudenza di legittimità, ha sottolineato che “il delitto di sostituzione di persona, in tanto può ritenersi assorbito in altra figura criminosa, in quanto ci si trovi in presenza di un fatto unico, riconducibile contemporaneamente sia alla previsione dell’art. 494 c.p. sia a quella di altra norma posta a tutela della fede pubblica” (rv 210600; rv 223887; rv 231147). Nel caso di specie esaminato, i giudici di legittimità hanno escluso l’assorbimento del reato di cui all’articolo 494 del Codice Penale in quello di falsità materiale posto che si è trattato sicuramente di condotte plurime ascrivibili all’imputato che ha prima falsificato i documenti di identità e se ne è poi servito per giustificare il passaggio alla frontiera (Cassazione n. 2540/2010). Sussiste il concorso di reati tra la truffa e quello di cui all'articolo 494 del Codice Penale, poiché, non ricorre l’ipotesi della sussidiarietà limitata ai soli reati contro la fede pubblica, né quella della specialità posto che la disposizione di cui all’articolo 640 non racchiude tutti gli elementi costitutivi del delitto di sostituzione (Cassazione n. 2227/1972).

III. LE QUESTIONI APERTE

1. Esposizione del contrassegno invalidi: sussistenza del delitto di sostituzione di persona?

La Suprema Corte ha più volte affermato che non integra il delitto di sostituzione di persona “ la condotta di colui che, al fine di accedere all'interno di una zona a traffico limitato, e percorrere le corsie preferenziali di un centro urbano, esponga sul parabrezza dell’auto un contrassegno per invalidi, rilasciato ad altra persona che non si trova a bordo del veicolo” (v. Cassazione, Sezione II, sentenza n. 4490 del 18.1.2012, P.M. Firenze c/Covali; Sezione II, sentenza n. 42988/2011 rv. 251068; Sezione II, sentenza n. 45328/2011, rv. 251220; Sezione II, sentenza n. 24454 del 24 marzo 2011, P.G. Firenze c/Cerchiai; Sezione II, sentenza n. 35004/2010 rv. 248249; Sezione II, sentenza n. 1389/2010). Il “permesso invalidi”, osserva la Corte, “rappresenta, infatti, esclusivamente l’autorizzazione amministrativa per circolare in zone altrimenti interdette, rilasciata per quell'autovettura, in quanto al servizio della persona invalida; e la mera esposizione, sul parabrezza dell’autovettura autorizzata, del relativo contrassegno, è un comportamento del tutto neutro (ed è, poco significativo che l’invalido, al momento del presunto “abuso” non si trovi sull'auto, in quanto ad esempio potrebbe essere sceso per recarsi a visita medica o altrove), che non implica di per sé una “dichiarazione” di attestazione della presenza del titolare del permesso a bordo dell’autovettura medesima, come presupposto dell'autoattribuzione della qualità di “accompagnatore” da parte del conducente. Dall'utilizzazione abusiva del permesso, e in assenza, di qualsivoglia dichiarazione a riguardo (né dal capo di imputazione, né dal provvedimento impugnato, né dal ricorso si evince che l’A. sia stato in qualche occasione fermato dai vigili, né che abbia dichiarato alcunché) non può ritenersi infatti alcuna attribuzione, neppure indiretta, per il conducente del veicolo, di una qualifica soggettiva” (Cassazione n. 7966/2012). In senso contrario, in riferimento alla configurabilità del reato di cui all'articolo 494 del Codice Penale, nel caso di specie si è pronunciata la Suprema Corte con la sentenza n. 10203/2011 in quanto in tale caso il soggetto agente “simula la qualità di titolare o di guidatore autorizzato anche al trasporto occasionale del titolare”.