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Riforma Pubblica Amministrazione, più ombre che luci

È iniziato, in questi giorni, al Senato l’esame del Disegno di Legge Delega di Riforma della Pubblica Amministrazione (Atto Senato n. 1577).

Si tratta di un provvedimento che, nelle intenzioni del Governo ˗ unitamente a quanto già disposto con il Decreto Legge n. 90/14 ˗ dovrebbe ridisegnare modalità organizzative ed operative della Pubblica Amministrazione, velocizzandone l’azione e riducendone i costi di funzionamento a carico di cittadini e imprese.

A tal fine sono perciò previsti numerosi interventi su aspetti non sempre strettamente omogenei tra loro, e che vanno dall’uso della carta alla conciliazione di tempi di vita e lavoro dei dipendenti pubblici (attraverso l’introduzione di nuove forme di smart˗working e co˗working) passando per la ridefinizione del perimetro della Pubblica Amministrazione.

Il percorso ipotizzato è quello del decreto legislativo attuativo di una delega i cui criteri sono oggetto della discussione.

Questo tipo di percorso, rispetto a quanto anticipato nella lettera aperta inviata dal Presidente del Consiglio e dal Ministro per la Funzione pubblica lo scorso 30 aprile, rappresenta però un passo indietro considerato che, proprio in quelle Linee guida, era stato un più limitato ricorso a decreti attuativi in favore di leggi autoapplicative.

Si tratta di una questione non secondaria se è vero, com’è vero, che sono diverse centinaia e peraltro ormai risalenti nel tempo le deleghe che attendono di essere esercitate dal governo con conseguente rischio che anche in questo caso, dove molti sono gli interessi e le carriere personali in gioco, tutto finisca per restare lettera morta.

Il problema risulta ancor più evidente laddove si consideri che i criteri cui dovrà essere informata la futura attività normativa appaiono piuttosto generici, soprattutto in materia di conferenza di servizi e di Segnalazione Certificata Inizio Attività, ovvero di quelli che sono tra i più comuni modelli procedimentali, soprattutto in ambito economico, in uso con conseguente rischio di future censure di costituzionalità. 

Tralasciando alcuni aspetti più di colore che rischiano di creare più problemi di quanti si pensi di risolvere (come l’invio dei documenti a domicilio che crea una serie di ulteriori complicazioni legati alle modalità pratiche stesse del servizio quando sarebbe stato più semplice e più utile un ampliamento dell’autocertificazione e delle comunicazioni tra le varie amministrazioni), il provvedimento in oggetto spinge molto sulla riduzione dell’uso della carta nelle comunicazioni tra i vari uffici e la ridefinizione dei processi decisionali anche attraverso forme di partecipazione telematica degli interessati, l’utilizzo della carta d’identità elettronica e della carta nazionale dei servizi che però non appaiono di immediata e comune utilizzabilità e che perciò finiranno per essere utilizzate da una platea ristretta di soggetti.

Decisamente più apprezzabile è invece lo sforzo di eliminare sovrapposizioni di competenze e riduzione dei tempi e delle fase procedurali attraverso una generale ricognizione dei procedimenti amministrativi facenti capo alle singole amministrazioni.

Non si può però fare a meno di osservare che questo obbligo di classificazione e di ricognizione, è sanzionato in modo pressoché blando: a carico dell’amministrazione inadempiente è, infatti, previsto il divieto di procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato (divieto già di fatto esistente per via delle limitazioni di bilancio esistenti) e che rischia di apparire autolesionistico sommandosi, in questo modo, inefficienza a carenze di organico; sarebbe stato invece preferibile, oltre che più efficace, prevedere penalizzazioni, economiche e di carriera, in capo ai vertici amministrativi delle singole strutture inadempienti.

Un altro punto direttamente ripreso dalle linee guida proposte lo scorso aprile riguarda la conciliazione dei tempi di vita e lavoro dei dipendenti pubblici.

Al fine di agevolare i dipendenti nella gestione delle esigenze familiari e di cura dei figli, il Governo  propone di rafforzare la flessibilità dell’orario di lavoro dei dipendenti pubblici (part time verticale e/o orizzontale), di aumentare il ricorso ad altre forme di lavoro flessibile (smart˗working, co˗working) sfruttando a pieno le possibilità offerte dalle moderne tecnologie informatiche nonché di favorire convenzioni con asili nido ed organizzare, anche attraverso accordi tra amministrazioni, servizi di supporto alla genitorialità durante gli orari di chiusura scolastica.

È un tema particolarmente importante perché incide, oltre che sul piano economico, anche su quella vasta rete di relazioni familiari su cui si fonda sempre più il nostro welfare state.

E però, anche in questo caso, non si tratta di una vera e propria primizia, posto che i contratti collettivi e gli ordinamenti interni delle singole amministrazioni già tengono prevedono forme di flessibilità dell’orario di lavoro, di telelavoro, di lavoro office to office e di assistenza varia (borse di studio per corsi estivi) che favoriscono una più agevole gestione delle incombenze familiari.

Interessante, ma anche in questo caso senza che rappresenti una novità assoluta, è poi la previsione di riorganizzazione degli uffici delle varie amministrazioni secondo il principio dell’unicità dei punti di contatto con cittadini ed imprese (con particolare riferimento all’esperienza degli Sportelli Unici), della gestione unitaria dei servizi strumentali in edifici comuni tra più amministrazioni e della riduzione del numero e degli addetti agli uffici strumentali con conseguente rafforzamento degli uffici che erogano prestazioni in favore dei cittadini.

Si tratta di una norma, infatti, che trae ispirazione dalla Legge n. 147/07 che prevedeva, sia pure limitatamente agli enti previdenziali, la razionalizzazione di risorse (umane, finanziarie, logistiche e tecnologiche) attraverso l’accentramento in un unico ufficio ove espletare tutte le pratiche relative ai rapporti previdenziali ed assicurativi così da dar luogo ai cosiddetti Poli integrati del Welfare.

Rispetto a quanto previsto dalla Legge n. 147/07, le norme che ci si propone di introdurre segnano tuttavia un passo indietro: l’unicità dei punti di contatto vale infatti, per le singole amministrazioni e non, come sarebbe stato preferibile, in funzione delle singole materie per le quali possono essere competenti contemporaneamente più amministrazioni (si pensi, ad esempio per la materia dei giochi e scommesse che rientrano nelle competenze dei Monopoli e del Ministero dell’Interno, o, come s’è già detto per ciò che riguarda lavoro e previdenza).

Più una petizione di principio che una novità vera e propria rappresenta poi l’estensione di tale principio agli Sportelli Unici per le Attività Produttive.

Occorre infatti ricordare che il Codice per l’Amministrazione Digitale aveva già previsto che tale modello procedimentale operasse ed erogasse i propri servizi in via telematica: appare pertanto evidente che un’interpretazione letterale della norma rappresenterebbe un evidente passo indietro rispetto all’esperienza attuale. 

Pienamente condivisibile appare l’indicazione della riorganizzazione degli uffici attraverso il rafforzamento degli uffici che erogano prestazioni a cittadini ed imprese (cosiddetto front office) recuperando risorse dagli uffici che si occupano di attività strumentali (cosiddetto back office).

Il punto però è come distinguere ˗ e sul punto la delega nulla dice ˗ tra attività strumentale ed attività di erogazione di servizio: ad esempio, un ufficio che si occupa di contabilità e pagamenti svolge un’attività strumentale o eroga una prestazione (al destinatario della pagamento)? Ed ancora per una Azienda Sanitaria Locale l’acquisizione, attraverso un appalto, di una fornitura di materiale da distribuire all’utenza (ad esempio una protesi o un ausilio chirurgico) rappresenta un’attività strumentale o la prestazione di un servizio?

Generici piuttosto vaghi appaiono i criteri per il riordino territoriale delle Prefetture (che da ora in poi assumeranno la denominazione di Prefetture˗Uffici territoriali dello Stato): si va infatti da criteri oggettivi (popolazione, estensione territoriale) a criteri a dir poco fumosi (caratteristiche del territorio, dinamiche socio˗economiche) che nell’Italia dei mille campanili sembrano introdotti per rispondere più a logiche elettoralistiche che di effettivo efficientamento e razionalizzazione della spesa pubblica (come del resto già avvenuto con le province).

Quella relativa alle Camere di Commercio rappresenta una novità assoluta, considerato che di esse non v’è traccia nella lettera che annunciava le linee guida della riforma, ma anche un’occasione mancata di razionalizzazione e di alleggerimento degli oneri in capo ai cittadini ed imprese.

La ridefinizione dei loro ambiti territoriali sembra infatti prescindere sia da quella delle città metropolitane (e di ciò che sostituirà le province, Legge n. 56/14 cosiddetto Legge Delrio) come sarebbe stato più logico agganciarle in considerazione della loro attuale distribuzione sul territorio, sia da quella delle future Prefetture˗Uffici territoriali dello Stato cui dovrebbero confluire gli uffici periferici del Ministero Sviluppo Economico che dovrebbe assorbire le attuali competenze degli enti camerali in materia di registro delle imprese (con la paradossale conseguenza che un imprenditore potrebbe doversi recare presso una città per svolgere le pratiche relative al Registro delle Imprese e presso un’altra città per ciò che riguarda una certificazione antimafia).  

In conclusione si tratta di norme che rispondono ad esigenze molto diffuse ma che contengono soluzioni non del tutto innovative e comunque tali da apparire in concreto meno rivoluzionarie dei toni con cui ne è stata annunciata l’introduzione e che finiranno per deludere le aspettative di contenimento della spesa pubblica e accelerazione della macchina amministrativa.

È iniziato, in questi giorni, al Senato l’esame del Disegno di Legge Delega di Riforma della Pubblica Amministrazione (Atto Senato n. 1577).

Si tratta di un provvedimento che, nelle intenzioni del Governo ˗ unitamente a quanto già disposto con il Decreto Legge n. 90/14 ˗ dovrebbe ridisegnare modalità organizzative ed operative della Pubblica Amministrazione, velocizzandone l’azione e riducendone i costi di funzionamento a carico di cittadini e imprese.

A tal fine sono perciò previsti numerosi interventi su aspetti non sempre strettamente omogenei tra loro, e che vanno dall’uso della carta alla conciliazione di tempi di vita e lavoro dei dipendenti pubblici (attraverso l’introduzione di nuove forme di smart˗working e co˗working) passando per la ridefinizione del perimetro della Pubblica Amministrazione.

Il percorso ipotizzato è quello del decreto legislativo attuativo di una delega i cui criteri sono oggetto della discussione.

Questo tipo di percorso, rispetto a quanto anticipato nella lettera aperta inviata dal Presidente del Consiglio e dal Ministro per la Funzione pubblica lo scorso 30 aprile, rappresenta però un passo indietro considerato che, proprio in quelle Linee guida, era stato un più limitato ricorso a decreti attuativi in favore di leggi autoapplicative.

Si tratta di una questione non secondaria se è vero, com’è vero, che sono diverse centinaia e peraltro ormai risalenti nel tempo le deleghe che attendono di essere esercitate dal governo con conseguente rischio che anche in questo caso, dove molti sono gli interessi e le carriere personali in gioco, tutto finisca per restare lettera morta.

Il problema risulta ancor più evidente laddove si consideri che i criteri cui dovrà essere informata la futura attività normativa appaiono piuttosto generici, soprattutto in materia di conferenza di servizi e di Segnalazione Certificata Inizio Attività, ovvero di quelli che sono tra i più comuni modelli procedimentali, soprattutto in ambito economico, in uso con conseguente rischio di future censure di costituzionalità. 

Tralasciando alcuni aspetti più di colore che rischiano di creare più problemi di quanti si pensi di risolvere (come l’invio dei documenti a domicilio che crea una serie di ulteriori complicazioni legati alle modalità pratiche stesse del servizio quando sarebbe stato più semplice e più utile un ampliamento dell’autocertificazione e delle comunicazioni tra le varie amministrazioni), il provvedimento in oggetto spinge molto sulla riduzione dell’uso della carta nelle comunicazioni tra i vari uffici e la ridefinizione dei processi decisionali anche attraverso forme di partecipazione telematica degli interessati, l’utilizzo della carta d’identità elettronica e della carta nazionale dei servizi che però non appaiono di immediata e comune utilizzabilità e che perciò finiranno per essere utilizzate da una platea ristretta di soggetti.

Decisamente più apprezzabile è invece lo sforzo di eliminare sovrapposizioni di competenze e riduzione dei tempi e delle fase procedurali attraverso una generale ricognizione dei procedimenti amministrativi facenti capo alle singole amministrazioni.

Non si può però fare a meno di osservare che questo obbligo di classificazione e di ricognizione, è sanzionato in modo pressoché blando: a carico dell’amministrazione inadempiente è, infatti, previsto il divieto di procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato (divieto già di fatto esistente per via delle limitazioni di bilancio esistenti) e che rischia di apparire autolesionistico sommandosi, in questo modo, inefficienza a carenze di organico; sarebbe stato invece preferibile, oltre che più efficace, prevedere penalizzazioni, economiche e di carriera, in capo ai vertici amministrativi delle singole strutture inadempienti.

Un altro punto direttamente ripreso dalle linee guida proposte lo scorso aprile riguarda la conciliazione dei tempi di vita e lavoro dei dipendenti pubblici.

Al fine di agevolare i dipendenti nella gestione delle esigenze familiari e di cura dei figli, il Governo  propone di rafforzare la flessibilità dell’orario di lavoro dei dipendenti pubblici (part time verticale e/o orizzontale), di aumentare il ricorso ad altre forme di lavoro flessibile (smart˗working, co˗working) sfruttando a pieno le possibilità offerte dalle moderne tecnologie informatiche nonché di favorire convenzioni con asili nido ed organizzare, anche attraverso accordi tra amministrazioni, servizi di supporto alla genitorialità durante gli orari di chiusura scolastica.

È un tema particolarmente importante perché incide, oltre che sul piano economico, anche su quella vasta rete di relazioni familiari su cui si fonda sempre più il nostro welfare state.

E però, anche in questo caso, non si tratta di una vera e propria primizia, posto che i contratti collettivi e gli ordinamenti interni delle singole amministrazioni già tengono prevedono forme di flessibilità dell’orario di lavoro, di telelavoro, di lavoro office to office e di assistenza varia (borse di studio per corsi estivi) che favoriscono una più agevole gestione delle incombenze familiari.

Interessante, ma anche in questo caso senza che rappresenti una novità assoluta, è poi la previsione di riorganizzazione degli uffici delle varie amministrazioni secondo il principio dell’unicità dei punti di contatto con cittadini ed imprese (con particolare riferimento all’esperienza degli Sportelli Unici), della gestione unitaria dei servizi strumentali in edifici comuni tra più amministrazioni e della riduzione del numero e degli addetti agli uffici strumentali con conseguente rafforzamento degli uffici che erogano prestazioni in favore dei cittadini.

Si tratta di una norma, infatti, che trae ispirazione dalla Legge n. 147/07 che prevedeva, sia pure limitatamente agli enti previdenziali, la razionalizzazione di risorse (umane, finanziarie, logistiche e tecnologiche) attraverso l’accentramento in un unico ufficio ove espletare tutte le pratiche relative ai rapporti previdenziali ed assicurativi così da dar luogo ai cosiddetti Poli integrati del Welfare.

Rispetto a quanto previsto dalla Legge n. 147/07, le norme che ci si propone di introdurre segnano tuttavia un passo indietro: l’unicità dei punti di contatto vale infatti, per le singole amministrazioni e non, come sarebbe stato preferibile, in funzione delle singole materie per le quali possono essere competenti contemporaneamente più amministrazioni (si pensi, ad esempio per la materia dei giochi e scommesse che rientrano nelle competenze dei Monopoli e del Ministero dell’Interno, o, come s’è già detto per ciò che riguarda lavoro e previdenza).

Più una petizione di principio che una novità vera e propria rappresenta poi l’estensione di tale principio agli Sportelli Unici per le Attività Produttive.

Occorre infatti ricordare che il Codice per l’Amministrazione Digitale aveva già previsto che tale modello procedimentale operasse ed erogasse i propri servizi in via telematica: appare pertanto evidente che un’interpretazione letterale della norma rappresenterebbe un evidente passo indietro rispetto all’esperienza attuale. 

Pienamente condivisibile appare l’indicazione della riorganizzazione degli uffici attraverso il rafforzamento degli uffici che erogano prestazioni a cittadini ed imprese (cosiddetto front office) recuperando risorse dagli uffici che si occupano di attività strumentali (cosiddetto back office).

Il punto però è come distinguere ˗ e sul punto la delega nulla dice ˗ tra attività strumentale ed attività di erogazione di servizio: ad esempio, un ufficio che si occupa di contabilità e pagamenti svolge un’attività strumentale o eroga una prestazione (al destinatario della pagamento)? Ed ancora per una Azienda Sanitaria Locale l’acquisizione, attraverso un appalto, di una fornitura di materiale da distribuire all’utenza (ad esempio una protesi o un ausilio chirurgico) rappresenta un’attività strumentale o la prestazione di un servizio?

Generici piuttosto vaghi appaiono i criteri per il riordino territoriale delle Prefetture (che da ora in poi assumeranno la denominazione di Prefetture˗Uffici territoriali dello Stato): si va infatti da criteri oggettivi (popolazione, estensione territoriale) a criteri a dir poco fumosi (caratteristiche del territorio, dinamiche socio˗economiche) che nell’Italia dei mille campanili sembrano introdotti per rispondere più a logiche elettoralistiche che di effettivo efficientamento e razionalizzazione della spesa pubblica (come del resto già avvenuto con le province).

Quella relativa alle Camere di Commercio rappresenta una novità assoluta, considerato che di esse non v’è traccia nella lettera che annunciava le linee guida della riforma, ma anche un’occasione mancata di razionalizzazione e di alleggerimento degli oneri in capo ai cittadini ed imprese.

La ridefinizione dei loro ambiti territoriali sembra infatti prescindere sia da quella delle città metropolitane (e di ciò che sostituirà le province, Legge n. 56/14 cosiddetto Legge Delrio) come sarebbe stato più logico agganciarle in considerazione della loro attuale distribuzione sul territorio, sia da quella delle future Prefetture˗Uffici territoriali dello Stato cui dovrebbero confluire gli uffici periferici del Ministero Sviluppo Economico che dovrebbe assorbire le attuali competenze degli enti camerali in materia di registro delle imprese (con la paradossale conseguenza che un imprenditore potrebbe doversi recare presso una città per svolgere le pratiche relative al Registro delle Imprese e presso un’altra città per ciò che riguarda una certificazione antimafia).  

In conclusione si tratta di norme che rispondono ad esigenze molto diffuse ma che contengono soluzioni non del tutto innovative e comunque tali da apparire in concreto meno rivoluzionarie dei toni con cui ne è stata annunciata l’introduzione e che finiranno per deludere le aspettative di contenimento della spesa pubblica e accelerazione della macchina amministrativa.