Sollecito di pagamento è impugnabile ai fini tributari

Commento alla decisione della Corte di giustizia tributaria di Brindisi
Vasto 2017
Ph. Alessandro Saggio / Vasto 2017

Sollecito di pagamento è impugnabile ai fini tributari

Commento alla decisione della Corte di giustizia tributaria di Brindisi

 

“Il sollecito di pagamento, nonostante non figuri nell’elenco di cui all’articolo 19 del D.Lgs.  546/1992” costituisce atto autonomamente impugnabile.

È quanto afferma la Corte di giustizia tributaria di Brindisi con la sentenza n. 491 del 11.07.2025, dep. 15.09.2025.

Il Collegio pugliese ha anche tenuto conto di una interpretazione estensiva contenuta nella sentenza n. 19704/2015 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con cui è stata confermata “l’opponibilità dinanzi al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità che gli stessi siano espressi in forma autoritativa”. A ciò aggiungendo che, comunque, tutti gli atti con cui l’Amministrazione finanziaria comunica al contribuente (come nel caso di specie) una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione si concluda non con una formale intimazione o con un invito bonario a versare quanto dovuto, sono suscettibili di impugnazione. Pertanto anche un semplice sollecito.  

Interessante poi, ai fini della legittimazione e dell’interesse alla tutela giurisdizionale ex art. 100 cpc, risulta la valutazione per cui il contenuto dell’atto (sollecito nel caso) manifesti una pretesa tributaria compiuta.

Tale deduzione del Collegio brindisino porta alla consequenziale considerazione per cui non occorra attendere la pretesa stessa “ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento, si vesta della forma autoritativa propria di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 DLgs n. 546/1992".

Su tali presupposti di ammissibilità dell’azione di impugnazione della pretesa conosciuta tramite un mero sollecito, d'altra parte, i decidenti hanno precisato l’ulteriore profilo di facoltatività nel senso che “l'impugnazione di un atto non espressamente indicato dall'art. 19 citato non è un onere”.

Cosa, quest’ultima, che sostanzialmente costituisce una estensione di tutela costituzionale nella misura in cui la omissione della impugnazione quale “facoltà - non onere” non determina la cristallizzazione della pretesa tributaria in quanto tale né preclude la successiva impugnazione di uno degli atti tipici previsti dall'art. 19” (con chiaro riferimento alla granitica Cass. sentenza n. 2616/2015).

Pertanto, una volta stabilito che il ricorso del contribuente fosse ammissibile, il Collegio pugliese ha accolto lo stesso tenuto conto della inesistenza della prova degli atti richiamati nel sollecito da cui origina la causa in esame.

Tanto a fondamento del fatto, per giunta, che la controparte erariale avesse depositato tardivamente la documentazione di parte ed in violazione dell’art. 32 D.lgs. 546/1992.

La decisone in questione, quindi, si pone in scia ed in continuità con la teoria per la quale la tutela tributaria anticipata è un diritto inviolabile del cittadino tanto da fare riferimento ideale all’art. 1 del prot. add.le CEDU (“Ogni persona fisica e giuridica ha diritto al rispetto sei suoi beni”).

In conclusione, l’impugnazione tributaria della pretesa basata sul mero sollecito è ammissibile come se fosse un “ricorso al buio”; quest’ultimo, come tecnica processuale, si utilizzava per i ricorsi basati su estratti di ruolo prima che entrasse in vigore la c.d. legge Pittella ex legge 215/2021 (legge che ha vietato la ricorribilità avverso i predetti estratti benché si tratti di una ridondanza legislativa poiché, tecnicamente, il ricorso di tal fatta non è stato mai ammissibile bensì quello avverso gli atti presupposti).