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Affido condiviso, portata, fattori di confondimento e obblighi di motivazione

Ballerine, Edgar Degas (1884-1885), museo d'Orsay, Parigi
Ballerine, Edgar Degas (1884-1885), museo d'Orsay, Parigi

Abstract

L’affido condiviso è un principio di generale applicazione e l’attuazione, salva la dimostrazione della specifica dimostrazione delle condizioni per l’affido per ciascuno dei genitori, può subire delle semplici modulazioni. Nessuna rilevanza hanno fattori quali la conflittualità intergenitoriale, la distanza tra le abitazioni o l’età per escludere il diritto dei minori alla bigenitorialità.

 

Indice:

1. La vicenda processuale

2. La decisione

3. Il principio di diritto

4. Le novità della riforma

 

Il principio di bigenitorialità non solo resiste facilmente a talune intemperie interpretative, ma la Suprema Corte ne dà una lettura che sembra andare incontro ad alcune delle più rilevanti novità della riforma dell’istituto dell’affido condiviso in discussione in Parlamento e contenute nel disegno di legge 1 agosto 2018 n. 735.

 

1. La vicenda processuale

La vicenda processuale è comune a molte altre: dopo la separazione, il genitore cui era stato negato l’affido condiviso della figlia minore chiedeva che venissero adottati i più opportuni provvedimenti al fine di consentire il regolare esercizio della potestà genitoriale verso la figlia ormai adolescente e con cui i rapporti si erano ormai rarefatti, tra le altre cose, a causa della conflittualità intergenitoriale e della notevole distanza frapposta dal trasferimento dalla Sicilia a Milano del genitore affidatario.

La Corte territoriale, sulla scorta delle risultanze della relazione dei servizi sociali da cui emergeva sia la persistente incapacità dei genitori ad avere rapporti collaborativi nell’interesse della figlia sia delle parole di quest’ultima che riferiva del disinteresse che l’appellante avrebbe manifestato nel corso degli anni nei suoi confronti, confermava sul punto le precedenti decisioni del tribunale.

Da qua il ricorso per cassazione per un duplice motivo: violazione del diritto della minore a godere di un rapporto “stabile e continuativo” con entrambi i genitori ex articolo 337 ter Codice civile e violazione dell’articolo 709 ter Codice civile per non aver adottato la corte territoriale, sulla scorta di una motivazione ritenuta insufficiente, gli opportuni provvedimenti di coercizione indiretta volti ad interrompere comportamenti ostruzionistici così da favorire il recupero del rapporto tra il genitore non affidatario e la minore.

 

2. La decisione

Risolte alcune questioni di carattere procedurale in ordine all’inammissibilità di documentazione non prodotta nei precedenti gradi di giudizio che non attengano all’ammissibilità del ricorso (o del controricorso) stesso, ed alla ricorribilità per cassazione del decreto della corte d’appello contenente provvedimenti relativi all’affido di figli minori senza distinzione tra figli nati da genitori uniti in matrimonio e non sulla base del proprio consolidato orientamento[1], i giudici di legittimità hanno confermato il provvedimento della corte di merito che invece aveva dato torto al genitore ricorrente.

La conferma della soluzione adottata dalla corte d’appello meneghina, è stata letta da molti commentatori come un’esplicita presa di posizione della Suprema Corte contro la previsione dei cosiddetti “tempi paritari” prevista dalla riforma.

L’entusiasmo con cui è stata accolta la decisione è in realtà eccessivo se non del tutto mal riposto.

 

3. Il principio di diritto

Vale infatti la pena di ricordare che, trattandosi di pronunce di una corte di legittimità, il vero aspetto a cui occorre guardare non è la soluzione pratica adottata nella singola fattispecie quanto il principio giuridico affermato.

La Suprema Corte non ha avuto dubbi nel ribadire “alla regola dell’affidamento condiviso può derogarsi soltanto se la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore, precisando che ai fini dell’affidamento esclusivo non è sufficiente la mera considerazione della distanza oggettiva esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, la quale può incidere esclusivamente sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascuno di essi, o della conflittualità che caratterizza i rapporti tra gli stessi, ma occorre una specifica motivazione che tenga conto in positivo della capacità educativa del genitore affidatario ed in negativo dell’inidoneità o delle manifeste carenze dell’altro genitore”.

La sentenza merita di essere segnalata non solo per l’avere la Suprema Corte ribadito il proprio precedente orientamento in tema di limiti all’applicazione del principio o per il doppio profilo motivazionale su cui dovranno fondarsi eventuali deroghe applicative, ma per la portata generale che viene riconosciuto all’applicazione dell’istituto dell’affido condiviso e del principio di bigenitorialità derogabile “soltanto” nel caso in cui vi sia la prova di eventuali pregiudizi per il minore.

Ma andiamo con ordine.

I giudici di piazza Cavour hanno innanzitutto ribadito, sulla scorta di un’ormai risalente affermazione, che la conflittualità intergenitoriale - al pari della distanza e di altri fattori (età, sesso, relazione genitore-figlio, reddito) che la letteratura scientifica definisce come “fattori di confondimento” - sono irrilevanti al fine di negare al minore il diritto alla stabilità ed all’integrità delle relazioni con entrambi i genitori come previsto da una lunga serie di norme costituzionali o di convenzioni internazionali.

Richiamando la propria precedente giurisprudenza, la Corte di legittimità ribadisce come

Alla regola dell’affidamento condiviso può infatti derogarsi solo ove la sua applicazione risulti «pregiudizievole per l’interesse del minore».

Non avendo, per altro, il legislatore ritenuto di tipizzare le circostanze ostative all’affidamento condiviso, la loro individuazione resta rimessa alla decisione del Giudice nel caso concreto da adottarsi con «provvedimento motivato», con riferimento alla peculiarità della fattispecie che giustifichi, in via di eccezione, l’affidamento esclusivo. L’affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi comunque precluso, di per sé, dalla mera conflittualità esistente fra i coniugi, poiché avrebbe altrimenti una applicazione, evidentemente, solo residuale, finendo di fatto con il coincidere con il vecchio affidamento congiunto. Occorre viceversa, perché possa derogarsi alla regola dell’affidamento condiviso, che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore (come nel caso, ad esempio, di una sua anomala condizione di vita, di insanabile contrasto con il figlio, di obiettiva lontananza,..). Per cui l’esclusione della modalità dell’affidamento esclusivo dovrà risultare sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale e sulla non rispondenza quindi, all’interesse del figlio dell’adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento[2].

L’affermazione secondo cui “Il giudizio di separazione, nel quale vengono adottati provvedimenti che concernono il minore, non determina automaticamente – nel caso di rilevante conflittualità tra le parti in causa – una situazione di conflitto di interesse tra genitori e figli[3] trova amplissimo consenso scientifico.

Un recente consensus report di 110 tra ricercatori ed esperti a livello internazionale, ha infatti escluso qualunque interferenza tra il tenore dei rapporti tra i genitori ed i vantaggi che il minore riceve dall’integrità delle sue relazioni con gli stessi: “Più che amplificare gli effetti dannosi di conflitto genitoriale, la genitorialità condivisa può proteggere i bambini da alcune delle sue conseguenze negative.

La possibilità di escludere automaticamente la custodia fisica congiunta quando una coppia è etichettata come «altamente conflittuale» comporta ulteriori inconvenienti oltre a negare ai bambini il beneficio protettivo di una relazione educativa. Si trasmette il messaggio che generare o sostenere il conflitto può essere una strategia efficace per eludere l’affidamento condiviso.

Questo scoraggia la comunicazione civile e la cooperazione tra i genitori, e può ridurre il tempo dei bambini con il genitore meno arrabbiato, in particolare se l’altro genitore non riesce a riconoscere e sostenere il bisogno dei bambini per una relazione positiva con entrambi i genitori. La qualifica di «coppia ad alta conflittualità» implica che entrambi i genitori si impegnino attivamente in un conflitto. Anche se questo è vero in alcuni casi, in altri casi l’espressione è impropria perché un genitore può essere una vittima della rabbia vendicativa dell’altro genitore o di tentativi di emarginare il coinvolgimento del genitore nella crescita del bambino[4].

Alle stesse conclusioni sono arrivati i medesimi ricercatori riguardo all’età: “Non c’è evidenza della necessità di ritardare l’introduzione di un frequente e regolare coinvolgimento (pernottamento incluso) di ambedue i genitori coi propri figli e in generale i risultati degli studi rivisitati in questo documento sono favorevoli ai piani genitoriali che meglio equilibrano il tempo dei bambini presso le due case”, e ad altri fattori quali il reddito dei genitori e la qualità della relazione genitore-figlio, ritenuti dalla letteratura scientifica del tutto irrilevanti rispetto ai benefici effetti per la salute ed il benessere psicofisico del minore derivanti dalla tutela dell’integrità della relazione genitoriale conseguente a forme di affido materialmente condiviso[5].

È auspicabile dunque, che venga fatta in questo modo giustizia di tutta una serie di elementi spuri – tipicamente età, distanza, reddito - troppo spesso richiamati dai tribunali[6] e che fanno ricadere sul minore le scelte degli adulti.

Il secondo aspetto che appare meritevole di segnalazione riguarda il doppio accertamento che dovrà compiere il giudice di merito al fine di escludere l’applicazione del principio: occorrendo “una specifica motivazione che tenga conto in positivo della capacità educativa del genitore affidatario ed in negativo dell’inidoneità o delle manifeste carenze dell’altro genitore”.

Al netto della poco condivisibile terminologia utilizzata – la valutazione che il giudice è chiamato a fare non riguarda un’indeterminata idea di “capacità educativa”, quanto la verifica delle migliori condizioni di distribuzione del tempo del minore tra i genitori separati al fine di tutelarne l’integrità delle relazioni con entrambi – quel che è particolarmente significativo è che non si tratta di accertare quale tra i due genitori sia il migliore ma di verificare, in caso di affido esclusivo,  l’assenza di fattori ostativi in capo all’uno e la presenza di una fattori favorevoli in capo all’altro.

 

4. Le novità della riforma

Ultimo importantissimo aspetto della sentenza in commento riguarda quello che appare essere lo snodo cruciale della riforma: la previsione di un meccanismo di generale applicazione del principio tale da renderlo sempre applicabile salvo che non si accerti la sussistenza di condizioni negative rappresentate da gravi inadempimenti degli obblighi di cura, educazione ed istruzione previsti dall’articolo 147 Codice civile, o di fatti di reato posti in essere in danno della persona del minore o in presenza di esso.

Molti hanno obiettato che la previsione ex lege di soluzioni predeterminate contrasti con l’esigenza di una specifica valutazione nel singolo caso dell’interesse del minore.

Al di là del fatto che ove mai un tale pericolo sussista seriamente bisognerebbe però prima spiegare perché ciò non sia vero anche rispetto alle norme attuali la cui applicazione è palesemente inficiata da stereotipi di genere, vale la pena evidenziare come la soluzione di riforma avanzata preveda una serie di ipotesi di esclusione dell’applicazione del principio di bigenitorialità tutte costruite attorno all’interesse del minore.

La sentenza in commento, laddove ammette l’esclusione dell’istituto “soltanto se la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore” non fa altro che invece che anticipare – e condividere – il cambio di paradigma previsto dal disegno di legge: non più una del tutto teorica ricerca caso per caso dell’interesse del minore ma un’applicazione generalizzata di quella che s’è rivelata essere la migliore soluzione possibile per la tutela della salute ed il benessere psicofisico dei minori salvi i casi in cui ricorrano circostanze predefinite dal legislatore stesso che giustifichino soluzioni diverse.

In conclusione, ben vengano regole chiare e predeterminate, costruite attorno all’interesse del minore a partire dalla tutela della sua salute ed integrità psicofisica individuati in modo scientifico e non su valutazioni di tipo vagamente emotivo.

Note

[1] Corte di Cassazione, Sezione I, n. 6132 del 26 marzo 2015.

[2] Cassazione Civile Sezione I, 18 giugno 2008 n. 16593.

[3] Cassazione Civile Sezione I, 24 maggio 2018, n.12957; idem ex multis Cassazione Civile Sezione I, 3 gennaio 2017, n.27.

[4] R. A. Warshak “Social Science and Parenting Plans for Young Children: A Consensus Report”, University of Texas Southwestern Medical Center 2014.

[5] L. Nielsen “Joint Versus Sole Physical Custody: Children’s Outcomes Independent of Parent–Child Relationships, Income, and Conflict in 60 Studies”, Journal of Divorce & Remarriage, 2018

[6] Da ultimo, Tribunale Potenza – Sezione Civile 18 maggio 2018.