L’adempimento “una tantum” degli obblighi di contribuzione nella crisi della famiglia
1. Obblighi di contribuzione nella crisi della famiglia, e adempimento in unica soluzione
Come è ben noto, con il divorzio un ex-coniuge può dovere all’altro un assegno post-matrimoniale, ai sensi dell’articolo 5, co. 6°, l. 898/1970, con la separazione un coniuge può dovere all’altro un assegno di mantenimento, ai sensi dell’articolo 156 c.c., e, in generale, con la crisi di ogni coppia genitoriale – indipendentemente dalla configurazione tecnico/giuridica di separazione o di divorzio che assuma la crisi, e dal fatto che la coppia sia o meno unita in matrimonio – il genitore non convivente con la prole può dovere una contribuzione, anche in forma di assegno periodico, per le spese di mantenimento, istruzione ed educazione dei figli, o al genitore convivente con essi, o direttamente ai figli stessi, se maggiorenni.
Come è pure noto, in ognuno di questi casi si può anche profilare, previo l’accordo tra le parti, una contribuzione, non periodica, ma in unica soluzione, o “una tantum”, come si è anche soliti definirla. Soltanto in materia di divorzio, nondimeno, questa possibilità trova una espressa previsione nella legge, che, altresì, lega ad essa importanti effetti.
Conviene, tuttavia, considerare separatamente ognuna delle tre le ipotesi ora prospettate, anche perché ciascuna di esse è di non rara ricorrenza nella pratica.
2. L’adempimento in unica soluzione dell’assegno post-matrimoniale,…
Si è appena ricordato che l’adempimento “una tantum” dell’obbligo alla contribuzione post-matrimoniale è espressamente disciplinato dalla legge, precisamente al comma 8° dell’articolo 5, l. 898/1970, nel quale si dispone che la corresponsione della contribuzione post-matrimoniale, eventualmente dovuta da un ex-coniuge all’altro sulla base e nel rispetto di quanto stabilito al comma 6° dello stesso articolo 5 (nel senso che i presupposti per l’attribuzione, anche in caso di “una tantum”, rimangano i medesimi che dalla legge sono previsti per l’assegno periodico, si è pronunziata la Suprema corte: Cass., 10.5.2017, n. 11504), possa avvenire anche in unica soluzione. Ciò a due condizioni: l’accordo tra le parti; la valutazione di equità, della attribuzione “una tantum”, da parte del tribunale.
Ove l’adempimento in unica soluzione sia corrisposto, poi, sempre l’8° comma dell’articolo 5 dispone che chi l’abbia ricevuto non possa più proporre alcuna successiva domanda di contenuto economico. Si è soliti affermare, dunque, che questo adempimento ha un effetto “tombale” sui futuri rapporti patrimoniali tra gli ex-coniugi, così da precludere, ad esempio, successive domande di revisione (T. Modena, 5.1.2017), che sarebbero possibili per un assegno periodico, nonché provvidenze come: la percentuale dell’indennità di fine rapporto, di cui all’articolo 12-bis, l. 898/1970; la pensione di reversibilità, secondo la previsione dell’articolo 9, 2° co., l. 898/1970 (cfr., Cass., S.U., 24.9.2018, n. 22434); l’assegno periodico a carico dell’eredità dell’ex-coniuge, di cui all’articolo 9-bis della medesima legge.
Precisa la Cassazione, peraltro, che la preclusione non riguarda l’azione di accertamento della comunione “de residuo”, proposta dall’ex-coniuge ai sensi degli artt. 177, lettere b) e c), e 178 c.c., poiché essa non nel divorzio trova il proprio fondamento (Cass., 19.2.2021, n. 4492).
Proprio in questo effetto “tombale” per le future possibili richieste economiche da parte dell’ex-coniuge che riceva la contribuzione “una tantum”, potenzialmente per esso assai pregiudizievole, poi, viene ravvisata la ratio della necessaria valutazione di equità della contribuzione, da parte del tribunale (Cass., 18.11.2016, n. 23566). Alla luce di tale ratio, aggiungo, pare assai dubbio, che la contribuzione “una tantum” ex co. 8° dell’articolo 5, l. 898/1970, possa ricorrere anche laddove il divorzio sia gestito tramite un accordo di negoziazione assistita, ai sensi dell’articolo 6, d. l. 132 del 2014 (convertito, con modifiche, con l. 162 del 2014), e ciò in conseguenza della tenuità del controllo giurisdizionale previsto per il contenuto di tali accordi (men che meno, naturalmente, sarà possibile l’accordo di corresponsione “una tantum” quando il divorzio sia avanti l’Ufficiale dello stato civile; ciò ex articolo 12, d. l. 132 del 2014. In questo senso, cfr., espressamente, Cons. Stato, 26.10.2016, n. 4478).
Può evidenziarsi, ancora, come si sottolinei che la contribuzione in unica soluzione possa consistere tanto nell’attribuzione di un capitale, quanto nel trasferimento di un diritto di proprietà, magari immobiliare, o nella costituzione di un diritto reale di godimento su cosa altrui (Cass., 5.9.2003, n. 12939), e come parte della dottrina ravvisi, in questa forma di contribuzione, una prestazione in luogo dell’adempimento, riconducibile all’articolo 1197 c.c.; da notare è, perciò, che, secondo questa ricostruzione, solo la concreta esecuzione, e non la semplice promessa, della prestazione in unica soluzione, diversa da quella periodica originariamente dovuta, comporterà l’estinzione di quest’ultima, secondo, appunto, la regola generale in materia di prestazione in luogo dell’adempimento.
Giova accennare, da ultimo, come la Cassazione abbia affermato che non risulti, né irragionevole, né in contrasto con il principio di capacità contributiva, l’articolo 10, 1° co., lett. g), d.P.R. n. 597 del 1973 [al pari del d.P.R. n. 917 del 1986, articolo 10, comma 1, lett. c)], laddove limita la deducibilità, ai fini dell’applicazione dell’IRPEF, solo all’assegno post-matrimoniale periodico, e non anche alla contribuzione in unica soluzione (Cass., sez. trib., 12.11.2019, n. 29178).
3. …dell’assegno di mantenimento nella separazione…
Nulla impedisce ai coniugi di accordarsi per l’adempimento in unica soluzione anche della contribuzione al mantenimento eventualmente dovuta, dall’uno all’altro, nella separazione personale. Tale contribuzione “una tantum” potrà consistere, anche qui, nella corresponsione di un capitale, o di una proprietà, o di un altro cespite.
Naturalmente, anche in questo caso, che non ha espressa previsione normativa, sarà necessario l’accordo tra le parti, tanto nell’àmbito di una separazione, per il resto, giudiziale, quanto, e a maggior ragione, nell’àmbito di in una separazione consensuale, o, più ancora, di un accordo di negoziazione assistita ai sensi dell’articolo 6, d. l. 132 del 2014 (convertito, con modifiche, con l. 162 del 2014).
Non vi sarà la necessità, viceversa, della specifica valutazione di equità dell’accordo da parte del giudice. Per un verso, del resto, sia nell’omologazione degli accordi di separazione consensuale, sia nella pronuncia di separazione giudiziale che accolga un parziale consenso dei coniugi sull’adempimento “una tantum”, il controllo giudiziale vi sarà comunque, sebbene non specificamente indirizzato all’equità del contenuto di quel patto (maggiori dubbi, peraltro, lascia qui accordo di negoziazione assistita ai sensi dell’articolo 6, d. l. 132 del 2014, dato il blando controllo giurisdizionale per esso previsto); per altro verso, e prima di tutto, un simile specifico controllo giudiziale, giustificato nel divorzio dagli effetti “tombali” dell’adempimento in unica soluzione, non si spiegherebbe granché nella separazione, rispetto alla quale tali effetti tombali non sono previsti, né avrebbero ragione di essere.
Non si dimentichi, difatti, come la solidarietà matrimoniale resti attuale, benché attenuata, anche tra coniugi separati – ben diversamente di quanto accade dopo il divorzio – e come non avrebbe senso, in questo contesto, uno strumento volto a regolare definitivamente ogni rapporto economico tra le parti. Proprio i peculiari effetti del divorzio, insomma, giustificano la previsione di uno strumento “tombale” come l’adempimento “una tantum” secondo le regole disposte nell’8° co. Dell’articolo 5, l. 898/1970, e proprio la differenza di effetti che si legano alla separazione, giustifica che una tale previsione non vi sia con riguardo ad essa.
Né avrebbe senso, allora, ragionare di un’estensione, o di un’applicazione analogica, della previsione dettata per il divorzio anche alla separazione (in questo senso espressamente anche la giurisprudenza, che afferma come la disposizione dell’articolo 5, 8° co., l. n. 898/70, non sia applicabile al di fuori del giudizio di divorzio: Cass., 11.11.2009, n. 23908; Cass., 10.3.2006, n. 5302). Ove i coniugi, in sede di separazione, convengano per l’adempimento in unica soluzione degli obblighi di contribuzione dell’uno in favore dell’altro, dunque, da un canto non sarà necessaria una specifica valutazione dell’equità di tale accordo, ma, d’altro canto, esso non impedirà la futura presentazione di nuove domande di contenuto economico dall’un coniuge nei confronti dell’altro, o in sede di revisione delle precedenti condizioni di separazione, o, anche, in sede di divorzio (sicché, ad esempio, l’accordo di contribuzione in unica soluzione raggiunto in sede di separazione, non può comportare la rinunzia all’assegno di divorzio: Cass., 11.11.2009, n. 23908; Cass., 10.3.2006, n. 5302).
4. …e dell’obbligo di contribuzione ai bisogni della prole
Molta più prudenza, io credo, sarà necessaria nel valutare l’opportunità dell’adempimento in unica soluzione degli obblighi a contribuire ai bisogni della prole economicamente non autosufficiente, nella crisi tra i genitori. Di certo, meno che mai una tale forma di adempimento potrà avere effetto “tombale”, sicché il genitore che così dovesse contribuire, sempre potrebbe venir richiesto di nuove e ulteriori contribuzioni, nel caso in cui l’assegnazione “una tantum” si rivelasse, o anche divenisse per vicende sopravvenute, inadeguata alla contribuzione dovuta dal genitore stesso, in base ai propri mezzi e alle proprie capacità di lavoro.
Ciò precisato, nondimeno, comunque mi pare che un accordo sul punto dovrebbe essere valutato dal giudice con estrema attenzione, per avere la sicurezza che l’attribuzione dell’unico cespite non renda più difficoltosa la soddisfazione delle esigenze della prole, rispetto, vuoi al mantenimento diretto, vuoi alla corresponsione dell’assegno periodico, automaticamente rivalutato almeno in base agli indici ISTAT, secondo la previsione di cui al 4° co. dell’articolo 337-ter c.c.
Se, difatti, per un verso, la diretta (in capo al genitore collocatario prevalente, e/o affidatario esclusivo, ma anche in capo ai figli, se maggiorenni) disponibilità, ad esempio, di un capitale o di una proprietà, potrebbe garantire una più agevole soddisfazione delle esigenze della prole, rispetto ad un diritto di credito periodico, sovente facile oggetto di inadempimento, per altro verso, l’investimento, la gestione, la messa a reddito, e anche la sola esatta valutazione, di tali cespiti potrebbero presentare problemi ed incertezze tali da esporre a rischio la concreta soddisfazione delle fondamentali esigenze della prole medesima.
Se in molti casi, insomma, l’adempimento in unica soluzione si presenterà ben rispettoso dell’interesse della prole, in altre e non minori ipotesi esso potrà non rappresentare, in concreto, la migliore via per la realizzazione di detto interesse. Naturalmente, la valutazione di codesta concreta adeguatezza dell’adempimento in unica soluzione per la migliore soddisfazione dell’interesse della prole, potrà essere convenientemente compiuta solo di caso in caso.
E non sempre il solo accordo tra le parti garantirà l’adeguatezza di tale valutazione, sia per la possibile impreparazione economico-finanziaria di una di esse, o magari di entrambe, sia per le dinamiche rappresentante/rappresentato, che potrebbero, non di rado in questi casi, vedere i genitori, che esprimono la volontà, in un possibile conflitto di interessi con la prole, nella sfera della quale la manifestazione della volontà dovrà produrre i propri effetti.
Perciò, mi pare che, di caso in caso, la bontà dell’adempimento in unica soluzione, in luogo del mantenimento diretto e/o dell’assegno periodico, dovrebbe essere valutata attentamente proprio dal giudice.
5. La causa solutoria dell’attribuzione “una tantum”
In tutte queste ipotesi di contribuzione in unica soluzione nella crisi familiare, altresì, occorre por mente alla causa dell’atto di trasferimento (o di costituzione del diritto reale su cosa altrui) che le concretizzi.
Tutti questi atti, almeno se quantitativamente congrui rispetto agli obblighi di contribuzione che gravano sul disponente, difatti, rappresentano altrettante modalità estintive di obbligazioni, e sono giustificati da una causa solutoria. Essi, viceversa, non sono atti di liberalità, e non dovranno essere, in futuro, oggetto, né di riunione fittizia, né di riduzione, né di imputazione ex se, né, tanto meno, di collazione.
Questi atti, che, almeno se congrui rispetto alla misura della contribuzione dovuta, non sono liberalità, mai dovrebbero prendere, poi, nemmeno la “veste” esteriore della donazione.
Ciò onde evitare, appunto, che, in un tempo futuro, possa sorgere anche solo il dubbio sulla ricaduta di essi sotto la rigorosa e stringente disciplina prevista, in materia successoria, per le liberalità, tanto dirette quanto indirette.