Il divieto di reformatio in peius opera anche nel processo tributario
Il divieto di reformatio in peius opera anche nel processo tributario
Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 13325 del 19 maggio 2025
MASSIMA: Nel processo tributario trova integrale applicazione il divieto di reformatio in peius, precludendo al giudice di secondo grado la possibilità di modificare la sentenza di primo grado in senso sfavorevole per il solo appellante, in assenza di impugnazione incidentale da parte della controparte parzialmente soccombente.
CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
Con l’ordinanza n. 13325 del 19 maggio 2025, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui, in assenza di appello incidentale da parte della controparte parzialmente soccombente in primo grado, il giudice di secondo grado non può riformare la sentenza impugnata in senso peggiorativo per l’appellante.
Si tratta dell’applicazione del principio del divieto di reformatio in peius, già consolidato nel processo civile, penale e amministrativo, ora ribadito con chiarezza anche nell’ambito del contenzioso tributario.
Trattasi specificamente del divieto per il giudice d’appello di peggiorare la posizione del soggetto che ha impugnato la sentenza, se la controparte non ha a sua volta proposto impugnazione.
In altre parole: chi impugna non può ricevere un esito peggiore, se la controparte non ha contestato la sentenza.
IL CASO
Per meglio comprendere la questione giuridica posta all’attenzione della Suprema Corte, è opportuno ricostruire i fatti da cui ha preso origine la vicenda.
Un contribuente aveva impugnato un avviso di accertamento emesso in relazione a IRPEF e IVA, oltre accessori, per l’anno d’imposta 2006. L’accertamento, fondato sul metodo analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 e sull’applicazione di uno studio di settore, era rivolto a un imprenditore edile individuale e rideterminava, per l’anno d’imposta 2006, il reddito dichiarato pari a zero, a fronte di redditi dichiarati per le successive annualità ammontanti a 104.518 euro per il 2007 e a 121.228 euro per il 2008.
Il giudice di primo grado accoglieva solo parzialmente le doglianze del contribuente, rideterminando il reddito per il 2006 in 87.308 euro.
Contro tale decisione proponeva appello il contribuente, limitatamente alla parte in cui il ricorso non era stato accolto. L’Ufficio, invece, non proponeva appello incidentale relativamente alla parte in cui era risultato soccombente.
Orbene, contrariamente a quanto stabilito dai primi giudici, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in sede d’appello, riformava la sentenza di primo grado, confermando integralmente la legittimità dell’atto impugnato. Secondo i giudici d’appello, infatti, le argomentazioni del contribuente – secondo cui non vi era stato reddito nel 2006 poiché i lavori edilizi non erano stati ultimati – erano già state valutate in sede di contraddittorio e non risultavano decisive.
Inoltre, veniva affermato che la variazione delle rimanenze non poteva essere considerata un costo deducibile e si attribuiva rilievo alla presenza di significativi redditi dichiarati negli anni precedenti e successivi.
In sostanza, la CTR validava integralmente l’avviso di accertamento, ripristinando per intero il reddito accertato tramite lo studio di settore.
Avverso tale sfavorevole pronuncia, il contribuente proponeva quindi ricorso per Cassazione, deducendo, tra l’altro, la violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., per ultrapetizione: a parere del contribuente, infatti, il giudice d’appello avrebbe riformato la sentenza di primo grado in senso a lui sfavorevole, nonostante l’assenza di un appello incidentale da parte dell’Ufficio.
Orbene, la Suprema Corte ha accolto tale motivo, ribadendo con fermezza che il divieto di reformatio in peius trova piena applicazione anche nel processo tributario.
CORTE DI CASSAZIONE, ORDINANZA N. 13325 DEL 19 MAGGIO 2025
Come anticipato, il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguardava una sentenza di secondo grado che, pur in assenza di appello incidentale da parte dell’Ufficio, aveva confermato integralmente l’atto impugnato, superando così la rideterminazione favorevole operata dal giudice di prime cure.
Precisamente, con l’ordinanza n. 13325/2025, la Corte di Cassazione ha chiarito che, una volta definito il quantum devolutum – ovvero l’ambito della controversia rimesso al giudice d’appello – l’assenza di impugnazione da parte della parte parzialmente vittoriosa preclude ogni possibilità di modifica in senso sfavorevole per l’appellante. In caso contrario, si realizza una violazione del principio dispositivo, concretandosi un vizio di extrapetizione.
Ed invero, la Corte ha precisato che, nel caso in cui il giudice di primo grado accolga parzialmente il ricorso del contribuente, rideterminando l’imponibile in misura inferiore rispetto a quanto preteso dall’Amministrazione, e quest’ultima non proponga appello incidentale, si forma un giudicato interno sulla parte non impugnata.
Ne consegue che tale giudicato vincola di riflesso, e inevitabilmente, anche il giudice di appello.
Del resto, in tal senso si era già espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12275/2018, nella quale era stato affermato che anche nel processo tributario il divieto di reformatio in peius impedisce al giudice di secondo grado di attribuire un esito più sfavorevole all’impugnante rispetto alla sentenza appellata, in assenza di impugnazione da parte della controparte. In altri termini, la mancata proposizione dell’appello incidentale da parte dell’Agenzia delle Entrate, diventa determinante nella formazione di un giudicato interno, limitando così il potere di revisione del giudice d’appello.
A tale scopo, la Suprema Corte ha fornito il seguente principio di diritto:
“Il divieto di reformatio in peius opera pienamente nel processo tributario, impedendo al giudice d'appello di riformare la sentenza di primo grado in senso sfavorevole alla parte ricorrente quando la controparte parzialmente soccombente non abbia proposto appello incidentale. Quando il giudice di prime cure accoglie parzialmente il ricorso del contribuente, rideterminando in senso favorevole l'importo dell'accertamento tributario, e l'Amministrazione finanziaria non propone appello incidentale avverso tale decisione, si forma un giudicato interno sui limiti della pretesa così rideterminata che vincola il giudice d'appello. La Commissione tributaria regionale che, in assenza di appello incidentale dell'Ufficio, confermi integralmente l'atto impugnato discostandosi dalla rideterminazione operata dal giudice di prime cure, incorre nel vizio di extrapetizione per violazione dell'articolo 112 del codice di procedura civile. Il quantum devolutum rimane circoscritto nei limiti stabiliti dalla sentenza di primo grado non impugnata dalla parte parzialmente vittoriosa, costituendo tale determinazione il limite invalicabile dell'esame del giudice superiore. Il principio trova applicazione indipendentemente dalle modalità attraverso cui si manifesta la reformatio in peius, sia essa consistente nell'annullamento di riduzioni percentuali operate dal primo giudice ovvero nella conferma integrale dell'atto amministrativo originariamente impugnato. La violazione del divieto comporta la cassazione della sentenza d'appello con conseguente ripristino della determinazione operata dal giudice di prime cure, atteso che il giudicato interno formatosi per effetto della mancata impugnazione incidentale preclude qualsiasi rivalutazione in senso peggiorativo per il contribuente ricorrente della pretesa tributaria nei limiti già definiti dal primo giudice.”
In conclusione, sulla scorta delle predette considerazioni, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha accolto il ricorso del contribuente, ha cassato la sentenza di appello e, decidendo nel merito, ha confermato la rideterminazione del reddito operata dal giudice di primo grado, pari a euro 87.308,00 per l’anno d’imposta 2006.
COSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Alla luce di quanto chiarito, può certamente concludersi che con l’ordinanza n. 13325 del 19 maggio 2025, la Corte di Cassazione ha fornito una lettura definitiva del principio del divieto di reformatio in peius nel processo tributario.
Ne emerge che tale principio, storicamente radicato:
- nel processo penale (art. 597, co.3, c.p.p.);
- in ambito civile (art. 112 c.p.c.: corrispondenza tra chiesto e pronunciato);
- e nel processo amministrativo (principio giurisprudenziale sancito dal Consiglio di Stato e art. 112 c.p.c. applicabile per analogia);
si applica pienamente anche al processo tributario, a tutela del diritto di difesa dell’impugnante.
In particolare, esso impedisce che, in assenza di un appello incidentale, il giudice di secondo grado possa aggravare la posizione del contribuente rispetto a quanto statuito dal giudice di primo grado.
Il giudice di appello non può, dunque, pronunciarsi su questioni su cui non vi sia stato appello incidentale adottando una cd reformatio in peius, poiché in tale circostanza si incorrerebbe nel vizio di ultrapetizione.
Tanto chiarito, può certamente concludersi che la sentenza in esame rappresenta un importante punto di riferimento per la prassi tributaria e per i professionisti del settore legale e fiscale. Il principio enunciato trova, infatti, ormai applicazione indipendentemente dalle modalità attraverso cui si manifesta la reformatio in peius, sia essa consistente nell’annullamento di riduzioni percentuali operate dal primo giudice ovvero nella conferma integrale dell’atto amministrativo originariamente impugnato.
Va da sé che, la violazione del divieto comporta la cassazione della sentenza d’appello con conseguente ripristino della determinazione operata dal giudice di prime cure, atteso che il giudicato interno formatosi per effetto della mancata impugnazione incidentale preclude qualsiasi rivalutazione in senso peggiorativo per il contribuente ricorrente della pretesa tributaria. Ne consegue che il quantum devolutum deve rimanere circoscritto nei limiti stabiliti dalla sentenza di primo grado non impugnata, costituendo un confine invalicabile per il giudizio di secondo grado.