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Divorzio: si abbreviano i tempi con la riforma

la riforma del processo civile “spinge” il divorzio diretto
Apollo e Dafne, Bernini, Galleria Borghese, Roma
Apollo e Dafne, Bernini, Galleria Borghese, Roma

Martedì scorso il Senato ha licenziato il DDL 1662-A , Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie.

Come ho già avuto modo di commentare, la riforma Cartabia ha aggiunto al precedente progetto Bonafede gli articoli 15 bis e 15 ter, interamente dedicati al processo di famiglia, ramo del diritto processuale di cui l’originario DDL n.1662 Bonafede, appunto, non si occupava.

L’innovazione principale del progetto Cartabia è la previsione di un unico rito denominato, appunto, “Procedimento in materia di persone, minorenni e famiglieapplicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni ed alle famiglie di competenza del Tribunale Ordinario e del Tribunale per i Minorenni, con esclusione dei procedimenti in materia di adozione , di protezione internazionale e contrasto all’immigrazione illegale.

Ho già sottolineato come il rito delineato è volto ad assicurare la snella disamina dei temi sottoposti al Tribunale e l’efficacia del processo alla tutela dei diritti delle parti e dei minori coinvolti. Snellezza ottenuta imponendo obblighi di rispetto dei termini processuali ai magistrati ed oneri decadenziali alle parti, riguardo ai diritti disponibili, e limitando l’ammissibilità di domande nuove in corso di causa solo relativamente all’affidamento ed al mantenimento dei figli minori e maggiorenni portatori di handicap, le altre solo in ipotesi di fatti sopravvenuti o di nuovi accertamenti istruttori

Il DDL introduce però anche altri principi, su cui mass media e dai commentatori politici hanno glissato (volutamente? c’è da chiedersi) , che produrranno effetti dirompenti sulla durata del processo di separazione e divorzio, modificando gli istituti.

Alla lettera s) dell’art 15 bis si prevede infatti che “nel processo di separazione il ricorrente quanto il convenuto abbiano facoltà di proporre domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, disponendo che quest’ultima sia procedibile solo all’esito del passaggio in giudicato della sentenza parziale che abbia pronunciato la separazione e fermo il rispetto del termine previsto dall’art. 3 della legge 1 dicembre1970, n.898; e che sia ammissibile la riunione dei procedimenti aventi ad oggetto queste domande qualora pendenti tra le stesse parti dinanzi al medesimo tribunale; assicurando in entrambi i casi l’autonomia dei diversi capi della sentenza,con specificazione della decorrenza dei relativi effetti;

Attualmente è consentito agire in giudizio per chiedere la pronuncia di separazione e quindi ove emessa e passata in giudicato la sentenza parziale in materia di status emessa ex art 709 bis cpc e decorsi i termini fissati dall’art 3 legge 1.12.1970 n. 898, come modificati dalla legge n. 55 / 2015, promuovere un secondo e distinto giudizio per chiedere la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio, ovvero il divorzio.

L’art 709 bis cpc è stato introdotto dalla legge 14.5.2005 n.80 , così sancendo in materia di pronuncia immediata sullo status, la già ritenuta equiparazione fra il procedimento di separazione fra i coniugi e quello di divorzio, ed allo scopo di evitare condotte processuali dilatorie tali da incidere negativamente sul diritto di una delle parti ad ottenere una pronuncia sollecita in materia di status (Cass. Civ. Sez IV Ord. 25.07/2019 n. 20166).

La sentenza parziale in materia di status può essere chiesta dalle parti, o da una di esse, al giudice istruttore all’udienza fissata avanti a questo ex art 183 cpc: più esattamente la domanda di sentenza parziale può essere proposta anche negli scritti introduttivi del giudizio, indirizzati al Presidente del Tribunale, ricorso introduttivo e memoria ex art 706 cpc, ma il suo esame è rimesso al Giudice Istruttore cui la causa di separazione sia stata assegnata dal Presidente dopo essersi pronunciato ex art 708 3° comma cpc sui provvedimenti provvisori ed urgenti.

Il Giudice Istruttore ,cui una od entrambe le parti chiedano emettersi sentenza parziale di separazione, nel caso in cui la causa debba proseguire per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per le questioni economiche, rimette la causa al Collegio, che emette sentenza parziale di separazione.

Al pari della sentenza parziale di divorzio, avverso tale sentenza è ammesso appello immediato, deciso in camera di consiglio.

Con l’abbreviazione dei termini per chiedere il divorzio introdotta dalla legge 06.05.2015 n. 55 art 1, che ha modificato l’art 3 legge 01.12.1970 n. 898, la domanda di divorzio può essere proposta qualora la separazione si sia protratta ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi avanti al Presidente del Tribunale, e da sei mesi in caso di separazione consensuale, anche da separazione giudiziale trasformata, e da accordo di negoziazione assistita.

La lettura attenta della norma fa desumere che può essere proposta domanda di divorzio pendente il giudizio di separazione, purché in questo giudizio sia stata emessa sentenza parziale di separazione ex art 709 bis cpc, passata in giudicato.

Ed infatti attualmente questa è la prassi: il coniuge interessato ad ottenere quanto prima il divorzio, promuovere la causa di separazione, chiede ammettersi sentenza parziale di separazione alla prima udienza avanti al Giudice Istruttore (o ripete la domanda già fatta), ottenutala notifica la sentenza perché assuma carattere di definitività, promuove causa di divorzio e chiede emettersi sentenza parziale di divorzio. Ed ottiene così la cessazione o lo scioglimento del vincolo coniugale.

Il tutto richiede nella migliore delle ipotesi tre anni.

In ragione della normativa vigente si pongono però una serie di problematiche, in tema di decorrenza degli effetti di eventuali provvedimenti economici disposti a favore del coniuge più debole (assegno di separazione e di divorzio hanno ratio diverse dopo l’arresto delle Sezioni Unite della Cassazione n. 18287/2018 e delle pronunce seguenti), che hanno ben impegnato dottrina e giurisprudenza dal 2015 ad oggi e che la Commissione Giustizia ben conosce ed intende risolvere.

Le due cause, inoltre, non necessariamente vengono trattate dal medesimo Tribunale o dal medesimo Magistrato: la competenza della causa di separazione è attribuita ex art 706 1° comma cpc al giudice dell’ultima residenza comune dei coniugi o in mancanza del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio; la competenza della causa di divorzio è invece del giudice del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. E ben può darsi che il coniuge convenuto abbia cambiato residenza alla data della proposizione della domanda di divorzio, e risieda in una città che rientra nella circoscrizione di un diverso Tribunale. Quindi ben può darsi che la causa di separazione penda avanti ad un Tribunale e quella di divorzio davanti ad un altro, oppure che se pur pendenti avanti al medesimo Tribunale le due cause siano assegnate a giudici diversi.

Ebbene secondo i principi indicati all’art 15 bis lett. s sarà possibile per entrambe le parti, ricorrente e convenuto, proporre domanda di separazione e di divorzio nel processo di separazione; la domanda di divorzio sarà trattata al ricorrere delle condizioni di cui all’art 3 legge 898/1970, ovvero all’essersi protratta la separazione dei coniugi da almeno un anno dall’udienza di comparizione avanti al Presidente del Tribunale fissata nella causa di separazione, all’emissione della sentenza parziale di separazione ed al suo passaggio in giudicato.

La possibilità di proporre la domanda di divorzio al giudice della separazione evita l’instaurarsi di un secondo procedimento e concentra la competenza su entrambe le cause in capo ad un unico Tribunale ed unico Giudice.

Ciò comporta un indubbio risparmio di tempo per il sistema e per i soggetti interessati: si evita un contenzioso, si giunge alla pronuncia di divorzio in un tempo molto più breve di quello attuale, tanto più considerato come è temporalmente scandito il nuovo processo di famiglia, secondo l’art 15 bis lett e,f,g.

Le difese dovranno però essere però ben più articolate e complesse di quelle attuali: gli atti introduttivi dovranno contenere le due domande sullo status e, se del caso, le due domande economiche, che essendo diritti disponibili non potranno essere introdotte successivamente, sempre a tenore dell’art 15 bis . Ricordo poi che se l’affidamento dei figli e le domande economiche ad essi inerenti sono rette da unica ratio e disciplina sia per la separazione che per il divorzio, quella dettata dagli artt. 337 bis e segg. c.c., la tutela economica del coniuge debole è ispirata a diversi criteri e retta da differenti norme: il richiedente assegno di separazione e di divorzio è gravato da onere probatorio inerente a fatti e circostanze che diverse, doppie.

I coniugi dovranno quindi fornire ai propri legali elementi e prove per supportare le due domande e i legali dovranno in un unico atto predisporre due difese!

Occorrerà molta chiarezza di idee e preparazione per le parti e grande studio e competenza per i legali. Non sarà così semplice essere sintetici.

Da sottolineare però la rivoluzione epocale: la previsione apre la strada al divorzio diretto spingendo quel processo di semplificazione avviato dalla legge n.80/2005 e portato avanti, pur con qualche resistenza ideologica, dalla legge n. 55/2015.

È infatti ovvio che se è possibile proporre domanda di separazione e divorzio in un giudizio contenzioso, lo sarà in un procedimento consensuale e di negoziazione assistita: quindi se i coniugi concorderanno, essi potranno raggiungere un unico accordo sull’intera loro vicenda matrimoniale e giungere in tempi rapidissimi al divorzio, anche con la definizione complessiva dei rapporti economici fra loro nati dal matrimonio.

Il legislatore dovrà chiarire come ciò possa avvenire nel rispetto del limite temporale posto dall’art 3 legge 898/1970, che per le separazioni consensuali è di soli sei mesi: allo stato si può ipotizzare che le parti sottopongano al Tribunale o al PM le due domande sullo status e chiedano l’omologa/sentenza/autorizzazione/nulla osta di separazione e di divorzio; che il Tribunale e PM emettano sentenza e autorizzazione/nulla osta che subordini la seconda pronuncia ed i suoi effetti all’essere trascorsi sei mesi dalla prima ed al non essersi ricostituita l’unione fra i coniugi.

Del resto questa distinzione di capi e decorrenza di effetti è già prevista dallo stesso articolo che conclude con l’invito a giudice ad assicurare “… in entrambi i casi l’autonomia dei diversi capi della sentenza, con specificazione della decorrenza dei relativi effetti”. E se è previsto per il procedimento contenzioso non si vede perché non dovrebbe essere applicato al consensuale.