Cassazione Civile: ammissibile testimonianza nella simulazione relativa parziale

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE SECONDA CIVILE

Presidente Corona, Relatore Correnti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Tizio e la moglie Caia proposero appello, nei confronti di Sempronia, avverso la sentenza del Tribunale di Milano del 18 ottobre 1999 con la quale, in accoglimento della domanda di quest’ultima, era stata dichiarata la risoluzione per inadempimento dei suddetti coniugi quanto al saldo di lire 330.000.000 dell’effettivo prezzo di lire 500.000.000, rispetto all’importo di lire 170.000,000 dichiarate nel rogito in notar Mambelli del 30 dicembre 1991, per un appartamento con relativo arredo in Milano, con condanna dei soccombenti al rilascio ed alle spese.

Sostennero che il preliminare indicasse fittiziamente la somma di lire 500.000.000, su richiesta della cedente a scanso di rimostranze di favoritismo

verso estranei da parte di suoi parenti prossimi.

La Corte di appello di Milano, con sentenza 13 agosto 2002, in parziale riforma, dichiarò ammissibile la domanda restitutoria dell’indebito di lire 170.000.000 in favore degli appellanti, con gli interessi legali dal 16 febbraio 1999, e respinse nel resto l’impugnazione, condannando gli appellanti alle spese del grado.

Osservò la Corte che la domanda di restituzione del prezzo effettivamente pagato di lire 170.000.000, formulata per la prima volta nella comparsa di costituzione del nuovo difensore all’udienza di escussione della prova testimoniale del 16 febbraio 1999, era ammissibile perché, pur configurandosi come riconvenzionale soggetta al termine decadenziale previsto dall’art. 167 cpc c.p.c., si trattava di termini generalmente ritenuti ordinatori; l’acquiescenza di controparte derivava non tanto dal fatto che, alla udienza, la domanda non era stata declinata quanto dalla circostanza che, alla successiva udienza di precisazione delle conclusioni, l’attrice aveva chiesto di trattenere il montante di vantati danni sulla parte di prezzo già corrisposta, cioè appunto i 170 milioni chiesti in restituzione.

Quanto al resto, la Corte, ricordati i pregressi rapporti professionali tra l’attrice e l’avv. Caia, rispettivamente suocero e padre degli appellanti, definito artefice di tutta l’operazione, ritenne di condividere la statuizione del Tribunale circa l’effettività, nella vendita del 30 dicembre 1991, dello stesso corrispettivo finale di lire 500.000.000, pattuito nel preliminare di un mese e mezzo prima, donde la risoluzione per grave inadempimento, avendo ammesso gli appellanti di aver corrisposto solo lire 170.000.000.

Ricorrono i coniugi Tizio-Caia con tre motivi, illustrati da memoria, resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale, Sempronia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano "violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., per aver pronunciato la risoluzione del contratto di compravendita per occultamento del prezzo, difformemente dalla domanda introduttiva di risoluzione per falso, sostituita, poi dalla domanda di inadempimento.

Con l’atto di citazione l’attrice aveva chiesto, previa impugnazione di falso dell’atto, dichiararsi risolto il contratto; con le conclusioni aveva precisato che si dichiarasse risolto per inadempimento il contratto; con la sentenza di primo grado era stata pronunziata la risoluzione per fatto e colpa degli acquirenti; con la sentenza di appello, pronunciata per occultamento di parte dell’effettivo prezzo, era stato violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Con il secondo motivo denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 1367, 1453, 1454, 1455, 1456 c.c., in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.

La Corte di appello, dichiarato provato il prezzo effettivo di 500 milioni ed il versamento dell’acconto di 170 milioni, per cui residuava un debito di 330 milioni, ha pronunciato la risoluzione per grave inadempimento, senza tener conto che l’atto pubblico fa fede fino a querela di falso.

In ogni caso, non poteva essere valutato grave l’inadempimento, perché non vi era mai stata, dal 31 dicembre 1991 al 20 gennaio 1997, alcuna richiesta di pagamento e, non esistendo una obbligazione, non poteva verificarsi violazione dell’art. 1453 c.c.

Con il terzo motivo deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c. in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. nonché violazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. come vizio della motivazione relativa alla valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione.

La Corte di merito non ha affrontato l’efficacia probatoria dell’atto pubblico, se non indirettamente e con affermazioni tutt’altro che convincenti circa la decisa risoluzione dell’intero atto.

La possibile modifica del prezzo, affidata al preliminare ed ai testi, non presenti alle trattative ed alla stipulazione, non ha la forza di inficiare la validità dell’intero contratto.

Le tre censure, trattando, sotto profili diversi, il problema della qualificazione della domanda, dell’effettività del prezzo e della fede privilegiata dell’atto pubblico. possono essere trattate congiuntamente ed accogliersi nel senso qui di seguito precisato.

La sentenza impugnata, dopo aver dedotto che era "infondato il lagno...di inammissibilità della prova testimoniale escussa", ha ritenuto essere attendibile l’indicazione nell’atto pubblico di un prezzo minore per motivi fiscali; premesso che la frode fiscale non si presta, in generale, a rendere ammissibile senza limiti la prova per testi della simulazione, ha osservato che l’argomento non giovava alla riproposta eccezione di inammissibilità della prova, posto che la possibile e mera evasione fiscale non poteva essere rapportata ad ipotesi di dissimulazione (vedi pagina otto della sentenza con richiami agli artt. 1417 e 2722 c.c.).

Ricordato che artefice di tutta l’operazione era stato incontestabilmente l’avv. Caia e riferiti i vari aspetti della vicenda, la Corte di appello ha concluso, sulla scorta delle risultanze anche documentali e della mancata presentazione dei convenuti alla udienza per rendere l’interrogatorio libero e per il tentativo di conciliazione, nel senso di condividere la statuizione del Tribunale circa l’effettività del prezzo, indicato in preliminare, di lire 500.000.000, in aderenza al valore immobiliare corrente ed alla richiesta della venditrice.

Osserva questa Corte suprema che, di fronte ad una citazione in cui, previa impugnazione (di falso) dell’atto pubblico, nella parte in cui si indicava il prezzo (di lire 170.000.000 "prima d’ora ricevuto") rispetto a quello concordato in preliminare di lire 500.000.000, i giudici del gravame avrebbero dovuto qualificare la domanda, valutare se concretamente era ipotizzabile una domanda di simulazione parziale relativamente al prezzo, affrontare il problema della efficacia probatoria e delta fede privilegiata dell’atto pubblico.

La Corte di appello avrebbe anche potuto privilegiare il profilo che, essendo la vendita il contratto avente ad oggetto il trasferimento delta proprietà della cosa verso il corrispettivo di un prezzo, era stata accertata la comune intenzione delle parti in ordine alla determinazione dello stesso (tanto più che gli acquirenti non avevano contestato la pattuizione del preliminare, adducendo, però, l’inverosimile tesi della maggiorazione del prezzo voluta dalla cedente a scanso di rimostranze di favoritismo verso estranei da parte dei suoi parenti più prossimi); oppure che il prezzo è un elemento essenziale del contratto, che deve ritenersi carente se è meramente simbolico e non corrispondente all’effettivo valore del bene trasferito (Cass. 24 novembre 1980 n. 6235).

Circa i rapporti tra il contratto preliminare ed il definitivo, mentre la dottrina, sulla scorta della teoria procedimentale, valorizza il momento del preliminare, in quanto regolativo dei futuri assetti contrattuali, la giurisprudenza considera il contratto definitivo l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio posto in essere, in quanto il preliminare, determinando solo l’obbligo reciproco della stipulazione del definitivo, resta superato da quest’ultimo, per cui non vi è l’obbligo del giudice di prendere in considerazione il testo del preliminare (Cass. 18 aprile 2002 n. 5635).

La prova della simulazione si atteggia in modo diverso a seconda che si tratti di rapporti verso terzi o dei rapporti interni tra le parti; invero se la domanda di simulazione è proposta da creditori o da terzi che, estranei al contratto, non sono in grado di procurarsi la prova scritta, la prova per testi e per presunzioni della simulazione non subisce alcun limite; per contro, se la domanda è proposta da una delle parti o dagli eredi, la dimostrazione della simulazione incontra gli stessi limiti della prova testimoniale, per cui se il contratto simulato è stato redatto per iscritto, la prova per testi o per presunzioni non può essere ammessa contro il contenuto del documento, perché le parti hanno la possibilità e l’onere di munirsi delle controdichiarazioni, salve le eccezioni a tale regola espressamente previste dalla legge, e salvo che la prova sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato (Cass. 23 gennaio 1997 n.697, Cass. 12 febbraio 1986 n. 850).

La prova della simulazione relativa parziale riguardante una singola clausola contrattuale non incontra i limiti derivanti dalla disciplina della simulazione di cui agli artt. 1414 comma 2 e 1417. In particolare non è necessario che il patto di determinazione del prezzo dissimulato debba essere rivestito nella forma richiesta per il contratto cui afferisce, fermi restando i limiti dell’ammissibilità della prova testimoniale posti dalla disciplina probatoria dei patti aggiunti (Cass. 24 aprile 1996 n.3857, Cass. 23 gennaio 1988 n. 526, Cass. 9 luglio 1987 n. 5975).

Nella ipotesi di simulazione relativa parziale relativamente al prezzo gli elementi negoziali interessati dalla simulazione vengono ad essere sostituiti da quelli effettivamente voluti dalle parti (Cass. 24 luglio 1997 n. 6933) e possono essere provati anche a mezzo di testimoni (Cass. 30 luglio 1998 n. 7500, Cass. 24 aprile 1996 n. 3857, Cass. 9 luglio 1987 n. 5975).

Nella fattispecie, va, anche, sottolineata la particolarità della vicenda, in quanto la venditrice, nel periodo di stipulazione dell’atto pubblico, risultava assistita dall’avv. Caia, congiunto degli acquirenti, ed il preliminare prevedeva pagamenti anche successivi alla data dell’atto pubblico.

In conclusione, la motivazione addotta dalla Corte di appello, valorizzando solo alcuni aspetti della vicenda ed omettendo una più puntuale ed analitica disamina dei profili sopra evidenziati, va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano che si uni formerà ai principi sopra espressi, con particolare riferimento alla essenzialità del prezzo corrispondente all’effettivo valore del bene, ai limiti alla ammissibilità della prova testimoniale ed alle deroghe relativamente al prezzo in tema di simulazione parziale.

Per effetto del nuovo esame demandato al giudice del merito, restano assorbite le censure del ricorso incidentale, relative alla violazione e falsa applicazione delle norme processuali di cui agli artt. 99, t 12, 166, 167, 183 c.p.c. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c. ed alla violazione degli artt. 1453, 1218, 1223, 1224, 1282 c.c. e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c., per non avere la sentenza confermato il rigetto della domanda restitutoria con conseguente ritenzione della somma di lire 170 milioni a titolo di ristoro del danno patito per la mancata esecuzione della prestazione.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte accoglie il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Roma 24 aprile 2006.

Il consigliere estensore

Il Presidente

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE SECONDA CIVILE

Presidente Corona, Relatore Correnti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Tizio e la moglie Caia proposero appello, nei confronti di Sempronia, avverso la sentenza del Tribunale di Milano del 18 ottobre 1999 con la quale, in accoglimento della domanda di quest’ultima, era stata dichiarata la risoluzione per inadempimento dei suddetti coniugi quanto al saldo di lire 330.000.000 dell’effettivo prezzo di lire 500.000.000, rispetto all’importo di lire 170.000,000 dichiarate nel rogito in notar Mambelli del 30 dicembre 1991, per un appartamento con relativo arredo in Milano, con condanna dei soccombenti al rilascio ed alle spese.

Sostennero che il preliminare indicasse fittiziamente la somma di lire 500.000.000, su richiesta della cedente a scanso di rimostranze di favoritismo

verso estranei da parte di suoi parenti prossimi.

La Corte di appello di Milano, con sentenza 13 agosto 2002, in parziale riforma, dichiarò ammissibile la domanda restitutoria dell’indebito di lire 170.000.000 in favore degli appellanti, con gli interessi legali dal 16 febbraio 1999, e respinse nel resto l’impugnazione, condannando gli appellanti alle spese del grado.

Osservò la Corte che la domanda di restituzione del prezzo effettivamente pagato di lire 170.000.000, formulata per la prima volta nella comparsa di costituzione del nuovo difensore all’udienza di escussione della prova testimoniale del 16 febbraio 1999, era ammissibile perché, pur configurandosi come riconvenzionale soggetta al termine decadenziale previsto dall’art. 167 cpc c.p.c., si trattava di termini generalmente ritenuti ordinatori; l’acquiescenza di controparte derivava non tanto dal fatto che, alla udienza, la domanda non era stata declinata quanto dalla circostanza che, alla successiva udienza di precisazione delle conclusioni, l’attrice aveva chiesto di trattenere il montante di vantati danni sulla parte di prezzo già corrisposta, cioè appunto i 170 milioni chiesti in restituzione.

Quanto al resto, la Corte, ricordati i pregressi rapporti professionali tra l’attrice e l’avv. Caia, rispettivamente suocero e padre degli appellanti, definito artefice di tutta l’operazione, ritenne di condividere la statuizione del Tribunale circa l’effettività, nella vendita del 30 dicembre 1991, dello stesso corrispettivo finale di lire 500.000.000, pattuito nel preliminare di un mese e mezzo prima, donde la risoluzione per grave inadempimento, avendo ammesso gli appellanti di aver corrisposto solo lire 170.000.000.

Ricorrono i coniugi Tizio-Caia con tre motivi, illustrati da memoria, resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale, Sempronia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano "violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., per aver pronunciato la risoluzione del contratto di compravendita per occultamento del prezzo, difformemente dalla domanda introduttiva di risoluzione per falso, sostituita, poi dalla domanda di inadempimento.

Con l’atto di citazione l’attrice aveva chiesto, previa impugnazione di falso dell’atto, dichiararsi risolto il contratto; con le conclusioni aveva precisato che si dichiarasse risolto per inadempimento il contratto; con la sentenza di primo grado era stata pronunziata la risoluzione per fatto e colpa degli acquirenti; con la sentenza di appello, pronunciata per occultamento di parte dell’effettivo prezzo, era stato violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Con il secondo motivo denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 1367, 1453, 1454, 1455, 1456 c.c., in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.

La Corte di appello, dichiarato provato il prezzo effettivo di 500 milioni ed il versamento dell’acconto di 170 milioni, per cui residuava un debito di 330 milioni, ha pronunciato la risoluzione per grave inadempimento, senza tener conto che l’atto pubblico fa fede fino a querela di falso.

In ogni caso, non poteva essere valutato grave l’inadempimento, perché non vi era mai stata, dal 31 dicembre 1991 al 20 gennaio 1997, alcuna richiesta di pagamento e, non esistendo una obbligazione, non poteva verificarsi violazione dell’art. 1453 c.c.

Con il terzo motivo deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c. in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. nonché violazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. come vizio della motivazione relativa alla valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione.

La Corte di merito non ha affrontato l’efficacia probatoria dell’atto pubblico, se non indirettamente e con affermazioni tutt’altro che convincenti circa la decisa risoluzione dell’intero atto.

La possibile modifica del prezzo, affidata al preliminare ed ai testi, non presenti alle trattative ed alla stipulazione, non ha la forza di inficiare la validità dell’intero contratto.

Le tre censure, trattando, sotto profili diversi, il problema della qualificazione della domanda, dell’effettività del prezzo e della fede privilegiata dell’atto pubblico. possono essere trattate congiuntamente ed accogliersi nel senso qui di seguito precisato.

La sentenza impugnata, dopo aver dedotto che era "infondato il lagno...di inammissibilità della prova testimoniale escussa", ha ritenuto essere attendibile l’indicazione nell’atto pubblico di un prezzo minore per motivi fiscali; premesso che la frode fiscale non si presta, in generale, a rendere ammissibile senza limiti la prova per testi della simulazione, ha osservato che l’argomento non giovava alla riproposta eccezione di inammissibilità della prova, posto che la possibile e mera evasione fiscale non poteva essere rapportata ad ipotesi di dissimulazione (vedi pagina otto della sentenza con richiami agli artt. 1417 e 2722 c.c.).

Ricordato che artefice di tutta l’operazione era stato incontestabilmente l’avv. Caia e riferiti i vari aspetti della vicenda, la Corte di appello ha concluso, sulla scorta delle risultanze anche documentali e della mancata presentazione dei convenuti alla udienza per rendere l’interrogatorio libero e per il tentativo di conciliazione, nel senso di condividere la statuizione del Tribunale circa l’effettività del prezzo, indicato in preliminare, di lire 500.000.000, in aderenza al valore immobiliare corrente ed alla richiesta della venditrice.

Osserva questa Corte suprema che, di fronte ad una citazione in cui, previa impugnazione (di falso) dell’atto pubblico, nella parte in cui si indicava il prezzo (di lire 170.000.000 "prima d’ora ricevuto") rispetto a quello concordato in preliminare di lire 500.000.000, i giudici del gravame avrebbero dovuto qualificare la domanda, valutare se concretamente era ipotizzabile una domanda di simulazione parziale relativamente al prezzo, affrontare il problema della efficacia probatoria e delta fede privilegiata dell’atto pubblico.

La Corte di appello avrebbe anche potuto privilegiare il profilo che, essendo la vendita il contratto avente ad oggetto il trasferimento delta proprietà della cosa verso il corrispettivo di un prezzo, era stata accertata la comune intenzione delle parti in ordine alla determinazione dello stesso (tanto più che gli acquirenti non avevano contestato la pattuizione del preliminare, adducendo, però, l’inverosimile tesi della maggiorazione del prezzo voluta dalla cedente a scanso di rimostranze di favoritismo verso estranei da parte dei suoi parenti più prossimi); oppure che il prezzo è un elemento essenziale del contratto, che deve ritenersi carente se è meramente simbolico e non corrispondente all’effettivo valore del bene trasferito (Cass. 24 novembre 1980 n. 6235).

Circa i rapporti tra il contratto preliminare ed il definitivo, mentre la dottrina, sulla scorta della teoria procedimentale, valorizza il momento del preliminare, in quanto regolativo dei futuri assetti contrattuali, la giurisprudenza considera il contratto definitivo l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio posto in essere, in quanto il preliminare, determinando solo l’obbligo reciproco della stipulazione del definitivo, resta superato da quest’ultimo, per cui non vi è l’obbligo del giudice di prendere in considerazione il testo del preliminare (Cass. 18 aprile 2002 n. 5635).

La prova della simulazione si atteggia in modo diverso a seconda che si tratti di rapporti verso terzi o dei rapporti interni tra le parti; invero se la domanda di simulazione è proposta da creditori o da terzi che, estranei al contratto, non sono in grado di procurarsi la prova scritta, la prova per testi e per presunzioni della simulazione non subisce alcun limite; per contro, se la domanda è proposta da una delle parti o dagli eredi, la dimostrazione della simulazione incontra gli stessi limiti della prova testimoniale, per cui se il contratto simulato è stato redatto per iscritto, la prova per testi o per presunzioni non può essere ammessa contro il contenuto del documento, perché le parti hanno la possibilità e l’onere di munirsi delle controdichiarazioni, salve le eccezioni a tale regola espressamente previste dalla legge, e salvo che la prova sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato (Cass. 23 gennaio 1997 n.697, Cass. 12 febbraio 1986 n. 850).

La prova della simulazione relativa parziale riguardante una singola clausola contrattuale non incontra i limiti derivanti dalla disciplina della simulazione di cui agli artt. 1414 comma 2 e 1417. In particolare non è necessario che il patto di determinazione del prezzo dissimulato debba essere rivestito nella forma richiesta per il contratto cui afferisce, fermi restando i limiti dell’ammissibilità della prova testimoniale posti dalla disciplina probatoria dei patti aggiunti (Cass. 24 aprile 1996 n.3857, Cass. 23 gennaio 1988 n. 526, Cass. 9 luglio 1987 n. 5975).

Nella ipotesi di simulazione relativa parziale relativamente al prezzo gli elementi negoziali interessati dalla simulazione vengono ad essere sostituiti da quelli effettivamente voluti dalle parti (Cass. 24 luglio 1997 n. 6933) e possono essere provati anche a mezzo di testimoni (Cass. 30 luglio 1998 n. 7500, Cass. 24 aprile 1996 n. 3857, Cass. 9 luglio 1987 n. 5975).

Nella fattispecie, va, anche, sottolineata la particolarità della vicenda, in quanto la venditrice, nel periodo di stipulazione dell’atto pubblico, risultava assistita dall’avv. Caia, congiunto degli acquirenti, ed il preliminare prevedeva pagamenti anche successivi alla data dell’atto pubblico.

In conclusione, la motivazione addotta dalla Corte di appello, valorizzando solo alcuni aspetti della vicenda ed omettendo una più puntuale ed analitica disamina dei profili sopra evidenziati, va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano che si uni formerà ai principi sopra espressi, con particolare riferimento alla essenzialità del prezzo corrispondente all’effettivo valore del bene, ai limiti alla ammissibilità della prova testimoniale ed alle deroghe relativamente al prezzo in tema di simulazione parziale.

Per effetto del nuovo esame demandato al giudice del merito, restano assorbite le censure del ricorso incidentale, relative alla violazione e falsa applicazione delle norme processuali di cui agli artt. 99, t 12, 166, 167, 183 c.p.c. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c. ed alla violazione degli artt. 1453, 1218, 1223, 1224, 1282 c.c. e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c., per non avere la sentenza confermato il rigetto della domanda restitutoria con conseguente ritenzione della somma di lire 170 milioni a titolo di ristoro del danno patito per la mancata esecuzione della prestazione.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte accoglie il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Roma 24 aprile 2006.

Il consigliere estensore

Il Presidente