La Consulta dichiara legittima l’esclusione automatica dalle procedure d’appalto per violazioni fiscali superiori ad € 5.000

(Corte Costituzionale, sentenza n. 138 depositata il 28 luglio 2025)
La Corte Costituzionale, con la recentissima sentenza n. 138 depositata il 28 luglio 2025, si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato, Sez. Terza, con l’ordinanza n. 196 dell’11 settembre 2024.
Come meglio si dirà nel prosieguo, il Consiglio di Stato aveva censurato l’art. 80, comma 4, secondo periodo, D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti pubblici) – ove si prevede che le violazioni definitivamente accertate rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse sono “gravi”, e quindi causano l’esclusione dalla partecipazione ad una procedura d’appalto, se comportano un omesso pagamento superiore all’importo di € 5.000 di cui all’art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, D.P.R. n. 602/73 - in relazione all’art. 3 Cost..
Ebbene, con la sentenza in commento, la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità de qua, escludendo il carattere sproporzionato della soglia di € 5.000.
Tale soglia, secondo la Corte Costituzionale, esprime il livello minimo di significatività del debito tributario, al di sopra del quale il Legislatore nella sua discrezionalità ha ritenuto di non consentire la partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici.
La suddetta soglia – come si legge nella sentenza in commento - non appare neppure manifestamente irragionevole, in quanto mira a bilanciare l’esigenza, sancita dal diritto dell’Unione, di sanzionare con rigore i concorrenti responsabili di violazioni fiscali definitivamente accertate con la necessità di non precludere la partecipazione alle gare a fronte di violazioni di importo non significativo.
La Corte Costituzionale ha, infine, ribadito che spetta al Legislatore, nel rispetto delle disposizioni europee, valutare l’opportunità di prevedere una diversa soglia di esclusione per le violazioni fiscali definitivamente accertate. Allo stesso modo, è rimessa alla valutazione del Legislatore – in coerenza con il principio del buon andamento dell’azione amministrativa – la possibilità di non escludere l’operatore economico che, pur avendo superato tale soglia, abbia provveduto a regolarizzare tempestivamente la propria posizione fiscale.
La piena comprensione delle argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza in commento richiede, in via preliminare, un inquadramento normativo in tema di cause di esclusione dell’operatore economico dalle procedure d’appalto.
Com’è noto, nel contesto degli appalti pubblici, l’affidabilità e la trasparenza degli operatori economici rappresentano pilastri fondamentali per garantire una corretta selezione dei partecipanti ed una concorrenza leale.
In tale ambito, particolare attenzione è rivolta al rispetto degli obblighi fiscali e contributivi da parte degli operatori economici, in quanto strettamente connesso con i principi di trasparenza e correttezza che regolano l’accesso alle risorse pubbliche.
Ebbene, al fine di garantire l’integrità delle procedure e di assicurare che solo gli operatori economicamente affidabili possano partecipare alle procedure di gara, la normativa in materia di contratti pubblici ha delineato un sistema di cause di esclusione dalla partecipazione alle procedure d’appalto, distinguendo tra:
- violazioni gravi definitivamente accertate, che comportano l’esclusione automatica dell’operatore;
- violazioni gravi non definitive, che comportano l’esclusione facoltativa dell’operatore.
Tale modello trova fondamento, sul piano europeo, nell’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE (adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 26 febbraio 2014), il quale delinea le cause obbligatorie e facoltative di esclusione degli operatori economici dalle procedure d’appalto.
Nello specifico, la citata disposizione distingue tra:
- esclusione automatica o obbligatoria, in presenza di un inadempimento definitivamente accertato da un provvedimento giurisdizionale o amministrativo avente effetto definitivo e vincolante secondo l’ordinamento dello Stato membro competente;
- esclusione non automatica o facoltativa, ove l’Amministrazione aggiudicatrice possa dimostrare con “qualunque mezzo adeguato” l’inadempimento dell’operatore ai propri obblighi fiscali e contributivi, ancorché non definitivo.
In entrambe le ipotesi (esclusione automatica o facoltativa), la causa di esclusione non è più applicabile quando l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe (ex art. 57, par. 2, ultimo periodo, della Direttiva 2014/24/UE).
La Direttiva in commento prevede, inoltre, una deroga all’obbligo di esclusione automatica in presenza di circostanze che rendano tale misura manifestamente sproporzionata, come nel caso di mancato pagamento di “piccoli importi di imposte” (ex art. 57, par. 3, secondo periodo, della Direttiva 2014/24/UE).
Sebbene l’impianto normativo delineato dalla Direttiva 2014/24/UE costituisca il fondamento su cui si innesta la normativa nazionale, tuttavia il Legislatore nazionale non ha immediatamente recepito la citata Direttiva con la previsione di un impianto dicotomico tra esclusione automatica e non automatica.
Ed invero, l’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 (previgente Codice dei contratti pubblici, abrogato con decorrenza dal 1° luglio 2023), rubricato “Motivi di esclusione”, nella sua formulazione iniziale, recepiva solo parzialmente l’art. 57, par. 2, della Direttiva 2014/24/UE, in quanto contemplava l’esclusione dell’operatore economico solo in presenza di gravi violazioni definitivamente accertate, omettendo qualsiasi riferimento alla possibilità di esclusione fondata su accertamenti non ancora divenuti definitivi, pur se dimostrabili dalla stazione appaltante con mezzi adeguati.
A fronte di tale rilievo ed al fine di sanare la difformità con il diritto dell’Unione, il Legislatore nazionale è intervenuto con tre modifiche correttive:
- dapprima, con il Decreto Legge n. 76/2020, c.d. “Decreto Semplificazioni”, in vigore dal 17 luglio 2020 (convertito in legge, con modifiche, dalla L. 11/09/2020, n. 120 con decorrenza dal 15/09/2020), che ha introdotto nell’art. 80, comma 4, D.Lgs. n. 50/2016 un quinto periodo volto a disciplinare l’esclusione non automatica per violazioni gravi non definitivamente accertate.
Secondo la formulazione del comma 4, quinto periodo, dell’art. 80 cit., come modificata dal D.L. n. 76/2020:
<<Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione ai sensi rispettivamente del secondo o del quarto periodo. Il presente comma non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, ovvero quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto, purché l'estinzione, il pagamento o l'impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande.>>;
- successivamente, con la Legge europea 2019-2020 (Legge 23 dicembre 2021, n. 238, entrata in vigore in data 01 febbraio 2022), che ha ulteriormente specificato i criteri di rilevanza e proporzionalità della violazione non definitiva, rinviando a una fonte regolamentare di livello ministeriale (rimando che ha trovato inveramento con l’emanazione del D.M. 28 settembre 2022).
Più nello specifico, la citata Legge europea 2019-2020 ha previsto una nuova modifica all’art. 80, comma 4, D.Lgs. n. 50/2026, affidando ad un decreto del MEF il compito di stabilire quali fossero le gravi violazioni non definitivamente accertate in materia fiscale, che <<in ogni caso, devono essere correlate al valore dell’appalto e comunque di importo non inferiore a 35.000 euro>>.
Ebbene, il decreto del MEF 28 settembre 2022, oltre ad avere stabilito all’art. 4 quando una violazione fiscale si considera “non definitivamente accertata”, ha altresì individuato all’art. 3 la soglia di gravità, fissandola nella misura del 10% del valore dell’appalto e aggiungendo che “in ogni caso, l’importo della violazione deve essere inferiore a 35.000 euro”.
Solo con tali interventi correttivi si è realizzato un sostanziale allineamento della disciplina interna a quella unionale, introducendo la distinzione tra cause di esclusione obbligatorie (per violazioni gravi e definitive) e facoltative (per violazioni gravi ma non definitive), e riconoscendo alla stazione appaltante il potere-dovere di valutare la rilevanza della violazione ai fini dell’affidabilità dell’operatore economico.
Pertanto, a seguito delle suddette modifiche, il comma 4 dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 prevede che:
- un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'art. 48-bis D.P.R. n. 602/1973, ossia superiore all’importo di € 5.000 (art. 80, comma 4, primo e secondo periodo, D.Lgs. n. 50/2016 - esclusione automatica o obbligatoria);
- un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso ha commesso gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali. In tale ipotesi, la violazione si considera “grave” quando comporta l’inottemperanza ad un obbligo di pagamento di imposte o tasse per un importo pari o superiore al 10% del valore dell’appalto. In ogni caso l’importo della violazione non deve essere inferiore ad € 35.000 (art. 80, comma 4, quinto e settimo periodo, D.Lgs. n. 50/2016 - esclusione non automatica o facoltativa).
Sul punto, occorre evidenziare che la questione di legittimità costituzionale affrontata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 138/2025 in commento riguarda proprio il secondo periodo del comma 4 dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 relativo alla soglia di € 5.000, al di sopra della quale la violazione definitivamente accertata si presume “grave” ai fini dell’esclusione automatica;
- da ultimo, con il D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (c.d. nuovo Codice dei contratti pubblici, in G.U. n. 77 del 31/03/2023 – Suppl. Ord. n. 12), attuativo della Legge delega 21 giugno 2022, n. 78, che ha sostituito il D.Lgs. n. 50/2016.
Con l’adozione del citato D.Lgs. n. 36/2023 il Legislatore nazionale ha definitivamente recepito la distinzione tra cause di esclusione automatica e non automatica fondate sul mancato rispetto degli obblighi fiscali e contributivi.
Il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2023) tipizza espressamente le due fattispecie, assegnando loro due disposizioni autonome:
- l’art. 94 D.Lgs. n. 36/2023, rubricato “Cause di esclusione automatica”, disciplina i casi in cui l’esclusione dell’operatore economico avviene di diritto, ossia senza necessità di una valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante.
Sul punto, è opportuno richiamare la recente sentenza del TAR Puglia n. 1094/2025, ove è stato chiarito che la rateizzazione del debito fiscale non è sufficiente ad evitare l’esclusione ad una gara di appalto per violazioni accertate in modo definitivo.
In particolare, in tema di causa di esclusione automatica per violazioni definitivamente accertate, il TAR Puglia ha così evidenziato:
<<(…) la presentazione di un’istanza di rateizzazione non incide sulla natura del debito, che va qualificato come definitivamente accertato o meno a prescindere da tale richiesta.>>.
Ciò in quanto, hanno spiegato i giudici, l’istanza di rateizzazione <<non ha un effetto sospensivo del termine per impugnare la cartella di pagamento>>. Di conseguenza, il decorso di tale termine comporta comunque l’inoppugnabilità della cartella e la definitività della relativa pretesa tributaria;
- l’art. 95 D.Lgs. n. 36/2023, rubricato “Cause di esclusione non automatica”, disciplina le ipotesi in cui la valutazione dell’affidabilità dell’operatore viene rimessa a un apprezzamento discrezionale, seppur vincolato, da parte della stazione appaltante.
Il quadro normativo sopra delineato costituisce il contesto imprescindibile per comprendere la portata e l’impatto della questione di legittimità costituzionale affrontata dalla Corte Costituzionale con la sentenza in commento, soprattutto in relazione alla definizione della soglia di gravità della violazione tributaria definitivamente accertata prevista dall’art. 80, comma 4, secondo periodo, D.Lgs. n. 50/2016.
LA QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ SOLLEVATA DALL’ORDINANZA DEL CONSIGLIO DI STATO N. 196/2024
Il Consiglio di Stato – Sez. Terza – con l’ordinanza n. 196 dell’11 settembre 2024, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 4, secondo periodo, D. Lgs. n. 50/2016 per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che costituiscono gravi violazioni rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di € 5.000 e, in ogni caso, correlato al valore dell’appalto.
In particolare, i giudici rimettenti hanno rilevato che l’art. 80, comma 4, secondo periodo, D. Lgs. n. 50/2016 si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza e proporzionalità, in quanto non consente di distinguere tra violazioni di rilevante impatto economico e violazioni di importo del tutto esiguo, determinando così un effetto espulsivo automatico, svincolato da qualsiasi parametro oggettivo.
La norma non prevede, infatti, alcuna soglia minima al di sotto della quale l’inadempimento fiscale possa essere considerato non grave, né consente al giudice o alla stazione appaltante di operare una valutazione in concreto della gravità della violazione, con la conseguenza che anche il mancato pagamento di somme irrisorie – quali, ad esempio, poche centinaia di euro – può comportare l’estromissione dell’operatore economico da appalti di rilevante valore, con una compressione del diritto alla concorrenza e alla libertà di iniziativa economica manifestamente sproporzionata.
Nello specifico, secondo i giudici rimettenti, la norma censurata realizza <<un automatismo legale che esclude dal mercato delle commesse pubbliche l’operatore economico, indipendentemente dal valore dell’appalto, con risultati paradossali>>.
Sul punto, nell’ordinanza de qua, il Consiglio di Stato ha osservato che:
<<(…) campeggia comunque sullo sfondo della causa di esclusione un meccanismo improntato a forte rigidità che parifica situazioni diversissime tra loro (violazioni tributarie milionarie poste su un piede di parità con quelle bagatellari, con l’invariabile reazione espulsiva dalle gare pubbliche, a prescindere dal rispettivo valore)>>.
Ed invero, nella ricostruzione normativa e sistematica operata, l’ordinanza in commento evidenzia che:
- mentre per le violazioni non definitivamente accertate il Legislatore nazionale ha previsto un meccanismo parametrico e graduato, ossia il 10 % del valore dell’appalto, con soglia minima di € 35.000 (ex art. 80, comma 4, settimo periodo, D.Lgs. n. 50/2016);
- al contrario, per le violazioni definitivamente accertate permane una soglia fissa di € 5.000, non commisurata e non correlata al valore dell’appalto (ex art. 80, comma 4, secondo periodo, D.Lgs. n. 50/2016).
Ebbene, secondo i giudici rimettenti, proprio l’invariabilità della suddetta soglia di € 5.000, <<appiattita fortemente verso il basso, omologa situazioni tra loro molto differenti mettendo su un piede di dubbia parità piccoli e grandi contribuenti, nella cornice di gare di respiro locale per valori modesti e di maxi procedure di potenziale rilievo transfrontaliero di entità plurimilionaria.>>.
Pertanto, ad avviso del Consiglio di Stato, tale soglia fissa di € 5.000, che si traduce in un’ingiustificata omologazione di situazioni profondamente eterogenee, si pone in violazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost..
Al fine di evidenziare l’illegittimità costituzionale della disposizione contestata, i giudici rimettenti hanno altresì richiamato il considerando 101 e l’art. 57, par. 3, della Direttiva 2014/24/UE, i quali invitano gli Stati membri a prevedere soglie ragionevoli, evitando che esclusioni possano derivare dal mancato pagamento di “piccoli importi di imposte”, così da non pregiudicare in modo irragionevole la partecipazione alle gare.
Ed è proprio in ciò che risiede, secondo il Consiglio di Stato, il vizio di irragionevolezza della disposizione nazionale, la quale non distingue tra debiti di modesta entità e debiti di rilievo, né consente al giudice o all’amministrazione un minimo margine di apprezzamento.
I giudici rimettenti hanno, inoltre, osservato come, nel più ampio panorama ordinamentale, il Legislatore abbia previsto soglie di rilevanza ben più elevate per conseguenze giuridiche analoghe: si pensi, a mero titolo esemplificativo, alle soglie penali tributarie per i reati di cui al D.Lgs. n. 74/2000, che variano tra € 30.000 ed € 100.000.
In questo contesto, la disposizione censurata risulta non solo irragionevole, ma anche incoerente con i principi generali dell’ordinamento giuridico, determinando effetti sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti.
Sul punto, nell’ordinanza in commento, i giudici rimettenti hanno evidenziato che:
<<(…) ciò di cui fondamentalmente si dubita è la proporzionalità sub specie di necessità della misura adottata dal legislatore per «tarare» l'automatismo escludente previsto per le fattispecie di irregolarità fiscali definitive: necessità che desta perplessità a mente delle indicazioni più ampie e comprensive del diritto unionale in sede di esercizio della deroga facoltativa («chiara sproporzione ...piccoli importi di imposte») e vieppiù stride con misure alternative già divisate dal legislatore nazionale per fattispecie contigue, in senso meno drastico e sbilanciato in modo da non rappresentare un sacrificio eccessivo nella sfera giuridica del privato, in questo caso conculcato nella libera esplicazione del proprio diritto all'iniziativa economica a cagione dell'esclusione irrimediabile da una gara di rilevante entità. >>.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il Consiglio di Stato, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 4, secondo periodo, D.Lgs. n. 50/2016 per contrarietà all’art. 3 Cost., ha ritenuto opportuno sospendere il giudizio a quo e rimettere gli atti alla Corte Costituzionale.
LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 138/2025
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 138 depositata il 28 luglio 2025, ha esaminato la questione di legittimità sollevata dal Consiglio di Stato con l’ordinanza sopra commentata n. 196 dell’11 settembre 2024.
Nello specifico, la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 4, secondo periodo, D.Lgs. n. 50/2016, sollevata in merito all’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede che le violazioni definitivamente accertate rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse sono “gravi” e, dunque, causano l’esclusione dalla partecipazione ad una procedura d’appalto, se comportano un omesso pagamento superiore all’imposto di cui all’art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, D.P.R. n. 602/73, attualmente pari ad € 5.000.
Il percorso argomentativo seguito dal giudice delle leggi prende avvio dalla disamina della cornice normativa che regola il requisito della regolarità fiscale richiesto per la partecipazione a gare per l’affidamento di contratti pubblici.
La Consulta ha, poi, chiarito che sussiste una lesione del principio di ragionevolezza <<quando si accerti l’esistenza di una irrazionalità intra legem, intesa come “contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata” (sentenza n. 416 del2000)>>.
In tal caso, come si legge nella sentenza in commento, il giudizio di ragionevolezza consiste in un <<apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la “causa” normativa che la deve assistere>> e, nel caso di specie, presuppone l’individuazione della ratio della disposizione censurata dal Consiglio di Stato.
Ebbene, proprio nel valutare la ratio della disposizione de quo, la Corte ha evidenziato che la soglia di € 5.000, al di sotto della quale le violazioni fiscali definitivamente accertate non assumono rilievo escludente, rappresenta una misura proporzionata e funzionale alla tutela della concorrenza e alla regolarità delle procedure di evidenza pubblica, in quanto essa risponde ad un duplice obiettivo:
- da un lato, evitare l’estromissione dalle gare di operatori economici per inadempimenti di modesta entità, in un’ottica di favor partecipationis;
- dall’altro, garantire la par condicio tra i concorrenti mediante un criterio oggettivo e predeterminato, che assicuri trasparenza e certezza applicativa.
Sul punto, nella sentenza in commento così si legge:
<<La deroga all’esclusione, come detto, opera nel caso in cui il debito fiscale sia inferiore alla menzionata soglia di 5.000 euro. La determinazione di tale importo fisso risponde a un duplice obiettivo: da un lato, garantire la massima partecipazione alle gare di appalto, evitando l’esclusione di operatori economici che hanno commesso violazioni fiscali “bagatellari”; dall’altro, favorire la par condicio tra i partecipanti alle gare, ancorando a un importo predefinito l’esclusione dalla gara, di modo che tutti gli offerenti siano consapevoli delle conseguenze connesse alla commissione di una violazione fiscale definitivamente accertata che superi la soglia legislativa.
La disposizione censurata persegue anche finalità di tutela della concorrenza, in quanto garantisce la “parità delle armi” degli operatori economici, che sanno di poter confidare nella esclusione dalla gara del concorrente che non ha adempiuto correttamente agli obblighi fiscali. Ciò coerentemente con la giurisprudenza europea, secondo la quale «[i] principi di trasparenza e di parità di trattamento che disciplinano tutte le procedure di aggiudicazione di appalti pubblici richiedono che le condizioni sostanziali e procedurali relative alla partecipazione ad un appalto siano chiaramente definite in anticipo e rese pubbliche, in particolare gli obblighi a carico degli offerenti, affinché questi ultimi possano conoscere esattamente i vincoli procedurali ed essere assicurati del fatto che gli stessi requisiti valgono per tutti i concorrenti» (Corte di giustizia dell’Unione europea, 26 settembre 2024, cause riunite C-403/23 e C-404/23, Luxone srl e Sofein spa).>>.
Pertanto, la Consulta ha affermato che la misura si rivela effettivamente idonea a perseguire gli obiettivi prefissati, in quanto consente di bilanciare l’esigenza di selezionare operatori affidabili con quella di garantire concorrenza, trasparenza e partecipazione alle gare.
Con riferimento alla presunta violazione del principio di proporzionalità, i giudici delle leggi hanno rilevato che la soglia di € 5.000, pur essendo mutuata dall’art. 48-bis D.P.R. n. 602/1973, non risponde ad una finalità coincidente con quella perseguita dal Codice dei contratti pubblici.
Infatti, l’art. 48-bis cit. è finalizzato a regolare l’attivazione di meccanismi di compensazione tra crediti e debiti fiscali del contribuente beneficiario di erogazioni pubbliche ed opera nell’ambito dell’esecuzione forzata tributaria.
Tuttavia – come chiarito dal giudice delle leggi – ciò non esclude che tale soglia possa essere validamente utilizzata anche in ambito pubblicistico-concorsuale, ove assume rilievo come indice oggettivo e sintomatico di affidabilità fiscale.
In tal senso, la soglia di € 5.000 è idonea a fungere da parametro per selezionare operatori economici che, per l’entità del debito maturato nei confronti dell’erario, non possano ritenersi pienamente affidabili ai fini della partecipazione a procedure di evidenza pubblica.
Di conseguenza, la Consulta ha riconosciuto che, pur provenendo da un contesto normativo diverso, la soglia de qua esprime un ragionevole bilanciamento tra l’interesse pubblico alla regolarità fiscale degli operatori economici e quello alla proporzionalità delle cause di esclusione, risultando dunque non irragionevole né arbitraria.
Sul punto, nella sentenza così si legge:
<< Quanto alla proporzionalità in senso stretto della misura, si rileva che l’importo di 5.000 euro individuato dal legislatore nazionale è mutuato da una norma che, come correttamente ricostruito dal rimettente, risponde a una finalità non sovrapponibile a quella perseguita dal codice dei contratti pubblici. Infatti, l’art. 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, ha ad oggetto l’attivazione di meccanismi compensativo-esattivi nei confronti di un soggetto che è al contempo beneficiario di somme dovute dallo Stato e inadempiente agli obblighi fiscali. L’art. 48-bis reca una disciplina afferente al campo dell’imposizione fiscale e individua un limite al di sotto del quale lo Stato non ritiene utile attivare la compensazione in danno del debitore fiscale.
Tuttavia, la soglia richiamata può trovare applicazione anche al fine di selezionare operatori economici affidabili per l’aggiudicazione degli appalti. Essa, infatti, esprime un certo grado di significatività del debito fiscale, al di sopra del quale il legislatore nella sua discrezionalità ha ritenuto di non consentire la partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici.>>.
La Corte Costituzionale, nel completare il giudizio di proporzionalità, ha altresì escluso che la disposizione censurata sia manifestamente irragionevole, in quanto essa realizza un equo bilanciamento tra:
- l’esigenza, imposta dalla normativa euro-unitaria, di trattare con rigore le violazioni fiscali definitivamente accertate;
- e la necessità di non pregiudicare la partecipazione alle gare pubbliche per inadempimenti di modesta entità.
In particolare, il giudice delle leggi ha chiarito che la previsione di una soglia fissa sotto la quale le violazioni non assumono rilievo come causa di esclusione rappresenta una mediazione ragionevole tra l’interesse pubblico alla selezione di operatori fiscalmente affidabili e il principio di proporzionalità dell’esclusione.
La Consulta ha escluso, inoltre, la possibilità di utilizzare, quale termine di paragone, la disciplina riferita alle violazioni non definitivamente accertate, che l’art. 80, comma 4, settimo periodo, D.Lgs. n. 50/2016 qualifica come “gravi” solo se superiori al 10% del valore dell’appalto e comunque non inferiori ad € 35.000.
Tale disciplina, infatti, risponde a una logica differente: essa introduce una causa di esclusione prevista in via facoltativa dalla Direttiva comunitaria e, perciò, il Legislatore ha ritenuto di dover introdurre una soglia più elevata a garanzia dell’operatore economico, alla luce dei rischi derivanti da un’esclusione anticipata e potenzialmente ingiustificata.
In questo senso, la Corte Costituzionale ha valorizzato la diversità strutturale e funzionale tra le due ipotesi (violazione definitivamente accertata e violazione non definitivamente accertata), escludendo che la maggiore tolleranza prevista per la seconda possa costituire indice di irragionevolezza della soglia applicata alla prima.
Sul punto, i giudici delle leggi hanno così ritenuto:
<< La misura, infine, si rivela non manifestamente irragionevole, in quanto essa contempera l’esigenza di trattare con estrema severità, come richiesto dalle norme europee, i concorrenti che hanno commesso violazioni fiscali definitivamente accertate con la possibilità di consentire loro la partecipazione a fronte di violazioni di importo non significativo.
La diversa disciplina che regola il caso di violazioni non definitivamente accertate, che sono «gravi» solo se superiori al 10 per cento del valore dell’appalto (e comunque non inferiori a 35.000 euro), non può costituire un valido indice comparativo ai fini del giudizio di ragionevolezza della disposizione censurata.
Tale disposizione, infatti, introduce una causa di esclusione prevista in via meramente facoltativa dalla direttiva comunitaria e, nell’individuare condizioni più favorevoli per l’operatore economico che ha presuntivamente commesso violazioni fiscali, tiene conto dei rischi sottesi alla decisione di escluderlo da una gara nonostante il debitum in questione possa poi rivelarsi non esistente.>>.
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato, ribadendo la coerenza della soglia di € 5.000 con i principi costituzionali e con quelli derivanti dall’ordinamento euro-unitario.
La Consulta ha concluso evidenziando che il Legislatore ha la possibilità di intervenire per rimodulare, in un’ottica di maggiore apertura concorrenziale, la soglia di esclusione prevista per le violazioni fiscali definitivamente accertate.
In particolare, i giudici delle leggi hanno così evidenziato:
<<Spetta al legislatore, nell’osservanza delle norme dell’Unione europea, valutare l’opportunità di prevedere una diversa soglia di esclusione per le violazioni fiscali definitivamente accertate, in modo da perseguire con maggiore efficacia l’obiettivo di garantire la più ampia partecipazione possibile degli operatori economici alle gare per l’affidamento di appalti pubblici.
Spetta altresì al legislatore, nella misura in cui ciò corrisponda alle esigenze del buon andamento dell’amministrazione, considerare la possibilità di non escludere dalla partecipazione alla gara l’operatore economico che abbia commesso una violazione di importo superiore alla soglia di rilevanza, qualora provveda a pagare tempestivamente il debito fiscale rimasto inadempiuto.>>.
Sulla base dei suesposti motivi, la Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 138 depositata il 28 luglio 2025, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 4, secondo periodo, D.Lgs. n. 50/2016, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Consiglio di Stato, Sez. Terza, con l’ordinanza n. 196 dell’11 settembre 2024.
Alla luce di quanto sopra esposto, è evidente che la sentenza della Corte Costituzionale n. 138 depositata il 28 luglio 2025 in commento assume un rilievo significativo nel panorama normativo e giurisprudenziale in materia di contratti pubblici.
Ed invero, con la citata pronuncia, la Consulta ha dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 4, secondo periodo, D.Lgs. n. 50/2016 in relazione all’art. 3 Cost., con la conseguenza che è pianamente legittima la soglia di € 5.000 quale parametro oggettivo per qualificare come “gravi” le violazioni tributarie definitivamente accertate ai fini dell’esclusione automatica dalle procedure d’appalto.
Il giudice delle leggi ha, infatti, escluso che la predeterminazione di tale soglia fissa integri una lesione del principio di ragionevolezza e proporzionalità, ex art. 3 Cost., evidenziando come essa rappresenti una mediazione equilibrata tra esigenze pubblicistiche di selezione di operatori economicamente affidabili e la tutela della massima partecipazione alle gare.
Sotto altro profilo, la Corte ha opportunamente distinto il regime delle violazioni definitivamente accertate (che comportano l’esclusione automatica) da quello delle violazioni non definitive (rimesse alla valutazione discrezionale della stazione appaltante), valorizzando la diversità funzionale e strutturale delle due fattispecie.
La pronuncia in esame contribuisce, pertanto, a consolidare un impianto normativo improntato alla chiarezza e alla certezza del diritto, evitando derive interpretative che, sotto il pretesto della flessibilità, rischierebbero di compromettere l’uniformità e la trasparenza delle procedure di affidamento.