Chi ha paura del Crown Prosecutor?
Buia stanza degli interrogatori.
Uno scantinato probabilmente.
Uomini in completo rigorosamente grigio scuro o nero; cravatta nera, scarpe nere, occhi neri come lo sguardo.
Un tavolo ed una luce fioca. Puntata in faccia ad un malcapitato.
Ci sono stati chiaramente atti di violenza.
Il Soggetto, seduto sulla sedia, è terrorizzato.
Uno di quelli in nero dice una frase che suona più o meno così: “ Se confessi ora, il Procuratore sarà comprensivo. Magari ti daranno omicidio di secondo grado. Se no: ti friggono”.
L’arrestato piange: e confessa.
Poi, qualcuno parla con il Procuratore.
Compare una pena concordata ed un titolo di reato a volte diverso.
Questa è - immagine più, immagine meno - la nostra idea di come si svolgono le trattative per l’ammissione di colpevolezza in un sistema di Common Law.
Attraverso i telefilm americani percepiamo questo affascinante spaccato di vita quotidiana nel percorso del colpevole dall’arresto al giudizio.
Ovviamente, la possibilità per il Procuratore, nei sistemi di derivazione anglosassone, di concordare i capi di imputazione, e di esercitare l’azione penale, è motivo di dibattito acceso.
Quante pagine abbiamo letto sull’obbligatorietà dell’azione penale e sulla sua sacralità?
Quante ore potremmo spendere nel gridare allo scandalo, per avere riconosciuto dignità alla contrattazione dell’incolpazione?
A volte, però, a guardar le cose, le differenze diminuiscono.
Lo scandalo, conoscendo il sistema anglosassone, e paragonandolo a quello italiano, potrebbe, invero, essere grandemente sopibile.
Comprendere aiuta a formare un giudizio, che non sia un pre – giudizio.
Quindi: analizziamo le due figure.
Il Crown Prosecutor, in UK, non è lo specchio del Pubblico Ministero.
In pratica, il suo potere è diverso.
Il suo ruolo è diverso.
Le indagini sono svolte, normalmente e salvo piccole eccezioni, su iniziativa del corpo di polizia: Scotland Yard.
È Scotland Yard a presentare un pacchetto completo d’indizi ed elementi di prova a sostegno della colpevolezza.
È Scotland Yard a domandare un mandato (warrant) di perquisizione o di arresto, a ipotizzare il titolo di reato, a cercare e raccogliere le prove, a interrogare possibili testi, a sentire i sospetti.
Il Crown Prosecutor, molte volte, si limita a parlare in udienza.
E, spesso, non lo fa nemmeno lui.
Nell’ordinarietà dei casi quotidiani, a rappresentare la Corona in aula è un Barrister, una delle due tipologie di avvocato esistenti in UK.
Un soggetto, in altri termini, che riceve il fascicolo il giorno prima, preparato da Scotland Yard, e che domani potrebbe rappresentare in aula un imputato.
L’ufficio del Crown Prosecutor, quindi, ha un ruolo di garanzia.
Rappresenta lo Stato: la Corona.
Ha interesse a che lo Stato non perda tempo e soldi in processi che non sarebbero vinti.
Perché il Barrister si paga, così come le indagini.
Il Crown Prosecutor, quindi, ha un potere che è perfettamente logico.
Visti gli atti a posteriori, atti che non ha compiuto o indirizzato lui, ha il potere di scegliere di non andare avanti, o di concordare, in alcuni casi, un titolo di reato.
Lo farà se si accorge che non ha possibilità di proseguire con un indictement (capo d’imputazione) così come lo legge e con le prove che vede.
Ma il suo potere ha dei limiti. Grandi.
Ad esempio, non è possibile un patto tra il prosecutor e il defendant, con cui l’accusato ammetta alcune ipotesi di reato, ed in cambio il prosecutor eviterà di accusarlo di reati più seri, o chiederà al Giudice una pena minore.
Semplicemente perché l’indictement è redatto indipendentemente dalle difese dichiarate, e poi perché al momento dell’applicazione della pena il prosecutor ha solo la possibilità di raccontare al giudice i fatti… non di interferire sulla pena.
Non è possibile che il bargaining (la contrattazione), quindi, si spinga troppo oltre.
L’accusa deve già esistere, e al pena non è mai in discussione.
I Cases inglesi si sono già occupati dei problemi connessi al bargaining.
In Innospec (2010) è stato stabilito che le parti non possono prospettare la Giudice una certa pena o un range di pena.
La pena, non è affare del prosecutor.
È possibile, invece, che il procuratore si accordi con la difesa in modo che, se l’accusato, letto l’indictement, si dichiara colpevole per un reato minore, che abbia lo stesso actus reus (condotta), accetterà l’ammissione.
Questo è molto comune nel rapporto tra murder (omicidio con intenzione) e manslaughter (omicidio in assenza di volontà pura di uccidere).
La spinta, però, viene dalla difesa: ed evidentemente non ci sono prove per il reato maggiore.
È anche possibile che il procuratore acconsenta a non procedere su uno o più capi se l’accusato si dichiarerà colpevole per i restanti.
La pena è sempre lasciata al Giudice, così come l’accettazione della dichiarazione.
Perché? Perché non esiste alcuna utilità a far sprecare allo Stato tempo e denaro per far dichiarare qualcuno colpevole esattamente secondo l’accusa, quando quello stesso soggetto è disposto a dichiararsi colpevole per un reato minore o per alcuni dei capi.
Possiamo dire che sia una follia?
Possiamo dire che nel nostro Stato funzioni in modo differente?
Pensiamoci bene.
I giuristi inglesi hanno solo esplicitato quello che noi facciamo abitualmente.
Teoricamente, l’azione penale è obbligatoria in Italia.
Ma in pratica un soggetto che si reca a fare una denuncia si scontrerà con delle parole che non vengono (spesso) scritte.
“Chiedo di essere avvisato in caso di richiesta di archiviazione”.
L’effetto è noto a molti: purtroppo.
Se la richiesta di essere avvisati non è presente in denuncia, e se il PM propone richiesta di archiviazione, il procedimento finirà.
La vittima non lo saprà mai.
Finirà; perché se il PM chiede l’archiviazione, il GUP non ha interesse alcuno a continuare.
I due sono vicini di stanza. Si conoscono. Hanno fatto lo stesso concorso. Se il collega ritiene di dovere archiviare… chi mai continuerebbe?
Come dargli torto, del resto.
La vittima, quindi, si troverà con un procedimento archiviato, e magari lo scoprirà anni dopo: anche se avrebbe il diritto di opporsi, instaurando un giudizio davanti al GUP.
Ma l’azione penale rimane sempre, teoricamente, obbligatoria.
Che dire, poi, della fortunata ipotesi in cui la vittima conosca l’esistenza della richiesta di archiviazione, e del procedimento di opposizione alla richiesta di archiviazione che instaurerà?
Forse la prima e unica cosa da dire è: se siete la vittima, incrociate le dita.
Perché bisogna opporsi entro dieci giorni.
Anche se il PM ha avuto due anni per indagare; voi avete dieci giorni.
E bisogna allegare prove nuove, e nuovi oggetti di indagine.
E non è facile.
Perché, infine e dulcis in fundo, la decisione di archiviare presa dal GUP (il soggetto che deciderà sull’opposizione) non è appellabile.
Non dimentichiamo mai che PM e GUP hanno la stessa qualifica, hanno fatto lo stesso concorso e sono diretti e sottoposti alla vigilanza degli stessi soggetti e dello stesso Organo: il CSM.
Una marcia funebre si è appena alzata e risuona sull’obbligatorietà dell’azione penale.
Se il PM domanda l’archiviazione, la statistica di archiviazione è decisamente elevata: rasenta il “sempre”.
In Italia, quindi, l’esercizio dell’azione penale è teoricamente obbligatorio: ma in pratica…
Per non parlare dei fascicoli che vengono abbandonati e condotti per mano alla prescrizione.
Forse, quindi, l’azione penale non è poi così obbligatoria in Italia.
Che dire, poi, della possibilità di concordare?
In Italia, esiste l’istituto del patteggiamento.
Tecnicamente, della richiesta di “applicazione della pena”.
Della pena: non di un titolo di reato, la cui pena è sottoposta poi a un magistrato …
Lo stesso concetto, il patteggiamento della pena, è invece vietato in Inghilterra; perché il sentencing (la quantificazione della pena), è prerogativa del magistrato.
In Inghilterra, si patteggia la colpevolezza; non la pena.
E la colpevolezza è vera.
Patteggiare la colpevolezza vuol dire ammettere di avere commesso il fatto.
Da noi, invece, non si sa per quale motivo, la sentenza di patteggiamento non equivale a una condanna.
O meglio, non equivale per alcuni effetti, ma per altri sì.
E chi li distingue nella realtà merita, sinceramente, un premio.
Come merita il Nobel chi riuscirà a fare capire ad un soggetto di media cultura e intelletto perché mai si consenta al colpevole di nascondersi dietro a un dito: “patteggi la pena, ma non equivale a dire che sei colpevole…”
Ah no? E, soprattutto: perché no?
Abbiamo, quindi, davvero paura del Crown Prosecutor, della non obbligatorietà dell’azione penale e della possibilità di plea bargaining (concordare la colpevolezza?).
Non dovremmo avere più paura del fatto che i sotterfugi che abbiamo inventato per arrivare allo stesso risultato (non far sprecare tempo e soldi alla giustizia) contribuiscono a creare un sistema fondato sul torbido, sullo sporco e sul corruttibile?
A volte, il lupo cattivo, il Crown Prosecutor, è la vittima; di un pregiudizio.
Per una volta, proviamo a prendercela con chi sembra cappuccetto rosso.
Magari, la giustizia sembrerà meno una favola.
Buia stanza degli interrogatori.
Uno scantinato probabilmente.
Uomini in completo rigorosamente grigio scuro o nero; cravatta nera, scarpe nere, occhi neri come lo sguardo.
Un tavolo ed una luce fioca. Puntata in faccia ad un malcapitato.
Ci sono stati chiaramente atti di violenza.
Il Soggetto, seduto sulla sedia, è terrorizzato.
Uno di quelli in nero dice una frase che suona più o meno così: “ Se confessi ora, il Procuratore sarà comprensivo. Magari ti daranno omicidio di secondo grado. Se no: ti friggono”.
L’arrestato piange: e confessa.
Poi, qualcuno parla con il Procuratore.
Compare una pena concordata ed un titolo di reato a volte diverso.
Questa è - immagine più, immagine meno - la nostra idea di come si svolgono le trattative per l’ammissione di colpevolezza in un sistema di Common Law.
Attraverso i telefilm americani percepiamo questo affascinante spaccato di vita quotidiana nel percorso del colpevole dall’arresto al giudizio.
Ovviamente, la possibilità per il Procuratore, nei sistemi di derivazione anglosassone, di concordare i capi di imputazione, e di esercitare l’azione penale, è motivo di dibattito acceso.
Quante pagine abbiamo letto sull’obbligatorietà dell’azione penale e sulla sua sacralità?
Quante ore potremmo spendere nel gridare allo scandalo, per avere riconosciuto dignità alla contrattazione dell’incolpazione?
A volte, però, a guardar le cose, le differenze diminuiscono.
Lo scandalo, conoscendo il sistema anglosassone, e paragonandolo a quello italiano, potrebbe, invero, essere grandemente sopibile.
Comprendere aiuta a formare un giudizio, che non sia un pre – giudizio.
Quindi: analizziamo le due figure.
Il Crown Prosecutor, in UK, non è lo specchio del Pubblico Ministero.
In pratica, il suo potere è diverso.
Il suo ruolo è diverso.
Le indagini sono svolte, normalmente e salvo piccole eccezioni, su iniziativa del corpo di polizia: Scotland Yard.
È Scotland Yard a presentare un pacchetto completo d’indizi ed elementi di prova a sostegno della colpevolezza.
È Scotland Yard a domandare un mandato (warrant) di perquisizione o di arresto, a ipotizzare il titolo di reato, a cercare e raccogliere le prove, a interrogare possibili testi, a sentire i sospetti.
Il Crown Prosecutor, molte volte, si limita a parlare in udienza.
E, spesso, non lo fa nemmeno lui.
Nell’ordinarietà dei casi quotidiani, a rappresentare la Corona in aula è un Barrister, una delle due tipologie di avvocato esistenti in UK.
Un soggetto, in altri termini, che riceve il fascicolo il giorno prima, preparato da Scotland Yard, e che domani potrebbe rappresentare in aula un imputato.
L’ufficio del Crown Prosecutor, quindi, ha un ruolo di garanzia.
Rappresenta lo Stato: la Corona.
Ha interesse a che lo Stato non perda tempo e soldi in processi che non sarebbero vinti.
Perché il Barrister si paga, così come le indagini.
Il Crown Prosecutor, quindi, ha un potere che è perfettamente logico.
Visti gli atti a posteriori, atti che non ha compiuto o indirizzato lui, ha il potere di scegliere di non andare avanti, o di concordare, in alcuni casi, un titolo di reato.
Lo farà se si accorge che non ha possibilità di proseguire con un indictement (capo d’imputazione) così come lo legge e con le prove che vede.
Ma il suo potere ha dei limiti. Grandi.
Ad esempio, non è possibile un patto tra il prosecutor e il defendant, con cui l’accusato ammetta alcune ipotesi di reato, ed in cambio il prosecutor eviterà di accusarlo di reati più seri, o chiederà al Giudice una pena minore.
Semplicemente perché l’indictement è redatto indipendentemente dalle difese dichiarate, e poi perché al momento dell’applicazione della pena il prosecutor ha solo la possibilità di raccontare al giudice i fatti… non di interferire sulla pena.
Non è possibile che il bargaining (la contrattazione), quindi, si spinga troppo oltre.
L’accusa deve già esistere, e al pena non è mai in discussione.
I Cases inglesi si sono già occupati dei problemi connessi al bargaining.
In Innospec (2010) è stato stabilito che le parti non possono prospettare la Giudice una certa pena o un range di pena.
La pena, non è affare del prosecutor.
È possibile, invece, che il procuratore si accordi con la difesa in modo che, se l’accusato, letto l’indictement, si dichiara colpevole per un reato minore, che abbia lo stesso actus reus (condotta), accetterà l’ammissione.
Questo è molto comune nel rapporto tra murder (omicidio con intenzione) e manslaughter (omicidio in assenza di volontà pura di uccidere).
La spinta, però, viene dalla difesa: ed evidentemente non ci sono prove per il reato maggiore.
È anche possibile che il procuratore acconsenta a non procedere su uno o più capi se l’accusato si dichiarerà colpevole per i restanti.
La pena è sempre lasciata al Giudice, così come l’accettazione della dichiarazione.
Perché? Perché non esiste alcuna utilità a far sprecare allo Stato tempo e denaro per far dichiarare qualcuno colpevole esattamente secondo l’accusa, quando quello stesso soggetto è disposto a dichiararsi colpevole per un reato minore o per alcuni dei capi.
Possiamo dire che sia una follia?
Possiamo dire che nel nostro Stato funzioni in modo differente?
Pensiamoci bene.
I giuristi inglesi hanno solo esplicitato quello che noi facciamo abitualmente.
Teoricamente, l’azione penale è obbligatoria in Italia.
Ma in pratica un soggetto che si reca a fare una denuncia si scontrerà con delle parole che non vengono (spesso) scritte.
“Chiedo di essere avvisato in caso di richiesta di archiviazione”.
L’effetto è noto a molti: purtroppo.
Se la richiesta di essere avvisati non è presente in denuncia, e se il PM propone richiesta di archiviazione, il procedimento finirà.
La vittima non lo saprà mai.
Finirà; perché se il PM chiede l’archiviazione, il GUP non ha interesse alcuno a continuare.
I due sono vicini di stanza. Si conoscono. Hanno fatto lo stesso concorso. Se il collega ritiene di dovere archiviare… chi mai continuerebbe?
Come dargli torto, del resto.
La vittima, quindi, si troverà con un procedimento archiviato, e magari lo scoprirà anni dopo: anche se avrebbe il diritto di opporsi, instaurando un giudizio davanti al GUP.
Ma l’azione penale rimane sempre, teoricamente, obbligatoria.
Che dire, poi, della fortunata ipotesi in cui la vittima conosca l’esistenza della richiesta di archiviazione, e del procedimento di opposizione alla richiesta di archiviazione che instaurerà?
Forse la prima e unica cosa da dire è: se siete la vittima, incrociate le dita.
Perché bisogna opporsi entro dieci giorni.
Anche se il PM ha avuto due anni per indagare; voi avete dieci giorni.
E bisogna allegare prove nuove, e nuovi oggetti di indagine.
E non è facile.
Perché, infine e dulcis in fundo, la decisione di archiviare presa dal GUP (il soggetto che deciderà sull’opposizione) non è appellabile.
Non dimentichiamo mai che PM e GUP hanno la stessa qualifica, hanno fatto lo stesso concorso e sono diretti e sottoposti alla vigilanza degli stessi soggetti e dello stesso Organo: il CSM.
Una marcia funebre si è appena alzata e risuona sull’obbligatorietà dell’azione penale.
Se il PM domanda l’archiviazione, la statistica di archiviazione è decisamente elevata: rasenta il “sempre”.
In Italia, quindi, l’esercizio dell’azione penale è teoricamente obbligatorio: ma in pratica…
Per non parlare dei fascicoli che vengono abbandonati e condotti per mano alla prescrizione.
Forse, quindi, l’azione penale non è poi così obbligatoria in Italia.
Che dire, poi, della possibilità di concordare?
In Italia, esiste l’istituto del patteggiamento.
Tecnicamente, della richiesta di “applicazione della pena”.
Della pena: non di un titolo di reato, la cui pena è sottoposta poi a un magistrato …
Lo stesso concetto, il patteggiamento della pena, è invece vietato in Inghilterra; perché il sentencing (la quantificazione della pena), è prerogativa del magistrato.
In Inghilterra, si patteggia la colpevolezza; non la pena.
E la colpevolezza è vera.
Patteggiare la colpevolezza vuol dire ammettere di avere commesso il fatto.
Da noi, invece, non si sa per quale motivo, la sentenza di patteggiamento non equivale a una condanna.
O meglio, non equivale per alcuni effetti, ma per altri sì.
E chi li distingue nella realtà merita, sinceramente, un premio.
Come merita il Nobel chi riuscirà a fare capire ad un soggetto di media cultura e intelletto perché mai si consenta al colpevole di nascondersi dietro a un dito: “patteggi la pena, ma non equivale a dire che sei colpevole…”
Ah no? E, soprattutto: perché no?
Abbiamo, quindi, davvero paura del Crown Prosecutor, della non obbligatorietà dell’azione penale e della possibilità di plea bargaining (concordare la colpevolezza?).
Non dovremmo avere più paura del fatto che i sotterfugi che abbiamo inventato per arrivare allo stesso risultato (non far sprecare tempo e soldi alla giustizia) contribuiscono a creare un sistema fondato sul torbido, sullo sporco e sul corruttibile?
A volte, il lupo cattivo, il Crown Prosecutor, è la vittima; di un pregiudizio.
Per una volta, proviamo a prendercela con chi sembra cappuccetto rosso.
Magari, la giustizia sembrerà meno una favola.