x

x

Art. 29 - Fusione dell’ente

1. Nel caso di fusione, anche per incorporazione, l’ente che ne risulta risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

Si veda sub art. 27.

 

Rassegna di giurisprudenza

La responsabilità amministrativa degli enti in relazione alla commissione di fatti costituenti reato è stata introdotta nell’ordinamento italiano, con la L. 300/2000, a seguito della ratifica di alcune convenzioni internazionali, sottoscritte dall’Italia, contenenti l’espresso obbligo degli Stati aderenti di introdurre sul piano interno, in relazione a determinati reati, la responsabilità delle persone giuridiche.

Le suddette Convenzioni (segnatamente, la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali e la Convenzione UE relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’UE), secondo un trend che troverà costante applicazione in successive convenzioni internazionali dedicate a forme di criminalità che potevano essere connesse alle attività di impresa, imponevano infatti agli Stati Parte specifici obblighi di adattamento della normativa nazionale, nella prospettiva di rendere omogenee e quindi maggiormente effettive le risposte sanzionatorie offerte dalla comunità internazionale.

Le convenzioni ora citate, nel prevedere un certo margine di discrezionalità del legislatore nazionale nella scelta del modello sanzionatorio da adottare in relazione ai reati da esse previste (nell’ambito dell’UE l’opera di riavvicinamento delle normative penali deve pur sempre rispettare le differenze delle tradizioni giuridiche e degli ordinamenti giuridici degli Stati membri), stabilivano tuttavia le direttrici ineludibili entro le quali dare esecuzione agli obblighi assunti sul piano internazionale: prevedere sanzioni «efficaci, proporzionate e dissuasive».

Una volta che la comunità internazionale aveva imposto l’introduzione di fattispecie penali uniformi, la risposta repressiva degli Stati doveva pertanto garantire l’effettività della tutela del bene giuridico leso: l’efficacia, la proporzionalità e il carattere dissuasivo della sanzione (ancorché non penale) dovevano essere i requisiti fondamentali affinché la normativa pattizia in questione venisse applicata appieno.

Dall’effettività della risposta sanzionatoria discende come ovvio corollario che il sistema punitivo deve essere in grado di contrastare le possibili elusioni nell’applicazione della normativa repressiva e conseguentemente del relativo regime sanzionatorio (cfr. sulla nozione di sanzioni «effettive, proporzionate e dissuasive», CGUE, Grande sezione, sentenza 8 settembre 2015, C-105/14: se il regime che disciplina l’estinzione dei reati per prescrizione nel determina l’impunità, si deve constatare che le misure previste dal diritto nazionale non possono essere considerate effettive e dissuasive). Tale elusione nella materia della responsabilità delle persone giuridiche appare ancor più evidente là dove siano ritenuti sufficienti una mera riorganizzazione o la modifica della denominazione sociale per ostacolare la repressione di un illecito.

Proprio in relazione all’ipotesi della fusione di società, la CGUE ha più volte richiamato il principio di «effettività» del sistema sanzionatorio per affermare che la normativa interna degli Stati deve assicurare l’imposizione di sanzioni nei confronti dell’ente che abbia incorporato quello che ha commesso l’infrazione, potendo altrimenti le imprese sfuggire alle sanzioni per il semplice fatto che la loro identità è stata modificata a seguito di ristrutturazioni, cessioni o altre modifiche di natura giuridica o organizzativa.

Basti ricordare, tra le tante, le pronunce della Corte del Lussemburgo in relazione alla normativa in tema di tutela della concorrenza. In particolare, tra le ultime, CGUE, sentenza dell’11 dicembre 2007, C-280/06, relativa alla normativa italiana contenuta nella L. 287/1990, nella quale la Grande sezione della Corte ha affermato (CGUE, sentenza del 28 marzo 1984, cause riunite 29/83 e 30/83, Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink c. Commissione; CGUE, sentenza del 7 gennaio 2004, cause riunite C-204/00 P. e altri, Aalborg Portland e altri c. Commissione) che qualora un ente violi le regole della concorrenza incombe ad esso, secondo il principio della responsabilità personale, di rispondere di tale infrazione; tuttavia, qualora tale ente sia oggetto di una modifica di natura giuridica o organizzativa, «tale modifica non ha necessariamente l’effetto di creare una nuova impresa esente dalla responsabilità per i comportamenti anticoncorrenziali del precedente ente se, sotto l’aspetto economico, vi è identità fra i due enti».

Solo in tal modo – ha aggiunto la CGUE – le misure adottate a livello nazionale svolgono la funzione di «dissuadere» gli operatori economici dal tenere comportamenti anticoncorrenziali: «se nessun’altra possibilità di imposizione della sanzione ad un ente diverso da quello che ha commesso l’infrazione fosse prevista, alcune imprese potrebbero sfuggire alle sanzioni per il semplice fatto che la loro identità è stata modificata a seguito di ristrutturazioni, cessioni o altre modifiche di natura giuridica o organizzativa.

Lo scopo di reprimere comportamenti contrari alle regole della concorrenza e di prevenirne la ripetizione mediante sanzioni dissuasive sarebbe pertanto compromesso».

Conclusivamente, la CGUE ha evidenziato i rischi di un’applicazione eccessivamente «formalistica» del principio della responsabilità personale nei confronti delle persone giuridiche: la ratio e la finalità delle sanzioni verrebbero eluse ed i gestori di imprese sarebbero incentivati a sottrarsi alla loro responsabilità mediante modifiche organizzative «mirate».

L’orientamento assunto dalla CGUE è significativo, tenuto conto anche della natura «penale» delle sanzioni previste dalla L. 287/1990, secondo la Corte di Strasburgo (Corte EDU, sentenza del 7.9.2011, Menarini Diagnostics SRL c. Italia). A medesime conclusioni è pervenuta la stessa Corte più in generale in materia di responsabilità amministrativa (CGUE, Sez. 5, sentenza del 5 marzo 2015, C343/13).

La CGUE  relativamente ad un caso di fusione con incorporazione della società responsabile di illeciti amministrativi  ha osservato che il trasferimento della responsabilità amministrativa alla società incorporante discende dalla normativa contenuta nella Direttiva comunitaria 78/855 relativa alle fusioni delle società per azioni, alla quale i sistemi nazionali devono uniformarsi: in assenza di detto trasferimento – ha sottolineato la Corte – l’interesse dello Stato alla repressione non sarebbe protetto e la fusione costituirebbe il mezzo, per una società, di eludere le conseguenze delle infrazioni eventualmente commesse a danno dello Stato membro interessato.

La CGUE si è premurata di sottolineare che la suddetta interpretazione non si pone in contrasto con gli interessi dei creditori e degli azionisti della società incorporante, in quanto questi ultimi, prima della fusione, hanno la possibilità di ottenere adeguate garanzie.

Quindi l’imputazione della responsabilità all’ente risultante dalla fusione per incorporazione discende ineludibilmente non solo dall’esigenza della effettività della risposta sanzionatoria pattiziamente imposta in tema di lotta alla criminalità d’impresa, ma anche dai principi comunitari in tema di riorganizzazione degli enti (Direttiva 78/855).

La L. 300/2000, nel dare esecuzione in Italia alle richiamate Convenzioni, ha ritenuto di far fronte agli obblighi di adattamento dalle stesse discendenti con il ricorso alla delegazione, indicando espressamente tra i principi e i criteri direttivi quello di «prevedere sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive» a carico delle persone giuridiche responsabili, in tal modo rafforzando l’attuazione degli obblighi pattizi.

Pertanto, con l’introduzione della normativa riguardante le «vicende modificative dell’ente» ed in particolare della previsione, secondo cui «nel caso di fusione, anche per incorporazione, l’ente che ne risulta risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione» (art. 29), il legislatore delegato ha inteso applicare i principi e i criteri direttivi derivanti dalla legge di delega.

Tale conclusione appare ancor più indefettibile nei casi in cui le società coinvolte nell’operazione di fusione appartengano allo stesso gruppo e l’operazione sia pianificata dalla holding (Sez. 6, 11442/2016).