DISPOSIZIONI GENERALI
Note introduttive
Inizia con questo complesso di norme la disciplina delle prove alla quale è dedicato il terzo libro del codice.
Il legislatore non ha inteso offrire una loro definizione, preferendo piuttosto chiarire a cosa debbano essere riferite le prove e quale sia, di conseguenza, il loro scopo in ambito processuale.
Il concetto di prova può essere variamente declinato e si presta a plurime classificazioni.
Gli è comunque connaturale una finalità rappresentativa: la prova penale è la rappresentazione di un fatto rilevante per la definizione del giudizio.
Gli si può ugualmente associare la natura di risultato conoscitivo: la rappresentazione di cui si è appena detto produce una conoscenza che, pur priva di valore assoluto, è processualmente rilevante ed obbliga il giudice a confrontarsi con essa e tenerne conto per la sua decisione.
Proprio per queste sue caratteristiche, la prova penale deve necessariamente essere correlata al contesto in cui viene prodotta e acquisita e alla specifica conformazione che il PM, in quanto organo preposto all’accusa, gli ha impresso.
Il manifesto di questa attività propulsiva dell’accusa pubblica è contenuto nell’imputazione, cioè l’attribuzione formale di un’ipotesi di reato ad un determinato individuo. L’imputazione può essere divisa in capi, a ognuno dei quali corrisponde una specifica accusa.
L’oggetto della prova è dunque principalmente costituito dai fatti che si riferiscono all’imputazione e, in stretta correlazione, dagli altri fatti riferibili alla punibilità, alla determinazione della pena o della misura di sicurezza, all’applicazione di determinate norme processuali e, ove il processo ospiti l’azione civile di danno esercitata dalla parte civile, alla verifica della relativa responsabilità (art. 187).
Nessuna prova può essere acquisita con l’uso di metodi e tecniche capaci di incidere negativamente sulla libertà di autodeterminazione o le capacità mnemoniche e valutative della persona che vi è coinvolta (art. 188).
Il legislatore codicistico, pur avendo tipizzato i mezzi di prova più diffusi, ammette astrattamente anche le cosiddette prove atipiche (cioè quelle non previste e regolate normativamente), affidando tuttavia al giudice il potere di ammetterle, sempre che siano in grado di concorrere all’accertamento dei fatti e non pregiudichino la libertà morale personale e comunque solo dopo avere sentito le parti sulle modalità di assunzione (art. 189).
In coerenza alla natura accusatoria del nostro processo, le parti hanno una funzione propositiva, spettandogli la richiesta delle prove che il giudice è tenuto ad ammettere, ad eccezione di quelle vietate dalla legge o inutili per superfluità o irrilevanza e fatto salvo un successivo potere di revoca, da esercitare comunque in contraddittorio. Il giudice dispone inoltre di poteri d’ufficio in materia di prova ma solo nei casi predeterminati dalla legge (art. 190).
La centralità delle prove nel processo penale e l’esigenza di assicurarne la conformità alla disciplina normativa (intesa come condizione imprescindibile per la realizzazione del giusto processo) giustificano la sanzione dell’inutilizzabilità riservata alle prove illegali (art. 191).
Spetta al giudice (in applicazione diretta dell’art. 102 comma 1 Cost.) il potere di valutare le prove, attribuendogli il significato e traendone le conseguenze che ritiene più congrui.
La discrezionalità valutativa del giudice è tuttavia variamente vincolata: attraverso il concomitante obbligo di dar conto, attraverso la motivazione, dei risultati acquisiti e dei criteri adottati per la decisione; con la previsione di percorsi valutativi predeterminati dalla legge per la desunzione dei fatti da fonti rappresentative indiziarie; con l’introduzione di ineludibili canoni di verifica per la valutazione delle dichiarazioni dei coimputati o imputati in procedimenti connessi o collegati (art. 192).
Il legislatore ha infine svincolato il giudice penale, consentendogli così di arrivare più agevolmente alla verità processuale, dai limiti probatori previsti dalle leggi civili, fatta eccezione per quelli attinenti allo stato di famiglia o cittadinanza (art. 193).