Le sezioni unite in tema di “prova di resistenza” nell’ambito del contraddittorio preventivo

(Cass., Sezioni Unite, sent. n. 21271 del 25 luglio 2025)
Montedoglio, 2015
Ph. Alessandro Saggio / Montedoglio, 2015

Le sezioni unite in tema di “prova di resistenza” nell’ambito del contraddittorio preventivo

(Cass., Sezioni Unite, sent. n. 21271 del 25 luglio 2025)

 

PREMESSA

In ambito tributario, la questione relativa alla violazione del contraddittorio endoprocedimentale e, in particolare, all’onere del contribuente di allegare la c.d. “prova di resistenza” si pone da tempo al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale per la sua rilevanza sistematica e le implicazioni in termini di garanzia del diritto di difesa.

In particolare, la giurisprudenza di legittimità –con riferimento ai tributi “armonizzati” – ha più volte ribadito la centralità del diritto del contribuente ad essere ascoltato prima dell’adozione dell’atto impositivo, ma, al contempo, ha sviluppato un orientamento volto a distinguere tra la violazione meramente formale di tale diritto e la sua compromissione sostanziale, subordinando l’annullamento dell’atto alla dimostrazione di un pregiudizio effettivo.

Proprio su questo punto si è innestato un contrasto giurisprudenziale concernente i contorni e il contenuto della “prova di resistenza”, ossia dell’onere gravante sul contribuente di allegare elementi idonei a dimostrare che, se il contraddittorio fosse stato correttamente attivato, l’esito del procedimento avrebbe potuto essere diverso.

Le interpretazioni si sono alternate tra un’impostazione più formale, che considera sufficiente la non pretestuosità delle ragioni difensive, e una visione più sostanzialistica, che richiede, invece, una concreta dimostrazione della potenziale incidenza dell’omesso contraddittorio sulla decisione finale dell’Amministrazione.

In questo contesto e con specifico riferimento al previgente quadro normativo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21271 del 25 luglio 2025, sono intervenute per risolvere il contrasto interpretativo, delineando in modo chiaro la portata del contraddittorio procedimentale e precisando i contenuti della “prova di resistenza” che il contribuente è tenuto a fornire per ottenere l’annullamento dell’atto impositivo.

Come meglio si dirà nel prosieguo, la Suprema Corte ha effettuato da una ricognizione sistematica del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento (tanto interno quanto eurounitario), evidenziando come il principio di effettività del contraddittorio trovi riconoscimento in ambito tributario, ma subisca significative modulazioni in funzione della tipologia di tributo (“armonizzato” o “non armonizzato”) e della fase procedimentale in cui viene invocato.

Nello specifico, i principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite sono i seguenti:

  • l’ambito di operatività dell’obbligo generalizzato di contraddittorio è limitato, nel quadro normativo previgente, ai soli tributi “armonizzati”. Al contrario, per i tributi “non armonizzati” non è rinvenibile un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito;
  • sempre con riferimento al quadro normativo previgente e alle verifiche “a tavolino” su tributi “armonizzati”, la violazione dell’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale comporta l’invalidità dell’atto, a condizione che il contribuente abbia assolto all’onere di allegare in modo concreto gli elementi di fatto che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, fittizia o strumentale, tale da risultare inidonea, secondo una valutazione prognostica ex ante del giudice, a determinare un diverso esito del procedimento impositivo.

 

IL CASO

La quaestio iuris in esame trae origine da un avviso di accertamento per il recupero di IVA e sanzioni relative all’anno d’imposta 2010, notificato in data 25 agosto 2016 dall’Agenzia delle Entrate ad un contribuente, in qualità di “autore della violazione ed amministratore unico di diritto” di una società di capitali, il quale – all’esito di un controllo “a tavolino” – si assumeva aver emesso fatture per operazioni inesistenti.

Il contribuente impugnava il suddetto avviso di accertamento dinanzi la competente Commissione Tributaria Provinciale (oggi denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado), la quale accoglieva il ricorso, ritenendo illegittimo l’atto impugnato per violazione del contradditorio endoprocedimentale.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la sentenza di primo grado, la quale veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale.

In particolare, i giudici di secondo grado ritenevano che, trattandosi di tributo “armonizzato”, il contraddittorio preventivo fosse da considerarsi obbligatorio e che le ragioni difensive che il contribuente avrebbe potuto dedurre avanti all’Ufficio non fossero pretestuose.

Ebbene, avverso la sentenza di secondo grado l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione, lamentando, con un unico motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c..

Secondo l’Ufficio, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la violazione del contraddittorio, senza che il contribuente avesse assolto all’onere probatorio in merito alla “prova di resistenza”.

In particolare, l’Agenzia sosteneva che le difese prospettate non sarebbero state idonee a superare il coinvolgimento del contribuente nella frode, come puntualmente ricostruito nell’avviso di accertamento de quo.

Il contribuente depositava controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso per cassazione in quanto volto a ottenere una nuova valutazione di merito – già compiuta in modo conforme nei due gradi di giudizio – in ordine all’effettivo raggiungimento della “prova di resistenza” e la non pretestuosità delle ragioni addotte.

Nel merito, la difesa insisteva per il rigetto del ricorso, ribadendo che, in materia di IVA, trattandosi di tributo “armonizzato”, il contraddittorio endoprocedimentale deve ritenersi obbligatorio secondo i principi euro-unitari recepiti dalla giurisprudenza di legittimità con la richiamata pronuncia delle Sezioni Unite n. 24823/2015.

Assegnata la causa alla decisione in pubblica udienza, interveniva l’ordinanza interlocutoria n. 7829 del 22 marzo 2024, con la quale la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

 

IL CONTRADDITTORIO ENDOPROCEDIMENTALE

La piena comprensione della questione rimesso al vaglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza in commento richiede un preliminare inquadramento normativo e giurisprudenziale in tema di contradditorio preventivo.

A tal fine giova brevemente rammentare che il contraddittorio endoprocedimentale, in ambito tributario, consente la partecipazione del contribuente all’attività di accertamento fiscale, dando la possibilità al destinatario del provvedimento di addurre le proprie ragioni in ordine agli elementi che l’Amministrazione finanziaria intende porre a fondamento dell’atto impositivo.

È chiaro, pertanto, che il contradditorio svolge una funzione integrativa dell’attività amministrativa, rappresentando uno strumento attraverso il quale si completa la fase istruttoria e predecisoria, grazie all’acquisizione delle informazioni fornite dal contribuente.

In altri termini, in virtù di tale principio, il soggetto destinatario di un provvedimento lesivo della sua sfera giuridica deve avere il diritto di manifestare, prima dell’emissione del provvedimento stesso, le proprie ragioni dopo avere preso visione di tutti i dati contro di lui raccolti.

Dunque, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a valutare attentamente le osservazioni del contribuente e motivare adeguatamente le ragioni per cui non ritiene di accogliere, in tutto o in parte, le deduzioni fornite.

Il diritto al contraddittorio, inteso come il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza:

  • da un lato, l’inalienabile diritto di difesa del cittadino ex art. 24 Cost.;
  • dall’altro, il buon andamento dell’Amministrazione ex art. 97 Cost.

Inoltre, il diritto di ogni individuo di essere sentito prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi costituisce, altresì, un principio fondamentale anche del diritto dell’Unione Europea.

La Corte di Giustizia, infatti, ha più volte ribadito che il principio del contraddittorio endoprocedimentale è sancito:

  • dagli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, i quali garantiscono il rispetto del diritto di difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale;
  • nonchè dall’art. 41 della medesima Carta, il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione e, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo.

 

 L’EVOLUZIONE NORMATIVA DELLA DISCIPLINA

In ambito nazionale, il contraddittorio preventivo è stato interessato, negli anni, da un serie di interventi legislativi, che possono essere così riassunti:

  • fino al 2019, l’obbligo del contraddittorio preventivo non ha trovato una tutela normativa che lo imponesse in via generalizzata.

Infatti, il Legislatore aveva disciplinato il contraddittorio solo in alcune ipotesi specifiche, tra cui:

  • verifiche fiscali (ex art. 12, comma 7, Legge n. 212/2000, abrogato dal D. Lgs. n. 219/2023, con decorrenza dal 18 gennaio 2024);
  • indagini finanziarie (ex art. 32, comma 2, D.P.R. n. 600/73);
  • controlli formali (ex art. 36-ter, comma 3, D.P.R. n. 600/73);
  • violazioni di disposizioni antielusive (ex art. 37-bis, comma 4, D.P.R. n. 600/73, abrogato dal D.Lgs. n. 128/2015, con decorrenza dal 02 settembre 2015);
  • accertamenti sintetici (ex art. 38, comma 7, D.P.R. n. 600/73);
  • studi di settore (ex art. 10, comma 3-bis, Legge n. 146/1998);

 

  • nel 2019, al fine di dissipare i dubbi interpretativi e ripristinare la corretta e uniforme applicazione del contraddittorio endoprocedimentale, il Legislatore tributario, in sede di conversione del D. L. n. 34/2019 in Legge n. 58/2019, ha inserito, in materia di accertamento con adesione, l’art. 5-ter nel D. Lgs. n. 218/1997 recante la disciplina relativa all’obbligo di invito al contraddittorio che l’Amministrazione finanziaria deve rivolgere al contribuente prima di notificare l’atto impositivo.

In particolare, l’art. 5-ter D. Lgs. n. 218/1997 prevedeva l’obbligo di contraddittorio per tutti i procedimenti accertativi, salvo  le seguenti eccezioni:

  • avvisi di accertamento parziale previsti dall’art. 41-bis D.P.R. n. 600/1973 e avvisi di rettifica parziale previsti dall’art. 54 D.P.R. n. 633/1972;
  • casi di particolare urgenza, specificamente motivata, o le ipotesi di fondato pericolo per la riscossione. In tali ipotesi, l’Ufficio può notificare direttamente l’avviso di accertamento senza obbligo di notificare l’invito a comparire per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento;
  • casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo.

L’art. 5-ter D. Lgs. n. 218/1997 prevedeva, pertanto, al di fuori delle ipotesi espressamente escluse dal medesimo articolo, l’obbligo in capo all’Ufficio di notificare al contribuente, prima di emettere un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’imposta sul valore aggiunto, l’invito a comparire per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento.

Il mancato avvio del contraddittorio comportava l’invalidità dell’avviso di accertamento ma solo nel caso in cui, a seguito d’impugnazione, il contribuente dimostrasse in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato.

Inoltre, la disposizione richiamata prevedeva che l’atto di accertamento doveva essere specificamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente nel corso del contraddittorio.

Tanto chiarito, è necessario evidenziare che il citato art. 5-ter del D. Lgs. n. 218/1997 è stato abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. c), del D. Lgs. n. 13 del 12 febbraio 2024, recante “Disposizioni in materia di accertamento tributario e di concordato preventivo biennale” (in G.U. n. 43 del 21 febbraio 2024, in vigore dal 22 febbraio 2024), con riferimento agli atti emessi dal 30 aprile 2024;

  • nel 2024, al fine di dare attuazione alla Legge Delega n. 111/2023 e di delineare una disciplina generale, proporzionata e organica del principio del contraddittorio in materia tributaria, il Legislatore è intervenuto con il D.Lgs. n. 219/2023, recante “Modifiche allo statuto dei diritti del contribuente” (in G.U. Serie Generale n. 2 del 03 gennaio 2024), in vigore dal 18 gennaio 2024.

Nello specifico, il Legislatore delegato:

  • da un alto, ha introdotto l’art. 6-bis nella Legge n. 212/2000, prevedendo, in via generalizzata, l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo per tutte le tipologie di tributi e per qualsiasi verifica fiscale e delineando una nuova e più pregnante procedura a tutela del contribuente;
  • dall’altro, ha abrogato il comma 7 dell’art. 12 della medesima Legge, il quale prevedeva che, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente poteva comunicare entro 60 giorni osservazioni e richieste che dovevano essere valutate dall’Ufficio impositore.  Tale abrogazione si è resa necessaria in quanto la disposizione di cui al comma 7 dell’art. 12 cit. risulta assorbita dal nuovo art. 6-bis della medesima Legge

Ciò posto, il nuovo art. 6-bis della Legge n. 212/2000, rubricato “Principio del contraddittorio”, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. e), D. Lgs. n. 219/2023, prevede che:

  • tutti gli atti autonomamente impugnabili devono essere preceduti, a pena di annullabilità ex art. 7-bis della medesima Legge n. 212/2000, da un contraddittorio informato ed effettivo. Da tanto ne discende che la disposizione in commento prevede, in via generalizzata, l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo per tutte le tipologie di tributi e per qualsiasi verifica fiscale (così superando la precedente distinzione tra tributi “armonizzati” e “non armonizzati” e tra verifiche in loco o a tavolino);
  • il diritto al contraddittorio non sussiste per gli atti di cui al comma 2, i quali sono stati meglio specificati con il successivo decreto del MEF del 24 aprile 2024 (in G.U. n 100 del 30 aprile 2024);
  • l’Amministrazione finanziaria ha l’obbligo di comunicare al contribuente, con modalità idonee a garantirne la conoscibilità, lo “schema di atto”, concedendogli un termine non inferiore a 60 giorni per consentirgli eventuali controdeduzioni ovvero, su richiesta, per accedere ed estrarre copia del fascicolo;
  • il suddetto termine di 60 giorni è posticipato al 120° giorno successivo alla data di scadenza del termine di esercizio del contraddittorio se:
  • la scadenza del termine assegnato al contribuente per l’esercizio del contraddittorio preventivo è successiva a quella del termine di decadenza dell’accertamento in capo all’Ufficio;
  • ovvero se fra la scadenza del termine assegnato per il contraddittorio e per il predetto termine di decadenza decorrono meno di 120 giorni;
  • l’atto impositivo emesso all’esito del contraddittorio deve tenere conto delle osservazioni presentate dal contribuente e deve essere motivato con riferimento a quelle che l’Amministrazione finanziaria ritiene di non accogliere.

LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ IN TEMA DI CONTRADDITTORIO ENDOPROCEDIMENTALE

Il tema del contraddittorio preventivo è stato più volte oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza di legittimità, la quale ha delineato una nozione di contraddittorio “a geometria variabile”, distinguendo tra tributi “armonizzati” e “non armonizzati”, tra verifiche in loco e controlli “a tavolino” e privando, dunque, l’istituto di una visione sistematica.

Come si è detto, prima dell’introduzione dell’art. 6-bis nella L. n. 212/2000 ad opera del D.Lgs. 219/2023, il diritto al contraddittorio nel nostro ordinamento era espressamente previsto esclusivamente per alcune e specifiche ipotesi accertative: gli uffici, di regola, solo per queste convocavano il contribuente prima di emettere un atto nei suoi confronti.

Al contrario, la giurisprudenza dell’Unione Europea ha da sempre affermato il principio secondo cui ogni soggetto deve essere messo in condizione di esprimere le proprie ragioni prima dell’adozione di un provvedimento lesivo della propria sfera patrimoniale, dando così rilievo a un obbligo generale di contraddittorio preventivo.

In ambito nazionale, la giurisprudenza di legittimità è intervenuta ripetutamente sul punto affermando negli anni principi diametralmente opposti.

Nello specifico:

  • in un primo momento, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18184/2013, ha affermato che il diritto al contradditorio è obbligatorio e generalizzato in tutte le ipotesi di accesso presso i locali del contribuente.

In particolare, i giudici di legittimità, con la citata sentenza n. 18184/13, hanno affermato che l’inosservanza del termine necessario per la presentazione di osservazioni da parte del contribuente determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio endoprocedimentale.

Tuttavia, i dubbi permanevano per i controlli in ufficio (c.d. “a tavolino”);

 

  • successivamente, le Sezioni Unite della Cassazione, con le sentenze gemelle nn. 19667/2014 e 19668/2014, pronunciandosi in tema di iscrizione ipotecaria su beni immobili ai sensi dell’art. 77 D.P.R. n. 602/1973, hanno chiarito che il principio del contraddittorio <<(…) trova applicazione ogniqualvolta l'amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo (…)>>. Al contrario, qualora il provvedimento che incide negativamente sui diritti e sugli interessi del contribuente non sia preceduto dal contraddittorio, allora tale provvedimento è nullo;

 

  • dal 2015, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 24823/2015, ha invertito il senso di marcia ed è giunta a conclusioni diametralmente opposte rispetto alle precedenti, stabilendo che non esiste nel nostro ordinamento un obbligo generalizzato per l’Amministrazione di attivare il contraddittorio prima dell’emissione dell’atto, salvo che non sia espressamente previsto dalla legge.

In particolare, le Sezioni Unite hanno così chiarito:

<<Alla luce di quanto sopra esposto, deve, dunque, registrarsi che, sul tema in rassegna, non vi è coincidenza tra disciplina Europea e disciplina nazionaleLa prima, infatti, prevede il contraddittorio endoprocedimentale, in materia tributaria, quale principio di generale applicazione, pur valutandone gli effetti in termini restrittivamente sostanzialistici; la seconda, lo delinea, invece, quale obbligo gravante sull'Amministrazione a pena di nullità dell'atto - non, generalizzatamene, ogni qual volta essa si accinga ad adottare provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente - ma, soltanto, in relazione ai singoli (ancorché molteplici) atti per i quali detto obbligo è esplicitamente contemplato (v. sopra, sub 4 - 2). L'indicata divaricazione si proietta inevitabilmente sulla regolamentazione dei tributi c.d. "non armonizzati" (in particolare: quelli diretti), estranei alla sfera di competenza del diritto dell'Unione Europea, e di quelli c.d. "armonizzati" (in particolare: l'iva), in detta sfera rientranti>>.

Ebbene, nella pronuncia richiamata, le Sezioni Unite hanno attuato una distinzione tra:

  • tributi “non armonizzati” (imposte dirette): per i quali non sussiste un obbligo di contraddittorio preventivo generalizzato, ad eccezione delle ipotesi in cui tale garanzia è espressamente prevista dalla legge;
  • tributi “armonizzati” (in particolare l’IVA): trattasi di quei tributi che, inerendo alle competenze dell’Unione, sono investiti dalla diretta applicazione del relativo diritto e per i quali, dunque, l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale assume rilievo generalizzato.

Tuttavia, come evidenziato dalle Sezioni Unite, la violazione dell’obbligo generalizzato, nelle ipotesi di tributi “armonizzati”, comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto in giudizio all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.

In altri termini, con riferimento alle imposte “armonizzate”, il contraddittorio rappresenta un principio obbligatorio e generalizzato, la cui omissione, tuttavia, non conduce tout court all’annullamento dell’atto impositivo.

Difatti, il contribuente ha l’onere di dimostrare che, se fosse stato preventivamente attivato un dialogo con l’Amministrazione, questa sarebbe giunta ad esiti accertativi differenti (c.d. “prova di resistenza”).

Inoltre, la regola tracciata dalla pronuncia citata, che distingue tra tributi “armonizzati” e “non armonizzati”, è stata ribadita dalle successive pronunce della Corte di Cassazione (si veda: Cass. nn. 12128/2019, 12129/2019 e 12130/2019) le quali hanno affermato che l’operatività della “prova di resistenza” non può che essere circoscritta al caso di assenza di un’espressa previsione di nullità per violazione del contraddittorio; specularmente, ove il Legislatore già prevede la sanzione della nullità non opera il riferimento alla “prova di resistenza”.

Ancora più recentemente, in tal senso, la Corte di Cassazione, con  l’ordinanza n. 570 dell’8 gennaio 2024, ha nuovamente ribadito che l’Amministrazione finanziaria è gravata da un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell'atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un'opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (si veda ex multis: Cass. n. 31997/2023; Cass. n. 31250/2023; Cass. n. 34272/2022; Cass. n. 20436/2021).

 

L’ORDINANZA INTERLOCUTORIA DELLA SEZIONE TRIBUTARIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE N. 7829/2024

Con l’ordinanza interlocutoria n. 7829 del 22 marzo 2024, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno sollecitare l’intervento delle Sezioni Unite sulla questione relativa all’ambito applicativo, al contenuto e al perimetro della c.d. “prova di resistenza” nei casi di violazione del contraddittorio endoprocedimentale, con particolare riferimento alla normativa in vigore prima dell’introduzione dell’art. 6-bis L. n. 212/2000.

Nello specifico, la questione concerne la corretta qualificazione e declinazione della “prova di resistenza” quale presupposto necessario affinché la violazione del principio del contraddittorio possa determinare l’invalidità dell’atto impositivo, in particolare nell’ambito dei tributi “armonizzati” e nell’ottica della tutela multilivello dei diritti fondamentali del contribuente.

I giudici di legittimità hanno ritenuto necessario, in primo luogo, ricostruire l’evoluzione del principio del contraddittorio endoprocedimentale nel sistema tributario italiano, evidenziando come, fino alla recente introduzione dell’art. 6-bis nella Legge n. 212/2000 (a opera del D.Lgs. n. 219/2023), non vi fosse un obbligo generalizzato per l’Amministrazione finanziaria di attivare il contraddittorio, al di fuori delle ipotesi espressamente previste.

Come evidenziato nell’ordinanza interlocutoria, per effetto della diretta applicazione del diritto unionale e, in particolare, dell’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, la giurisprudenza di legittimità aveva già riconosciuto l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo nei procedimenti relativi ai tributi “armonizzati”.

In tale contesto, come evidenziato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento, l’invalidità dell’atto emesso in violazione del contraddittorio non è automatica, ma subordinata alla c.d. “prova di resistenza” a carico del contribuente, ossia alla prova della concreta incidenza del vizio procedimentale sull’esito del procedimento.

A tal fine i giudici di legittimità hanno richiamato la sentenza delle Sezioni Unite n. 24823/2015, le quali hanno affermato che la nullità dell’atto consegue solo laddove risulti che l’attivazione del contraddittorio avrebbe potuto consentire al contribuente di far valere ragioni difensive “non del tutto vacue” e che tali difese non siano “puramente pretestuose”, richiedendo un onere di allegazione concreto ma senza esigere un vero e proprio giudizio prognostico sul possibile esito diverso del procedimento.

Sul punto, nell’ordinanza interlocutoria in commento così si legge:

<<In particolare, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 24823 del 09/12/2015, hanno utilmente precisato che il requisito in questione va inteso “nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorché, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali”, aggiungendo che “non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l'onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quali l'ordinamento lo ha predisposto”>>.

Tuttavia, i giudici di legittimità hanno rilevato che, all’interno di questo quadro di principi generali, mancano indicazioni precise sui contenuti e sui limiti della “prova di resistenza”.

Come chiarito nella pronuncia in commento, questa incertezza è resa ancora più evidente dal fatto che la giurisprudenza nazionale non coincide pienamente con i principi enunciati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale, sin dalla sentenza Kamino International Logistics (CGUE, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13), ha statuito che la violazione dell’obbligo di contradditorio preventivo comporta l’annullamento dell’atto solo qualora, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso.

Nello specifico, nell’ordinanza in commento così si legge:

<<Entro questa cornice di principi generali, però, mancano specifici orientamenti sui contenuti e limiti della “prova di resistenza” e tale incertezza è aggravata dalla non perfetta coincidenza, almeno sul piano letterale, della giurisprudenza nazionale con i principi unionali: mentre la Corte di giustizia, per esempio, nella sentenza Kamino, richiede che il contribuente dimostri che “in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso”, le Sezioni Unite (n. 24823/15) indicano ragioni che non siano “puramente pretestuose” ovvero elementi difensivi “non del tutto vacui”.>>.

L’ordinanza interlocutoria ha, inoltre, evidenziato che la giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite del 2015 non ha approfondito in modo sistematico la questione, esprimendosi in modo non uniforme, in quanto:

  • in talune pronunce è stata ribadita la necessità di una “prova concreta” dell’impatto della violazione sull’esito del provvedimento (Cass. n. 19958/2022; Cass. n. 18413/2021; Cass. n. 701/2019; Cass. n. 12832/2018; Cass. n. 1969/2017; Cass. n. 18450/2016);
  • altre pronunce, invece, si limitano a ritenere sufficiente che il contribuente abbia assolto all’onere di indicare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, escludendo quindi che l’opposizione sia meramente pretestuosa (Cass. n. 11685/2021; n. 28344/2019; n. 23050/2015);
  • in altre pronunce le due impostazioni vengono accostate come se fossero equivalenti, senza operare una netta distinzione (Cass. n. 20436/2021).

Tale ambiguità ha generato incertezza applicativa, resa ancor più evidente dalla mancata armonizzazione normativa.

Ed invero, i giudici di legittimità hanno chiarito che né l’art. 5-ter D.Lgs. n. 218/1997 (disciplina previgente) né l’art. 6-bis Legge n. 212/2000 (disciplina attuale) chiariscono se sia necessaria una valutazione dell’impatto della violazione sull’esito del procedimento.

Ebbene, nel caso oggetto dell’ordinanza, la Corte di Giustizia Tributaria si era limitata ad affermare la “non pretestuosità” delle difese svolte dal contribuente, fondate su argomentazioni giuridiche non prive di rilievo (intervenuta decadenza, insussistenza della responsabilità per sanzioni e imposta, difetto di sottoscrizione degli atti fiscali), ma senza svolgere alcuna verifica sull’effettiva incidenza di tali difese rispetto alla fondatezza della pretesa tributaria.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha ritenuto che:

<<La rilevanza e il peso di queste considerazioni nell'ambito della valutazione della "prova di resistenza" dipendono dal criterio di giudizio adottato; peraltro, la discrasia tra principio unionale e giurisprudenza nazionale su contenuto e limiti della "prova di resistenza" nonché la mancanza di precise indicazioni su quanto a fondo ci si debba spingere nella valutazione delle difese addotte dal contribuente rendono assai incerta l'individuazione del corretto metro di giudizio, tanto da giustificare l'intervento delle Sezioni Unite.

24. Pertanto, questo Collegio ritiene di dover trasmettere gli atti al Primo Presidente della Corte affinché valuti la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, ai sensi dell'art. 374 comma 2, ultima parte, c.p.c.>>.

Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, tenuto conto della particolare importanza della questione di diritto in esame e ai fini della risoluzione del contrasto giurisprudenziale esistente sul punto, ha ritenuto opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente, affinchè valuti l’opportunità di rimettere alle Sezioni Unite l’esame della seguente questione: se la “non pretestuosità” delle difese sia da sola sufficiente a ritenere integrata la “prova di resistenza” o se, al contrario, debba essere svolto un vaglio giudiziale sul potenziale diverso esito del procedimento, coerente con il criterio di giudizio adottato dai giudici di merito.

 

LA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DI CASSAZIONE N. 21271/2025

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21271 del 25 luglio 2025, hanno esaminato la questione sollevata dall’ordinanza interlocutoria sopra commentata (Cass., Sez. Tributaria, ord. interlocutoria n. 7429 del 22 marzo 2024), stabilendo, con riferimento alla disciplina applicabile prima dell’entrata in vigore dell’art. 6-bis L. n. 212/2000 e alle verifiche “a tavolino”, quanto segue:

  • l’obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale sussiste esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre per i tributi “non armonizzati” non vi è un analogo obbligo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito;
  • la violazione dell’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale comporta l’invalidità dell’atto, a condizione che il contribuente abbia assolto all’onere di allegare in modo concreto gli elementi di fatto che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, fittizia o strumentale, tale da risultare inidonea a determinare un diverso esito del procedimento impositivo.

 

LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA

Il percorso argomentativo seguito dalle Sezioni Unite prende avvio da un excursus normativo e giurisprudenziale in tema di contraddittorio preventivo, muovendo dall’esigenza di definire con rigore i presupposti e i limiti della c.d. “prova di resistenza”, ossia il criterio attraverso cui valutare l’incidenza concreta della mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale sulla validità dell’atto impositivo.

La Suprema Corte ha preliminarmente evidenziato che il contenuto della “prova di resistenza” trova oggi un primo riconoscimento normativo nell’art. 6-bis L. n. 212/2000, introdotto dal D.Lgs. n. 219/2023. Sebbene tale norma non si applichi al caso di specie ratione temporis, essa viene considerata rilevante sul piano sistematico e interpretativo, in quanto coerente con il consolidato orientamento giurisprudenziale, già espresso dalla medesima Corte nel 2015 (Cass., SS.UU., sent. n. 24823/2015).

Ed invero, nella sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno chiarito che il ragionamento esposto dalle Sezioni Unite nel 2015 conteneva già <<tutti gli elementi logici e giuridici per la composizione del quadro interpretativo in completa sintonia con le indicazioni unionali, del resto da esse espressamente ed adesivamente ricostruite>>.

Le Sezioni Unite hanno, infatti, ribadito che, già nella sentenza Kamino International Logistics (CGUE, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva chiarito che la violazione del diritto al contraddittorio preventivo non comporta l’automatica invalidità dell’atto impositivo. Al contrario, si ha invalidità dell’atto impositivo solo se la violazione  dell’obbligo di contraddittorio preventivo ha prodotto un effetto sostanziale in danno del contribuente, ossia l’impossibilità di far valere osservazioni che <<avrebbero potuto condurre ad un esito diverso del procedimento impositivo>>.

È questo il nucleo logico della “prova di resistenza”, che viene definito come un <<ragionamento di natura proiettiva>>, ancorato all’ipotesi che <<the outcome of the procedure might have been different>> (l’esito della procedura avrebbe potuto essere diverso).

Sul punto, nella sentenza in commento così si legge:

<< Si reputa che, a ben vedere, il ragionamento esposto dalle Sezioni Unite nel 2015 già contenesse in sé tutti gli elementi logici e giuridici per la composizione del quadro interpretativo in completa sintonia con le indicazioni unionali, del resto da esse espressamente ed adesivamente ricostruite.

Nella fondamentale decisione Kamino International Logistics (sentenza 3.7.2014, in cause riunite C-129/13 e C-130/13 in particolare, parr. 38, 39, 42, 79 e 82) si ha la più precisa messa a fuoco del 'right to be heard', nel senso della invalidità dell'atto impositivo, non in ogni caso di inottemperanza, ma solo quando il vizio di carenza di contraddittorio produca, come effetto, una lesione sostanziale per il contribuente, consistente nella preclusione per l'interessato della facoltà di presentare osservazioni che, valutate criticamente dall'amministrazione, avrebbero potuto condurre ad un esito diverso del procedimento impositivo 'the outcome of the procedure might have been different".

Si osservava in sentenza che "quando il diritto dell'Unione non fissa né le condizioni alle quali deve essere garantito il rispetto dei diritti della difesa né le conseguenze della violazione di tali diritti, tali condizioni e tali conseguenze rientrano nella sfera del diritto nazionale, purché i provvedimenti adottati in tal senso siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli in situazioni di diritto nazionale comparabili (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività)"; fermo restando che proprio il principio di effettività "non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi. Infatti, una violazione dei diritti della difesa determina l'annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso". Si tratta di un ragionamento di natura proiettiva ('avrebbe potuto', 'might', 'pouvait') che trova radice in decisioni anteriori, così in sentenza Sopropé, EU C 2008/746 e nella stessa giurisprudenza CGUE richiamata dalle Sezioni Unite.>>.

Questa logica “proiettiva” – presente anche nella sentenza Sopropé e successivamente confermata da varie pronunce - impone, dunque, di non considerare il contraddittorio come un mero formalismo, dal quale deriva automaticamente l’invalidità dell’atto, bensì come un istituto sostanzialmente funzionale sia alla tutela del contribuente sia alla corretta istruzione del procedimento da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Nello specifico, i giudici di legittimità hanno sottolineato che nelle sentenze Web Mind Licenses (2015), Ispas (2017), Prequ (2017), Glencore (2019), RQ (2020), SEAE (2020) è stato ulteriormente chiarito che la valutazione giudiziale di incidenza della violazione del diritto di essere ascoltato sulla legittimità del provvedimento impugnato deve essere effettuata <<in funzione delle circostanze di fatto e di diritto specifiche di ciascun caso di specie>> e che il contribuente non è tenuto a dimostrare che l’esito sarebbe stato sicuramente diverso, ma solo che tale diverso esito <<non è totalmente escluso>>.

Ebbene, le Sezioni Unite hanno evidenziato che questa impostazione era già stata recepita dalle stesse Sezioni Unite nella pronuncia del 2015, che aveva aderito alle indicazioni della giurisprudenza unionale sopra richiamata.

Sul punto, nella pronuncia in commento così si legge:

<<(…) anche le SU del 2015 si fecero carico di osservare - quanto a limiti di rilevanza della violazione del contraddittorio - che (pag.35) "avendo il giudice nazionale, in ogni caso, l'obbligo di garantire la piena effettività del diritto dell'Unione, il riscontro di una violazione dei diritti di difesa, in particolare del diritto ad essere sentiti prima dell'adozione di provvedimento lesivo, determina l'annullamento dell'atto adottato al termine del procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, detto procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (cfr. Corte Giust. 3.7.2014, in causa C-129 e C-130/13, Kamino International Logistics, punti 78 - 82 e la precedente giurisprudenza ivi richiamata". Soffermandosi in special modo sui tributi armonizzati, ebbero ancora ad osservare le SU del 2015 che (pag. 41) "Gli esposti rilievi e il tenore della giurisprudenza comunitaria appena richiamata, inducono, quindi, a ritenere che la limitazione della rilevanza della violazione dell'obbligo del contraddittorio, all'ipotesi in cui la sua osservanza “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” del procedimento impositivo, vada inteso nel senso che l'effetto della nullità dell'accertamento si verifichi allorché, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d'essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali".>>

È stato, quindi, ribadito che, in tema di tributi “armonizzati”, la violazione del contraddittorio può condurre all’annullamento dell’atto impositivo solo qualora risulti che l’apporto difensivo del contribuente avrebbe potuto incidere in modo non meramente ipotetico sull’esito del procedimento.

Non è, dunque, sufficiente allegare genericamente il mancato contraddittorio, ma è necessario indicare con precisione le deduzioni pretermesse e dimostrarne la concreta idoneità a incidere diversamente sull’azione accertativa.

In altri termini, il contribuente che invoca l’illegittimità dell’atto per difetto di contraddittorio deve fornire un apporto concreto e non meramente ipotetico o strumentale. È onere del contribuente dimostrare <<la possibile e concreta incidenza istruttoria della sua mancata audizione>>, pena la qualificazione delle sue doglianze come <<vacue, fittizie e strumentali>>.

Le Sezioni Unite in commento hanno evidenziato che la suddetta impostazione trova ulteriori conferme nel diritto interno e, in particolare:

  • nell’art. 21-octies Legge n. 241/1990, il quale prevede che la violazione delle norme sul procedimento non comporta l’annullamento dell’atto <<qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato>>;
  • nella sentenza della Corte Costituzionale n. 47/2023, ove il Giudice delle Leggi - nel dichiarare inammissibile una questione di legittimità concernente l’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 in relazione all’art. 3 Cost. – ha ribadito che la violazione del contraddittorio endoprocedimentale può determinare l’invalidità dell’atto <<solo se il contribuente assolva alla prova di resistenza, allegando le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede procedimentale ed il conseguente “pregiudizio sostanziale subito”>>;
  • nell’art. 5-ter, comma 5, D.Lgs. n. 218/97, il quale, pur riferendosi all’accertamento con adesione, prevede(va) che l’avviso di accertamento è invalido per difetto di contraddittorio <<qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato>>.

Dal punto di vista contenutistico, i giudici di legittimità hanno sottolineato che il contenuto della “prova di resistenza” deve consistere nell’indicazione di chiarimenti, dati, notizie rilevanti, elementi o informazioni fattuali — non semplici argomentazioni giuridiche — che, se portati a conoscenza dell’Amministrazione, avrebbero potuto incidere sull’esito dell’accertamento.

Tali elementi devono essere concreti, specifici e dotati di una ragionevole idoneità a condurre a una decisione meno gravosa per il contribuente.

In altri termini, le Sezioni Unite hanno sottolineato la <<natura fattuale, materiale, circostanziale – non giuridica – degli elementi deducibili dal contribuente in sede di contraddittorio>>.

Ed invero, trattandosi di una fase endoprocedimentale, il contraddittorio ha funzione istruttoria e il contribuente deve fornire all’Amministrazione dati, fatti, notizie e chiarimenti idonei a migliorare o correggere l’accertamento.

Il contraddittorio, infatti, non serve a sollevare questioni giuridiche astratte, ma ad apportare informazioni che solo il contribuente possiede e che potrebbero portare a un <<contenuto oggettivamente o soggettivamente più mite>> dell’atto impositivo.

Nello specifico, con riferimento al contenuto della “prova di resistenza”, le Sezioni Unite hanno così affermato:

<< Il compendio legislativo che prevede particolari e dedicate forme di contraddittorio preventivo converge nell'attribuire all'audizione lo scopo di mettere il contribuente in condizione di fornire 'chiarimenti', 'dati', 'notizie rilevanti', 'elementi', 'informazioni' (v. artt. 36 bis, 36 ter, 37 bis, 38 D.P.R. 600/73, 10 bis Stat.), volti a segnalare all'Amministrazione la presenza di eventuali errori nella già intrapresa (ma ancora in divenire) attività di accertamento, ovvero a dedurre la presenza di fatti non considerati, così come l'insussistenza di fatti invece considerati ed erroneamente posti a carico del contribuente.

Analogamente, anche l'ampia casistica giurisprudenziale di legittimità che, come si è detto, si è sviluppata sul tema delle verifiche Iva e doganali ha sempre fatto leva sulla natura fattuale, materiale, circostanziale - non giuridica - degli elementi deducibili dal contribuente in sede di contraddittorio.

Il che ben si spiega considerando (…) che il contraddittorio preventivo ha appunto natura 'endoprocedimentale', non processuale, così da essere funzionale alla costruzione istruttoria della fattispecie impositiva (che nel processo si chiede invece di demolire) mediante l'allegazione di fatti e circostanze di cui l'Amministrazione non è a conoscenza, operando essa da una sfavorevole posizione iniziale di asimmetria informativa che può essere colmata solo con l'apporto conoscitivo del contribuente.

(…)

L'oggetto della prova di resistenza viene allora ad ulteriormente circoscriversi, nel senso che la potenzialità di quel “risultato diverso” che si è visto costituire il suo nucleo dimostrativo fondamentale deve essere comprovata appunto con la specifica indicazione dei fatti e delle informazioni mancate, in una con la loro concreta e ragionevole idoneità ad orientare l'Amministrazione a non più adottare il provvedimento impositivo, oppure ad adottarlo con un contenuto oggettivamente o soggettivamente più mite.>>.

In questo senso, come si legge nella pronuncia in commento, il giudice, investito della questione, è tenuto a compiere <<una valutazione rispondente ai tipici canoni della prognosi postuma ex ante>>, collocata idealmente al momento dell’omesso contraddittorio, incentrata su parametri di <<fattualità, specificità, concretezza, probabile idoneità causale dell’elemento tralasciato a sortire un risultato diverso del procedimento impositivo>>.

Sulla base delle suesposte motivazioni, le Sezioni Unite hanno enunciato i principi di diritto che, da un lato, circoscrivono l’ambito applicativo dell’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale ai soli tributi “armonizzati”, dall’altro, definiscono con rigore i presupposti sostanziali della “prova di resistenza”, imponendo al contribuente l’onere di allegare elementi fattuali concreti, specifici e causalmente rilevanti ai fini di un possibile esito diverso del procedimento impositivo.

 

 I PRINCIPI DI DIRITTO ENUNCIATI DALLE SEZIONI UNITE

Alla luce delle suesposte considerazioni, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21271 del 25 luglio 2025, hanno enunciato i seguenti principi di diritto:

<< - con riguardo alla disciplina applicabile prima dell'entrata in vigore dell'art. 6 bis legge 212/2000, come introdotto dall'art. 1 co. 1° lett.e) D.Lgs.n. 219/2023, come richiamato ed interpretato ex artt. 7 e 7 bis d.legge n. 39/2024 convertito c.m. in legge n. 67/2024, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali cc.dd. 'a tavolino', l'Amministrazione finanziaria è gravata da un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale esclusivamente per i tributi "armonizzati" mentre, per quelli "non armonizzati", non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.

  • sempre con riguardo alla disciplina previgente ed alle verifiche 'a tavolino' su tributi armonizzati, la violazione dell'obbligo di contraddittorio procedimentale comporta l'invalidità dell'atto purché il contribuente abbia assolto all'onere di enunciare in concreto gli elementi in fatto che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un'opposizione meramente pretestuosa, fittizia o strumentale, tale essendo quella non idonea, secondo una valutazione probabilistica ex ante spettante al giudice di merito, a determinare un risultato diverso del procedimento impositivo.>>.

È evidente, dunque, che, con la sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno inteso risolvere le incertezze interpretative maturate nel tempo in ordine all’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale nelle verifiche c.d. “a tavolino”, con particolare riferimento alla normativa in vigore prima dell’introduzione dell’art. 6-bis L. n. 212/2000.

Ed invero, le Sezioni Unite hanno definitivamente chiarito, con riferimento al quadro normativo previgente, che l’obbligo generalizzato al contraddittorio è circoscritto ai soli tributi “armonizzati”, in linea con i principi elaborati dalla giurisprudenza unionale.

Per i tributi “non armonizzati”, invece, l’esistenza del contraddittorio è subordinata alla previsione di specifiche norme interne.

Le Sezioni Unite hanno, altresì, precisato che la mera omissione del contraddittorio, anche nei casi in cui esso è dovuto, non determina automaticamente l’invalidità dell’atto impositivo.

È richiesto, infatti, che il contribuente dimostri, in modo concreto e puntuale, quali elementi avrebbe potuto dedurre in sede procedimentale e che tali elementi non siano manifestamente infondati o pretestuosi.

Si introduce così un “criterio selettivo”, volto a evitare annullamenti meramente formali e a rafforzare il principio di effettività della difesa, imponendo al giudice una valutazione ex ante circa la rilevanza potenziale dell’apporto difensivo mancante.

La pronuncia, dunque, conferma un impianto garantista, ma non assoluto, del diritto al contraddittorio, incentrato su una logica di bilanciamento tra l’interesse pubblico all’efficienza dell’azione amministrativa e la tutela effettiva dei diritti del contribuente.

 

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Alla luce di quanto sopra esposto, con la sentenza  n. 21271 del 25 luglio 2025 in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno definitivamente chiarito la portata dell’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale nelle verifiche fiscali c.d. “a tavolino”, svolte prima dell’entrata in vigore dell’art. 6-bis L. n. 212/2000.

In particolare, è stato chiarito che, in assenza di una previsione normativa espressa, l’obbligo di attivare il contraddittorio procedimentale grava sull’Amministrazione finanziaria solo con riferimento ai tributi “armonizzati”, mentre, per i tributi “non armonizzati”, esso sussiste soltanto nei casi specificamente previsti dalla normativa interna.

La Corte ha, altresì, precisato che l’eventuale violazione dell’obbligo di contraddittorio comporta la nullità dell’atto impositivo esclusivamente qualora il contribuente dimostri di essere stato concretamente pregiudicato, attraverso l’indicazione puntuale di elementi difensivi che avrebbe potuto far valere nel corso del procedimento.

Con tale pronuncia, pertanto, le Sezioni Unite hanno raggiunto un punto di equilibrio tra l’esigenza di efficienza dell’azione amministrativa e la tutela del diritto di difesa del contribuente, escludendo approcci automatici sia sul piano dell’invalidità degli atti, sia sull’estensione dell’obbligo di contraddittorio.