Verifiche fiscali: come difendersi dopo la sentenza cedu 2025 (italgomme)
Verifiche fiscali: come difendersi dopo la sentenza cedu 2025 (italgomme)
La Corte Europea dei diritti dell’Uomo con la sentenza del 06 febbraio 2025 relativa al caso Italgomme Pneumatici Srl ha evidenziato che la normativa italiana in tema di accessi, ispezioni e verifiche fiscali presso il domicilio delle persone giuridiche o presso i locali adibiti all’attività professionale viola l’art. 8 CEDU, avendo conferito alle autorità nazionali un margine di discrezionalità illimitato, senza fornire, di contro, adeguate garanzie procedurali, giurisdizionali o giustiziali al contribuente.
Il ragionamento che ha condotto la Corte Edu ad esprimersi a favore dei ricorrenti muove da un consolidato orientamento interpretativo della stessa Corte secondo cui la nozione di “domicilio” ai sensi dell’articolo 8 CEDU comprende non soltanto l’abitazione privata, ma anche i locali aziendali e professionali nei quali si esercita un’attività economica (da ultimo v. la sentenza Kavecanský del 29 aprile 2025 relativa alla perquisizione ed al sequestro di dispositivi elettronici nello studio di un notaio) e muove, altresì, dalla constatazione che gli obblighi di collaborazione imposti all’impresa o al professionista nell’ambito di un’indagine fiscale condotta presso la rispettiva sede costituiscono un’”ingerenza” nel domicilio e nella corrispondenza, la quale deve necessariamente avvenire, onde evitare intrusioni arbitrarie, entro i rigorosi limiti stabiliti dalla legge.
Sulla base di tali presupposti, la Corte EDU ha rilevato che la normativa italiana - in tema di accessi, ispezioni e verifiche fiscali presso il domicilio delle persone giuridiche o presso i locali adibiti all’attività professionale - viola l’art. 8 CEDU, che tutela la vita privata e il domicilio, nel quale sono inclusi i locali aziendali e professionali quando questi costituiscono la sede dell’attività d’impresa.
Due, in particolare, le criticità riscontrate dalla Corte Edu nella trama della disciplina interna delle misure istruttorie in questione.
- Da un lato, un margine di discrezionalità eccessivamente ampio delle autorità nazionali (paragrafi 106-120).
A riguardo, la Corte ha verificato se la disciplina nazionale preveda delle adeguate tutele procedurali e giurisdizionali prima e durante la fase di verifica e, nello specifico:
- se il quadro giuridico interno indichi in modo chiaro e prevedibile le circostanze e le condizioni nelle quali le autorità nazionali sono autorizzate ad applicare le misure in contestazione;
In relazione al primo aspetto, dopo aver richiamato la normativa italiana in materia di verifiche fiscali (art. 35 L. n. 4/1929, che disciplina i poteri della Guardia di Finanza, e gli artt. 51 e 52 D.P.R. 633/1972, nonché gli artt. 32 e 33 D.P.R. 600/1973, che regolano gli accessi, le ispezioni e le verifiche dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di tutti i contribuenti), la Corte di Strasburgo ha rilevato che tali disposizioni consentono alla Guardia di Finanza e all’Agenzia delle Entrate di effettuare gli accessi presso il domicilio delle persone giuridiche o presso i locali adibiti all’attività professionale o commerciale o imprenditoriale a condizioni meno rigorose rispetto a quelle previste per gli accessi presso le “abitazioni” in senso stretto.
In particolare, così si legge nella sentenza in commento:
<< 109. A giudizio della Corte, le condizioni indicate nelle disposizioni legislative sopra citate (si veda il paragrafo 107 supra), di per sé, sono insufficienti per definire la portata del margine discrezionale riconosciuto alle autorità nazionali. In effetti, basandosi sul testo di tali disposizioni, la Corte di Cassazione ha chiarito che il quadro giuridico interno non richiedeva alcuna giustificazione specifica per autorizzare le misure in questione in riferimento a locali adibiti all’esercizio di attività commerciali e industriali, e che, pertanto, l'autorizzazione pertinente non doveva essere motivata (si veda il paragrafo 60 supra). Inoltre, secondo la Corte di Cassazione, quando le misure sono state eseguite da ufficiali della Guardia di Finanza, non era richiesta alcuna autorizzazione scritta (si veda il paragrafo 61 supra). >>.
Pertanto, secondo la Corte EDU, un sistema di controllo fondato su criteri non sufficientemente precisi e la mancanza di informazioni pubblicamente accessibili e trasparenti circa i locali commerciali effettivamente sottoposti alle verifiche fiscali impediscono una verifica effettiva sull’operato delle autorità nazionali, le quali finiscono per avere un potere discrezionale illimitato.
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte ha ritenuto che:
<<(…) la base giuridica delle misure in contestazione non fosse idonea a delimitare in misura sufficiente il margine discrezionale conferito alle autorità nazionali e, di conseguenza, non soddisfi l’esigenza di «qualità di legge» di cui all'articolo 8 della Convenzione.>>.
In relazione al secondo punto, la Corte ha evidenziato che, ai sensi dell’art. 52, comma 3, D.P.R. n. 633/72 (espressamente richiamato dall’art. 33 D.P.R. 600/73), le verifiche possono estendersi a tutti i libri, registri, documenti e dichiarazioni scritte, compresi quelli che non devono essere conservati, che si trovano nei locali di riferimento o sono altrimenti accessibili per mezzo di dispositivi digitali ivi installati.
Ebbene, partendo dal presupposto che anche tali poteri devono “essere delimitati in modo da evitare un margine di discrezionalità illimitato”, la Corte EDU ha rilevato che la disciplina italiana:
- non richiede alle autorità nazionali di indicare ciò che si aspettano di trovare in riferimento agli anni oggetto dell’accertamento, né fornisce indicazione secondo le quali deve essere evitato l’accesso indiscriminato;
- non prevede la possibilità di rimuovere o dichiarare inammissibili come prove a carico del contribuente i documenti e gli elementi non connessi all’oggetto delle misure in contestazione.
Sulla scorta di tali presupposti, la Corte EDU ha così evidenziato:
<< In tale contesto, la Corte non è convinta che il quadro giuridico interno abbia fornito garanzie adeguate ed effettive allo scopo di prevenire che l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza esercitassero un potere discrezionale illimitato, in quanto, in relazione all'accesso e alle ispezioni, il loro potere di valutare l'adeguatezza, il numero, la durata e la portata di tali operazioni e delle informazioni richieste ai contribuenti, e successivamente copiate o sequestrate, non era regolamentato. In questo contesto, la Corte ritiene che le condizioni previste dalla legge risultino troppo vaghe per delimitare in modo sufficiente un siffatto potere discrezionale>>.
- Dall’altro, l’assenza di garanzie procedurali idonee a proteggere i contribuenti dagli abusi e dall’arbitrarietà (paragrafi 121-136).
La Corte di Strasburgo ha, altresì, verificato se la normativa nazionale preveda adeguate tutele procedurali e giurisdizionali ex post. Nello specifico, la Corte ha appurato l’idoneità o meno dei seguenti strumenti:
- reclamo dinanzi al giudice tributario: la Corte ha, preliminarmente, dato atto della giurisprudenza citata dal Governo italiano, secondo la quale il contribuente ha la possibilità di contestare l’autorizzazione alla verifica fiscale dinanzi le Corti di Giustizia Tributaria impugnando il conseguente avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 19, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992.
Tuttavia, sul punto, la Corte ha rilevato che:
- in primo luogo, la giurisprudenza citata dal Governo non era pertinente al caso di specie, in quanto riguardava un controllo effettuato presso il domicilio privato del contribuente. Dunque, la Corte EDU ha sottolineato che il Governo italiano non ha fornito alcun esempio giurisprudenziale relativo ad un reclamo dinanzi al giudice tributario di un’autorizzazione in relazione ai locali commerciali o ai locali adibiti all’esercizio dell’attività professionale;
- in secondo luogo, anche a voler supporre che i giudici tributari abbiano il potere di annullare un avviso di accertamento in caso di illegittimità dell’autorizzazione delle misure in contestazione, la possibilità di contestare l’autorizzazione dipende dal fatto che la verifica abbia portato o meno all’emissione di un avviso di accertamento contestato dal contribuente e che tale avviso fosse basato su prove raccolte durante la verifica. Pertanto la Corte constata che “l’esistenza di un siffatto ricorso è meramente potenziale e incerta”;
- in terzo luogo, un avviso di accertamento può essere emesso dopo diversi anni dalla dichiarazione dei redditi. Al contrario, la Corte ha evidenziato che il rimedio a tutela del contribuente deve essere sufficientemente tempestivo e, pertanto, il ricorso deve essere disponibile entro un termine ragionevole.
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte EDU ha così concluso: <<Quanto precede è sufficiente per concludere che un reclamo dinanzi al giudice tributario non equivarrebbe a un ricorso giurisdizionale ex post effettivo. Pertanto, la Corte non ritiene necessario esaminare se il contesto giuridico interno preveda un ricorso adeguato e sufficiente qualora venga riscontrata una irregolarità.>>;
- ricorso dinanzi al giudice civile: la Corte, dato preliminarmente atto della giurisprudenza citata dal Governo italiano, ha evidenziato come tali riferimenti non erano pertinenti al caso di specie, in quanto riguardavano i casi in cui l’autorizzazione era stata rilasciata in riferimento alle dimore private.
Peraltro, pur a voler ritenere possibile il ricorso dinanzi al giudice civile, secondo la Corte, non si comprenderebbe come i giudici ordinari possano esercitare un controllo significativo su tali misure;
- reclamo dinanzi al Garante del Contribuente: la Corte EDU ha evidenziato che tale autorità non emette decisioni vincolanti, ma semplici raccomandazioni all’amministrazione finanziaria. Conseguentemente, secondo la Corte <<(…) un reclamo dinanzi al Garante del Contribuente non costituirebbe un ricorso effettivo ai fini delle garanzie contro l'arbitrarietà previste dall'articolo 8 della Convenzione in tali casi (…).>>.
Ebbene, alla luce delle suesposte criticità di cui ai precedenti punti A) e B), la Corte di Strasburgo ha concluso (paragrafi 137-141) che il quadro giuridico interno ha:
<<attribuito alle autorità nazionali un potere discrezionale illimitato per quanto riguarda sia le condizioni di attuazione delle misure in contestazione, che l'ambito di applicazione delle stesse.>>.
Più nello specifico, come si legge nella sentenza:
<<(…) il quadro giuridico interno non ha fornito garanzie procedurali sufficienti, in quanto le misure in contestazione, nonostante l’esistenza di alcuni ricorsi giurisdizionali avverso le stesse, non erano soggette a un controllo sufficiente. Pertanto, il quadro giuridico interno non ha fornito ai ricorrenti il livello minimo di protezione cui avevano diritto ai sensi della Convenzione. La Corte ritiene che, in tali circostanze, non si possa affermare che l'ingerenza in questione era «conforme alla legge», come richiesto dall'articolo 8 § 2 della Convenzione.>>.
Di conseguenza, la Corte EDU ha rilevato il contrasto tra la normativa italiana e l’art. 8 CEDU, ritenendo superfluo esaminare la ricevibilità e il merito del ricorso ai sensi dell’art. 6 della medesima Convenzione.
LE ORDINANZE INTERLOCUTORIE N. 11910/2025 E N. 25751/2025 DELLA CORTE DI CASSAZIONE A SEGUITO DELLA SENTENZA ITALGOMME.
In ambito nazionale, i principi affermati dalla Corte di Strasburgo nella sentenza “Italgomme” sono stati recepiti dalla Corte di Cassazione, Sez. Tributaria.
In particolare:
- con una prima ordinanza interlocutoria n. 11910 del 06/05/2025, la Corte ha assegnato alle parti, ai sensi dell’articolo 384, comma 3, c.p.c., un termine di sessanta per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla rilevanza nel giudizio pendente dinanzi ad essa della citata sentenza Italgomme;
- con una successiva ordinanza n. 25751 del 22/09/2025 la Corte, preso atto dell’entrata in vigore dell’art. 13-bis D.L. 84/2025, conv. dalla legge n. 108/2025, ha invitato le parti ad interloquire sull'eventuale rilevanza, nella specie, della normativa sopravvenuta alla concessione del termine già scaduto.
Giova brevemente rammentare che con la citata ordinanza n. 11910 del 06/05/2025 la Cassazione, a seguito della pubblicazione della sentenza “Italgomme”, ha ritenuto d’inserire d’ufficio il motivo d’attrito con l’articolo 8 della CEDU (che protegge la vita privata e familiare di tutte le persone, anche quelle giuridiche) da parte delle norme italiane che disciplinano gli accessi dell’Amministrazione finanziaria presso la sede delle attività economiche dei soggetti da sottoporre a controllo.
Il caso su cui interviene l’ordinanza è quello di una verifica fiscale della Guardia di Finanza, autorizzata dal Comandante del locale nucleo di Polizia Tributaria, condotta presso la sede di una società e conclusasi con la redazione di un Pvc cui seguiva la notifica di un avviso di accertamento tramite il quale si recuperava a tassazione, ai fini IRAP, IRES e IVA, per l’anno di imposta 2011, alcuni costi ritenuti indeducibili.
La società, risultata soccombente in entrambi i giudizi di merito, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la nullità dell’avviso di accertamento perchè basato su documentazione raccolta ed esaminata illegittimamente per assoluta mancanza di potere, in violazione degli artt. 7-ter e 7-quinquies dello Statuto dei diritti del contribuente.
In particolare, la società ha rilevato che la verifica fiscale presso la propria sede è stata compiuta sulla base dell’autorizzazione rilasciata dal Comandante del nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Foggia e, dunque, in mancanza assoluta di potere, con conseguente nullità dell’atto (rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio) ex art. 7-ter dello Statuto dei diritti del contribuente. Ed invero, ha contestato la ricorrente che le norme interne relative agli accessi, ispezioni e verifiche fiscali - non prevedendo che l’autorizzazione all’accesso presso il domicilio delle persone giuridiche debba essere rilasciata dall’autorità giudiziaria - si pongono, di fatto, in contrasto con l’art. 14 Costituzione (come integrato dall’art. 8 CEDU) e con gli artt. 7 e 47 della CDFUE.
Da tanto, secondo la società ricorrente, deriva l’obbligo per la Corte di Cassazione:
- in caso di tributi armonizzati (IVA), di disapplicare la normativa interna;
- in caso di tributi non armonizzati (IRES e IRAP), di sollevare la questione di legittimità costituzionale della normativa interna per contrarietà all’art. 14 Costituzione.
Orbene, la Corte di Cassazione, preso atto che, successivamente all’udienza di discussione, era sopraggiunta la sentenza della Corte E.d.u. nella causa “Italgomme” sul tema della violazione dell’articolo 8 della CEDU da parte dell’Italia quanto alla disciplina domestica in materia di accessi, ispezioni e verifiche presso i locali adibiti all’esercizio dell’attività professionale (disciplina contenuta negli articoli 35 della legge 4/1929, 51 e 52 del Dpr 633/1972, 32 e 33 del Dpr 600/1973 e 12 della legge 212/2000), con l’ordinanza n. 11910/2025 ha provocato il contraddittorio sul punto, assegnando al Pubblico Ministero e alle parti, ai sensi dell’articolo 384, comma 3, Cpc, un termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla rilevanza nel giudizio pendente dinanzi ad essa della citata sentenza Italgomme.
Successivamente, in data 22 settembre 2025, con una nuova ordinanza n. 25751/2025, la medesima Sezione, in relazione a tale giudizio ha così osservato:
<<preliminarmente, osserva che, successivamente alla scadenza del termine concesso ex art. 384 comma 3 cod. proc. civ., è intervenuta la norma di cui all'art. 13bis del D.L. 84/2025, conv. dalla legge n. 108/2025, (…)>>.
Com’è noto, il succitato articolo 13 – bis D.L. 84/2025, conv. dalla legge n. 108/2025, nel rilevare al primo comma che:
<<Negli atti di autorizzazione e nei processi verbali redatti ai sensi del comma 4 devono essere espressamente e adeguatamente indicate e motivate le circostanze e le condizioni che hanno giustificato l'accesso.>>,
tuttavia al secondo comma così dispone:
<<2. Le disposizioni del secondo periodo del comma 1 dell'articolo 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, introdotto dal comma 1 del presente articolo, si applicano con riferimento agli atti di autorizzazione e ai processi verbali di accesso redatti successivamente alla data in vigore della legge di conversione del presente decreto. Restano comunque validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodotti e i rapporti sorti sulla base delle disposizioni vigenti antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.>>.
Alla luce di siffatta disposizione, la Corte di Cassazione ha invitato le parti ad interloquire, nella sede dell'udienza pubblica, sull'eventuale rilevanza, nella specie, della normativa sopravvenuta alla concessione del termine già scaduto, disponendo il rinvio a nuovo ruolo della controversia.
GLI EFFETTI NELL'AMBITO INTERNO DELLA SENTENZA ITALGOMME: DISAPPLICAZIONE DELLA NORMA INTERNA CONTRASTANTE CON LA CEDU O, IN SUBORDINE, RIMESSIONE ALLA CORTE COSTITUZIONALE DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DEGLI ARTT. 35 L. N. 4/1929 (CHE DISCIPLINA I POTERI DELLA GUARDIA DI FINANZA), 51 E 52 D.P.R. 633/1972 NONCHÉ 32 E 33 D.P.R. 600/1973 (CHE REGOLANO GLI ACCESSI, LE ISPEZIONI E LE VERIFICHE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE) IN RIFERIMENTO ALL’ART. 117, COMMA PRIMO, COST.
Data la rilevanza della sentenza “Italgomme”, è opportuno preliminarmente analizzare la rilevanza che la sentenza della Corte EDU si presta ad avere nell’ordinamento italiano.
Com’è noto, la Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo è un trattato internazionale, sottoscritto in seno al Consiglio d’Europa, a Roma, il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, che mira a tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali nei paesi che compongono il Consiglio d’Europa, una parte dei quali sono membri dell’Unione Europea. Per raggiungere questi obiettivi la Convenzione ha istituito la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, volta a tutelare la persona dalla violazione dei diritti umani.
In questa cornice, occorre richiamare preliminarmente la disciplina dell’art. 10 Cost., dalla quale deriva la necessità di adeguare l’ordinamento giuridico interno all’ordinamento sovranazionale.
Dispone, in particolare, il primo comma dell’art. 10 Cost.:
<<L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciuto>>.
Come si è evidenziato in apertura di questo paragrafo, per ricostruire il sistema integrato in materia di tutela dei diritti fondamentali delle persone realizzato nel nostro ordinamento, la norma costituzionale dell’art. 10 Cost. deve essere correlata alla previsione dell’art. 117 Cost., del quale, ai presenti fini, assumono rilievo solo il primo e il terzo comma di tale disposizione.
Della norma costituzionale dell’art. 117 Cost., innanzitutto, occorre richiamare, nella sua interezza, il primo comma, che recita:
<<La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.>>.
La disposizione del primo comma dell’art. 117 Cost., a sua volta, deve essere correlata al terzo comma della stessa norma, laddove afferma che sono materie di legislazione concorrente quelle relative a <<rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni […]>>.
Oltre alle richiamate disposizioni costituzionali, occorre considerare che:
- in primo luogo, ai sensi dell’art. 46, par. 1, CEDU, rubricato “Forza vincolante ed esecuzione delle sentenze”, gli Stati contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte EDU sulle controversie nelle quali sono parti: in sintesi, l'articolo 46, paragrafo 1, della CEDU sancisce l'obbligo per gli Stati di eseguire le sentenze della Corte, garantendo così l'effettività della protezione dei diritti umani a livello europeo;
- peraltro, secondo la dottrina, è possibile riconoscere alle pronunce della Corte EDU, nella loro enunciazione generale, efficacia erga omnes, come tali idonee a vincolare tutti gli Stati contraenti ad osservare l’interpretazione resa in relazione ad una specifica disposizione della CEDU, avente valore di precedente vincolante;
- ed ancora, si consideri che il giudice nazionale rappresenta il primo garante dell’applicazione della CEDU, come desumibile dagli artt. 13 e 35 CEDU: quindi, tra gli obblighi che sorgono in capo al Giudice per effetto della partecipazione dell’Italia alla Convenzione vi sarebbe anche quello di applicare la CEDU, come interpretata dalla Corte EDU, quale regola di giudizio per la risoluzione del caso concreto; in caso contrario, lo Stato italiano potrebbe incorrere in responsabilità verso il contribuente per non aver applicato il diritto nazionale in senso conforme alla CEDU (v. Corte EDU, 15 giugno 2006, Lacárcel Menéndez v. Spagna [41745/02]);
- inoltre, la stessa Corte Costituzionale con le note “sentenze gemelle” numeri 348 e 349 del 2007 e, successivamente, con le sentenze 3 novembre 2009, n. 311 e 3 novembre 2009, n. 317 e, nonché, con le sentenze 25 gennaio 2011, n. 80 e 9 febbraio 2011, n. 113, ha chiarito quali sono gli effetti prodotti dalle decisioni del giudice sovranazionale nel nostro ordinamento giuridico, affermando la maggiore resistenza delle norme della Corte EDU rispetto alle leggi ordinarie interne che devono essere interpretate, laddove possibile, in modo conforme alle norme extranazionali, rispetto alle quali si pongono in una condizione ermeneutica recessiva.
La giurisprudenza costituzionale, dunque, a partire dalle richiamate sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 – che sono le prime a essere intervenute sul tema in questione – ha costantemente affermato che le norme della Convenzione EDU, nel significato loro attribuito dalla Corte di Strasburgo, specificamente istituita per dare corretta applicazione a tali disposizioni, integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espressamente previsto dal combinato disposto degli artt. 10 e 117 Cost.; tale ultima disposizione, a sua volta, impone la conformazione della legislazione nazionale ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, rendendo evidente, sotto tale profilo, il percorso che deve essere seguito per dare concreta attuazione ai principi convenzionali nell’ordinamento giuridico italiano.
La Corte Costituzionale ha anche chiarito che:
<<l’art. 117, primo comma, Cost., ed in particolare l’espressione “obblighi internazionali” in esso contenuta, si riferisce alle norme internazionali convenzionali anche diverse da quelle comprese nella previsione degli artt. 10 e 11 Cost. […]»[43]. Interpretata in questo modo, la norma dell’art. 117, primo comma, Cost. ha finto per «colmare la lacuna prima esistente rispetto alle norme che a livello costituzionale garantiscono l’osservanza degli obblighi internazionali pattizi. La conseguenza è che il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in particolare della CEDU, si traduce in una violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.>>.
In altri termini, nelle ipotesi di contrasto tra una norma interna e una norma convenzionale, afferente alla tutela dei diritti fondamentali della persona, contemplati dalla Convenzione EDU, il giudice nazionale deve verificare preventivamente la possibilità di un’interpretazione della disposizione interna conforme al sistema sovranazionale, ricorrendo a tutti gli strumenti ordinari di ermeneutica giuridica.
Pertanto, l’esito negativo di tale verifica preliminare e il contrasto non componibile in via interpretativa della vicenda giurisdizionale sottoposta al suo vaglio impongono al giudice ordinario di sottoporre alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 117, comma primo, Cost., attraverso un rinvio pregiudiziale;
- infine, la Corte di Cassazione, con granitico orientamento, afferma l’immediata rilevanza in Italia delle norme della Convenzione e l’obbligo, da parte del Giudice dello Stato, di applicarle direttamente (Cass. S.U. n. 28507/05) anche quando esse siano contrarie al diritto interno, alla sola condizione che la loro interpretazione superi il doveroso controllo secundum constitutionem.
Nello specifico, secondo il consolidato orientamento della Corte, le norme convenzionali fanno sistema con l'art. 2 Cost., fonte assiologica interna, in quanto i diritti riconosciuti dalla Convenzione sono inviolabili perché funzionali alla dignità di ogni persona, per cui il giudice deve tener presenti, in modo congiunto ed integrativo, i diritti costituzionalmente garantiti e i diritti convenzionalmente protetti. Allo stesso modo, il giudice dello Stato non può ignorare, nella controversia che è chiamato a decidere, l'interpretazione che delle norme pattizie viene data dalla Corte di Strasburgo, con la conseguenza che, nella realizzazione dell'equo processo ed allo scopo di assicurare la parità effettiva delle armi in senso sostanziale e processuale (art. 111, 1 comma, Cost.), il giudice interno, affinché la sua statuizione risulti aderente alle norme della Convenzione, deve tenere conto anche dell'elaborazione del diritto vivente quale proveniente proprio dalla Corte di Strasburgo, che della Convenzione è il più autorevole interprete.
Come evidenziato dalla Corte Suprema di Cassazione, sezione III, sentenza del 30 settembre 2011, n. 19985:
<<Tale indirizzo ha trovato conferma ulteriore nelle decisioni n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte costituzionale, che se in esse, come rileva specialistica dottrina, oscilla tra un polo di ispirazione formale - astratta, per cui la Convenzione ha una collocazione mediana, quale fonte interposta tra il piano costituzionale e quello delle leggi comuni, e un polo assiologico - sostanziale, perché si profilerebbe l'eventuale esigenza di un bilanciamento tra i diritti della Convenzione e gli stessi diritti costituzionalmente protetti, tuttavia ha statuito che nel caso in cui il giudice comune ravvisi una incompatibilità tra norma convenzionale e norma costituzionale, gli atti vanno rimessi al giudice delle leggi. (…)>>.
Al fine di verificare l’impatto delle pronunce della Corte Edu nell’ambito interno, i giudici di legittimità hanno preliminarmente evidenziato che:
<<3.- Di vero, la primazia della Convenzione sul diritto comune non è fine a se stessa, perché, anche se ritenute - le norme convenzionali - come norme interposte e, quindi, formalmente appartenenti all'ordinamento interno, le stesse vengono ad arricchire quell'ordine pubblico italiano che costituisce il limite invalicabile di ogni atto ( normativo o amministrativo o giudiziario) interno, che è supremo principio costituzionale (Corte cost. n. 18/82, in motivazione). Ed è proprio la quasi identità dei beni protetti dalla Convenzione con quelli tutelati e garantiti dalla Costituzione che contribuisce a qualificare, congiuntamente alla loro validità (anche formale) interna, come costitutivi elementi dell'ordine pubblico italiano le norme della Convenzione, che abbiano ad oggetto esigenze o diritti, la cui tutela viene rivendicata dalla Corte di Strasburgo, considerato che il parametro costituzionale dei singoli Stati aderenti è pur sempre il livello minimo e non massimo né medio di tutela, come ormai è acquisito alla coscienza giuridica. >>.
Sulla scorta delle suesposte premesse, la Cassazione ha rilevato che:
<<4. Quanto fino ad ora considerato in tema di norme convenzionali materiali non esclude, però, di affrontare la problematica degli effetti nell'ambito interno delle sentenze della Corte Europea dei diritti dell'uomo.
In merito a ciò rileva il Collegio:
- le sentenze della Corte di Strasburgo, pur avendo natura dichiarativa, una volta divenute definitive ex art. 44 della Convenzione, consentono di attribuire alla vittima della accertata violazione del diritto protetto dalla Convenzione una somma a titolo di risarcimento dei danni morali e materiali o di riconoscere alla stessa una somma come equa soddisfazione, come è accaduto nel caso in esame;
- in quanto definitive queste sentenze sono precettive (Cass. S.U., 23 dicembre 2005 n.28507) alla pari delle norme materiali convenzionali, la cui applicazione non può discostarsi dall'interpretazione che della norma stessa ha dato il giudice Europeo (Cass. I sez. pen. 25 gennaio 2007 n.2800, PM in proc. Dorigo).>>.
Affermando il seguente (e consolidato) principio di diritto:
<<Pertanto, va affermato che:
- il giudice interno, il quale ha la materiale disponibilità di incidere sulla fattispecie concreta, non può ignorare o svuotare di contenuto il decisum definitivo della Corte Europea, anche se si tratta di condanna dello Stato a titolo di equa soddisfazione, per la quale non vi è bisogno di alcun exequatur e di fronte alla quale lo Stato non ha altra scelta se non quella di pagare, come di fatto accade;
- la decisione definitiva ha nell'ambito interno, e in relazione al procedimento, valore assimilabile al giudicato formale, ovvero vale solo per il procedimento in corso ed, in quanto tale, ha ovvia ricaduta sulla situazione che in simile ipotesi il giudice è chiamato ad affrontare, in quanto presupposto logico giuridico delle relative problematiche che quel giudice è chiamato a risolvere.>>.
Sulla base dei principi sopra enunciati, dunque, è possibile riconoscere d’ufficio la disapplicazione della norma interna contrastante con la CEDU o, in subordine, la rimessione della questione alla Corte Costituzionale.
INCOSTITUZIONALITÀ DELL’ART. 13 - BIS D.L. 84/2025, CONV. DALLA LEGGE N. 108/2025 PER CONTRASTO CON L’ART. 117 COST..
Come sopra evidenziato, il legislatore ha tentato di porre rimedio alla violazione segnalata dalla Corte Edu introducendo una modifica allo Statuto dei Diritti del Contribuente. L’articolo 13-bis della legge n. 108 del 30 luglio 2025, di conversione del decreto-legge n. 84 del 17 giugno 2025, ha infatti modificato l’articolo 12 della legge 212 del 27 luglio 2000, stabilendo che:
Ed invero, alla luce dei principi affermati dalla Corte EDU nella menzionata sentenza Italgomme (sul punto si rinvia a quanto già ampiamente sopra esposto), l’art. 13-bis del D.L. n. 105/2023, convertito con modificazioni dalla L. n. 137/2023 presenta evidenti profili di incompatibilità con i precetti convenzionali, sia sotto il profilo sostanziale che procedurale.
In particolare:
- non è previsto un obbligo generalizzato per l’Amministrazione finanziaria di fornire una motivazione specifica e adeguata circa la sussistenza dei gravi indizi che giustificherebbero l’accesso o la verifica presso la sede del contribuente, con conseguente lesione del diritto alla trasparenza e alla difesa preventiva;
- non è riconosciuto al contribuente il diritto di essere informato tempestivamente, e comunque al più tardi al momento dell’avvio della verifica, circa:
- i motivi giustificativi dell’intervento ispettivo;
- la portata oggettiva e soggettiva della verifica;
- il diritto a farsi assistere da un professionista di fiducia;
- le conseguenze giuridiche derivanti da un eventuale rifiuto all’accesso o all’esibizione di documenti;
- non è prevista alcuna sanzione espressa o remota per l’inosservanza dei sopra indicati obblighi da parte dell’Amministrazione, con evidente svuotamento di effettività del diritto alla tutela;
- non è disciplinata l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione delle garanzie convenzionali, in contrasto con il principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui un processo equo implica anche la liceità e la correttezza nella formazione della prova;
- non è contemplato alcuno strumento di tutela cautelare immediata, tale da consentire al contribuente di richiedere la sospensione degli effetti di un’attività ispettiva viziata ab origine;
- non è ammessa la diretta impugnabilità del processo verbale di constatazione, rendendo necessaria l’attesa della successiva notificazione dell’atto di accertamento per poter esercitare il proprio diritto di difesa, in palese contrasto con il principio della tutela giurisdizionale effettiva e tempestiva;
- infine, la previsione di cui al comma 2 dell’art. 13-bis, secondo cui “restano comunque validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodotti e i rapporti sorti sulla base delle disposizioni vigenti antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, produce l’effetto di legittimare retroattivamente atti e provvedimenti adottati sino al 2 agosto 2025, pur se fondati su una disciplina già ritenuta non conforme ai principi CEDU dalla giurisprudenza convenzionale.
Alla luce delle suddette considerazioni, appare evidente che l’art. 13-bis cit. si pone in palese violazione dell’art. 117 Cost, a norma del quale la potestà legislativa deve essere esercitata <<nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali>>, rispetto che, evidentemente, non vi è stato con l’adozione dell’art. 13 -bis cit..
CONSEGUENTEMENTE, NULLITA’ DELL’ATTO IMPUGNATO (RILEVABILE D’UFFICIO IN OGNI STATO E GRADO DEL GIUDIZIO) O, IN SUBORDINE, RIMESSIONE DELLE QUESTIONI GIURIDICHE ALLA CORTE COSTITUZIONALE O, IN ESTREMO SUBORDINE, RINVIO IN ATTESA CHE SI PRINUNCI LA CASSAZIONE.
Alla luce delle suesposte considerazioni, considerato che il giudice nazionale rappresenta il primo garante dell’applicazione della CEDU (v. articoli 13 e 35 della CEDU) e la stessa Corte Costituzionale nelle note “sentenze gemelle” numeri 348 e 349 del 2007 si è espressa nel senso che il giudice nazionale deve interpretare la norma interna conformemente alla Convenzione siccome letta nella “sostanza” dalla Corte Edu (v. Corte costituzionale, sentenza 311/2009), si chiede che il giudice tributario adito:
- disapplichi la norma interna contrastante con la CEDU e, conseguentemente, dichiari la nullità dell’impugnato atto fiscale;
- in subordine, che sottoponga alla Corte Costituzionale attraverso un rinvio pregiudiziale:
- la questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 L. n. 4/1929 (che disciplina i poteri della Guardia di Finanza), 51 e 52 D.P.R. 633/1972 nonché 32 e 33 D.P.R. 600/1973 (che regolano gli accessi, le ispezioni e le verifiche dell’Agenzia delle Entrate) in riferimento all’art. 117, comma primo, Cost.;
- nonché la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13-bis D.L. 84/2025, conv. dalla legge n. 108/2025 per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.;
- in estremo subordine, che disponga un rinvio in attesa che la Corte di Cassazione – che prima con l’ordinanza n. 11910/2025 e poi con l’ordinanza n. 25751/2025 ha invitato le parti a rendere osservazioni e interloquire sul tema – si pronunci.